Altri misteri - Misteri d`Italia

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Altri misteri - Misteri d`Italia
Altri misteri
Il mostro di Firenze
L’ultimo delitto
UNA FIAT 128 ROSSA CHE NON
ESISTE
Per il duplice omicidio degli Scopeti, l’ultimo in ordine di tempo del mostro di
Firenze, tema centrale dell'indagine riguarda una FIAT 128 rossa.
Il commissario – “scrittore” Michele Giuttari punta molte delle carte della sua
inchiesta, tutta fatta a tavolino, proprio sull'avvistamento di un'auto rossa di
tipo sportivo, che dovrebbe essere una Fiat 128, da parte di diversi testimoni.
Giuttari sembra quasi ossessionato da quell’auto che nella sua inchiesta
diventa senza ombra di dubbio la Fiat 128 rossa a coda tronca appartenuta
all'epoca dei delitti a Giancarlo Lotti.
Lotti nella sua vita ha avuto molte auto. Tutti vecchi catorci acquistati poco
prima che finissero dallo sfasciacarrozze.
Durante il processo di primo grado ai “compagni di merende” emerge un
particolare: secondo il pubblico registro automobilistico, ai primi di luglio del
1985 – quindi almeno due mesi prima dell’ultimo duplice delitto del mostro –
Lotti aveva acquistato una FIAT 124 berlina di colore blu.
Il difensore di un altro imputato, Mario Vanni, l’avv. Nino Filastò, contatta i
signori Scherma, padre e figlio, che all'epoca erano i datori di lavoro di
Giancarlo Lotti. I signori Scherma possedevano all'epoca, in una valle al di
sotto del paese di San Casciano, verso Montespertoli, in località denominata il
Ponte rotto, una cava di ghiaia e sabbia. Gli Scherma possedevano, a fianco
della cava, una vecchia casa colonica abbandonata. Almeno fino al 1985,
l'edificio appariva ridotto molto male, in stato di quasi abbandono. Lotti
abitava questa casa. Questa specie di casa del Lotti non era mai stata
perquisita. Mai, neppure una volta di sfuggita. Strano, no?
I signori Scherma, padre e figlio, confermano all’avv. Filastò la circostanza
emersa dal registro automobilistico e precisano che l'auto posseduta da Lotti,
appunto una 128 rossa Fiat, già nel 1985 non era più funzionante. Lo stesso
Lotti l'aveva abbandonata davanti alla casa colonica da lui abitata, dopo
averne asportato le ruote, tanto che la macchina rossa si sosteneva su quattro
pile di mattoni.
Il signor Scherma padre ricorda anche di aver fatto un prestito, due o tre
centinaia di migliaia di lire, al Lotti perché lo stesso potesse acquistare
un'altra auto, per la precisione una berlina tutt'altro che sportiva, una FIAT
124, a quattro porte, di colore blu. E che da quel momento il Lotti aveva
sempre usato solo e soltanto quest'altra automobile, la berlina blu.
L’avv. Filastò allora produce alla Corte d'Assise di primo grado il documento
del Pubblico Registro Automobilistico (PRA). Indica i testimoni Scherma,
padre e figlio. Chiede che siano sentiti. La Corte interrompe la discussione già
in corso, e ammette le prove. Le integra con la convocazione di altri testi: il
meccanico intermediario della vendita dell'auto blu, il precedente
proprietario e venditore. Tutti confermano il nuovo acquisto di Lotti, gli
Scherma confermano di aver visto la famosa auto rossa ferma davanti a casa
di Lotti per alcuni mesi. Ma sono incerti sul mese esatto di quel 1985. Su
questo punto resta la certificazione ufficiale del nuovo acquisto, autenticata
da un notaio: 9 luglio 1985, due mesi prima il duplice delitto degli Scopeti.
La Corte allora decide di ascoltare di nuovo Giancarlo Lotti il quale, cercando
di aggiustare la sua deposizione, dichiara che, nonostante il nuovo acquisto,
egli avrebbe usato nel mese di settembre del 1985 ancora la 128 rossa, perché
l'auto acquistata nel luglio non era assicurata. Produce una quietanza, dalla
quale si dovrebbe desumere che egli aveva pagato il premio assicurativo il 20
settembre '85.
La sentenza di primo grado di condanna dei compagni di merende accetta
questa versione.
Durante la fase preliminare del dibattimento di appello sia la difesa di Vanni
che la pubblica accusa approfondiscono le indagini sull'episodio, giustamente
ritenuto essenziale per valutare l'attendibilità di Lotti, e accertano che Lotti
ha trasferito la vecchia assicurazione dalla 128 rossa alla 124 berlina blu
molto rpima del 20 settembre 1985, nel maggio 1985, ovvero quattro mesi
prima dell’ultimo assalto del mostro.
Ma c’è di più: il pubblico ministero dell'appello accerta che con quest'auto blu
il Lotti ha avuto due incidentucoli stradali, ricevendo dalla nuova
assicurazione sull'auto (quella blu, la berlina) i relativi risarcimenti, e questo
nel maggio e nel giugno del 1985.
La Corte dell'appello chiama a deporre l'assicuratore, il quale conferma di
avere trasferito il contratto di assicurazione da un'auto - quella rossa all'altra - quella blu - appunto nel maggio '85.
