Nutrition Science di Jerry Brainum

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Nutrition Science di Jerry Brainum
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di Jerry Brainum
Nuovi studi sottolineano
la superiorità della dieta iperproteica
■ Continuano ad accumularsi prove che testimoniano come un incremento nell’assunzione
proteica accompagnato da diminuzione dei carboidrati possa non solo indurre più consistenti
perdite di grasso durante il regime dietetico, ma
anche conservare massa magra o muscoli in
misura di gran lunga superiore rispetto alle convenzionali diete sia ipocaloriche, sia iperglucidiche, ipolipidiche. Inoltre, la maggior parte delle
preoccupazioni, a lungo sostenute, circa i supposti “pericoli” associati a più elevate assunzioni di proteine si stanno dimostrando falsi allarmi o solo semplicemente vecchi pettegolezzi.
Esempi di ricerca recente a supporto della
superiorità di diete iperproteiche rispetto a diete
iperglucidiche sono due studi che hanno confrontato gli effetti di entrambe le diete su gruppi di donne obese. Il primo studio1 ha messo a
confronto gli effetti di diete iperproteiche e diete
iperglucidiche sui livelli ematici di glucosio e di
insulina sotto regime dietetico.
Lo studio prendeva in esame 24 donne
adulte che erano tutte almeno il 15% al di sopra
del loro peso ideale. Le donne erano suddivise in
due gruppi: un gruppo iperproteico che consumava 1,6 g di proteine per kg di peso corporeo,
con il 40% del totale apporto calorico fornito da
carboidrati; e un gruppo iperglucidico, nel quale
le donne assumevano la metà delle proteine (0,8
g di proteine per kg di peso corporeo) e il 55%
delle calorie in forma di carboidrati. Entrambe le
diete prevedevano la stessa quantità di calorie
totali e di grassi (50 g al giorno). Lo studio durava 10 settimane.
Se da un lato il gruppo iperproteico aveva
perso leggermente più peso rispetto al gruppo
iperglucidico, i reali vantaggi emergevano quando i due gruppi dovevano consumare pasti di
prova alla fine dello studio. I soggetti nel gruppo
ad alto apporto di carboidrati presentavano
livelli più bassi di glucosio nel sangue uniti ad
elevata risposta dell’insulina ai pasti. Un simile
scenario prepara il terreno per aumenti del
senso di fame, in condizioni di dieta, dovuti a
livelli più bassi di glucosio ematico, il che favorisce non solo una mancanza di consistente adeguamento al regime dietetico, ma anche alti
bagordi calorici che vanificano l’intero proposito
dello stare a dieta.
Gli autori dello studio spiegano che un’elevata assunzione di proteine probabilmente promuove una maggior stabilità nel livello di glucosio ematico attraverso l’azione di incrementati
apporti di amminoacidi a partire dalle proteine.
Il maggior apporto di amminoacidi associato
all’aumento di consumo proteico produce precursori del glucosio usati dall’organismo per
mantenere stabili i livelli ematici di glucosio evitando al contempo produzioni di insulina in
eccesso, come avviene invece con aumenti nell’apporto di carboidrati. All’abbassarsi dei livelli
ematici di glucosio, aumenta l’appetito, rendendo più gravoso mantenersi a dieta.
Il secondo studio2 ha messo a confronto
alte assunzioni, rispettivamente, di proteine e
di carboidrati e i loro effetti sulla composizione corporea e i lipidi ematici. Come il primo
studio, anche questo prendeva in esame sog-
LA MAGGIOR
PARTE DELLE
PREOCCUPAZIONI
RIGUARDO AD
UNA DIETA
IPERPROTEICA,
CIRCA I SUPPOSTI
“PERICOLI”
ASSOCIATI A PIÙ
ELEVATE
ASSUNZIONI DI
PROTEINE, SI
STANNO
DIMOSTRANDO
FALSI ALLARMI O
SOLO
SEMPLICEMENTE
VECCHI
PETTEGOLEZZI.
getti femmine in sovrappeso che seguivano o
una dieta iperproteica o una dieta iperglucidica per 10 settimane. Ancora una volta,
entrambe le diete prevedevano le stesse quantità di calorie totali giornaliere e di apporto di
grassi, diversificandosi solo per i contenuti di
proteine e carboidrati.
