interno 01-2011 - Suore Don Mazza

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interno 01-2011 - Suore Don Mazza
Festa ex allieve
Cara amica: vieni!!!
Domenica 6 marzo 2011
per l’annuale incontro delle ex allieve
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Care amiche vicine e lontane ex allieve, allieve di oggi, allieve di tutti i tempi…
E’ arrivato anche quest’anno il nostro momento di ritrovarci ancora una volta
(o per qualcuna è sola la prima, dopo tanto tempo?), per salutare le nostre
suore, per parlare con le compagne di un tempo, per ritrovare il profumo della
nostra giovinezza e gli ideali di don Mazza.
Il mese di marzo non vi fa pensare che la primavera è vicina? Diamole il benvenuto con questa bella occasione per rinverdire la simpatia e l’amicizia che ci
legavano e ancora, spero, non si sono spente. VENITE!!!
la redazione
Programma della giornata
ore 09,30 – l’ora dell’accoglienza:
ci aspettano le nostre suore con una bevanda calda per ristorarci e prepararci
nel modo migliore alla visita del tradizionale mercatino di artigianato brasiliano
ore 11,00 – l’ora della preghiera:
tutte nella cappella per partecipare alla santa messa
ore 12,00 – l’ora dell’agape:
in sala da pranzo per consumare insieme il pasto conviviale allestito con cura
e amore dalle suore
Nel pomeriggio – incontriamoci:
immagini, parole, ricordi dagli anni ’50 ad oggi
Ti chiediamo cortesemente di confermare la tua partecipazione telefonando,
possibilmente entro il 20 febbraio, ai n ° 045/591648-045/594780 o inviando
una e-mail all’indirizzo: [email protected]
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Noi giovani siamo la “Luce del mondo” del XXI ° secolo
Giovedì 11 novembre 2010 ho avuto la fortuna di partecipare alla veglia che i giovani
vicentini hanno organizzato in occasione del saluto a monsignor Cesare Nosiglia, che
per sette anni ha prestato servizio episcopale nella diocesi di Vicenza. L’incontro si è
svolto all’interno del santuario di Monte Berico, dedicato alla Beato Vergine Maria. La
chiesa era gremita di giovani e, appena sono entrata, ho proprio assaporato l’aria di
festa e di gioventù che si stava divulgando. Da due anni a questa parte, dopo un cammino di preparazione e formazione, ho intrapreso l’attività di animatrice di Azione
Cattolica del gruppo dei giovani di seconda superiore e rappresento la mia parrocchia
all’interno del gruppo di pastorale giovanile vicariale. Per questi motivi sono riuscita a
“portarmi” a casa un grande messaggio che il vescovo ha dato a noi giovani durante
l’omelia. In particolar modo, riprendendo il vangelo di Matteo (5, 13-16), ha dichiarato che dobbiamo impegnarci ad essere “luce del mondo e sale della terra” per portare
e testimoniare il Vangelo a quei giovani che, per diversi motivi, non lo vivono o non lo
conoscono. Essere luce del mondo nel 2010 significa dimostrare che la Parola è veramente il cibo quotidiano e che Gesù è sempre fonte di sorpresa e favorisce l’apertura
della mente, del cuore e della vita su orizzonti nuovi e imprevedibili. Bisogna anche
avere la forza di liberarsi dalla paura del giudizio degli altri, di quegli altri che non riescono ad essere la vera luce del mondo, impegnandosi ad essere noi stessi in ogni
istante e in ogni luogo che viviamo. Il vescovo Cesare è arrivato a Vicenza nel 2003 e
nel 2006 ha iniziato il Sinodo dei giovani, concluso nella primavera del 2010; è stato
un cammino che sacerdoti, animatori ed educatori hanno percorso insieme, impegnandosi a produrre un documento (un testo intitolato “C’è campo?”) che ha fornito la
fotografia della situazione dei giovani vicentini, coinvolgendo non solo giovani, ma
anche consigli pastorali, associazioni, movimenti e comunità parrocchiali. Presentando
questo lavoro, lo stesso vescovo ha voluto ricordare ai giovani presenti l’importanza di
riscoprire quanto Gesù ci sia amico e quanto la sua parola fortifichi la fede ed alimenti
la speranza in un futuro diverso e nuovo. Ci sarebbero sicuramente molte altre cose da
aggiungere circa la serata della veglia, ma vorrei concludere con un mandato che il
vescovo Cesare ha consegnato a noi giovani: “Abbiate il coraggio di raccontare con
gioia ed entusiasmo, ai vostri coetanei, l’esperienza cristiana che state facendo, invitandoli a sperimentare l’amicizia in un gruppo alternativo, un gruppo dove si impara a
pregare insieme, ad accostare la Bibbia, a servire con amore e solidarietà i piccolo i
poveri e i sofferenti”. Il messaggio che vorrei lasciare a voi, giovani e adulti, è quello
di condividere l’amore con il povero, cioè donare tutto quanto si possiede, e di vivere
come Gesù è vissuto, ossia come uomini liberi, portatori di gioia e di vita per tutti.
