Visione e Postura

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Visione e Postura
Visione e Postura
di Maria Grazia Carlino 1
N.1. Introduzione.
Nell’odierna cultura, anche sul versante scientifico, gli aspetti fisico-psico-fisiologici della
visione – nel loro complesso intreccio, ma anche nelle rispettive specificità – spesso sono
trascurati, e talora ignorati. Qui noi vogliamo farne una sintetica carrellata in relazione a
“visione e postura”, anche per i riflessi di natura sociale – oltre che scientifica – che questo delicato argomento ha, per esempio in ambito scolastico.
In realtà, visione e postura sono due facce della stessa medaglia, due punti di osservazione
della stessa cosa nell’ambito della storia personale di ciascun individuo. Esse costituiscono aspetti inscindibili, sono modi di essere e di rappresentarsi a sé e agli altri.
Rinviando, per gli aspetti relativi alla visione, al nostro articolo citato in Bibliografia (si
veda [11]), di cui questo deve considerarsi una prosecuzione, ricordiamo che la “postura”
è l’adattamento personalizzato di ogni individuo all’ambiente fisico, psichico ed emozionale. Essa è “la maniera di posizionare il proprio corpo nell’ambiente” 2 e quindi è grazie a
essa che noi siamo capaci di sederci, alzarci, mantenere l’equilibrio e controllare i nostri
movimenti. In altre parole, essa è il modo con cui reagiamo alla forza di gravità e comunichiamo. Come la visione, anche il controllo posturale costituisce una funzione appresa.
Quando nasciamo, infatti, siamo forniti degli elementi neurali utili per risposte automatiche e stereotipate: i riflessi primitivi (o innati). Essi sono controllati dal tronco cerebrale
senza coinvolgimento della corteccia.
Questi riflessi, indispensabili per la sopravvivenza, con l’adattamento dell’individuo all’ambiente sono integrati dai cosiddetti riflessi, condizionati. Tra questi, i riflessi posturali
hanno una notevole importanza, dato che ci portano a contrastare la forza di gravità.
Il bambino, infatti, a partire dalla sesta settimana di vita extrauterina, giacendo in posizione prona, inizia a sollevare la testa, attivando la muscolatura posteriore del collo e contrastando in questo modo la forza di gravità. Successivamente il bambino impara a controllare il peso della testa, prima strisciando sul pavimento (con uno schema omolaterale
alternato: mano e piede dello stesso lato operano insieme, dopo di che entrano in funzione
gli arti dell’altro lato) e poi gattonando, come i gatti e gli altri quadrupedi (con uno schema crociato: operano insieme mano di un lato e piede dell’altro lato, dopo di che questi
arti vengono sostituiti dagli altri due; e via alternando), A circa 12 mesi si ha il passaggio
graduale ad una postura eretta, che si stabilizza a circa 6 anni. Le fasi descritte non hanno
solo uno sviluppo temporale, ma soprattutto funzionale, poiché il raggiungimento di ciascuna delle prime due facilità il passaggio alla sua successiva, favorendo la funzionalità
della corteccia cerebrale.
Secondo alcuni studiosi, quello sviluppo caratterizza il nostro modo di essere nel corso
della nostra evoluzione individuale (ontogenesi), ed esso ripercorre quella che è stata l’evoluzione della specie umana (filogenesi), attraversando gli stadi di anfibi e di quadrupedi.
Il completamento dello sviluppo della funzione posturale (sistema tonico posturale) avviene abitualmente verso i 12 anni, contemporaneamente alla stabilizzazione della funzione
visiva, sensoriale e motoria. Compito del sistema tonico posturale è consentire all’uomo la
stabilità posturale sia in posizione statica che in movimento, adattandosi ai continui cambiamenti ambientali. Per realizzare tali obiettivi, il sistema utilizza una complessa rete di
risorse suddivisa in 3 livelli.( si veda [2]):
1
dottoressa in ottica e optometria; [email protected]
DUCHEMIN 1995 Ruolo della visione nella postura. Vittorio Roncagli, Fabio Scoppa, Rinaldo Spinozzi.
