Nutrition Science di Jerry Brainum
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Nutrition Science di Jerry Brainum
imp.nutrition 75-1 14-12-2005 11:46 Pagina 29 di Jerry Brainum Nuovi studi sottolineano la superiorità della dieta iperproteica ■ Continuano ad accumularsi prove che testimoniano come un incremento nell’assunzione proteica accompagnato da diminuzione dei carboidrati possa non solo indurre più consistenti perdite di grasso durante il regime dietetico, ma anche conservare massa magra o muscoli in misura di gran lunga superiore rispetto alle convenzionali diete sia ipocaloriche, sia iperglucidiche, ipolipidiche. Inoltre, la maggior parte delle preoccupazioni, a lungo sostenute, circa i supposti “pericoli” associati a più elevate assunzioni di proteine si stanno dimostrando falsi allarmi o solo semplicemente vecchi pettegolezzi. Esempi di ricerca recente a supporto della superiorità di diete iperproteiche rispetto a diete iperglucidiche sono due studi che hanno confrontato gli effetti di entrambe le diete su gruppi di donne obese. Il primo studio1 ha messo a confronto gli effetti di diete iperproteiche e diete iperglucidiche sui livelli ematici di glucosio e di insulina sotto regime dietetico. Lo studio prendeva in esame 24 donne adulte che erano tutte almeno il 15% al di sopra del loro peso ideale. Le donne erano suddivise in due gruppi: un gruppo iperproteico che consumava 1,6 g di proteine per kg di peso corporeo, con il 40% del totale apporto calorico fornito da carboidrati; e un gruppo iperglucidico, nel quale le donne assumevano la metà delle proteine (0,8 g di proteine per kg di peso corporeo) e il 55% delle calorie in forma di carboidrati. Entrambe le diete prevedevano la stessa quantità di calorie totali e di grassi (50 g al giorno). Lo studio durava 10 settimane. Se da un lato il gruppo iperproteico aveva perso leggermente più peso rispetto al gruppo iperglucidico, i reali vantaggi emergevano quando i due gruppi dovevano consumare pasti di prova alla fine dello studio. I soggetti nel gruppo ad alto apporto di carboidrati presentavano livelli più bassi di glucosio nel sangue uniti ad elevata risposta dell’insulina ai pasti. Un simile scenario prepara il terreno per aumenti del senso di fame, in condizioni di dieta, dovuti a livelli più bassi di glucosio ematico, il che favorisce non solo una mancanza di consistente adeguamento al regime dietetico, ma anche alti bagordi calorici che vanificano l’intero proposito dello stare a dieta. Gli autori dello studio spiegano che un’elevata assunzione di proteine probabilmente promuove una maggior stabilità nel livello di glucosio ematico attraverso l’azione di incrementati apporti di amminoacidi a partire dalle proteine. Il maggior apporto di amminoacidi associato all’aumento di consumo proteico produce precursori del glucosio usati dall’organismo per mantenere stabili i livelli ematici di glucosio evitando al contempo produzioni di insulina in eccesso, come avviene invece con aumenti nell’apporto di carboidrati. All’abbassarsi dei livelli ematici di glucosio, aumenta l’appetito, rendendo più gravoso mantenersi a dieta. Il secondo studio2 ha messo a confronto alte assunzioni, rispettivamente, di proteine e di carboidrati e i loro effetti sulla composizione corporea e i lipidi ematici. Come il primo studio, anche questo prendeva in esame sog- LA MAGGIOR PARTE DELLE PREOCCUPAZIONI RIGUARDO AD UNA DIETA IPERPROTEICA, CIRCA I SUPPOSTI “PERICOLI” ASSOCIATI A PIÙ ELEVATE ASSUNZIONI DI PROTEINE, SI STANNO DIMOSTRANDO FALSI ALLARMI O SOLO SEMPLICEMENTE VECCHI PETTEGOLEZZI. getti femmine in sovrappeso che seguivano o una dieta iperproteica o una dieta iperglucidica per 10 settimane. Ancora una volta, entrambe le diete prevedevano le stesse quantità di calorie totali giornaliere e di apporto di grassi, diversificandosi solo per i contenuti di proteine e carboidrati. I risultati hanno mostrato che i soggetti nel gruppo iperproteico registravano cambiamenti nella composizione corporea che indicavano conservazione di massa magra, o muscolo, accoppiata con una perdita di grasso che era maggiore di quella registrata nel gruppo iperglucidico. Entrambi i gruppi presentavano un abbassamento medio del 10% nei livelli ematici di colesterolo, ma solo il gruppo ad alto apporto di proteine presentava un abbassamento del 21% nei livelli ematici di trigliceridi (grassi) ed un più elevato rapporto di lipoproteine ad alta densità, HDL, su trigliceridi, uno schema che favorisce la