Serena De Mani
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PREGARE
Chiese sorelle: aspetti e forme delle liturgie cristiane
1. Il cammino ecumenico
Il 2010 che si è appena concluso ha ricordato i primi 100 anni del cammino ecumenico verso l’unità dei cristiani iniziato ad Edimburgo, in
ambito protestante.In quell’occasione era stata sentita in modo molto
significativo l’esigenza di porre fine alla frammentazione delle diverse
comunità cristiane ed ecclesiali moltiplicatesi dalla Riforma di Lutero
in poi, e di ritrovare l’unità originaria dei cristiani prima dei grandi scismi d’oriente (1054) e d’occidente (1517), che avevano diviso i cristiani in tre confessioni: cattolici, ortodossi, protestanti. Nella Chiesa cattolica è stato soprattutto il Concilio Vaticano II a dare impulso a questo cammino di unità con la Dichiarazione “Unitatis Redintegratio”,
documento fondamentale e pietra miliare dell’ecumenismo cattolico
conciliare, quale sua base dottrinale e pastorale. In questi ultimi
decenni il cammino ecumenico ha cominciato a dare i suoi frutti. Oggi
la manifestazione più diffusa e visibile del movimento ecumenico contemporaneo e l’appuntamento ecclesiale più atteso è la Settimana di
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preghiera per l’unità dei cristiani. Preparata da una commissione mista, in un lavoro
congiunto del Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani e la
Commissione Fede e Costituzione del Consiglio Ecumenico delle Chiese, questa settimana ogni anno, dal 18 al 25 gennaio, accomuna in un’unica preghiera i cristiani cattolici, ortodossi e protestanti. E’ un momento molto intenso, modello di altre iniziative di preghiera durante l’anno, e sostegno della testimonianza della carità e delle
riflessioni teologiche. Pregare per l’unità dei cristiani significa rivolgerci all’unico Dio
che è Padre di tutti, e che ci rende tutti fratelli, e fa pregustare la gioia della piena
comunione e della riconciliazione delle chiese nella loro varietà e nella loro ricchezza. Per questo ogni anno viene proposto alla riflessione di tutti un testo biblico, che
è utilizzato e commentato in tutti gli incontri ecumenici dell’anno. Per il 2011 la
Commissione Ecumenica ha scelto un passo dagli Atti degli Apostoli, dove si legge:
“Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna,
nella frazione del pane e nelle preghiere… Tutti coloro che erano diventati credenti
stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le
vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno. Ogni giorno tutti
insieme frequentavano il tempio e spezzavano il pane a casa prendendo i pasti con
letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo la simpatia di tutto il popolo.
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Intanto il Signore ogni giorno aggiungeva alla comunità quelli che erano salvati” (Ac
2, 42-47). Questo passo presenta la costituzione della prima comunità cristiana ed
anche la prima forma di “liturgia”, la riunione dei credenti attorno ad una mensa,
come aveva fatto Gesù nel cenacolo quando istituì l’Eucarestia: la benedizione del
pane e del vino in sua memoria, un’agape fraterna, l’ascolto dell’insegnamento degli apostoli, testimoni della
resurrezione di Gesù Cristo, la condivisione dei beni. San Paolo riconosce
che spezzare il pane non significa
solo celebrare l’Eucaristia - commenta il documento preparatorio di quest’anno - ma essere un popolo eucaristico, diventare il Corpo di Cristo nel
mondo, per testimoniare la sua resurrezione, la vita divina nella storia
degli uomini là dove sono ancora
nelle tenebre, dilaniati dalle ingiustizie, dalle divisioni e dalle violenze, e
ai quali si indica la comunione fraterna, nella condivisione e nella riconciliazione. Per questo il cammino ecumenico deve continuare nella speranza - ed anche nella certezza - che l’unità dei cristiani si realizzerà secondo la volontà di Dio e la forza del suo Santo Spirito, nelle
modalità e nelle forme che saranno più opportune, secondo le sensibilità di ogni
epoca storica. Certo un obiettivo importante è il riconoscimento reciproco e l’ospitalità eucaristica e la forma di una liturgia condivisibile. Nella liturgia infatti si attua
l’opera della nostra redenzione ed è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa
e insieme la fonte da cui promana tutta la sua virtù, come si legge nella Costituzione
conciliare sulla Sacra Liturgia. Così ogni chiesa e confessione cristiana si rende visibile nelle diverse forme liturgiche che nel tempo si sono consolidate ma che sono
suscettibili di migliorare e perfezionare questo fondamentale e centrale momento
“ecclesiale”, nella Liturgia qui intesa come l’adunanza pubblica dei fedeli, il loro rendersi visibili come comunità, attorno all’ascolto della parola e all’Eucaristia. Anche
nella chiesa cattolica ci si è sforzati di rendere più belle e partecipate le liturgie
domenicali, ma il cammino è sempre aperto per giungere ad una sempre più vera ed
intensa comunione fra tutti i cristiani.