www.aifimm.it
2
•
•
•
Recettori sensoriali (esterocettori cutanei e propriocettivi, visivi, vestibolari ed uditivi)
che rilevano la posizione delle varie parti del corpo in relazione all’ambiente,
Centri superiori (nuclei vestibolari, cervelletto, formazione reticolare, corteccia cerebrale) che integrano e rielaborano i dati derivanti dalle fonti precedenti, combinando i
processi cognitivi e strategici (engrammi)
Effettori (nuclei cranici oculomotori) da cui partono i comandi ai muscoli oculomotori
per la stabilizzazione visiva e il midollo spinale da cui partono i segnali diretti alle
placche motrici dei muscoli scheletrici per la stabilità antigravitazionale.
Alla nascita il sistema visivo non è ancora sviluppato completamente. Nonostante il completo sviluppo anatomico dell’occhio sia avvenuto o quasi, la sua funzionalità non lo è. Il
nervo ottico non è mielinizzato e questo rallenta l’accesso dell’informazione attraverso il
canale visivo. Fin dalle primissime fasi della vita il bambino (neonato) è in grado di utilizzare le informazioni visive in un contesto multimodale ed intermodale, categorizzandole e
realizzando una classificazione degli eventi. Egli può stabilire rapporti con gli eventi esterni e dare a essi un suo peculiare "significato" del tutto pertinente agli obiettivi di modificare e di modificarsi, cioè di ristrutturare le sue funzioni per renderle adatte ed ulteriormente
adattabili ad una realtà mutevole (cf. [9]) .
Basso liv. di
elaborazione
input
(Guidato da supposizioni derivate da esperienze passate)
Medio liv. di
elaborazione
Top-down
(Guidato da dati in ingresso)
Bottom-up
Alto livello di
elaborazione
Oggetto reale
La funzione visiva coinvolge (cf. [5]) una doppia integrazione di processi, una via a doppio senso; non é soltanto l’input che parte dall’occhio e va al cervello (bottom-up), ma ci
sono informazioni che, partendo dal cervello, vanno all’occhio (top-down).
I recettori sono influenzati da questo e ricevono le informazioni in maniera diversa, a
causa del feedback che modula la progressione del messaggio in arrivo. Se c’é un’interferenza, in qualche fase di questa progressione enormemente complessa, sarà espressa nel
risultato motorio finale.
N.2. Effetti del sistema oculomotore e della visione sulla postura.
I muscoli degli occhi, del collo e di tutto l’apparato muscolare sono intimamente collegati.
Ogni volta che i globi oculari si muovono, anche i muscoli della nuca si contraggono al fine di consentire il movimento della testa per inseguire l’oggetto d’interesse.
A seguito di tale cambiamento posturale, i recettori articolari situati al livello del collo informano il vestibolo, l’apparato equilibratore che, a sua volta, invia degli impulsi in dire2
zione dei nuclei vestibolari del bulbo rachideo. Infine questi ultimi trasmettono degli impulsi che permettono di regolare la tonicità dei muscoli erettori allo scopo di mantenere
l’equilibrio nella posizione eretta.
D.B. Harmon nel 1958 rilevò che gli individui con astigmatismo, quando stavano in piedi,
inclinavano la testa lateralmente; i miopi tendevano ad inclinare la testa indietro, portando
il mento in su; mentre gli ipermetropi tendevano a inclinarla in avanti; infine gli anisometropi tendevano a ruotare la testa intorno all’asse verticale.
Vediamo ora come la visione interviene nel mantenimento dell’equilibrio posturale. Per
capire meglio l’importanza dell’elemento visivo è sufficiente sperimentare la seguente
esperienza: provare a rimanere in piedi, su una gamba, a occhi chiusi. La mancanza di informazioni della retina non consente al sistema di equilibrio (sistema vestibolare) di spostare l’asse del corpo sulla verticale mediana. Di conseguenza, il corpo non riesce a modificare l’insieme dei muscoli posturali in modo adeguato per correggere gli scarti rispetto
alla verticale e quindi mantenere o ristabilire l’equilibrio.
N.3. Interazione tra visione e propriocezione del collo nel controllo della stabilita posturale.
