19 - Anafi

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19 - Anafi
COLLABORAZIONI
IBR: RINOTRACHEITE
di Sandro Cavirani *
INFETTIVA
DEL BOVINO
L’EVOLVERSI delle conoscenze, lo
sviluppo di presìdi immunizzanti innovativi, la dinamica e la difformità
delle strategie di controllo dell’infezione che connotano, in particolare,
il panorama europeo, costituiscono
tutti elementi a far sì che la problematica Rinotracheite Infettiva del Bovino (IBR) debba essere a pieno titolo considerata di attualità.
Allorché si parla di IBR è opportuno precisare come sotto detto acronimo venga, di frequente ed impropriamente, indicato un complesso di
patologie che comprendono la forma
classica di rinotracheite associata, o
meno, a cheratocongiuntivite, forme
respiratorie profonde, aborto, vulvovaginite (IPV) e balanopostite (IPB),
entrambe a carattere pustoloso, metritre ed infertilità, quest’ultima nella
più vasta accezione del termine, episodi mastitici, meningoencefalite dei
giovani bovini.
Dal punto di vista eziologico, Bovine herpesvirus 1 (BoHV-1) è riconosciuto essere causa del complesso
di patologie sopra indicate ad eccezione della meningoencefalite del vitello, la cui causalità è attualmente attribuita ad una specie virale a sé stante, indicata come BoHV-5.
Pur salvaguardando l’unicità antigenica di BHV-1, sulla base dell’analisi del genoma virale, si riconoscono
più sottotipi virali: BoHV-1.1 e BHV1.2a sono isolati prevalentemente in
corso di malattia respiratoria, BoHV1.2b in corso di patologia genitale.
Tale dato travalica l’aspetto meramente tassonomico trovando riscontro in situazioni di carattere epidemiologico correlate all’evoluzione
dei quadri clinici osservati nelle diverse aree geografiche. Il prevalere,
in determinati distretti territoriali, di
determinate manifestazioni cliniche
è stato infatti associato con il riscontro di specifici sottotipi virali. Va tuttavia rimarcato come l’esistenza di
Aspetti ezio-patogenetici ed epidemiologici della rinotracheite infettiva del
bovino (IBR), che impongono rigorose misure di controllo nel comparto riproduttivo.
sottotipi virali non sia da correlare
con differenze antigeniche tali da inficiare l’efficacia degli antigeni vaccinali comunemente in uso.
Sebbene si annoveri la segnalazione di isolamento di BoHV-1 da insetti
vettori, si è portati a ritenere che l’infezione naturale avvenga, di regola,
per contatto diretto del virus con le
mucose dell’ospite. La penetrazione
del virus nel tratto respiratorio avviene attraverso aerosol o contatto diretto con particelle virali presenti
nelle secrezioni nasali degli animali
infetti, escretori. Non esistono elementi tali da accreditare rilevanza
epidemiologica alla trasmissione a
lunga distanza del virus. Tuttavia, sulla base di studi epidemiologici è stata ipotizzata la trasmissione di BHV-1
a distanze anche superiori a 8-10 chilometri, fatto salvo il verificarsi di
condizioni climatiche (umidità, correnti aeree) favorenti la persistenza e
la veicolazione delle particelle virali.
La trasmissione genitale dell’infezione si verifica invariabilmente per
contatto diretto o attraverso seme infetto.Al riguardo, il virus risulterebbe
associato con la membrana cellulare
degli spermatidi e non si troverebbe
all’interno delle cellule spermatiche.
Trascorsi due o tre giorni dall’avvenuta infezione si assiste alla comparsa dei sintomi, la cui gravità è funzione della virulenza dello stipite virale,
dello stato immunitario specifico e/o
aspecifico dell’animale, della presenza di elementi stressanti in grado di
condizionarne la risposta immune,
dell’età del soggetto colpito. L’infezione dei monociti circolanti da parte di BHV-1 comporta un’infezione
sistemica che, nella bovina gravida,
esita in aborto; aborto che si può verificare anche a seguito di infezione
subclinica, quindi senza preavviso
sintomatologico.