I risultati hanno mostrato che i soggetti nel
gruppo iperproteico registravano cambiamenti
nella composizione corporea che indicavano
conservazione di massa magra, o muscolo,
accoppiata con una perdita di grasso che era
maggiore di quella registrata nel gruppo iperglucidico. Entrambi i gruppi presentavano un
abbassamento medio del 10% nei livelli ematici di colesterolo, ma solo il gruppo ad alto apporto di proteine presentava un abbassamento del
21% nei livelli ematici di trigliceridi (grassi) ed
un più elevato rapporto di lipoproteine ad alta
densità, HDL, su trigliceridi, uno schema che
favorisce la salute cardiovascolare. Le donne nel
gruppo iperglucidico mostravano anche risposte
più elevate di insulina ai pasti, con tendenza ad
abbassamento di glucosio nel sangue (ipoglicemia) dopo i pasti. I soggetti nel gruppo ad alto
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apporto proteico riportavano maggior sazietà
dopo i pasti, dovuta probabilmente ad una
migliore risposta dell’insulina ai pasti.
Per quanto riguarda il motivo per cui un
più elevato apporto proteico produceva un
miglior risultato nella composizione corporea
nei soggetti di studio, i ricercatori che hanno
condotto lo studio fanno notare che una maggiore assunzione di proteine mantiene i livelli di ormoni tiroidei, riducendo al contempo le
risposte dell’insulina ai pasti. Questo schema ormonale favorirebbe maggiori perdite di
grasso corporeo. Un aumentato apporto proteico smorza o previene anche la perdita di
massa magra o muscoli che altrimenti
accompagnerebbe un ridotto apporto calorico
che non enfatizzasse un maggior apporto
proteico. Gli amminoacidi a catena ramificata, isoleucina, leucina, e valina, sono particolarmente potenti in questo effetto anticatabolico, così come lo sono altri amminoacidi,
inclusa la glutammina.
Un altro dato interessante di questo studio è l’assenza di effetti cardiovascolari nocivi
a seguito di una maggior assunzione di proteine. Semmai, i mutamenti che si verificano conferiscono protezione cardiovascolare. Questo è
importante, alla luce dei frequenti ammonimenti circa i “pericoli” cardiovascolari legati a
diete iperproteiche.
Lo stesso vale per il vecchio spauracchio
del legame tra apporti proteici aumentati e
patologie dei reni. La teoria dietro ciò è che i
prodotti di scarto del metabolismo delle proteine, come l’urea, impongono un aumento di
stress sulla funzione renale, traducendosi
eventualmente in perdita della funzione renale.
Questi concetti sono originariamente derivati
dall’osservazione di pazienti con pre-esistenti
patologie o insufficienze renali, e difficilmente
risultano applicabili ad una popolazione sana.
Ma, in questo studio, i soggetti presentavano un rapido adattamento al maggior
apporto proteico, senza differenza nei valori
di urea tra il gruppo iperproteico e quello
iperglucidico. Ciò suggerisce che il corpo può
facilmente, e senza danni, regolare la funzione renale per affrontare supplementi di azoto
o prodotti di scarto del metabolismo delle
proteine. Sebbene non discusso in questo
studio, il modo migliore per proteggere i
vostri reni durante un regime di alto apporto
proteico è semplicemente assicurare un adeguato apporto d’acqua, che aiuta a far
defluire via efficacemente questi prodotti di
scarto d’azoto.
1
Layman DK, et al. Increased dietary protein
modifies glucose and insulin homeostasis in
adult women during weight loss.J Nutr
2003;133:405-410.
2
Layman DK, et al. A reduced ratio of dietary
carbohydrate to protein improves body composition and blood lipid profiles during weight loss
in women.J Nutr 2003;133:411-417.
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Il tè & l’insulina
■ Consumare tè, in particolare tè verde, procura
diversi benefici per la salute. Tra questi benefici ci
sono effetti protettivi contro svariati tipi di cancro,
protezione contro affezioni cardiovascolari, e
aumento della risposta del sistema immunitario.
Bere tè può persino prevenire carie o cavità dentarie inibendo i comuni batteri orali che notoriamente svolgono un ruolo centrale nella formazione di
queste cavità dentarie. Studi recenti indicano
anche che il tè verde esercita un effetto termogeno benefico per la perdita di grasso che è indipendente da ogni effetto della caffeina. Questa è la
ragione per cui il tè verde compare adesso in molti
integratori non-ephedra per la perdita di grasso.
Un nuovo studio3 mostra che tè di vari tipi –
con l’eccezione dei tè alle erbe – sembrano incrementare potentemente l’attività dell’insulina. Lo
studio utilizzava un modello in vitro, cioè cellule
isolate, nello specifico cellule adipose, che, come è
noto, rispondono a prodotti che migliorano l’attività dell’insulina. Con questo metodo si è trovato
che esporre queste cellule isolate a vari tipi di tè,
compresi tè verde, nero e oolong, conduceva ad un
incremento di 15 volte nell’attività dell’insulina.
I principi attivi in questi tè responsabili dell’effetto di potenziamento dell’insulina sono vari
composti noti collettivamente con il nome di
polifenoli. Dei naturali polifenoli riscontrati nel tè, il più potente a questo proposito è l’epigallocatechina gallato. Sebbene
questi tè contengano anche caffeina, lo studio
ha mostrato che la caffeina aveva un effetto insignificante sull’attività dell’insulina.