Silvana Jellici Formilan
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L’ALTRA METÀ DEL CIELO
C’era una volta…
Donne tra fiaba e realtà
Anche il passato, con tutte le sue molteplici sfaccettature, permette a
ciascuno di noi di conoscere il mondo, di capire le cose che ci circondano e di aiutarci a definire i nostri progetti. La cultura, le tradizioni e
gli immaginari ci sono pervenuti attraverso molteplici vie, più o meno
formali: cronache, testimonianze, resoconti, narrazioni. Tra tutto questo vi è anche una realtà fatta di voci più che di parole scritte, fatta di
semplici racconti che si sono tramandati oralmente lungo i secoli e che
costituiscono un patrimonio inestimabile di un pezzo di storia. Proprio
lì, nella spontaneità e freschezza di quelle storie, si può ritrovare un
mondo che scava in un oltre, raccontando la vita e nutrendosi di ciò
che essa è: un’emozionante avventura. Ecco dunque perché tali racconti affascinano grandi e piccini: nascondono un ambiente fatato che
cattura l’immaginazione e, allo stesso tempo, permette la creazione di
nuove visioni e significati del reale. Per questo leggere o ascoltare
fiabe, leggende, storie non è solamente un modo semplice per allietarci e intrattenerci. Significa pure voler cogliere, con sguardo abile e
indagatore, una realtà lontana ormai passata che però è parte di ciò
che siamo, della nostra mentalità, cultura e tradizione, permettendoci
di divenire veicolo di memoria e storia.
In questa prospettiva, allora, le figure che si muovono nei racconti non
sono semplici personaggi della fantasia, ma possono essere vivo ricordo, per quanto leggendario e fantasioso, di una vera realtà storica. Tra
queste figure, quelle femminili hanno spesso un ruolo importante.
L’immagine della donna ha subito certamente una continua trasformazione lungo i secoli, portando con sé, in positivo o in negativo, fascino e mistero: dolce dama, incantevole principessa, terribile maga o
ammaliatrice. Un quadro che si potrebbe definire variopinto nella
descrizione delle molte tipologie di donna. Eppure nella maggioranza
dei casi, purtroppo, tale quadro è monocromatico nella considerazione del mondo femminile: pagine e pagine di racconti che tratteggiano
le donne con tinte fosche e scure, che le descrivono come malefiche e
pericolose, portatrici di infausti avvenimenti o calamità, semplicemente streghe. Il termine strega deriva dal latino striga, derivato a sua volta
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dal greco strix, strige, nome della famiglia a cui
appartengono il gufo, la civetta e altri rapaci notturni. Come questi animali, notturna era la presunta vita delle streghe, esseri volanti che a cavallo
delle loro scope, di un gatto nero o di una rocca
da filare, volavano grazie ad un unguento avuto in
dono dal diavolo, malefico signore venerato nei
Sabba1 notturni con danze vorticose, a cui avevano
donato l’anima. Per questo, sempre secondo la tradizione, avevano il potere di comandare il tempo,
scatenando tempeste o arrecando danni alle persone. Ma chi erano davvero le streghe? E da dove
deriva tale connotazione negativa?
Un’interessante analisi2 mostra come la figura della
strega provenga da una possibile unione di due tradizioni, quella classica e quella germanico-celtica.
Da quella classica, oltre al nome (come abbiamo visto inizialmente), fu ripreso anche
il culto di Ecate, dea triforme dell’antica Grecia, venerata come Proserpina
(Persephone) dea dell’Inferno, come Luna (Lucina, Selene) e come Diana (Artemide).
Veniva raffigurata con una torcia o una lucerna in mano (per questo venne chiamata
anche Lucifera, allusione evidente a Lucifero, il demonio) e una sferza o pertica,
assunta per simboleggiare la tregenda e i Sabba notturni.
Nelle notti del plenilunio era accompagnata da uno stuolo di cagne e cani e da
Egipane, uomo mezzo selvaggio e mezzo caprone, che ricorda il dio Pan, simbolo
di fecondità (Pan diventerà nel Medioevo cristiano il Demonio). Oltre a Ecate, furono riprese dalla classicità anche le Baccanti, donne dell’antica Grecia che celebravano il dio Dioniso, dio della forza vitale, vestite con pelli di capra o di altri animali, abbandonandosi a canti e danze sfrenate in onore del dio. Danze che, secondo un’altra studiosa3, fanno riferimento ad un’antichissima religione femminile, basata su una società matriarcale, quella della Dea Madre (o Signora del Gioco), che si
esprimeva in comportamenti trasgressivi, erotici e libertari cui facevano capo anche
i riti dionisiaci.
Tale religione sopravvisse in forma di clandestinità e semiclandestinità lungo i secoli, esprimendosi nel corso delle feste contadine svolte in particolari scadenze stagionali (equinozi, vendemmia, fienagione). Accanto a questa cultura si affiancò quella
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Dall’ebraico Schabbath, che ricorda il giorno di riposo dalle fatiche settimanali. Il Sabba di streghe e stregoni era settimanale
e variava da paese a paese (di solito il giovedì o il sabato).
2
MAURER JOSEPH, Streghe e diavoli nel folklore alpino. Un contributo alla storia locale, Università popolare trentina, Trento
1979, p. 9.
3
DI GESARO PINUCCIA, Le streghe dolomitiche, Praxis 3, Bolzano 2003.