Dopo la replicazione primaria a livello di mucose respiratoria e/o genitale, BoHV-1 si diffonde al sistema
nervoso entrando nelle cellule nervose periferiche, poste alla terminazione dei nervi, e raggiungendo, sottoforma di nucleocapside nudo, i
gangli dei nervi trigemino e sacrali,
attraverso il flusso assonale retrogrado. Qui il virus instaura una condizione di latenza: il DNA virale circolarizza e rimane nel nucleo cellulare sotto forma episomale, vale a dire non
integrato con il genoma cellulare. Oltre al sistema nervoso, anche i macrofagi e le cellule epiteliali possono
costituire siti di latenza. In questa fase, l’espressione dei geni virali appare limitata a poche proteine e non ha
pertanto luogo una attiva stimolazione del sistema immunitario. Ne consegue che animali infetti, con infezione latente, possano risulatare negativi agli accertamenti sierologici.
Gli animali con infezione latente,
soprattutto se sieronegativi (infetti
occulti), rappresentano un costante
rischio epidemiologico.A seguito del
verificarsi di eventi stressanti, infezioni o infestioni intercorrenti, trattamenti farmacologici a base di glucocorticoidi – eventi che, comunque,
compromettono l’omeostasi del sistema immunitario – il virus latente
si può riattivare, il che comporta riescrezione virale (anche attraverso il
seme), pauci o asintomatica, associata a risposta anamnestica da parte
dell’animale. L’evento si traduce in
un aumento del tasso anticorpale
specifico.
Il fenomeno della latenza virale
* Istituto di Malattie Infettive, Profilassi e Polizia Veterinaria - Facoltà di Medicina Veterinaria - Università di Parma.
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non è da circoscrivere agli stipiti virali selvaggi ma coinvolge anche
quelli vaccinali vivi-attenuati, i quali,
ad onor del vero, tendono comunque
a mantenere le originali caratteristiche di attenuazione.
La bovina, divenuta immune verso
BoHV-1 in seguito ad infezione naturale o vaccinazione, attraverso il colostro conferisce al vitello anticorpi
passivi, in grado di proteggerlo dall’insorgenza di forme cliniche che
nel neonato tendono a generalizzare
divenendo letali. Si stima che nel vitello il tempo di dimezzamento (emivita) degli anticorpi passivi, di origine materna, sia di circa 20 giorni e,
nel caso specifico di BoHV-1, il vitello diventi sieronegativo entro un periodo variabile tra 90 e 230 giorni di
vita. La durata di detto periodo è da
correlare al titolo anticorpale conferito dalla madre e, non da ultimo, alla
sensibilità del test sierologico impiegato per la rilevazione degli anticorpi.
L’infezione nel vitello provvisto di
anticorpi materni non induce comparsa di sintomi, ma esita comunque
in uno stato di latenza virale, essendo
l’azione degli anticorpi rivolta al controllo della malattia, ma non in grado
d’impedire l’infezione. La presenza di
anticorpi materni maschera l’avvenuta infezione che, di conseguenza, non
si traduce nella produzione di anticorpi attivi i quali una volta prodotti,
tendono a persistere. La conseguenza diretta è il realizzarsi della possibilità – tutt’altro che remota, stante
l’ampia circolazione di BoHV-1 nei
nostri allevamenti – di ritrovare animali sieronegativi a 4-6 mesi (esaurita la quota di anticorpi materni), ma
portatori di infezione latente, quindi
tali da essere ritenuti a pieno titolo
infetti.
Lo stesso quadro di negatività sierologica si può osservare in animali
adulti con infezione latente acquisita
in seguito ad infezione primaria di
vecchia data e che non abbiano subìto ulteriori, recenti riattivazioni.