salute cardiovascolare. Le donne nel gruppo iperglucidico mostravano anche risposte più elevate di insulina ai pasti, con tendenza ad abbassamento di glucosio nel sangue (ipoglicemia) dopo i pasti. I soggetti nel gruppo ad alto Olympian’s News 29 imp.nutrition 75-1 14-12-2005 11:46 apporto proteico riportavano maggior sazietà dopo i pasti, dovuta probabilmente ad una migliore risposta dell’insulina ai pasti. Per quanto riguarda il motivo per cui un più elevato apporto proteico produceva un miglior risultato nella composizione corporea nei soggetti di studio, i ricercatori che hanno condotto lo studio fanno notare che una maggiore assunzione di proteine mantiene i livelli di ormoni tiroidei, riducendo al contempo le risposte dell’insulina ai pasti. Questo schema ormonale favorirebbe maggiori perdite di grasso corporeo. Un aumentato apporto proteico smorza o previene anche la perdita di massa magra o muscoli che altrimenti accompagnerebbe un ridotto apporto calorico che non enfatizzasse un maggior apporto proteico. Gli amminoacidi a catena ramificata, isoleucina, leucina, e valina, sono particolarmente potenti in questo effetto anticatabolico, così come lo sono altri amminoacidi, inclusa la glutammina. Un altro dato interessante di questo studio è l’assenza di effetti cardiovascolari nocivi a seguito di una maggior assunzione di proteine. Semmai, i mutamenti che si verificano conferiscono protezione cardiovascolare. Questo è importante, alla luce dei frequenti ammonimenti circa i “pericoli” cardiovascolari legati a diete iperproteiche. Lo stesso vale per il vecchio spauracchio del legame tra apporti proteici aumentati e patologie dei reni. La teoria dietro ciò è che i prodotti di scarto del metabolismo delle proteine, come l’urea, impongono un aumento di stress sulla funzione renale, traducendosi eventualmente in perdita della funzione renale. Questi concetti sono originariamente derivati dall’osservazione di pazienti con pre-esistenti patologie o insufficienze renali, e difficilmente risultano applicabili ad una popolazione sana. Ma, in questo studio, i soggetti presentavano un rapido adattamento al maggior apporto proteico, senza differenza nei valori di urea tra il gruppo iperproteico e quello iperglucidico. Ciò suggerisce che il corpo può facilmente, e senza danni, regolare la funzione renale per affrontare supplementi di azoto o prodotti di scarto del metabolismo delle proteine. Sebbene non discusso in questo studio, il modo migliore per proteggere i vostri reni durante un regime di alto apporto proteico è semplicemente assicurare un adeguato apporto d’acqua, che aiuta a far defluire via efficacemente questi prodotti di scarto d’azoto. 1 Layman DK, et al. Increased dietary protein modifies glucose and insulin homeostasis in adult women during weight loss.J Nutr 2003;133:405-410. 2 Layman DK, et al. A reduced ratio of dietary carbohydrate to protein improves body composition and blood lipid profiles during weight loss in women.J Nutr 2003;133:411-417. Pagina 30 Il tè & l’insulina ■ Consumare tè, in particolare tè verde, procura diversi benefici per la salute. Tra questi benefici ci sono effetti protettivi contro svariati tipi di cancro, protezione contro affezioni cardiovascolari, e aumento della risposta del sistema immunitario. Bere tè può persino prevenire carie o cavità dentarie inibendo i comuni batteri orali che notoriamente svolgono un ruolo centrale nella formazione di queste cavità dentarie. Studi recenti indicano anche che il tè verde esercita un effetto termogeno benefico per la perdita di grasso che è indipendente da ogni effetto della caffeina. Questa è la ragione per cui il tè verde compare adesso in molti integratori non-ephedra per la perdita di grasso. Un nuovo studio3 mostra che tè di vari tipi – con l’eccezione dei tè alle erbe – sembrano incrementare potentemente l’attività dell’insulina. Lo studio utilizzava un modello in vitro, cioè cellule isolate, nello specifico cellule adipose, che, come è noto, rispondono a prodotti che migliorano l’attività dell’insulina. Con questo metodo si è trovato che esporre queste cellule isolate a vari tipi di tè, compresi tè verde, nero e oolong, conduceva ad un incremento di 15 volte nell’attività dell’insulina. I principi attivi in questi tè responsabili dell’effetto di potenziamento dell’insulina sono vari composti noti collettivamente con il nome di polifenoli. Dei naturali polifenoli riscontrati nel tè, il più potente a questo proposito è l’epigallocatechina