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germanico-celtica cui fece riferimento la Deutsche
Mythologie dei fratelli Grimm4. Da tale tradizione si
recuperò soprattutto l’antica credenza delle
Hagedisen o Hagezusen5 ossia le Waldfrauen, le
donne del bosco, vergini in contatto con gli dei del
bosco, una sorta di divinità silvane, esperte di erbe
medicinali. Si tramanda che cavalcassero le nubi ed
emanassero piogge, grandini e tempeste. Tali connotati si riferirono poi alle streghe, facendone così
fattucchiere del tempo bello e brutto, contro cui
puntare il dito per i danni dovuti a tali fenomeni
naturali. Anche un’altra figura di divinità teutonica
ha probabilmente inciso nella connotazione delle streghe: la mitologica dea nordica
Bercht, chiamata anche dea Freya o dea Holda, presente soprattutto nel Tirolo e nelle
regioni austriache. Da essa, abitante delle selve e compagna di Odino, dipendevano
le piogge, la luce del sole, la fertilità della terra.
Tali tradizioni e figure si tramandarono lungo i secoli e si spostarono man mano dalla
sfera narrativa a quella del reale: ad essere condannati non furono unicamente dei personaggi fiabeschi, ma donne in carne e ossa, accusate di stregoneria, torturate o bruciate. Le nuove istituzioni politiche e religiose ufficiali censurarono le vecchie credenze e riti, demonizzando il paganesimo e con esso le sue divinità
(come Dioniso, Pan, Egipane). Il disprezzo della
donna si accentuò ancor di più, giungendo ad un
culmine estremo attraverso ideologie ascetiche e
complicate dissertazioni filosofiche. Va innanzitutto ricordato a tal proposito il Malleus Maleficarum
(il Martello delle streghe) scritto da due inquisitori
domenicani, Jakob Sprenger e Heinrich Institor, a
Strasburgo nel 1486, che affermava l’esistenza delle streghe, la loro eresia e la necessità di combatterle ed eliminarle dalla società. Esso ebbe ampia fortuna proprio perché fu scritto a seguito di una disposizione papale di Innocenzo VIII, la Summis desiderantes affectibus (1484) che chiedeva ai due domenicani di “estirpare l’eretica pravità delle streghe in terra tedesca”.
Una visione negativa della donna che in nuce era già presente tra importanti filosofi e
teologi come Sant’Agostino e San Tommaso che, pur cercando di salvaguardare l’u4
I fratelli Grimm diedero l’avvio allo studio metodologico del folclore con la raccolta Kinder-und Hausmärchen (I racconti
del focolare), considerando le fiabe come vere e proprie testimonianze di una antichissima mitologia naturalistica da poter
interpretare per cogliere antiche tradizioni germaniche.
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da “hag” = Hain = Wald = bosco.
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guaglianza tra uomo e donna, avevano attribuito a quest’ultima l’inferiorità per motivi
naturali e fisici.
In questo modo sostennero la sua necessaria subordinazione all’uomo, trovando una
precisa corrispondenza in una società patriarcale: il malessere della società era da
attribuire a chi per natura era imperfetto, “minore immagine” di Dio, e quindi alla
donna, essere più debole e pertanto più predisposto degli uomini alla stregoneria e
al legame con il demonio. La presenza della stregoneria fu pure sostenuta da uomini
di lettere, da filosofi e giuristi (tra cui Jean Bodin, Nicholas Remy nel 1500), con la
scrittura di trattati di demonologia, contribuendo a ravvivare le persecuzioni in tutta
Europa. Si era così creata una duplice visione del mondo femminile: o donna votata
alla castità ed esaltata come una santa, o essere demoniaco e per questo da condannare. Uno status mentis sorto dalla necessità di reperire ad ogni costo un capro espiatorio attraverso cui “effettuare un esorcismo collettivo, ufficializzato dalla cerimonia
e dall’uccisione che in quel modo assumeva le connotazioni del rito”6. Per questo
motivo si crearono storielle e superstizioni alla base di infamie e calunnie nei confronti di vecchie signore, donne selvatiche e scontrose segregate al margine della
società per la loro diversità nelle idee e nei modi di fare.
Un clima generale già nella società del Cinquecento che, attraverso tali persecuzioni, aveva trovato modo di superare la crisi non tanto del singolo quanto delle istituzioni. Il potere civile e religioso si trovava in una situazione di incertezza per identità ed autorità a seguito di un lento e progressivo sviluppo dello spirito critico che
aveva portato alla nascita dei Comuni, all’apertura verso nuove dottrine religiose
(come i catari), al Grande Scisma nel 1378 con i “due papi” (avignonese e romano).
Da questo momento si era ritenuto doveroso imporre norme precise per definire il
comportamento degli uomini, combattendo il modo “razionale” di pensare e tutto l’universo scientifico naturalistico delle scienze occulte che man mano si era fatto avanti, ossia una cultura alternativa giudicata pericolosa dalle classi che detenevano il
potere: “furono, in realtà, principalmente guerre per l’affermazione dello Stato
moderno e della sua potenza, e furono anche guerre per distruggere, con le streghe,
tutta la cultura magico-alternativa del Rinascimento”7.
Ecco dunque che quelle storie, leggende, fiabe, racconti aprono nuovi orizzonti di
riflessione sul nostro passato e sul nostro presente. Che questa persecuzione del femminile non sia ancora terminata? Solo l’osservazione dei tristi fatti quotidiani può
dare una risposta: non più roghi, ma lapidazioni, torture e abusi su donne, madri, giovani, bambine. Un modo nuovo di perseguire chi sembra essere più debole; un modo
antico di mettere a tacere “l’altra metà del cielo”.