Aggiungere del limone al tè non aveva effetto
sull’attività dell’insulina promossa dal tè. Ma
aggiungere 5 g di latte al 2% abbassava l’effetto
digeriscono i grassi, inducendo un abbassamento
dell’assorbimento del grasso. Poiché questo nuovo
studio non prevedeva alcun consumo di carboidrati, la conclusione logica è che i polifenoli del tè
hanno un effetto diretto sull’insulina stessa.
Si solleva una domanda: se il tè influenza il
rilascio di insulina, e l’insulina, come è noto, promuove la lipogenesi o sintesi di grasso corporeo,
ingerire tè insieme a carboidrati non potrebbe condurre ad incremento dei livelli di grasso corporeo?
Non è questo il caso, semplicemente perché il tè
potenzia l’attività dell’insulina. Quindi fa sì che
l’insulina lavori meglio, cosicché è necessario
secernere meno insulina in risposta
’s
pian
ad un pasto. Meno
Olym
oto
©F
insulina significa
meno formazione
di grasso cor-
poreo. Notate inoltre
che, semmai, il tè sembra
interferire in grado minore con l’assimilazione sia
di carboidrati, sia di grassi, il che sarebbe un
effetto positivo.
MENO INSULINA
SIGNIFICA
MENO FORMAZIONE
DI GRASSO
CORPOREO.
IL TÈ POTENZIA
L’ATTIVITÀ
DELL’INSULINA
di potenziamento dell’insulina del 33%, mentre
aggiungerne 50 g causava un abbassamento del
90% in questa attività. Anche aggiungere sostituti del latte o persino latte di soia abbassava similmente l’effetto indotto dal tè sull’insulina. Il latte
ha questo effetto perché precipita il contenuto di
polifenoli attivi nel tè.
Riguardo a come il tè sviluppi questo effetto
sull’insulina, studi precedenti indicano che il tè
inibisce un enzima della digestione dell’amido
chiamato amilasi e può perciò inibire il completo
assorbimento dei carboidrati. Altri studi indicano
che il tè ha effetti simili sulle lipasi, enzimi che
La domanda senza risposta è: quali quantità
di tè dovrebbe ingerire una persona per ottenere
questi effetti benefici? Questo rimane da determinare con ricerche future. Ma come metro di misura attuale, gli effetti protettivi sulla salute del tè
sembrano presentarsi col consumo di circa un
minimo di 4-5 tazze al giorno. Questo livello di
polifenoli attivi del tè si può ottenere anche ingerendo circa 2 capsule di comuni integratori alimentari di tè verde.
3
Anderson RA, el al. Tea enhances insulin activity.J Agric Food Chemistry 2002;50:71827186.
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Acne: un collegamento col cibo?
ste due tribù registrava alcuna incidenza dell’acne su alcun gruppo di
età – adolescenti compresi. Secondo
gli autori dello studio, la totale assenza di acne in queste popolazioni è il
risultato della loro alimentazione in
stile paleolitico, sebbene anche la
genetica possa avere qualche ruolo.
D’altro lato, popolazioni con backgrounds genetici simili a queste tribù,
ma che hanno adottato abitudini alimentari più occidentalizzate presentano maggior incidenza dell’acne.
L’alimentazione seguita da queste popolazioni consiste principalmente di carboidrati a basso indice
glicemico, il che promuove una produzione minima di insulina. Gli autori
dello studio ritengono che sia il controllo dell’insulina, associato con i
semplici regimi alimentari di queste
tribù, a spiegare la completa assenza
di acne verificata nelle popolazioni
oggetto di studio. La teoria è che consumare carboidrati a basso indice glicemico non solo limita il rilascio di
insulina, ma limita anche il fattore di
crescita insulino simile 1 (IGF-1) che
collabora con gli androgeni nel promuovere il rilascio di sebo in eccesso
e la conseguente formazione di acne.
L’insulina incrementa i livelli ematici
di IGF-1 attivo o libero perché abbassa la produzione della principale proteina legante l’IGF-1 nel sangue
(IGFBP-3).
La combinazione di livelli più elevati di insulina e IGF-1 previene la sintesi epatica della globulina legante gli
ormoni sessuali (SHBG), che lega
androgeni nel sangue. Ciò si traduce in
un innalzamento dei livelli ematici di androgeni, come il testosterone, che,
quando è convertito in diidrotestosterone (DHT) per mezzo dell’azione dell’enzima 5-alfa reduttasi, conduce all’insorgere dell’acne.