gallato. Sebbene questi tè contengano anche caffeina, lo studio ha mostrato che la caffeina aveva un effetto insignificante sull’attività dell’insulina. Aggiungere del limone al tè non aveva effetto sull’attività dell’insulina promossa dal tè. Ma aggiungere 5 g di latte al 2% abbassava l’effetto digeriscono i grassi, inducendo un abbassamento dell’assorbimento del grasso. Poiché questo nuovo studio non prevedeva alcun consumo di carboidrati, la conclusione logica è che i polifenoli del tè hanno un effetto diretto sull’insulina stessa. Si solleva una domanda: se il tè influenza il rilascio di insulina, e l’insulina, come è noto, promuove la lipogenesi o sintesi di grasso corporeo, ingerire tè insieme a carboidrati non potrebbe condurre ad incremento dei livelli di grasso corporeo? Non è questo il caso, semplicemente perché il tè potenzia l’attività dell’insulina. Quindi fa sì che l’insulina lavori meglio, cosicché è necessario secernere meno insulina in risposta ’s pian ad un pasto. Meno Olym oto ©F insulina significa meno formazione di grasso cor- poreo. Notate inoltre che, semmai, il tè sembra interferire in grado minore con l’assimilazione sia di carboidrati, sia di grassi, il che sarebbe un effetto positivo. MENO INSULINA SIGNIFICA MENO FORMAZIONE DI GRASSO CORPOREO. IL TÈ POTENZIA L’ATTIVITÀ DELL’INSULINA di potenziamento dell’insulina del 33%, mentre aggiungerne 50 g causava un abbassamento del 90% in questa attività. Anche aggiungere sostituti del latte o persino latte di soia abbassava similmente l’effetto indotto dal tè sull’insulina. Il latte ha questo effetto perché precipita il contenuto di polifenoli attivi nel tè. Riguardo a come il tè sviluppi questo effetto sull’insulina, studi precedenti indicano che il tè inibisce un enzima della digestione dell’amido chiamato amilasi e può perciò inibire il completo assorbimento dei carboidrati. Altri studi indicano che il tè ha effetti simili sulle lipasi, enzimi che La domanda senza risposta è: quali quantità di tè dovrebbe ingerire una persona per ottenere questi effetti benefici? Questo rimane da determinare con ricerche future. Ma come metro di misura attuale, gli effetti protettivi sulla salute del tè sembrano presentarsi col consumo di circa un minimo di 4-5 tazze al giorno. Questo livello di polifenoli attivi del tè si può ottenere anche ingerendo circa 2 capsule di comuni integratori alimentari di tè verde. 3 Anderson RA, el al. Tea enhances insulin activity.J Agric Food Chemistry 2002;50:71827186. Continua a pag. 32 30 Olympian’s News imp.nutrition 75-1 14-12-2005 11:46 Pagina 32 Acne: un collegamento col cibo? ste due tribù registrava alcuna incidenza dell’acne su alcun gruppo di età – adolescenti compresi. Secondo gli autori dello studio, la totale assenza di acne in queste popolazioni è il risultato della loro alimentazione in stile paleolitico, sebbene anche la genetica possa avere qualche ruolo. D’altro lato, popolazioni con backgrounds genetici simili a queste tribù, ma che hanno adottato abitudini alimentari più occidentalizzate presentano maggior incidenza dell’acne. L’alimentazione seguita da queste popolazioni consiste principalmente di carboidrati a basso indice glicemico, il che promuove una produzione minima di insulina. Gli autori dello studio ritengono che sia il controllo dell’insulina, associato con i semplici regimi alimentari di queste tribù, a spiegare la completa assenza di acne verificata nelle popolazioni oggetto di studio. La teoria è che consumare carboidrati a basso indice glicemico non solo limita il rilascio di insulina, ma limita anche il fattore di crescita insulino simile 1 (IGF-1) che collabora con gli androgeni nel promuovere il rilascio di sebo in eccesso e la conseguente formazione di acne. L’insulina incrementa i livelli ematici di IGF-1 attivo o libero perché abbassa la produzione della principale proteina legante l’IGF-1 nel sangue (IGFBP-3). La combinazione di livelli più elevati di insulina e IGF-1 previene la sintesi epatica della globulina legante gli ormoni sessuali (SHBG), che lega androgeni nel sangue. Ciò si traduce in un innalzamento dei livelli ematici di androgeni, come il testosterone, che, quando è convertito in diidrotestosterone (DHT) per mezzo dell’azione dell’enzima 5-alfa reduttasi, conduce all’insorgere dell’acne. Per questo, la connessione alimentare che riguarda l’attacco di acne contempla un aumento del flusso di ormoni promosso da un alto consumo di carboidrati trattati o ad alto indice glicemico. L’insulina