Silvia Carretta
6
7
CENTINI M., Animali Uomini Leggende. Il bestiario del mito, Xenia Edizioni, Milano 1990, p. 41.
DI GESARO P., Le streghe dolomitiche, cit., p. 98.
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DALLA COMUNITÀ DELLE SUORE
Dove sono le nostre suore
A Verona: nella comunità di Casa Madre
- suor Assunta Brutto
- suor Lucia De Vecchi
- suor Maria Rosa Doardo
- suor Rita Macchiella
- suor Clara Mazzi
- suor Agostina Merzari
- suor Maria Teresa Piazzola, superiora
- suor Raffaella Tessari
- suor Gabriella Tibaldi
- suor Giuseppina Varalta
- suor Maria Vendramin
A Verona: nella comunità del Collegio Universitario
- suor Germana Canteri
- suor Angiolina Giramonte, superiora generale
- suor Edilma Sabino da Silva
Nella comunità di Fontanafredda
- suor Raffaella Maria Bonetti, superiora e direttrice
- suor Domenica Corradini
- suor Luigia Tesser
In Brasile: nella comunità di João Pessoa
- suor Noemi Cavagna
- suor Graça Monteiro dos Santos
- suor Giliola Taietta
- suor Perpetua Socorro Andrade da Silva, superiora
In Brasile: nella comunità di San Paolo
- suor Rosa Melucci, delegata
- suor Silvia dos Santos do Nascimento
- suor Nella Vanzo
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Comunità di Casa Madre
Fonti della missionarietà delle suore di Don Mazza
La missionarietà delle suore di Don
Mazza scaturisce dalla Carità del Cuore
di Gesù: è questo infatti il nome stesso
dell’Istituto.
E’ una esigenza d’amore di Gesù, instancabile annunciatore delle meraviglie del
Padre per le strade e i villaggi della
Palestina, operatore di salvezza e di
misericordia per tutti. Il Cuore di Gesù è
per noi il centro e il segno di una umanità redentrice che si concretizza nella
proposta di impegno a redimere l’uomo
dalle forme di povertà che gli impediscono di realizzare pienamente se stesso.
Da Gesù , per Lui e con Lui ci sentiamo
inviate ad annunciare la salvezza;
secondo il Suo Cuore anche il nostro
cuore si apre alla compassione dei
poveri, dei piccoli, di coloro che non
hanno voce nella società per ridare loro la parola, per renderli capaci di costruire
un mondo nuovo.
E’, quindi, una esigenza d’amore per tutte le creature, per far conoscere e far sentire alle persone, soprattutto a coloro che si trovano ai margini della società, che
sono amate, che sono importanti, che sono preziose agli occhi di Dio, del Dio
Signore amante della vita che vuole per tutti una vita degna, che vuole che i doni
che Lui ha profuso in tutti non vengano sciupati, ma riconosciuti come dono, sviluppati e valorizzati.
Il nostro impegno missionario scaturisce, inoltre, dalla missionarietà intelligente e
infaticabile che Don Mazza rivolgeva specialmente all’evangelizzazione dell’Africa per
mezzo degli africani stessi da lui amorevolmente liberati dalla schiavitù e cristianamente educati. Proprio qui, in Via Cantarane, un buon gruppo di bambine africane
sono state educate. Nove di loro, ben preparate, sono tornate in Africa con il
Comboni, pure discepolo del Mazza, per ricominciare la missione che il Mazza aveva
iniziato: aveva infatti inviato precedentemente alcuni suoi sacerdoti in missioni esplorative e successivamente, nel 1857, aveva organizzato la prima spedizione ufficiale di
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5 suoi missionari, che però dovette sospendere a causa di malattie e morti premature.
Qualcuno potrebbe chiedersi: una istituzione così recente, le suore di Don Mazza
infatti sono nate nel 1932, come può riferirsi al Mazza come fondatore? Qui, in questi ambienti, don Mazza aveva dato vita, nella prima metà dell’ottocento, a piccoli
nuclei familiari formati da mamme e zie per bambine orfane o abbandonate a causa
delle guerre e delle malattie di quel tempo. L’Istituto femminile iniziato dal Mazza ha
continuato la sua opera educativa, arrivando ad accogliere anche 200-300 bambine;
era condotto da mamme e zie, ossia da donne laiche, in genere formate ed educate
nello stesso Istituto che, giunte a maturità, riconoscenti della carità ricevuta decidevano di fermarsi e di ricambiare questo amore riversandolo sulle più piccole, arrivate dopo di loro, e consacravano in modo semplice e non ufficiale tutta la loro vita in
quest’opera educativa qui in Verona.
Nel 1932 quattro di queste giovani, appoggiate dal IV successore di don Mazza, don
Emilio Crestani, vollero riprendere l’originario ardore missionario che veniva trasmesso in Istituto mediante le storie delle prime spedizioni e le testimonianze delle
più anziane e per questo scopo diedero l’avvio alla nuova Congregazione oggi denominata “Carità del Sacro Cuore-Suore di Don Mazza”.
