ha pronunciato la presente sul ricorso in appello nr. 9065 del 2009

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ha pronunciato la presente sul ricorso in appello nr. 9065 del 2009
N. 09065/2009 REG.RIC.
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N. 04580/2011REG.PROV.COLL.
N. 09065/2009 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello nr. 9065 del 2009, proposto dal MINISTERO
DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro
tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato,
domiciliato per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,
contro
la signora Marisa DI CAVE, rappresentata e difesa dall’avv. Gregorio
Troilo, con domicilio eletto presso lo stesso in Roma, via C. Poma, 2,
per l’annullamento e/o la riforma
della sentenza del T.A.R. del Lazio, Sezione Terza, nr. 4978/2009, del 15
aprile 2009, depositata l’8 maggio 2009, notificata in data 14 luglio 2009.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata signora Marisa Di
Cave;
Viste le memorie prodotte dall’Amministrazione appellante (in data 20
giugno 2011) e dall’appellata (in data 9 giugno 2011) a sostegno delle
rispettive difese;
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Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, all’udienza pubblica del giorno 21 giugno 2011, il Consigliere
Raffaele Greco;
Uditi l’avv. Troilo per la appellata e l’avv. dello Stato Giovanni Palatiello per
l’Amministrazione;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Ministero delle Finanze ha impugnato, chiedendone la riforma, la
sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio ha accolto il ricorso proposto dalla
signora Marisa Di Cave e, per l’effetto, ha annullato gli atti con i quali era
stata respinta l’istanza dalla stessa presentata per il riconoscimento dei
benefici di cui all’art. 5 della legge 10 marzo 1955, nr. 96, in materia di
provvidenze ai perseguitati politici, antifascisti e razziali.
A sostegno del proprio appello, l’Amministrazione ha dedotto:
1) omessa pronuncia, ex art. 112 cod. proc. civ., circa il difetto di
giurisdizione del giudice amministrativo con riguardo ai benefici di cui alla
legge 22 dicembre 1980, nr. 932 (avendo l’Amministrazione eccepito tale
difetto di giurisdizione, in quanto a suo dire nella specie sussiste la
cognizione della Corte dei Conti);
2) violazione e/o falsa applicazione dell’art. 8 del r.d.l. 17 novembre 1938,
nr. 1728, e degli artt. 2 e 3 della legge nr. 932 del 1980; insufficiente e
contraddittoria motivazione sul punto; travisamento dei presupposti di
fatto e di diritto (in relazione alla mancanza di prova dell’appartenenza della
istante alla razza ebraica, nonché dell’avere la stessa subito atti persecutori e
discriminatori).
L’appellata, signora Marisa Di Cave, si è costituita per resistere al ricorso,
chiedendo la conferma della sentenza impugnata.
Entrambe le parti hanno depositato memorie oltre il termine di cui all’art.
73 cod. proc. amm., ed all’udienza di discussione del 21 giugno 2011 hanno
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reciprocamente eccepito la tardività delle memorie di parte avversa.
Alla medesima udienza, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. È appellata la sentenza con la quale il T.A.R. del Lazio, in accoglimento
del ricorso proposto dalla signora Marisa Di Cave, ha annullato il
provvedimento con cui il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva
respinto il ricorso gerarchico proposto dalla stessa sig.ra Di Cave avverso le
determinazioni negative adottate dalla Commissione per le provvidenze ai
perseguitati politici, antifascisti e razziali in ordine all’istanza intesa al
riconoscimento dei benefici di cui all’art. 5 della legge 10 marzo 1955, nr.
96.
In particolare, il giudice di prime cure non ha condiviso la conclusione
dell’Amministrazione in ordine alla mancanza di prova dell’appartenenza
della istante alla razza ebraica, ritenendo al contrario – giusta il disposto del
soppresso art. 8 del r.d.l. 17 novembre 1938, nr. 1728 – che tale
appartenenza potesse dirsi accertata alla luce della documentazione
prodotta.