è il primo attivatore di questa cascata ormonale che risulta in quell’incremento della produzione di sebo nei follicoli della cute che favorisce l’acne. La teoria è plausibile, ed è una ragione in più per cui il regime alimentare paleolitico o dell’età della pietra, che prevede carboidrati a basso indice glicemico, moderata quantità di proteine, e consumo di grassi buoni, come i grassi omega-3, può essere la dieta migliore per la salute generale e il fitness per la maggior parte delle persone. © Nova Development ■ In passato, si consigliava a coloro che erano predisposti all’acne, in particolare i teenagers, di evitare certi alimenti, come i cibi oleosi ricchi di grassi e la cioccolata, perché si riteneva che questi cibi promuovessero l’insorgere di lesioni da acne sulla pelle. Ricerche successive, comunque, hanno provato che queste proscrizioni alimentari non erano, dopo tutto, necessarie. La causa dell’acne coinvolge una combinazione di aumento di attività batterica sulla pelle accoppiato con incremento di secrezione di sebo, una secrezione grassa emanata dalle ghiandole sebacee della cute. Un eccesso di sebo blocca le ghiandole sebacee e i batteri che si cibano del sebo in eccesso producono sostanze che portano ad un’infiammazione della pelle che risulta in acne. Cos’è che provoca l’incremento di secrezione di sebo nella pelle? Gli androgeni, come il diidrotestosterone, un sottoprodotto del metabolismo del testosterone. Nei teenagers, la causa più comune è un incremento nella secrezione del DHEA, un androgeno adrenergico che ha il suo picco durante l’adolescenza. Anche la genetica ha un ruolo nel determinare chi sviluppa l’acne. E se l’acne è generalmente considerata una affezione adolescenziale, anche il 54% delle donne e il 40% degli uomini sopra i 25 anni presentano acne. L’acne è anche un frequente effetto collaterale degli steroidi anabolizzanti, che sono versioni sintetiche di testosterone, un androgeno. Se la maggior parte dei dermatologi praticanti minimizza gli effetti dell’alimentazione sull’insorgere dell’acne, un interessante nuovo studio postula ancora una volta che l’acne è in effetti legata a fattori alimentari perché questi fattori promuovono il rilascio di ormoni che notoriamente promuovono l’acne. Lo studio4 , che era redatto da diversi difensori di un popolare schema nutrizionale noto come “dieta paleolitica”, ha esaminato due popolazioni relativamente primitive per determinare il prevalere dell’acne all’interno di queste popolazioni. Le due popolazioni studiate erano gli isolani Kitavan della Nuova Guinea e i cacciatori-raccoglitori Ache del Paraguay. Ciò che queste popolazioni hanno in comune è che si basano sul consumo di cibi non trattati in modo simile a quanto facevano gli uomini dell’età della pietra o del Paleolitico. Queste popolazioni non mostrano alcun segno delle comuni patologie degenerative che affliggono le popolazioni più moderne, come le patologie cardiovascolari, il cancro e il diabete. Sono anche più attivi fisicamente e non sono quasi mai grassi. Per ciò, non presentano alcun segno di resistenza all’insulina. Quello che hanno scoperto i ricercatori è stato che nessuna di que- Nei teenagers è la causa più comune di un incremento nella secrezione del DHEA, in chi usa steroidi anabolizzanti è un effetto collaterale. 4 Cordain LC, et al. Acne vulgaris: a disease of western civilization.Arch Dermatol 2002;138:1584-1590. Continua a pag. 34 32 Olympian’s News imp.nutrition 75-1 14-12-2005 11:46 Pagina 34 Il cromo promuove la perdita di peso? ■ Il cromo è un minerale traccia essenziale, che ha svariate funzioni nel corpo umano. Come avviene per altri minerali, molte di queste funzioni coinvolgono l’attivazione di vari enzimi. Il cromo partecipa in reazioni prodotte da almeno un enzima necessario per l’utilizzo delle proteine nell’organismo. Ma la proprietà più familiare del cromo è il suo effetto sull’insulina. Il cromo sembra aumentare l’efficacia dell’insulina rendendo più stretto e più efficace il legame con i recettori cellulari che interagiscono con l’insulina. L’insulina non può agire in modo efficace a meno che non formi un legame con questi recettori. Si pensa che una perdita di recettori dell’insulina svolga un ruolo sia nel diabete che nei problemi di insensibilità all’insulina. L’insulina è un ormone sintetizzato nelle cellule beta del pancreas. L’insulina agisce principalmente come un ormone di stoccaggio sia di grasso che di carboidrati. Per quanto riguarda il grasso, l’insulina