Il piccolo nucleo di consacrate ha atteso degli anni per consolidarsi prima di partire
per la missione “ad gentes” e soltanto negli anni ‘70 quando, dopo il Concilio
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Vaticano II le Congregazioni religiose erano invitate dalla Chiesa a tornare alle radici dei Fondatori, si è ricominciato a ripensare, a studiare e a mettere le basi per la
missione in Brasile che ebbe inizio, appunto, 30 anni fa.
Questo ritornare alle radici è stato un rivedere e rivivere l’entusiasmo delle prime
sorelle, ancora vive e operative (in quegli anni ‘70) che, stimolate dalla ricerca, completavano con i loro racconti orali lo studio che si andava facendo e convincevano le
più giovani sul fatto che la Congregazione era nata proprio per attraversare l’oceano
e per espandere il carisma educativo mazziano oltre frontiera, nei luoghi dove più
urgente era l’istanza di un servizio di promozione umana.
Non si è abbandonata l’idea dell’Africa, ma le circostanze, gli avvenimenti, ciò che
con una lettura di fede chiamiamo i segni dei tempi e della Volontà di Dio ci hanno
condotte in Brasile, primo perché i nostri sacerdoti mazziani avevano già iniziato là,
nel 1978, una missione spinti da una insistente richiesta dell’allora vescovo della
Paraiba dom Josè Pires, secondo perché il Brasile, essendo di cultura latina, presentava maggiori possibilità di inserimento e di integrazione sia per quanto riguarda la
lingua, sia per quanto riguarda la situazione ambientale, gli usi e costumi di vita. Era
iniziata inoltre una nuova evangelizzazione delle piccole comunità religiose inserite
in mezzo alla gente nei “bairro” più poveri, che bene si confaceva con lo stile familiare, semplice e sobrio del nostro Istituto.
“I poveri saranno sempre con voi” ha detto Gesù: ciò che importa è essere in mezzo
a loro, in qualsiasi parte del mondo essi si trovino; sono i nostri prediletti perché così
ci ha insegnato Gesù, perché: “assumere l’impegno di una vita povera al servizio dei
poveri” è stata la scelta preferenziale che la Chiesa dell’America Latina ha fatto e proclamato nelle Conferenze Episcopali del dopo Concilio Vaticano II e che ha ribadito
con forza nel documento di Aparecida, ultima Conferenza del maggio 2007: “Tutti i
suoi membri sono chiamati a essere discepoli e missionari di Gesù Cristo, Via, Verità
e Vita, perché i nostri popoli in Lui abbiano vita”.
suor Angiolina Giramonte
Comunità del Collegio Universitario
Si parte: destinazione salvezza!
“Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di
entrarvi, ma non ci riusciranno” (Lc 13, 24).
Questo è l’invito e l’esortazione che l’evangelista Luca ci rivolgeva il 27 ottobre 2010,
giorno in cui abbiamo dato il via a quest’anno accademico e collegiale.
Don Corrado Ginami, che ha presieduto la santa messa, ci ha guidati alla scoperta
della parola che in questo giorno il Signore ha regalato alla sua Chiesa.
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Un grande dono che Gesù fa al suo popolo; in esso il segreto della vita del vero cristiano! Facendo dell’Amore di Cristo il modello sul quale costruire il nostro cammino, ecco che scopriamo la via della salvezza!
Più facile a dirsi che a farsi, penseranno alcuni. E allora, seguendo il percorso di don
Corrado, cerchiamo di capire cosa si celi dietro a queste parole.
Sforzarsi… Dove? Come? Quando? Perchè?
Il dizionario definisce lo sforzo come impiego di forze o di energie superiori al consueto, nel superamento di un ostacolo o nel raggiungimento di un risultato, con un
grado massimo di impegno o di applicazione. Sforzarsi: un verbo che proviene dal
linguaggio olimpionico, ci suggerisce don Corrado, che significa lottare, lottare per
vincere! E la vittoria, in questo caso, sta proprio nell’abilità di entrare in quella porta
piccola che è Dio!
“Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà
pascolo”, scrive l’evangelista Giovanni (Gv 10, 9).
La porta quindi è il richiamo
all’allenamento continuo, alla
ricerca costante del nostro dialogo con il Padre che ci chiede
di ‘farci piccoli’ per prendere
parte con Lui al Regno dei
Cieli. E’ una porta stretta, perché strette e impegnative sono
le esigenze, perché dura è
quella logica del perdersi per
ritrovarsi, del perdere la vita
per salvarla.
Ognuno di noi è chiamato ad
essere pellegrino e a fare del
suo pellegrinaggio terreno un
cammino volto alla salvezza: siamo esortati cioè ad uno sforzo e ad una conversione
continua. “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini,
non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo
bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli” (Mt 18, 3-4).
Ma Dio non si limita a indicarci l’obiettivo, ci offre anche le vie per farci così piccoli, come Lui ci chiede: sono quelle che noi tutti conosciamo come i Dieci
Comandamenti. In questo giorno, in modo particolare, ce ne viene esplicitato uno:
Onora il padre e la madre! Leggiamo, infatti: “Figli, obbedite ai vostri genitori nel
Signore, perché così è giusto. Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo
comandamento che è accompagnato da una promessa: perché tu sia felice e goda di
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una lunga vita sulla terra” (Ef 6, 1-3). Se per un attimo facciamo riferimento all’Antico
Testamento, anche nell’Esodo troviamo scritto: “Rispetta tuo padre e tua madre, perché tu possa vivere a lungo nella terra che io, il Signore tuo Dio, ti do” (Es 20, 12).