Per questo, la connessione alimentare che riguarda l’attacco di acne
contempla un aumento del flusso di ormoni promosso da un alto consumo di carboidrati trattati o ad alto indice glicemico. L’insulina è il primo
attivatore di questa cascata ormonale che risulta in quell’incremento
della produzione di sebo nei follicoli della cute che favorisce l’acne. La
teoria è plausibile, ed è una ragione in più per cui il regime alimentare
paleolitico o dell’età della pietra, che prevede carboidrati a basso indice
glicemico, moderata quantità di proteine, e consumo di grassi buoni,
come i grassi omega-3, può essere la dieta migliore per la salute generale e il fitness per la maggior parte delle persone.
© Nova Development
■ In passato, si consigliava a coloro
che erano predisposti all’acne, in particolare i teenagers, di evitare certi alimenti, come i cibi oleosi ricchi di grassi
e la cioccolata, perché si riteneva che
questi cibi promuovessero l’insorgere di
lesioni da acne sulla pelle. Ricerche
successive, comunque, hanno provato
che queste proscrizioni alimentari non
erano, dopo tutto, necessarie. La causa
dell’acne coinvolge una combinazione
di aumento di attività batterica sulla
pelle accoppiato con incremento di
secrezione di sebo, una secrezione grassa emanata dalle ghiandole sebacee
della cute. Un eccesso di sebo blocca le
ghiandole sebacee e i batteri che si
cibano del sebo in eccesso producono
sostanze che portano ad un’infiammazione della pelle che risulta in acne.
Cos’è che provoca l’incremento di
secrezione di sebo nella pelle? Gli
androgeni, come il diidrotestosterone,
un sottoprodotto del metabolismo del
testosterone. Nei teenagers, la causa
più comune è un incremento nella
secrezione del DHEA, un androgeno
adrenergico che ha il suo picco durante l’adolescenza. Anche la genetica ha
un ruolo nel determinare chi sviluppa
l’acne. E se l’acne è generalmente
considerata una affezione adolescenziale, anche il 54% delle donne e il
40% degli uomini sopra i 25 anni presentano acne. L’acne è anche un frequente effetto collaterale degli steroidi
anabolizzanti, che sono versioni sintetiche di testosterone, un androgeno.
Se la maggior parte dei dermatologi praticanti minimizza gli effetti
dell’alimentazione sull’insorgere dell’acne, un interessante nuovo studio postula ancora una volta che l’acne
è in effetti legata a fattori alimentari perché questi fattori promuovono il
rilascio di ormoni che notoriamente promuovono l’acne. Lo studio4 , che
era redatto da diversi difensori di un popolare schema nutrizionale noto
come “dieta paleolitica”, ha esaminato due popolazioni relativamente
primitive per determinare il prevalere dell’acne all’interno di queste popolazioni. Le due popolazioni studiate erano gli isolani Kitavan della Nuova
Guinea e i cacciatori-raccoglitori Ache del Paraguay. Ciò che queste popolazioni hanno in comune è che si basano sul consumo di cibi non trattati
in modo simile a quanto facevano gli uomini dell’età della pietra o del
Paleolitico. Queste popolazioni non mostrano alcun segno delle comuni
patologie degenerative che affliggono le popolazioni più moderne, come le
patologie cardiovascolari, il cancro e il diabete. Sono anche più attivi fisicamente e non sono quasi mai grassi. Per ciò, non presentano alcun
segno di resistenza all’insulina.
Quello che hanno scoperto i ricercatori è stato che nessuna di que-
Nei teenagers è la
causa più comune
di un incremento
nella secrezione
del DHEA, in chi
usa steroidi
anabolizzanti è un
effetto collaterale.
4
Cordain LC, et al. Acne vulgaris: a disease of western civilization.Arch
Dermatol 2002;138:1584-1590.
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Il cromo promuove la perdita di peso?
■ Il cromo è un minerale traccia
essenziale, che ha svariate funzioni nel corpo umano. Come
avviene per altri minerali, molte
di queste funzioni coinvolgono
l’attivazione di vari enzimi.
Il cromo partecipa in reazioni prodotte da almeno
un enzima necessario per
l’utilizzo delle proteine nell’organismo. Ma la proprietà più familiare del cromo è
il suo effetto sull’insulina. Il
cromo sembra aumentare
l’efficacia dell’insulina rendendo più stretto e più efficace il legame con i recettori
cellulari che interagiscono
con l’insulina. L’insulina non
può agire in modo efficace a
meno che non formi un legame con questi recettori. Si
pensa che una perdita di recettori dell’insulina svolga un ruolo sia nel
diabete che nei problemi di insensibilità
all’insulina.