Per quanto attiene allo specifico
comportamento dell’infezione da
BoHV-1 nel bovino maschio, è dimostrato come il virus induca una infezione genitale localizzata al prepuzio
che esita in balanopostite a carattere
pustoloso (IPB). Sono, inoltre, segnalati casi di orchite specifica. Nei tori
infetti l’escrezione di virus attraverso
il seme si verifica con elevata frequenza anche in assenza di sintomatologia, assumendo un carattere intermittente. Di qui, in assenza di mi-
sure sanitarie atte ad escludere dall’attività riproduttiva i maschi infetti,
discende il rischio che si realizzi la
trasmissione dell’infezione attraverso
monta naturale e fecondazione artificiale. In quest’ultimo caso, le basse
temperature utilizzate per il congelamento e la conservazione del seme
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Nuovo protocollo operativo
Diviene ogni giorno più importante la necessità di garantire l’indennità dei tori da adibire
alla F.A. nei riguardi della IBRBHV1. Come riteniamo sia noto
a tutti gli allevatori il rischio più
grave è quello dei tori che, avendo l’infezione in stato di latenza, non evidenziano reazioni anticorpali e pertanto sembrerebbero indenni, ma che in condizioni particolari, possono riattivare l’infezione e quindi trasmetterla anche agli altri riproduttori.
Per evitare tale rischio bisogna garantirsi che un soggetto
sia sempre negativo ai test, dal
momento della nascita fino alla
sua eliminazione fisica.
È quindi fondamentale l’uso
di colostro privo di anticorpi
BHV1 (IBR) nei primissimi giorni di vita e successivamente l’isolamento fisico e l’adozione di
tutte le normali norme di profilassi per garantirsi che il torello
non contragga l’infezione.
Il Centro Genetico, in accordo e su proposta di Assogene,
l’organizzazione dei Centri di
F.A. italiani, ha pertanto stabilito
che per i soggetti nati dal 1o
gennaio 1999, che entreranno
dal mese di luglio prossimo, dovrà essere effettuato un test per
l’IBR nei primi 4-5 mesi di vita.
I torelli che evidenzieranno la
presenza di anticorpi, anche di
origine colostrale, o che non saranno stati sottoposti al test entro tale età, non potranno essere
ammessi al Centro Genetico.
Quanto sopra sarà una garanzia in più per tutti i fruitori del
seme congelato dei tori italiani,
che accompagnano l’elevato valore genetico ad uno standard
sanitario di assoluta sicurezza.
FRANCESCO BRUN
direttore Centro Genetico Anafi
producono una ottimale conservazione della relativa carica virale infettante.
La ricerca degli anticorpi verso
BoHV-1 può essere esguita utilizzando tecniche diverse, tra le quali ELISA indiretta o blocking e Sieroneutralizzazione, per i relativi caratteri di
elevata sensibilità e specificità, vengono indicati come test sierologici di
elezione. In genere, si ritiene che dette metodiche siano entrambe idonee
a svelare stati d’infezione, tuttavia,
qualora si menzioni la tecnica ELISA
non si fa riferimento ad un test univoco. Indagini volte a comparare test
ELISA diversi, del commercio e non,
mediante saggio sugli stessi sieri,
hanno evidenziato risultati discordanti.Al riguardo, è ritenuto opportuno addivenire ad una standardizzazione delle metodiche, impiegando
sieri di riferimento ed ad una sorta di
accreditamento dei laboratori adibiti
alla certificazione. Ancora oggi la Sieroneutralizzazione è considerata la
tecnica sierologica di referenza. In
particolare, si ritiene che un periodo
d’incubazione di 18-24 ore della miscela siero virus, prima dell’aggiunta
del sistema rivelatore, costitutita da
cellule, implementi la sensibilità del
test.
Ora, la situazione europea nei riguardi dell’IBR si connota per differenti livelli d’attenzione nei confronti della problematica verso cui, ad
onor del vero, si deve rilevare un diffuso, crescente interessamento. Non
a caso è stato istituito, in seno al Comitato Scientifico Veterinario dell’Unione Europea, un apposito Sottocomitato IBR con il precipuo compito
di procedere alla rilevazione dei vari
provvedimenti restrittivi la movimentazione degli animali, tendendo al loro miglioramento ed armonizzazione. Rimane, comunque, di stretta pertinenza dei singoli Stati o Regioni apportare eventuali modifiche alla normativa nazionale e porre in essere
qualsivoglia programma di controllo
o eradicazione nei riguardi dell’IBR.