Rinviando a [1] per gli opportuni approfondimenti, facciamopresente che il controllo del
bilanciamento dipende dall’interazione di più afferenze, provenienti da diversi sistemi sensoriali. E’ stato esaminato l’effetto sulla stabilità posturale della perturbazione propriocet3
tiva, indotta dalla oscillazione dei muscoli dorsali del collo rispettivamente con gli occhi
chiusi e con gli occhi aperti.
In completa assenza di riferimenti visivi, l’entità della risposta al movimento del collo, che
si manifestava con lo spostamento in avanti del centro di pressione del piede, é stata più
evidente, divenendo progressivamente maggiore con la ripetizione dello stimolo. L’effetto
di destabilizzazione posturale a occhi chiusi é stato minore quando l’oscillazione del collo
é stata preceduta da un periodo durante il quale gli occhi sono rimasti aperti.
La prova effettuata con gli occhi aperti era meno destabilizzante, ma la stabilità diminuiva
vistosamente se era preceduta da un periodo durante il quale il soggetto aveva mantenuto
gli occhi chiusi.
Concludendo, la risposta all’input del disturbo propriocettivo non cambia immediatamente
aggiungendo o eliminando la visione.
Quindi per produrre un effetto significativo sulla risposta posturale il periodo che precede
l’oscillazione del collo e durante il quale gli occhi devono essere aperti o chiusi, deve essere maggiore di tre secondi.
N.4. La visione come percezione dominante: l’esperienza della moving room
Quanto sia importante la visione nell’equilibrio posturale può essere documentato dall’esperienza della “moving room” di Lee D.N e Aronson E. (1974). Gli studiosi hanno creato
una stanza in movimento, dove la persona veniva posta su di un pavimento stabile, mentre
le pareti potevano essere mosse in avanti e indietro. L’effetto di questo movimento delle
pareti sulla postura e sull’equilibrio é stato studiato dagli esaminatori sia nei soggetti
adulti che nei bambini (si veda [4], pag. 5).
Durante il movimento delle pareti nei soggetti esaminati si osservava una significativa
perdita di equilibrio, con oscillazione ed inclinazione del corpo, secondo la direzione del
movimento della parete, che portava a far cadere o ad inciampare.
Come possono essere spiegati questi effetti? E’ da tener presente che il pavimento della
stanza era stabile, pertanto sono da escludere tutte le influenze meccaniche, podaliche e
vestibolari sulla posizione dei soggetti esaminati.
La spiegazione più ragionevole é che il movimento della parete comportava una modificazione dell’allineamento visivo nei soggetti esaminati.
Se il soggetto stava usando la funzione visiva come una sorgente di feedback per la regolazione della postura e dell’equilibrio, egli interpretava il cambiamento dell’allineamento
visivo come una perdita di equilibrio, così da produrre come risultato una compensazione
posturale nella direzione opposta.
Le pareti che appaiono più vicine agli occhi potrebbero significare, se la stanza fosse “normale”, che la persona sta cadendo in avanti e questo spiega la compensazione posturale
nella direzione opposta, cioè indietro. Questa é stata la scoperta di Lee: muovendo la parte
alta della parete verso il soggetto esaminato si provoca la sua caduta indietro.
Questo tipo di dimostrazione conferma che la visione funziona come un propriocettore,
fornendo informazioni sulla posizione del corpo, da cui il termine di propriocezione visiva.
Oscillazioni posturali in bambini di 6, 8 e 10 anni sono state analizzate in quattro differenti condizioni visive: visione completa, visione periferica, visione centrale e con gli occhi chiusi) (si veda [6]).
Inoltre per modificare la propriocezione del piede è stata valutata la stabilità posturale con
l’appoggio plantare in piano e con un rialzo in schiuma di lattice di 5 cm.
I bambini erano molto più stabili con la visione che senza e con la pianta del piede posta
in piano. La visione periferica è risultata influenzare maggiormente la stabilità posturale
sul piano antero-posteriore, mentre la visione centrale stabilizza sul piano medio-laterale.
4
N.5. Caratteristiche della percezione spaziale indotte da prismi e lenti
Le lenti e i prismi oltre che a modificare lo stato refrattivo e produrre immagini focalizzate
sulla retina alterano le relazioni spaziali abituali dell’individuo.