L’insulina è un ormone sintetizzato nelle
cellule beta del pancreas. L’insulina agisce
principalmente come un ormone di stoccaggio
sia di grasso che di carboidrati. Per quanto
riguarda il grasso, l’insulina è uno dei princi-
pali promotori della sintesi di grasso, in quanto
stimola negli adipociti
gli enzimi che producono grasso. L’insulina
aiuta anche l’organismo a convertire i carboidrati in
aumenta l’efficacia dell’insulina. Questo
effetto del cromo è un fatto accertato, non
oggetto di controversie o dispute. L’aspetto
controverso riguardo il cromo concerne quanto
sia efficace nel collaborare con l’insulina,
nonché varie questioni di sicurezza. Dato che
l’insulina è coinvolta nella sintesi di grasso
corporeo, il ragionamento è che consumare
IL CROMO SEMBRA
AUMENTARE L’EFFICACIA
DELL’INSULINA RENDENDO
PIÙ STRETTO E PIÙ EFFICACE
IL LEGAME CON I
RECETTORI CELLULARI CHE
INTERAGISCONO CON
L’INSULINA.
glicogeno, la forma di deposito dei carboidrati
nel fegato e nei muscoli. Come ormone anabolico, l’insulina promuove l’ingresso degli
amminoacidi nei muscoli e può contribuire a
prevenire l’eccesso di perdita muscolare
(effetto anticatabolico).
Il cromo entra in questo quadro in quanto
integratori di cromo, aiutando l’insulina ad
agire con più efficacia, induce una diminuzione nella produzione di insulina, promuovendo
con ciò la perdita di grasso. Per questa ragione, il cromo è venduto separatamente ed è
anche un ricorrente ingrediente in molti integratori alimentari per perdita di grasso.
Cr C
r
Un nuovo studio5 ha preso in esame studi precedenti concernenti l’effetto del cromo sulla perdita di peso. Questo tipo di analisi di studi pubblicati in precedenza è noto con il nome di “metaanalisi”. Questa nuova analisi prendeva in considerazione solo quei
precedenti studi sul cromo che rispecchiavano stringenti criteri
scientifici. Studi cioè che rispondessero allo standard scientifico
aureo di progettazione: studi controllati, randomizzati, in doppio
cieco. In riferimento a ciò, 10 studi antecedenti incontravano questi rigidi criteri.
Un’attenta analisi di questi precedenti studi ha mostrato che
supplementi di cromo picolinato producevano un modesto incremento nella perdita di peso corporeo rispetto ad un placebo o a
sostanze inattive. L’effetto era così modesto che gli autori dello
studio ritengono che sia di “dubbia rilevanza clinica”. In parole
povere, stanno dicendo che i risultati dei precedenti studi sul cromo
sono troppo ambigui per trarne alcuna conclusione definitiva in
relazione all’efficacia del cromo allo scopo di perdere peso.
Integratori di cromo sono disponibili in varie forme, di cui le
due principali sono cromo picolinato e cromo polinicotinato, ognuna delle quali ha il suo gruppo di accaniti sostenitori. I sostenitori
della forma polinicotinata additano a vari studi che mostrano i
possibili problemi di tossicità legati alla forma picolinata. D’altro
lato, gli avvocati del polinicotinato sostengono che la forma di
cromo da loro prediletta è più “naturale” e meno soggetta a pro-
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muovere alcun problema di tossicità.
Un caso clinico pubblicato di recente6 , comunque, presenta
una donna che, dopo aver usato cromo polinicotinato, sviluppò
un’epatite tossica, un’infiammazione epatica che di solito è provocata dall’ingestione di una sostanza tossica per il fegato. Gli steroidi anabolizzanti orali possono provocare questo tipo di epatite,
così come molti altri farmaci. La donna di 33 anni oggetto del caso
clinico mostrava vari sintomi come nausea, stanchezza, prurito
cutaneo, urina scura, e itterizia, e lasciò sviluppare questi sintomi
per una settimana prima di presentarsi ad un ambulatorio.
Durante i cinque mesi precedenti, la donna aveva seguito un
regime di perdita di peso che prevedeva tra l’altro cromo polinicotinato e estratti di varie erbe. Gli estratti erboristici furono esclusi
come possibile causa del suo problema epatico. Ma una biopsia del
fegato (rimozione e successiva analisi di un piccolo pezzo di tessuto epatico) ha rivelato livelli di cromo 10 volte più alti del normale,
additando all’assunzione di cromo come causa principale di questa
epatite.
Quello che è curioso in questo caso è che il livello di cromo che
la donna aveva ingerito per cinque mesi ammontava soltanto a 200
microgrammi. L’intervallo nutrizionale di assunzione di cromo suggerito è tra i 50 e i 200 microgrammi al giorno, perciò era ben entro
i valori di sicurezza per il cromo. Inoltre, l’organismo assorbe soltanto dall’1% al 25% di qualunque forma di cromo ingerita, perciò
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è difficile capire come una simile quantità del minerale abbia potuto accumularsi nel suo fegato fino al punto da
causare un’epatite.