E’ in quel concetto di obbedienza che troviamo uno stimolo importante per la vita cristiana. Per obbedienza si intende, infatti, attenzione, ascolto, interesse. Un atteggiamento, quindi, di apertura all’altro, per assumere una posizione di ascolto nei suoi
confronti e di rispetto per quello che egli ha da dirci.
L’apostolo Paolo dipinge l’obbedienza come una grande virtù, come capacità di
abbandonare il proprio sé per dare spazio all’altro. Non manca però di aggiungere
che anche nell’obbedienza è necessaria la reciprocità. Leggiamo infatti: “E voi, padri,
non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti
del Signore” (Ef 6, 4). Quindi anche i padri sono invitati ad un atteggiamento di non
inasprimento, di non esasperazione nei confronti dei figli, ma di apertura, di ascolto, di interesse.
Ciò che fa da sfondo a quanto raccontato da Paolo è l’idea di reciprocità, di condivisione e di collaborazione. E’ quel senso di fraternità che sta alla base del nostro cammino educativo e del nostro cammino di adesione al Signore: un cammino sicuramente impegnativo, come la pagina del Vangelo ci ha mostrato.
Don Nicola Mazza ha fatto di tutta la sua vita un percorso di ricerca della volontà del
Padre ed è a noi che ora passa il testimone; per non correre il rischio di vivere un
cristianesimo superficiale, che non coinvolge l’orientamento profondo della nostra
vita, siamo chiamati, come lui, alla ricerca, allo studio, alla preghiera. Siamo chiamati
a realizzare la nostra vita mettendo a frutto i doni ricevuti e a disporre di questi ultimi a vantaggio di tutti.
Una cosa a questo punto ci è molto chiara: la salvezza non è solo un dono di Dio,
ma è anche il risultato di una precisa scelta e di un grande sforzo umano. In questo
però il Signore rassicura ciascuno di noi: “Non temere, perché io ti ho riscattato, ti
ho chiamato per nome: tu mi appartieni… Perché tu sei prezioso ai miei occhi, perché sei degno di stima e io ti amo, do’ uomini al tuo posto e nazioni in cambio della
tua vita. Non temere perché io sono con te” (Is 43, 1; 4-5).
Erica Zigliotto
…questa volta parte la festa, festa, festa, la festaaaa!
Festa. Party. Fête. Fiesta.
Cosa significa veramente questa parola?
“Tutto ciò che reca allegria e gioia”. Questa una delle tante definizioni date dal vocabolario italiano, quella che meglio rispecchia la festa di inizio anno del Collegio Don
Mazza, maschile e femminile.
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La serata era stata pensata come un’occasione per augurare a tutti un buon anno accademico, conoscersi e stare in compagnia, in un modo un po’ alternativo: stile COUNTRY! E così è stato!!
Ad aprire il tutto è stata la messa celebrata da don Corrado nella sala Gentilin, animata da canti e preghiere da noi scritti, durante la quale si è sottolineata l’importanza di vivere quest’esperienza in un clima di serenità e aiuto reciproco, come in una
grande famiglia. E qual è il modo migliore per riunire la “famiglia” se non quello di
ritrovarsi tutti insieme davanti ad un ricco buffet?! Bibite, vino e un buon boccone:
gli ingredienti giusti per un mega festone!
Alcuni di noi si conoscevano già, ma per molti altri tutto questo era una novità. Ad
aiutare i più timidi ha contribuito il gioco “Speed Dating” organizzato dalle ragazze
della Commissione Ricreativa, che ha permesso una rapida presentazione di se stessi anche attraverso le più svariate domande.
Per concludere la serata in bellezza, si sono aperte le danze! Balli di gruppo, trenini
improvvisati e ritmi country hanno reso la serata un vero spasso!
Un grazie di cuore a tutti coloro che hanno organizzato questa festa e a chi vi ha partecipato. Non ci resta altro che augurarvi un “in bocca al lupo” e… alla prossima!
Commissione Culturale
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Erasmus a St. Andrews
Nonostante il mio Erasmus sia iniziato nella più grande confusione
tra preparativi, faccende burocratiche da sbrigare e la vita in una
nuova terra, ho subito iniziato a
gustare questa esperienza che ho
realizzato di stare vivendo solamente dopo un paio di settimane.
All’inizio mi sembrava veramente di
vivere in un sogno. Ero talmente
affascinata dalle cose che mi circondavano che più di una volta mi
sono ritrovata a vagare per le strade
senza una meta precisa: per fortuna
che a St. Andrews è impossibile
perdersi! St. Andews è una piccola
cittadina scozzese sul mare. Pur
essendo molto piccola ha una grande importanza in quanto conosciuta da molti come la patria del golf.
Non a caso proprio qui si trova il
più antico campo del mondo.