2. Sul piano strettamente processuale, deve essere preliminarmente
dichiarata l’inammissibilità delle memorie presentate dalla parte appellata in
data 9 giugno 2011 e dall’Amministrazione in data 20 giugno 2011, essendo
le stesse tardive rispetto al termine di cui all’art. 73 cod. proc. amm., ed
essendosi le parti reciprocamente opposte alla loro ammissione in via
eccezionale.
3. Tanto premesso, l’appello è infondato e va conseguentemente respinto.
4. In ordine logico, va prioritariamente esaminato il primo motivo di
gravame, col quale l’Amministrazione assume il difetto di giurisdizione del
giudice amministrativo, lamentando l’omessa pronuncia su tale punto da
parte del primo giudice.
La questione può certamente essere delibata nella presente sede,
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indipendentemente dall’essere stata o meno la stessa già sollevata in primo
grado, dal momento che, nel quadro normativo vigente anteriormente
all’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, il difetto di
giurisdizione era di regola rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del
processo, mentre ai sensi dell’attuale art. 9 cod. proc. amm. esso è rilevabile
in grado di appello se dedotto con specifico motivo avverso il capo della
pronuncia impugnata che, in modo esplicito o implicito (come
evidentemente avvenuto nel caso di specie), ha statuito sulla giurisdizione.
Il motivo è comunque infondato, siccome basato su una evidente
sovrapposizione e confusione tra i diversi benefici dei quali l’odierna
appellata aveva chiesto il riconoscimento, ai sensi della normativa in materia
di provvidenze ai perseguitati politici, antifascisti e razziali.
Più specificamente, la sig.ra Di Cave aveva chiesto il riconoscimento, oltre
che dei già menzionati benefici di cui all’art. 5, l. nr. 96/1955, anche della
qualifica di perseguitata razziale ai sensi dell’art. 2 della legge 22 dicembre
1980, nr. 932, e dell’assegno vitalizio di benemerenza di cui all’art. 3 della
stessa legge: tali istanze risultano respinte con due deliberazioni della
competente Commissione (nn. 88112 e 88113 del 20 aprile 2007), delle
quali l’Amministrazione appellante evidenzia la connessione con quella qui
impugnata.
Tuttavia, se è vero che per tali ultime due deliberazioni – o, quanto meno,
per quella in materia di assegno vitalizio – potrebbe effettivamente
sussistere la giurisdizione della Corte dei Conti, va però chiarito che esse
restano estranee al presente giudizio, nel quale risulta censurata la sola
deliberazione nr. 88111 del 2007, relativa al mancato riconoscimento dei
contributi figurativi previsti dal più volte citato art. 5, l. nr. 96/1955; in tale
specifico settore, come più volte condivisibilmente affermato dalla stessa
Corte dei Conti, non può ritenersi sussistente la giurisdizione di
quest’ultima per carenza di una norma che specificamente la preveda,
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sicché le relative controversie appartengono alla cognizione del giudice
amministrativo (cfr. Corte conti, sez. III, 2 novembre 1993, nr. 120732;
Corte conti, sez. IV, 28 novembre 1991, nr. 72007; Corte conti, sez. V, 3
maggio 1989, nr. 63232).
5. Privo di pregio è anche il secondo mezzo, col quale sono censurate nel
merito le statuizioni del primo giudice in tema di sussistenza in capo alla
istante dei requisiti per il riconoscimento dei benefici de quibus.
5.1. Al riguardo, la Sezione condivide le conclusioni del T.A.R., le quali
risultano fondate su plurimi elementi probatori che l’Amministrazione non
ha contestato in fatto, limitandosi a contrapporre ad essi le risultanze di un
accertamento attuale, da cui era emerso che la sig.ra Di Cave non risultava
iscritta nei registri delle comunità israelitiche.
In particolare, tali elementi sono costituiti:
a) dalla circostanza incontestata che il padre dell’odierna appellata fosse di
razza ebraica (essendo stati peraltro taluni suoi parenti per parte paterna
perseguitati e deportati ad Auschwitz);
b) da un provvedimento della Questura di Roma del 1941 attestante la
cancellazione dell’interessata, su richiesta della madre, dalla comunità
israelitica nella quale era stata originariamente iscritta;
c) dall’atto notorio prodotto dalla ricorrente, datato 21 febbraio 2005,
attestante che nel 1943 alla stessa fu inibita la frequenza del corso abilitante
per maestri elementari, e che in epoca successiva all’8 settembre di quello
stesso anno fu costretta a nascondersi per evitare la cattura.