A rendere ancora più confusa la
questione c’è il fatto che innumerevoli
altre persone ingeriscono la stessa
quantità di cromo ogni giorno per
periodi anche più lunghi di 5 mesi e
nonostante tutto non presentano alcun
segno o sintomo di epatite. Perciò, questa donna ha probabilmente sviluppato quella che i medici chiamano una
“reazione idiosincratica”, una reazione, cioè, che è rara e limitata soltanto
a certe persone. Il caso di questa
donna non incrimina in alcun modo il
cromo come causa di problemi epatici
o, se è per questo, di qualunque altro
problema.
Gli autori che hanno relazionato su
questo caso di tossicità coinvolgente il
cromo polinicotinato sembravano non
essere consapevoli del fatto che almeno una delle erbe che la donna assumeva in unione con il cromo ha in effetti, secondo studi condotti su animali, il
potenziale per provocare effetti tossici
nel fegato.
Quanto all’accumularsi del cromo
nel fegato della donna, anche questo è
un fatto normale. Di nuovo, studi su
animali cui venivano somministrati
vari tipi di integratori di cromo indicano che gli accumuli del minerale nel
fegato si innalzano fino a livelli 10
volte sopra al normale dopo 6 settimane di assunzione continuata di integratori. Uno studio su soggetti umani che
consumavano integratori di cromo ha
similmente indicato che, dopo 3 mesi di
consumo, i depositi di cromo nel fegato
aumentavano considerevolmente senza
però causare alcun problema evidente.
Un modo per appurare ogni effetto
del cromo sul fegato è vedere se i depositi epatici di cromo si abbassino rapidamente o meno dopo l’interruzione
dell’assunzione di integratori, ma questo non è stato riportato in questo studio di tossicità. Quello che tutto ciò
rivela è la probabilità che il cromo sia
stato ingiustamente incriminato come
la causa dei problemi epatici in questo
caso clinico.
Cr
r
C
5
Pittier MH, et al. Chromium picolinate
for reducing bodyweight:meta-analysis
of randomized trials.Int J Obesity
2003;27:522-29.
6
Lanca S, et al. Chromium-induced
toxic hepatitis.Eur J Internal Med
2002;13:518-520.
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Un trucco per i bodybuilders
più anziani
che cercano di guadagnare muscoli
Bob Donnely Foto di Michael Neveux
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■ Una frequente lamentela dei bodybuilders più
maturi, oltre i 35 anni, è che sembra più difficile
mettere su muscoli andando avanti con l’età. Si
sono portati vari meccanismi fisiologici a spiegazione di questo rallentamento legato all’età nella
crescita muscolare. Queste spiegazioni hanno additato a cambiamenti nei livelli di ormoni anabolici e
ad un indebolimento nella comunicazione tra
muscoli e sistema nervoso centrale. Un fattore sottovalutato che probabilmente gioca un ruolo centrale in questo scenario è il controllo del cortisolo.
Il cortisolo è un ormone sintetizzato nella
ghiandola della corteccia adrenale. Spesso chiamato un “ormone da stress” perché è rapidamente rilasciato nel sangue durante qualunque tipo di
situazione di stress acuto, il cortisolo è essenziale per la vita. Il cortisolo, comunque, ha anche un
lato negativo in riferimento sia alla salute che al
bodybuilding. È l’ormone più catabolico nel corpo
ed è il più potente stimolo ormonale per il crollo
muscolare. Infatti, uno dei principali meccanismi
per mezzo dei quali gli steroidi anabolizzanti
costruiscono muscoli è attraverso le proprietà di
questi farmaci di opporsi all’attività del cortisolo
nei muscoli.
Alcuni studi indicano che, negli uomini più
giovani, il corpo si adatta all’esercizio fisico affievolendo il rilascio di cortisolo se sperimenta un
allenamento continuato. Questa è una delle
ragioni per cui coloro che sono agli inizi devono
iniziare l’allenamento con programmi conservativi, dato che non hanno ancora ottenuto l’aggiustamento del cortisolo nel loro corpo. Poiché il
corpo è in una lotta continua tra reazioni cataboliche e anaboliche, qualunque cosa favorisca il
controllo del rilascio di cortisolo in eccesso duran-
te l’attività fisica dovrebbe far
pendere il bilancio metabolico a
favore degli ormoni anabolici,
come il testosterone e l’ormone
della crescita, favorendo così la
crescita muscolare.
Viene fuori che, con l’età,
la proprietà dell’esercizio fisico
di aggiustare il cortisolo va
affievolendosi. Per ciò, gli uomini più avanti con l’età producono livelli di cortisolo più elevati
quando si allenano e ciò spiega
perché è più difficile per loro
ottenere guadagni muscolari in
confronto ai loro compagni più
giovani. Un recente studio7,
comunque, fornisce una soluzione a questo evidente problema cortisolo/età.