è uno dei princi- pali promotori della sintesi di grasso, in quanto stimola negli adipociti gli enzimi che producono grasso. L’insulina aiuta anche l’organismo a convertire i carboidrati in aumenta l’efficacia dell’insulina. Questo effetto del cromo è un fatto accertato, non oggetto di controversie o dispute. L’aspetto controverso riguardo il cromo concerne quanto sia efficace nel collaborare con l’insulina, nonché varie questioni di sicurezza. Dato che l’insulina è coinvolta nella sintesi di grasso corporeo, il ragionamento è che consumare IL CROMO SEMBRA AUMENTARE L’EFFICACIA DELL’INSULINA RENDENDO PIÙ STRETTO E PIÙ EFFICACE IL LEGAME CON I RECETTORI CELLULARI CHE INTERAGISCONO CON L’INSULINA. glicogeno, la forma di deposito dei carboidrati nel fegato e nei muscoli. Come ormone anabolico, l’insulina promuove l’ingresso degli amminoacidi nei muscoli e può contribuire a prevenire l’eccesso di perdita muscolare (effetto anticatabolico). Il cromo entra in questo quadro in quanto integratori di cromo, aiutando l’insulina ad agire con più efficacia, induce una diminuzione nella produzione di insulina, promuovendo con ciò la perdita di grasso. Per questa ragione, il cromo è venduto separatamente ed è anche un ricorrente ingrediente in molti integratori alimentari per perdita di grasso. Cr C r Un nuovo studio5 ha preso in esame studi precedenti concernenti l’effetto del cromo sulla perdita di peso. Questo tipo di analisi di studi pubblicati in precedenza è noto con il nome di “metaanalisi”. Questa nuova analisi prendeva in considerazione solo quei precedenti studi sul cromo che rispecchiavano stringenti criteri scientifici. Studi cioè che rispondessero allo standard scientifico aureo di progettazione: studi controllati, randomizzati, in doppio cieco. In riferimento a ciò, 10 studi antecedenti incontravano questi rigidi criteri. Un’attenta analisi di questi precedenti studi ha mostrato che supplementi di cromo picolinato producevano un modesto incremento nella perdita di peso corporeo rispetto ad un placebo o a sostanze inattive. L’effetto era così modesto che gli autori dello studio ritengono che sia di “dubbia rilevanza clinica”. In parole povere, stanno dicendo che i risultati dei precedenti studi sul cromo sono troppo ambigui per trarne alcuna conclusione definitiva in relazione all’efficacia del cromo allo scopo di perdere peso. Integratori di cromo sono disponibili in varie forme, di cui le due principali sono cromo picolinato e cromo polinicotinato, ognuna delle quali ha il suo gruppo di accaniti sostenitori. I sostenitori della forma polinicotinata additano a vari studi che mostrano i possibili problemi di tossicità legati alla forma picolinata. D’altro lato, gli avvocati del polinicotinato sostengono che la forma di cromo da loro prediletta è più “naturale” e meno soggetta a pro- 34 Olympian’s News muovere alcun problema di tossicità. Un caso clinico pubblicato di recente6 , comunque, presenta una donna che, dopo aver usato cromo polinicotinato, sviluppò un’epatite tossica, un’infiammazione epatica che di solito è provocata dall’ingestione di una sostanza tossica per il fegato. Gli steroidi anabolizzanti orali possono provocare questo tipo di epatite, così come molti altri farmaci. La donna di 33 anni oggetto del caso clinico mostrava vari sintomi come nausea, stanchezza, prurito cutaneo, urina scura, e itterizia, e lasciò sviluppare questi sintomi per una settimana prima di presentarsi ad un ambulatorio. Durante i cinque mesi precedenti, la donna aveva seguito un regime di perdita di peso che prevedeva tra l’altro cromo polinicotinato e estratti di varie erbe. Gli estratti erboristici furono esclusi come possibile causa del suo problema epatico. Ma una biopsia del fegato (rimozione e successiva analisi di un piccolo pezzo di tessuto epatico) ha rivelato livelli di cromo 10 volte più alti del normale, additando all’assunzione di cromo come causa principale di questa epatite. Quello che è curioso in questo caso è che il livello di cromo che la donna aveva ingerito per cinque mesi ammontava soltanto a 200 microgrammi. L’intervallo nutrizionale di assunzione di cromo suggerito è tra i 50 e i 200 microgrammi al giorno, perciò era ben entro i valori di sicurezza per il cromo. Inoltre, l’organismo assorbe soltanto dall’1% al 25% di qualunque forma di cromo ingerita, perciò 14-12-2005 11:46 è difficile capire come una simile quantità del minerale abbia potuto accumularsi nel suo fegato fino al punto da causare un’epatite. A