Nelle fasi iniziali del loro utilizzo, l’individuo deve imparare a relazionarsi con le nuove
coordinate spaziali ed ha la necessità “riequilibrare” l’assetto posturale, assolutamente inadeguato, proprio come è stato rilevato nell’esperienza della moving room.
Prima dell’esperienza con le lenti la grandezza dell’immagine retinica era uno degli indizi
utilizzati per valutare la distanza degli oggetti, più un oggetto noto è vicino e più la sua
immagine è grande sulla retina. Effetto noto con l’acronimo SOLI (small out / large in).
Lenti positive. Le lenti positive, utilizzate per compensare un occhio poco potente in relazione alla sua lunghezza, danno dell’oggetto reale una immagine virtuale, diritta, ingrandita e allontanata.
fig. 1
Questo effetto SILO (small in / large out) produce un’incongruenza rispetto all’esperienza
percettiva abituale. Esse, in virtù dell’ingrandimento dell’immagine retinica, distribuiscono l’energia su una superficie retinica più grande, diminuendo l’intensità della luce e coinvolgendo un maggior numero di fotorecettori; inoltre esse riducono il tono dei muscoli
posturali ed espandono la periferia visiva, dando enfasi allo sfondo. In questo modo si ha
l’impressione di trovarsi in un ambiente più ampio.
Un altro elemento destabilizzante è costituito dall’apparente movimento delle immagini
che nel caso della lente positiva è nel verso opposto rispetto al movimento degli occhi e
della testa. Questo effetto interferisce con un altro indizio abitualmente utilizzato per la
valutazione della posizione spaziale degli oggetti e cioè il movimento di parallasse. Guardando un target, spostando la testa a destra e sinistra, tutte le cose nella stanza sembra che
si spostino, tranne l’oggetto fissato. Quelle più lontane dell’oggetto si spostano concordemente con il nostro movimento, mentre le più vicine si spostano nel verso opposto.
Lenti negative. Invece, le lenti negative sottraggono potere ad un occhio più rifrangente
(potente), avvicinano e rimpiccioliscono l’immagine, distribuendo l’energia luminosa su
una superficie retinica minore e coinvolgendo un minor numero di fotorecettori.
I noltre esse aumentano l’intensità della luce e il tono dei muscoli posturali, riducono il volume spaziale visivo (periferia) e enfatizzano la figura. In questo modo si ha l’impressione
di trovarsi in un ambiente più ristretto. Il movimento apparente dato dalla lente negativa è
concorde rispetto al movimento della testa.
I
5
fig. 2
Prismi. Un prisma ha la caratteristica di deviare di un certo angolo il raggio emergente
rispetto alla direzione del raggio incidente; cosicché il raggio deviato verso la base e intercettato dall’occhio, sembra provenire da un punto posto verso il vertice.
Quindi un prisma a base bassa dà l’impressione che l’oggetto si trovi spostato verso l’alto,
mentre un prisma a base alta dà, invece, l’impressione che l’oggetto si trovi verso il basso.
fig. 3
Un’altra considerazione da fare riguardo le lenti è che il loro uso deve essere accompagnato da istruzioni ben precise; per sortire i loro effetti benefici devono essere perfettamente centrate e cioè la distanza tra i centri ottici deve coincidere con la distanza interassivisuale, rilevata nella posizione esatta per il loro utilizzo. Quando questa condizione non
è rispettata le lenti producono un effetto prismatico direttamente proporzionale al potere
di-ottrico e al decentramento.
Dal momento che il sistema visivo coordina tutte le attività controllate dalla visione, le
lenti possono cambiare la postura abituale del corpo, la coordinazione e gli schemi di ragionamento. Un esempio è la prescrizione dei prismi gemellati in soggetti che manifestano
evidenti problemi di natura posturale.
6
Nella foto 1 si può notare che il peso del corpo è spostato in avanti; con l’inserimento dei
prismi gemellati base bassa (foto 2), gli occhi e lo spazio si muovono verso l’alto: questo
cambiamento di prospettiva provoca un effetto simile a quello visto con le lenti positive. Il
mondo visuale appare allargato: questo effetto è simile alla risposta SILO (large out).