Lo studio coinvolgeva 5 uomini dell’età
media di 62 anni che si allenavano seguendo un
protocollo di 9 esercizi in due differenti occasioni.
Durante una sessione, gli uomini bevevano un
placebo o una bevanda inattiva, durante l’altra
un drink contenente carboidrati. I risultati indicavano che, quando consumavano la bevanda effettivamente ricca di carboidrati, i soggetti registravano livelli più alti di glucosio ematico, ma, più
importante ancora, i loro livelli di rilascio di cortisolo durante l’esercizio fisico si abbassavano
significativamente.
Un problema nell’uso di bevande di carboidrati durante l’allenamento è che abbassano
completamente il rilascio di grasso. E’ dubbio,
comunque, che ciò costituisca un problema nell’allenamento con i pesi, perché il tipico allenamento di bodybuilding è anaerobico, facendo affidamento, come principali fonti di energia, sul glicogeno accumulato nei muscoli e sul glucosio
ematico piuttosto che sul grasso accumulato.
Considerando che abbassare il cortisolo può
rimuovere i freni alla crescita muscolare negli
uomini più anziani, potrebbe essere più prudente
per questo gruppo di età bere un po’ di carboidrati durante l’allenamento. Simili bevande non
devono comunque mai contenere più del 7% di
carboidrati, poiché quantità più elevate di queste
possono condurre a inibizione dell’assunzione del
fluido e possibile nausea durante l’allenamento –
il che ironicamente può indurre un innalzamento
del cortisolo.
7
Tarpenning KM, et al. Carbohydrate-induced blunting of cortisol response to weightlifting exercise in resistence-trained
older men.Eur J Sports Sci 2003;3.
Olympian’s News
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■ Il modo di dire per cui le vecchie leggende
sono dure a morire non è mai stato più vero che
nel bodybuilding. I bodybuilders continuano a
seguire ciecamente consigli apocrifi su training,
nutrizione, integratori alimentari e persino farmaci. La maggior parte degli atleti non si preoccupa mai di verificare l’autenticità delle opinioni
di asseriti esperti, limitandosi a seguire indicazioni spesso sbagliate con un fervore simile a
quello di un gruppo di pinguini che saltano nell’oblio del mare.
Esempi di queste affermazioni ampiamente
seguite, eppure sbagliate, sono: non si possono
assorbire più di 30 grammmi di proteine a pasto;
ogni tipo di grasso alimentare promuove il grasso corporeo; non dovete mai mangiare carboidrati dopo le 6 del pomeriggio, perché ogni caloria
ingerita di notte “vi rimane addosso”; frutta e
verdura sono tutte ingrassanti e vanno escluse
da una dieta per bodybuilding; e innumerevoli
altri miti. Una leggenda a lungo sostenuta ed
alla quale aderiscono regolarmente molti bodybuilders durante la preparazione a competizioni è
quella secondo la quale la carne rossa dovrebbe
essere eliminata dalla dieta a favore della carne
bianca, come petto di pollo senza pelle, tacchino,
e pesce con pochi grassi, come tonno o orange
roughy (N.d.T. pesce “ruvido aracione” commestibile del Pacifico del Sud).
Il ragionamento che sta dietro all’ammonimento a evitare ogni forma di assunzione di
carne rossa durante una dieta per perdita di
grasso è legato ai maggiori contenuti di grasso
della carne rossa rispetto a pollo, pesce o tacchino. In certa misura, ciò è vero: alcuni tipi di
carne rossa contengono effettivamente livelli
più elevati di grassi e, poiché il grasso è la
fonte di calorie più densa, a 9 per grammo
(rispetto alle 4 per grammo di proteine e carboidrati), il maggior contenuto calorico della
carne rossa ne impone l’esclusione da una
dieta a calorie controllate. Ciò è vero a dispetto del contenuto nullo di carboidrati di tutti i
prodotti naturali di carne rossa.
Ma nessuna di queste cautele nutrizionali si
applica alle fonti a basso contenuto di grasso o
fonti magre di carne rossa. Infatti, se confrontate lato a lato le valutazioni caloriche di una fonte
magra di carne rossa rispetto a quelle di simili
porzioni di pollo, troverete che le differenze caloriche sono insignificanti. Ma come influisce il
mangiare carne durante una dieta sulla perdita
di peso in condizioni di vita reale?