rendere ancora più confusa la questione c’è il fatto che innumerevoli altre persone ingeriscono la stessa quantità di cromo ogni giorno per periodi anche più lunghi di 5 mesi e nonostante tutto non presentano alcun segno o sintomo di epatite. Perciò, questa donna ha probabilmente sviluppato quella che i medici chiamano una “reazione idiosincratica”, una reazione, cioè, che è rara e limitata soltanto a certe persone. Il caso di questa donna non incrimina in alcun modo il cromo come causa di problemi epatici o, se è per questo, di qualunque altro problema. Gli autori che hanno relazionato su questo caso di tossicità coinvolgente il cromo polinicotinato sembravano non essere consapevoli del fatto che almeno una delle erbe che la donna assumeva in unione con il cromo ha in effetti, secondo studi condotti su animali, il potenziale per provocare effetti tossici nel fegato. Quanto all’accumularsi del cromo nel fegato della donna, anche questo è un fatto normale. Di nuovo, studi su animali cui venivano somministrati vari tipi di integratori di cromo indicano che gli accumuli del minerale nel fegato si innalzano fino a livelli 10 volte sopra al normale dopo 6 settimane di assunzione continuata di integratori. Uno studio su soggetti umani che consumavano integratori di cromo ha similmente indicato che, dopo 3 mesi di consumo, i depositi di cromo nel fegato aumentavano considerevolmente senza però causare alcun problema evidente. Un modo per appurare ogni effetto del cromo sul fegato è vedere se i depositi epatici di cromo si abbassino rapidamente o meno dopo l’interruzione dell’assunzione di integratori, ma questo non è stato riportato in questo studio di tossicità. Quello che tutto ciò rivela è la probabilità che il cromo sia stato ingiustamente incriminato come la causa dei problemi epatici in questo caso clinico. Cr r C 5 Pittier MH, et al. Chromium picolinate for reducing bodyweight:meta-analysis of randomized trials.Int J Obesity 2003;27:522-29. 6 Lanca S, et al. Chromium-induced toxic hepatitis.Eur J Internal Med 2002;13:518-520. Pagina 35 Un trucco per i bodybuilders più anziani che cercano di guadagnare muscoli Bob Donnely Foto di Michael Neveux imp.nutrition 75-1 ■ Una frequente lamentela dei bodybuilders più maturi, oltre i 35 anni, è che sembra più difficile mettere su muscoli andando avanti con l’età. Si sono portati vari meccanismi fisiologici a spiegazione di questo rallentamento legato all’età nella crescita muscolare. Queste spiegazioni hanno additato a cambiamenti nei livelli di ormoni anabolici e ad un indebolimento nella comunicazione tra muscoli e sistema nervoso centrale. Un fattore sottovalutato che probabilmente gioca un ruolo centrale in questo scenario è il controllo del cortisolo. Il cortisolo è un ormone sintetizzato nella ghiandola della corteccia adrenale. Spesso chiamato un “ormone da stress” perché è rapidamente rilasciato nel sangue durante qualunque tipo di situazione di stress acuto, il cortisolo è essenziale per la vita. Il cortisolo, comunque, ha anche un lato negativo in riferimento sia alla salute che al bodybuilding. È l’ormone più catabolico nel corpo ed è il più potente stimolo ormonale per il crollo muscolare. Infatti, uno dei principali meccanismi per mezzo dei quali gli steroidi anabolizzanti costruiscono muscoli è attraverso le proprietà di questi farmaci di opporsi all’attività del cortisolo nei muscoli. Alcuni studi indicano che, negli uomini più giovani, il corpo si adatta all’esercizio fisico affievolendo il rilascio di cortisolo se sperimenta un allenamento continuato. Questa è una delle ragioni per cui coloro che sono agli inizi devono iniziare l’allenamento con programmi conservativi, dato che non hanno ancora ottenuto l’aggiustamento del cortisolo nel loro corpo. Poiché il corpo è in una lotta continua tra reazioni cataboliche e anaboliche, qualunque cosa favorisca il controllo del rilascio di cortisolo in eccesso duran- te l’attività fisica dovrebbe far pendere il bilancio metabolico a favore degli ormoni anabolici, come il testosterone e l’ormone della crescita, favorendo così la crescita muscolare. Viene fuori che, con l’età, la proprietà dell’esercizio fisico di aggiustare il cortisolo va affievolendosi. Per ciò, gli uomini più avanti con l’età producono livelli di cortisolo più elevati quando si allenano e ciò spiega perché è più difficile per loro ottenere guadagni muscolari in confronto ai loro compagni più giovani. Un recente studio7, comunque, fornisce una soluzione