Ciò premesso, è del tutto meritevole di conferma l’avviso espresso dal
primo giudice, secondo cui i suindicati elementi possono essere considerati
idonei a documentare l’appartenenza dell’istante alla razza ebraica: infatti,
tale requisito va apprezzato alla stregua dell’art. 8 dell’abrogato r.d.l. nr.
1728 del 1938, il quale – nell’ambito dell’odioso sistema delle cc.dd. “leggi
razziali” – qualificava come ebreo, tra gli altri, chi fosse nato anche da un
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solo genitore appartenente alla razza ebraica, purché fosse risultato iscritto
ad una comunità israelitica (ciò che, come visto, corrisponde alla situazione
della sig.ra Di Cave).
Alla luce di quanto sopra, ne risulta ridimensionata la questione della
valenza da attribuire all’atto notorio prodotto dall’istante, in ordine al quale
occorre però evidenziare non solo che trattasi per l’appunto di atto notorio,
e non di mera dichiarazione sostitutiva, con la conseguente maggiore
efficacia
probatoria
alla
stregua
della
normativa
in
materia
di
autocertificazione, ma soprattutto che è stato lo stesso legislatore, tenuto
conto della verosimile difficoltà nel reperimento della documentazione
originaria, ad ammettere che la Commissione potesse avvalersi di atti notori
per comprovare la sussistenza dei requisiti per l’ottenimento dei benefici
attribuiti ai perseguitati (art. 6 della legge 24 aprile 1967, nr. 261).
E, se è vero che è rimesso all’apprezzamento della Commissione il giudizio
circa la validità degli atti notori eventualmente prodotti, non può sottacersi
che nella specie l’atto prodotto dall’istante andava ad affiancarsi,
integrandole e arricchendole, a risultanze fattuali incontestate, quali sono
quelle sopra richiamate sub a) e b): di modo che un giudizio di
inattendibilità dell’atto notorio (comunque non esistente negli atti
impugnati) avrebbe dovuto essere anche adeguatamente e ragionevolmente
motivato.
5.2. Le considerazioni da ultimo svolte valgono anche a confutare quanto
insistentemente affermato nell’appello dell’Amministrazione in ordine alla
mancanza di prova dell’avere l’istante patito atti persecutori a cagione della
propria appartenenza alla razza ebraica.
Infatti, è ancora dal richiamato atto notorio che emergono circostanze
idonee a dimostrare che la sig.ra Di Cave fu effettivamente vittima di
discriminazione razziale: ciò che è anche confortato dalla stessa scelta
genitoriale di cancellarla dalla comunità israelitica, verosimilmente
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riconducibile anche all’intento di sottrarla a possibili persecuzioni (come
dimostrato pure dalla particolare epoca in cui la cancellazione fu chiesta).
Al di là di ciò, va però sottolineato che l’assenza di atti persecutori
costituisce questione estranea al perimetro motivazionale degli atti
originariamente impugnati, i quali si fondavano unicamente sulla ritenuta
non appartenenza dell’istante alla razza ebraica; di modo che l’introduzione
del predetto ulteriore tema da parte della Amministrazione appellante
appare integrare una sorta di non consentita integrazione ex post della
motivazione dei censurati atti di diniego.
6. In conclusione, alla stregua di quanto fin qui esposto s’impone una
pronuncia di reiezione del gravame e di conferma della sentenza impugnata.
7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate equitativamente in
dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta),
definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo
respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento, in
favore della parte appellata, delle spese del presente grado del giudizio, che
liquida in 3000,00 euro oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 giugno 2011
con l’intervento dei magistrati:
Paolo Numerico, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Guido Romano, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Fulvio Rocco, Consigliere
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L'ESTENSORE
IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 02/08/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)
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