Si tratta di un atteggiamento che, pur
nell’intendimento di rispettare la volontà sovrana dei singoli Stati membri, potrebbe celare la reale impossibilità di supportare economicamente
un programma organico di eradicazione che assuma respiro comunitario.
Attualmente, nell’ambito del territorio europeo, a fianco di Stati che
hanno perseguito, da tempo e con
successo, politiche di eradicazione
dell’infezione (Danimarca, Austria,
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Svezia, Finlandia, Norvegia, Svizzera),
troviamo Paesi comunitari, con i quali intratteniamo intensi scambi commerciali nel settore zootecnico, che
stanno compiendo o si accingono a
compiere scelte dirette in tal senso.
Ci si riferisce in particolare a Germania, Francia, Olanda e Belgio che hanno promosso campagne di eradicazione verso l’IBR, talora con il connotato di una regionalizzazione degli interventi. A differenza del caso precedente, in questi ultimi Paesi, connotati da una elevata prevalenza d’infezione, è fatto ricorso alla vaccinazione con presìdi marker.
Nel nostro Paese l’infezione è largamente diffusa tra i bovini da latte:
si stima che oltre il 60% dei nostri allevamenti siano infetti. Attualmente
sono in corso programmi di eradicazione che si limitano a coinvolgere
province (Bolzano,Trento), non a caso, confinanti con Paesi già indenni e
connotate da ridotta prevalenza d’infezione.
Stante l’eterogeneità del panorama
nazionale ed internazionale inerente
il controllo dell’IBR e la presenza di
situazioni epidemiologiche disomogenee, ma comunque caratterizzate
da alta prevalenza dell’infezione e,
conseguente, alto rischio di diffusione, al fine di controllare la diffusione
dell’infezione, tutelando stati di acquisita indennità, si deve ritenere assolutamente strategica la rigorosa gestione del comparto riproduttivo. I
provvedimenti comunitari sono, appunto, espressione di un fermo convincimento del ruolo cardine svolto
dal comparto riproduttivo nella diffusione e controllo dell’infezione.
Convincimento che ha portato ad
imporre lo stato di indennità da IBR
sia per i centri di produzione dello
sperma da adibire a fecondazione artificiale che per i centri di trapianto
embrionale.
Ne consegue che la necessità di
ottenere tori indenni da IBR risulta
inderogabile ed impellente. In tal
senso va rigorosamente salvaguardata la richiesta di sieronegatività per i
torelli introdotti nei centri di selezione genetica. Il controllo sierologico
precoce degli animali, prima dell’introduzione e già a 3-5 mesi di età, è
volto a garantire quanto ben indicato
in precedenza relativamente alla possibilità che anticorpi materni mascherino avvenute infezioni e stati
d’infezione latente.
L’ampia diffusione dell’infezione e
l’alta prevalenza di bovine provviste
di anticorpi da vaccinazione rendono
assai comune il riscontro di giovani
maschi sieropositivi, in quanto provvisti di anticorpi passivi, di origine
colostrale. D’altro canto è attualmente impensabile destinare alla riproduzione solo animali provenienti da allevamenti indenni, peraltro oggi non
certificabili ufficialmente. A rendere
realistica la valutazione sierologica
precoce dei torelli, anche appartenenti ad allevamenti infetti e/o vaccinati, si configura la possibilità di alimentare i maschi destinati ad attività
riproduttiva esclusivamente con colostro artificiale, surrogato di quello
materno. La presenza di Paesi indenni da IBR rende agevole la produzione e commercializzazione di colostro
privo di anticorpi specifici. Si tratta, a
questo punto, di validare i singoli
prodotti attraverso un’azione di certificazione mirata e, parallelamente,
produrre adeguate sperimentazioni
di campo atte a comprovare l’efficacia zootecnica di tal pratica.
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