a questo evidente problema cortisolo/età. Lo studio coinvolgeva 5 uomini dell’età media di 62 anni che si allenavano seguendo un protocollo di 9 esercizi in due differenti occasioni. Durante una sessione, gli uomini bevevano un placebo o una bevanda inattiva, durante l’altra un drink contenente carboidrati. I risultati indicavano che, quando consumavano la bevanda effettivamente ricca di carboidrati, i soggetti registravano livelli più alti di glucosio ematico, ma, più importante ancora, i loro livelli di rilascio di cortisolo durante l’esercizio fisico si abbassavano significativamente. Un problema nell’uso di bevande di carboidrati durante l’allenamento è che abbassano completamente il rilascio di grasso. E’ dubbio, comunque, che ciò costituisca un problema nell’allenamento con i pesi, perché il tipico allenamento di bodybuilding è anaerobico, facendo affidamento, come principali fonti di energia, sul glicogeno accumulato nei muscoli e sul glucosio ematico piuttosto che sul grasso accumulato. Considerando che abbassare il cortisolo può rimuovere i freni alla crescita muscolare negli uomini più anziani, potrebbe essere più prudente per questo gruppo di età bere un po’ di carboidrati durante l’allenamento. Simili bevande non devono comunque mai contenere più del 7% di carboidrati, poiché quantità più elevate di queste possono condurre a inibizione dell’assunzione del fluido e possibile nausea durante l’allenamento – il che ironicamente può indurre un innalzamento del cortisolo. 7 Tarpenning KM, et al. Carbohydrate-induced blunting of cortisol response to weightlifting exercise in resistence-trained older men.Eur J Sports Sci 2003;3. Olympian’s News 35 imp.nutrition 75-1 14-12-2005 11:46 Pagina 36 ■ Il modo di dire per cui le vecchie leggende sono dure a morire non è mai stato più vero che nel bodybuilding. I bodybuilders continuano a seguire ciecamente consigli apocrifi su training, nutrizione, integratori alimentari e persino farmaci. La maggior parte degli atleti non si preoccupa mai di verificare l’autenticità delle opinioni di asseriti esperti, limitandosi a seguire indicazioni spesso sbagliate con un fervore simile a quello di un gruppo di pinguini che saltano nell’oblio del mare. Esempi di queste affermazioni ampiamente seguite, eppure sbagliate, sono: non si possono assorbire più di 30 grammmi di proteine a pasto; ogni tipo di grasso alimentare promuove il grasso corporeo; non dovete mai mangiare carboidrati dopo le 6 del pomeriggio, perché ogni caloria ingerita di notte “vi rimane addosso”; frutta e verdura sono tutte ingrassanti e vanno escluse da una dieta per bodybuilding; e innumerevoli altri miti. Una leggenda a lungo sostenuta ed alla quale aderiscono regolarmente molti bodybuilders durante la preparazione a competizioni è quella secondo la quale la carne rossa dovrebbe essere eliminata dalla dieta a favore della carne bianca, come petto di pollo senza pelle, tacchino, e pesce con pochi grassi, come tonno o orange roughy (N.d.T. pesce “ruvido aracione” commestibile del Pacifico del Sud). Il ragionamento che sta dietro all’ammonimento a evitare ogni forma di assunzione di carne rossa durante una dieta per perdita di grasso è legato ai maggiori contenuti di grasso della carne rossa rispetto a pollo, pesce o tacchino. In certa misura, ciò è vero: alcuni tipi di carne rossa contengono effettivamente livelli più elevati di grassi e, poiché il grasso è la fonte di calorie più densa, a 9 per grammo (rispetto alle 4 per grammo di proteine e carboidrati), il maggior contenuto calorico della carne rossa ne impone l’esclusione da una dieta a calorie controllate. Ciò è vero a dispetto del contenuto nullo di carboidrati di tutti i prodotti naturali di carne rossa. Ma nessuna di queste cautele nutrizionali si applica alle fonti a basso contenuto di grasso o fonti magre di carne rossa. Infatti, se confrontate lato a lato le valutazioni caloriche di una fonte magra di carne rossa rispetto a quelle di simili porzioni di pollo, troverete che le differenze caloriche sono insignificanti. Ma come influisce il mangiare carne durante una dieta sulla perdita di peso in condizioni di vita reale? Questo era l’obbiettivo di alcuni studi recenti. Il primo studio8 coinvolgeva 61 donne obese, di età compresa tra i 21 e i 59 anni, che seguivano 36 Olympian’s News diete ipocaloriche che prevedevano o carne magra di manzo o pollo per 12 settimane. Insieme alla dieta ipocalorica, le donne prendevano anche parte ad attività fisica consistente