Il bacino si inclina verso il basso, il peso del corpo poggia maggiormente sui talloni, si ha
una variazione della postura e conseguentemente del tono muscolare.
Foto 1
Foto 2
Foto 3
Foto 4
Nella foto 3 il peso é spostato sui talloni; con l’uso di prismi gemellati base alta (foto 4),
gli occhi si muovono in basso: questo cambiamento di prospettiva provoca un effetto simile a quello visto per le lenti negative. Il bacino si inclina, il peso del corpo poggia mag-
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giormente sulle dita dei piedi, si ha una variazione della postura e conseguentemente del
tono muscolare.
Quando il professionista della visione prescrive le lenti, siano esse positive, negative o prismatiche, non fa altro che creare un ambiente visivo in cui il soggetto può elaborare l’informazione visiva al massimo delle sue possibilità.
Quindi sia le lenti che i prismi possono essere usati con funzionalità differenti, ma con una
comune finalità. Essi infatti possono essere utilizzati al fine di indurre un’alterazione virtuale dello spazio visivo che abbia come conseguenza un assetto posturale auspicabile.
Quindi sia le lenti che i prismi possono essere usati con funzionalità differenti, ma con una
comune finalità. Essi infatti possono essere utilizzati al fine di indurre un’alterazione virtuale dello spazio visivo che abbia come conseguenza un assetto posturale auspicabile.
Appendice. Dall’occhio al cervello.
L’occhio, sistema ottico rifrangente, diaframmato dalla pupilla, costituito da cornea, cristallino e
u-mori, é un diottro convergente che dà sulla retina un’immagine degli oggetti reale, rimpicciolita
e capovolta.
Questa sintetica descrizione dell’occhio soddisfa l’approssimazione dell’ottica geometrica, ma
crea un equivoco e cioè induce a presumere che sia l’occhio stesso lo strumento capace di riprodurre immagini del mondo esterno. Oggi sappiamo che la realtà percepita é il frutto di una ricerca cerebrale. La percezione visiva é organizzata nel cervello come una lettura di dati sensoriali,
conseguenti ad informazioni su intensità e frequenza della luce. Solo le onde elettromagnetiche,
emesse da una sorgente o riflesse dagli oggetti, comprese in un intervallo di lunghezze d’onda tra i
400 e i 700 nano-metri circa, sono in grado di scatenare nei recettori retinici, coni (6 milioni circa)
e bastoncelli (120 milioni circa), una reazione chimica che induce una variazione del potenziale di
membrana. Il segnale viene inviato ai neuroni retinici, cellule bipolari, orizzontali, amacrine e
ganglionarie, che sono variamente connessi fra di loro ed effettuano una prima elaborazione del
segnale visivo. Le informazioni di circa 126 milioni di fotorecettori vengono incanalate in un
milione di cellule gangliari, i cui assoni formano il nervo ottico. Nella retina centrale e in particolare nella fovea, ciascuna cellula gangliare é connessa ad un numero relativamente esiguo di fotorecettori, mentre nella retina periferica ogni cellula gangliare é connessa a migliaia di recettori.
Così nello spazio neurale si ha una sovra rappresentazione della fovea.
I nervi ottici trasmettono le informazioni sotto forma di potenziali d’azione a diverse strutture
cerebrali; a questo punto esse divengono sensazioni visive e sono rielaborate dalla psiche come
percezioni di forma, luminosità, colore, movimento e profondità.
La percezione della profondità o stereopsi è possibile solo in presenza di una condizione molto
precisa e cioè che le immagini ottiche si formino su aree neurologicamente corrispondenti in entrambe le retine.
I due nervi ottici subiscono una semidecussazione delle fibre a livello del chiasma ottico; in tal
modo la rappresentazione del campo visivo di sinistra si ottiene a seguito dei segnali condotti nel
Nucleo Genicolato Laterale (NGL) fino alle aree corticali di destra e la rappresentazione del
campo visivo destro viene elaborata nel cervello sinistro.