Ma la Corte non s'accontenta e chiama a rispondere su questo ulteriore
accertamento il Lotti che modifica un'altra volta la sua versione: egli per un
certo tempo avrebbe usato tutte e due le auto, e il giorno (e la notte) del
delitto (da lui indicato non nel 7, ma nell’8 settembre) avrebbe usato la 128
rossa.
In questo modo la sentenza di condanna dei “compagni di merende”,
confermata dall'appello e dalla Cassazione, ammette che qualcuno, potendo
disporre di un'auto funzionante e regolarmente assicurata, si rechi prima in
città per incontrarsi con una prostituta, e poi di nuovo in campagna allo
scopo di assistere ad un duplice delitto, usando un'auto non funzionante, per
di più priva di copertura assicurativa.
Senza contare che questo qualcuno ha cambiato versione per quattro volte.
Come difensore di Mario Vanni, l’avv. Filastò, però, non si arrende. Per
raccogliere nuove prove, necessarie onde ottenere la revisione del processo,
decide di avvalersi della collaborazione dello Studio investigatigativo Falco, di
Davide Cannella.
Ecco il loro rapporto più recente:
“Colloquio avvenuto in data 19/2/2004... Ci siamo recati in località
Montefiridolfi allo scopo di incontrare e parlare con il sig. Pucci Fernando,
teste ‘beta’ nel processo a carico di Mario Vanni.
Giunti in detta località, dopo una breve ricerca, gli abitanti del luogo ci
informavano che avremmo potuto incontrare il signor Pucci presso l'unico
negozio di alimentari del paese. Arrivati presso la Salumeria Pucci, dopo le
presentazioni di rito, il titolare ci riferiva di chiamarsi Valdemaro Pucci,
fratello di Pucci Fernando. Informato delle nostre qualifiche e della nostra
intenzione di parlare con suo fratello, per conto dell'avvocato Filastò, il
signor Pucci esordiva, inspiegabilmente, dicendo con ferma determinazione:
‘Quando l'avvocato Filastò vorrà parlare con mio fratello viene lui da me e
poi vediamo...’.
Alla nostra insistenza ribadiva con risolutezza: ‘Mio fratello non parla con
nessuno perché mio fratello non può decidere da sé... Uscite
immediatamente dal mio negozio!’.
Dopo un breve consulto fra di noi, decidevamo ugualmente di incontrare e
di parlare con il signor Fernando. Dopo circa mezzora di inutile attesa, lo
vedevamo arrivare a piedi e dirigersi con calma nei pressi del bar e circolo
ricreativo Jolly Caffè. Avvicinatici all'uomo, lo fermavamo presentandoci,
dicendogli chi eravamo e lo informavamo dei motivi della nostra visita. Il
signor Pucci, senza scomporsi di un millimetro, iniziava il suo racconto su
come aveva passato la giornata e la sera del giorno 8 settembre 1985. Il
racconto del signor Pucci viene da noi esteso esattamente come da lui stesso
narrato e precisamente nei punti e nei modi che seguono:
Il pomeriggio dell'8 settembre 1985, il signor Pucci Fernando e il signor
Lotti Giancarlo si erano recati presso una loro amica, certa Gabriella
Ghiribelli, nota prostituta di Firenze. La sera, verso la mezzanotte, al rientro
a casa, decidevano di passare per via degli Scopeti. Dopo essersi fermati nei
pressi della tristemente nota piazzola, lui e il signor Lotti uscivano dalla loro
auto e si avviavano a piedi in direzione della tenda dei due poveri ragazzi...
‘Ci siamo fermati per vedere un pochino’.
A precisa domanda il signor Pucci riferiva: di essersi recato con l'auto di
colore Blu di Lotti Giancarlo. Di essere certo della circostanza, perché il suo
amico aveva l'altra auto (quella rossa) completamente distrutta, senza le
ruote e lasciata da un sacco di tempo sopra a dei ceppi nei pressi di casa
sua. Di essere sicurissimo di essersi recato a Firenze con l'auto blu del Lotti,
dicendo testualmente: ‘Quella rossa NO!... Dopo otto giorni dal delitto degli
Scopeti sono venuti a casa mia a frugarmi dappertutto... e ho detto: non ho
mica la pistola, io!’.
Solo parecchi anni dopo il signor Pucci venne accompagnato in Questura
dal dottor Giuttari al quale ha raccontato le stesse cose che ha detto a noi.
‘Mi hanno fatto firmare un sacco di fogli... Io gli chiedevo a che servono...
Loro mi dicevano che servivano per ricordo... E per metterli in archivio... A
me Giuttari non mi piace e neppure quell'altro’”.
A questo punto tutti i testimoni certosinamente raccolti dal commissario –
“scrittore” Michele Giuttari che giurano di aver visto sul luogo dell’ultimo
delitto del mostro un auto rossa con la coda tronca vanno a farsi benedire.
Se all'epoca dei delitti degli Scopeti, Lotti non aveva più in uso la macchina
sportiva a coda tronca di colore rosso, vengono a cadere tutti i riscontri
cosiddetti oggettivi sulla veridicità delle sue affermazioni.
Qualcuno si è dimenticato che proprio il particolare dell'auto rossa, che altri
testimoni avrebbero visto in prossimità della nota piazzola, e proprio
attraverso la netta contestazione di Pucci all'amico, nel corso del confronto,
sull'uso della macchina sportiva a coda tronca di colore rosso, il Lotti
abbandona la primitiva negativa ed inizia la sua confessione?