in camminate. Entrambe le diete, quella basata sul manzo e quella basata sul pollo, erano progettate per indurre un deficit calorico giornaliero di 500 calorie, che avrebbe portato ad una perdita di grasso corporeo di 450 grammi la settimana. Poiché una critica frequentemente mossa contro il consumo di carni rosse è che influirebbe negativamente sui livelli di lipidi o grassi ematici, anche questo aspetto era monitorato nei soggetti dello studio. Un elemento importante di questo studio era il tipo di carni consumate dai soggetti di studio. Tutta la carne rossa era la più magra reperibile, come lombo di manzo, cima di girello e macinato di manzo magro al 94%. Le donne nel gruppo con pollo consumavano pollo senza pelle (un elemento ricorrente nel bodybuilding); e macinato di pollo fatto con pollo senza pelle. Nei giorni in cui il contenuto di grasso differiva tra i due gruppi, il gruppo con pollo consumava olio vegetale in aggiunta per approssimare lo stesso livello di grasso consumato dal gruppo con manzo. I risultati dopo 12 settimane hanno mostrato che entrambi i gruppi perdevano quantità simili di grasso corporeo e registravano anche miglioramenti simili nei livelli di lipidi ematici. I mutamenti benefici nei livelli di lipidi ematici nel gruppo con manzo possono essere scaturiti da un tipo di acido grasso riscontrato nel manzo, chiamato acido oleico, e anche dall’acido linoleico coniugato (CLA), che è naturalmente presente nel manzo, soprattutto nel manzo alimentato ad erba. Un altro recente studio ha confermato che diete basate su manzo, pollame, e pesce producevano tutte simili cambiamenti benefici nei livelli di lipidi ematici9. In questo studio, comunque, consumare pesce produceva il più consistente innalzamento di lipoproteine ad alta densità (HDL), trasportatori ematici di colesterolo basati su proteine, che forniscono effetti protettivi contro l’insorgere di affezioni cardiovascolari. Questo effetto del pesce può essere legato al maggior contenuto di acidi grassi omega-3 presente nel pesce, o alla differente struttura delle proteine del pesce rispetto ad altre fonti di proteine. In uno studio condotto su uomini sottoposti Foto di Michael Neveux Carne rossa: un tabù inviolabile nell’alimentazione per perdere peso? a diete dal ridotto apporto calorico,10 la sorprendente scoperta fu che consumare 600 calorie al giorno non era per niente più efficace per la perdita di peso a lungo termine rispetto al consumare 1.500 calorie al giorno. La ragione di ciò è che è semplicemente più facile seguire una dieta che prevede un maggior numero di calorie, e che potete comunque perdere considerevoli livelli di grasso corporeo se il contenuto calorico totale della dieta è minore del vostro dispendio quotidiano di energia. Questo studio ha anche sottolineato che consumare carne rossa in qualunque tipo di dieta non ostacola in alcun modo i tentativi di perdere grasso, a dispetto del fatto che gli uomini in questo studio consumavano carne rossa 5 volte la settimana durante la dieta. Oltre ad essere la più ricca fonte naturale di creatina, la carne rossa è anche una buona fonte di altri nutrienti vitali, compresi ferro, zinco e vitamina B12. Il manzo contiene proteine di eccellente qualità e, come notato in precedenza, i tagli magri di manzo sono relativamente bassi in contenuto di grassi saturi. Al contrario, il manzo contiene un alta proporzione di un acido grasso chiamato acido stearico, che non ha effetti sui lipidi ematici o i livelli di colesterolo nel corpo. Il manzo contiene livelli elevati di acido linoleico coniugato, che può avere effetti benefici sulla perdita di grasso, insieme con l’arginina, un amminoacido che è un diretto precursore dell’ossido nitrico, un potente vasodilatatore che abbassa la pressione sanguigna ed è coinvolto nel rilascio di ormoni anabolici, per esempio ormone della crescita. Coloro che continuano a condannare il consumo di carne rossa durante una dieta sono solo, per coniare un’espressione, teste di bufalo. 8 Melanson K, et al. Weight-loss and total lipid profile changes in overweight women consuming beef or chicken as the primary protein source.Nutrition 2003;19:409-14. 9 Beauchesene-Rondeau E, et al. Plasma lipids and lipoproteins in hypercholesterolemic men fed a lipid-lowering diet containing lean beef,lean fish, or poultry. Am J Clin Nutr 2003;77:587-93. 10 Leslie WS, et al. Weight management: a comparison of existing dietary approaches in a work-site setting.Int J Obesity 2002;26:1469-75.