Ben 35 aree del cervello sono prevalentemente o completamente coinvolte nell’elaborazione visiva. Ci sono 11 vie di collegamento tra occhio e cervello. Le due principali sono:
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la genicolo-striata (o retino-corticale) che porta alla visione cosciente
la extra striata (o retino-tettale) che porta alla visione inconsapevole.
La genicolo-striata è la più grossa via di comunicazione che collega la retina all’area V1 della corteccia occipitale, passando dal nucleo genicolato laterale (NGL) del Talamo.
Essa è costituita da due circuiti:
•
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il parvo-cellulare (via ventrale)
il magno-cellulare (via dorsale).
Il circuito parvo-cellulare è il sistema che funziona più lentamente e porta all’identificazione; esso
é predisposto per avere la migliore acuità visiva, la percezione del colore ed è sensibile alle alte
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frequenze spaziali. Tale circuito è costituito dall’ 80% degli assoni delle cellule ganglio-retiniche
pre-valentemente foveali.
Il circuito magno-cellulare, invece, è il sistema più veloce ed è legato al movimento e alla localizzazione spaziale. Esso è sensibile alle basse frequenze spaziali ed è costituito da un 16% circa di
as-soni delle cellule ganglio-retiniche prevalentemente periferiche.
La retino-tettale, invece, collega direttamente la retina al collicolo superiore (CS) utilizzando circa
il 4% delle cellule ganglio-retiniche.
Il CS coordina le informazioni visive, somatiche e uditive.
Gli assoni provenienti dal CS entrano a far parte di due fasci di nervi discendenti: il tratto tettospinale, per il controllo riflesso dei movimenti del corpo e del collo; il tratto tetto-pontino che
ritrasmette le afferenze visive al cervelletto per la coordinazione dei movimenti degli occhi e del
capo.
Questa via non produce visione cosciente e serve a velocizzare l’informazione motoria. Questo
sistema è responsabile del nostro senso dello spazio, dell’integrazione fra visione, equilibrio e propriocezione; esso costituisce la parte inconscia del vedere.
Bibliografia
[1] M. BOVE, C. FENOGGIO, A. TACCHINO, E. PELOSIN, M. SCHIEPPATI (2009). Interaction between vision and neck proprioception in the control of stance.Journal of neuroscience. Si
faccia riferimento a [email protected] Ist. Naz. di Neuroscienze University of Genova (I).
[2] G. CHETTA (2007). “Postura e benessere”
http://www.giovannichetta.it/equilibrio.html
[3] G.N. GETMAN, Come sviluppare l’intelligenza del vostro bambino. Distribuito da EASV
(Ac-cademia Europea Sport and Vision) si veda http://www.easv.org/library/libri_tradotti/6/.
[4] D.N. LEE, E. ARONSON (1974). Visual proprioceptive control of standing in human infants.
in Motor Control and Learning (529-532), a cura di R. A. Schmidt e T. D. lee. Perception & Psycophysics.
[5] B.MONTICELLI (1977) “Il Riconoscimento degli Oggetti: Elaborazione Bottom Up e Top
Down” in http://www.psicolab.net/index.asp?pid=idart&cat=8&scat=236&arid=1977
[6] NOUGIER V., BARD C., FLEURY M., N. TEASDALE (1998), Contribution of Central and
Peripheral Vision to the Regulation of Stance: Developmental Aspects, Journal of Experimental
Child Psychology, 202-215.
[7] V. RONCAGLI (1998), corso “Optometric Vision Training”, EASV.
[8] V. RONCAGLI, F. SCOPPA, R. SPINOZZI. Ruolo della visione nella postura.
www.romagna in salute.it/ruolo-della-visione-nella-postura.html (si veda anche: www.aifimm.it).
[9] G. SABBADINI, “Manuale di neuro-oftalmologia dell’età evolutiva”, Franco Angeli ed.
[10] F. SCOPPA, V. RONCAGLI (2002), Valutazione della Funzione Visiva in Posturologia., Rèsonances europèennes du rachis, volume 10 n 32.
[11] CARLINO M. G. (2013). La visione in riferimento alla percezione, con particolare attenzione alla percezione gestaltica. Education 2.0. http://www.educationduepuntozero.it/Politichescolastiche/Studi-e-ricerche/2013/10/img/carlino1_all1.pdf
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