Questo era l’obbiettivo di alcuni studi recenti. Il primo studio8 coinvolgeva 61 donne obese, di
età compresa tra i 21 e i 59 anni, che seguivano
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Olympian’s News
diete ipocaloriche che
prevedevano o carne
magra di manzo o pollo
per 12 settimane. Insieme
alla dieta ipocalorica, le
donne prendevano anche
parte ad attività fisica
consistente in camminate. Entrambe le diete,
quella basata sul manzo
e quella basata sul pollo, erano progettate per
indurre un deficit calorico giornaliero di 500 calorie, che avrebbe portato ad una perdita di grasso
corporeo di 450 grammi la settimana. Poiché una
critica frequentemente mossa contro il consumo
di carni rosse è che influirebbe negativamente
sui livelli di lipidi o grassi ematici, anche questo
aspetto era monitorato nei soggetti dello studio.
Un elemento importante di questo studio era
il tipo di carni consumate dai soggetti di studio.
Tutta la carne rossa era la più magra reperibile,
come lombo di manzo, cima di girello e macinato di manzo magro al 94%. Le donne nel gruppo
con pollo consumavano pollo senza pelle (un elemento ricorrente nel bodybuilding); e macinato di
pollo fatto con pollo senza pelle. Nei giorni in cui
il contenuto di grasso differiva tra i due gruppi, il
gruppo con pollo consumava olio vegetale in
aggiunta per approssimare lo stesso livello di
grasso consumato dal gruppo con manzo.
I risultati dopo 12 settimane hanno
mostrato che entrambi i gruppi perdevano
quantità simili di grasso corporeo e registravano anche miglioramenti simili nei livelli di
lipidi ematici. I mutamenti benefici nei livelli di
lipidi ematici nel gruppo con manzo possono
essere scaturiti da un tipo di acido grasso
riscontrato nel manzo, chiamato acido oleico, e
anche dall’acido linoleico coniugato (CLA), che
è naturalmente presente nel manzo, soprattutto nel manzo alimentato ad erba.
Un altro recente studio ha confermato che
diete basate su manzo, pollame, e pesce producevano tutte simili cambiamenti benefici nei
livelli di lipidi ematici9. In questo studio,
comunque, consumare pesce produceva il più
consistente innalzamento di lipoproteine ad
alta densità (HDL), trasportatori ematici di
colesterolo basati su proteine, che forniscono
effetti protettivi contro l’insorgere di affezioni
cardiovascolari. Questo effetto del pesce può
essere legato al maggior contenuto di acidi
grassi omega-3 presente nel pesce, o alla differente struttura delle proteine del pesce
rispetto ad altre fonti di proteine.
In uno studio condotto su uomini sottoposti
Foto di Michael Neveux
Carne rossa: un tabù
inviolabile nell’alimentazione
per perdere peso?
a diete dal ridotto apporto calorico,10 la sorprendente scoperta fu che consumare 600 calorie al
giorno non era per niente più efficace per la perdita di peso a lungo termine rispetto al consumare 1.500 calorie al giorno. La ragione di ciò è
che è semplicemente più facile seguire una dieta
che prevede un maggior numero di calorie, e che
potete comunque perdere considerevoli livelli di
grasso corporeo se il contenuto calorico totale
della dieta è minore del vostro dispendio quotidiano di energia. Questo studio ha anche sottolineato che consumare carne rossa in qualunque
tipo di dieta non ostacola in alcun modo i tentativi di perdere grasso, a dispetto del fatto che gli
uomini in questo studio consumavano carne
rossa 5 volte la settimana durante la dieta. Oltre
ad essere la più ricca fonte naturale di creatina,
la carne rossa è anche una buona fonte di altri
nutrienti vitali, compresi ferro, zinco e vitamina
B12. Il manzo contiene proteine di eccellente
qualità e, come notato in precedenza, i tagli
magri di manzo sono relativamente bassi in contenuto di grassi saturi. Al contrario, il manzo contiene un alta proporzione di un acido grasso chiamato acido stearico, che non ha effetti sui lipidi
ematici o i livelli di colesterolo nel corpo. Il manzo
contiene livelli elevati di acido linoleico coniugato, che può avere effetti benefici sulla perdita di
grasso, insieme con l’arginina, un amminoacido
che è un diretto precursore dell’ossido nitrico, un
potente vasodilatatore che abbassa la pressione
sanguigna ed è coinvolto nel rilascio di ormoni
anabolici, per esempio ormone della crescita.
Coloro che continuano a condannare il
consumo di carne rossa durante una dieta
sono solo, per coniare un’espressione, teste di
bufalo.
8
Melanson K, et al. Weight-loss and total lipid profile changes in overweight women consuming beef or chicken as the
primary protein source.Nutrition 2003;19:409-14.
9
Beauchesene-Rondeau E, et al. Plasma lipids and lipoproteins in hypercholesterolemic men fed a lipid-lowering diet
containing lean beef,lean fish, or poultry. Am J Clin Nutr
2003;77:587-93.
10
Leslie WS, et al. Weight management: a comparison of existing dietary approaches in a work-site setting.Int J Obesity
2002;26:1469-75.