Inoltre, essa è la sede della più antica università della Scozia e ciò si nota moltissimo in primis tra gli studenti, immersi nelle antiche tradizioni che tale università porta
avanti e conserva gelosamente. Tutti gli studenti indossano una toga rossa, che portano orgogliosamente non solo durante le cerimonie ufficiali, ma anche semplicemente al posto del cappotto. C’è una particolare simbologia nell’indossarla: quelli del
primo anno la devono portare ben allacciata, su tutte due le spalle. Quelli del secondo anno devono lasciare scoperta una spalla, mentre quelli del terzo e quarto anno,
i cosiddetti honours, la portano scoprendo tutte due le spalle: nemmeno il vento più
gelido li può costringere ad alzarla per coprirsi!
Un’altra tradizione di questa università è quella della “famiglia accademica”: ogni
matricola durante la Freshers’week (settimana delle matricole) deve trovare una
mamma e un papà “accademici” (ossia devono aver studiato a St. Andrews almeno
per anno), che hanno il compito di aiutare lo studente nel suo percorso accademico.
Tale “genitori” organizzano inoltre cene e feste durante l’anno, ma soprattutto nel
Raising Weekend. È un momento che tutti aspettano con ansia e che nello stesso
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tempo terrorizza le matricole. Mi spiego meglio: tale festa consiste in due giorni di
completa follia. Tutti i “genitori”, nel proprio appartamento, organizzano la festa per
i “figli” e non solo, perché chiunque è ben accetto. Quindi, passando per le strade in
quei giorni, si può udire ovunque un gran fracasso, tra musica, drink e urla goliardiche. Le povere matricole devono partecipare ad una serie di giochi divertenti ma
anche umilianti, la cui punizione è ovviamente una bella bevuta (tipica tradizione
scozzese!). La grande iniziazione delle matricole consiste, però, nella battaglia con
la schiuma da barba nel prato del Quad, il cuore dell’università. Questo è il famoso
Raising Monday a
cui, fortunatamente,
sono riuscita a sfuggire (non sono mai
stata così felice di
avere lezione!). Ed è
qui che i “genitori
accademici” possono
sfogare la loro fantasia, visto che devono
vestire, o meglio
“svestire” (nonostante le condizioni climatiche) i loro figli
adottivi nel modo più
ridicolo possibile.
Riguardo l’università,
per parlare di cose serie, sono rimasta assolutamente sbalordita dall’organizzazione:
non c’è una cosa che non funzioni, a partire dal sito internet fino ad arrivare ai vari
uffici. Qualsiasi problema tu abbia, viene risolto in un attimo e sono tutti disponibili e gentili. C’è addirittura un ufficio che si chiama “ASK” a cui ci si può rivolgere per
fare qualsiasi tipo di domanda: davvero molto utile per gli studenti Eramus che sono
ovviamente spaesati!
Il metodo di insegnamento è completamente diverso: oltre alle classiche lezioni ci
sono i cosi detti tutorial, in cui c’è un piccolo gruppo di massimo di cinque studenti
con il professore. Questi corsi servono per discutere gli argomenti affrontati a lezione e commentare i libri letti per il corso. All’inizio, confesso, è stato scioccante!
Però, in questo modo, mi sono resa conto di essere più seguita e di non trovarmi
alla fine del corso con mille cose ancora da studiare. Durante i tutorial, inoltre, si
crea un clima molto più confidenziale e si può liberamente fare domande sulle cose
che non sono chiare, o approfondire gli argomenti più interessanti.
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La cosa che maggiormente mi è risultata difficile, è stata il dover scrivere dei saggi
in inglese accademico. Per ogni corso, circa ogni mese, bisogna consegnare dei
saggi sulle tematiche inerenti al corso, cosa che non è assolutamente stata facile. La
difficoltà più grande è stata quella della barriera linguistica: l’accento scozzese è
tutt’altro che facilmente comprensibile!
Come tutti coloro che hanno fatto questa esperienza, posso affermare senza nessuna
esitazione che l’Erasmus aiuta veramente ad allargare gli orizzonti. Uscire dalla propria realtà e conoscere un’altra cultura
cambia completamente la prospettiva di
vedere le cose.
Il vivere in una realtà
così diversa dalla propria e a stretto contatto con persone di
varie nazionalità, crea
un’atmosfera di unità
e confidenza, in particolar modo a St.
Andrews, dove gli
studenti sono per il 40 % stranieri . Molti dicono che l’Erasmus ti cambia la vita. Non
credo di essere d’accordo con questa affermazione, ma di certo è un’esperienza indimenticabile.
Spesso quando parlo con qualcuno che ha studiato all’estero, la prima domanda che
viene in mente è “Ma quanto ti sei divertito?”. Senz’altro l’Erasmus è anche questo
ma non solo. Ci sono momenti di
divertimento, ma anche tante difficoltà: la lingua, l’adattarsi alle nuove
abitudini, il convivere con culture
diverse. Qui in Scozia anche il clima
gelido e piovoso fa rende la vita un
po’ difficile. Soprattutto adesso, poi,
dopo quasi tre mesi qui, comincio a
sentire la lo nostalgia di casa. Sono
sicura che appena tornerò a Verona
mi mancherà da morire questo posto
meraviglioso e così affascinante!
Khamenka Yulyia
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Le tesi delle nostre neolaureate
1) L’obbligo di denuncia da parte dell’assistente sociale: interferenza tra norme deontologiche e giuridiche in rapporto al reato di clandestinità (laurea magistrale in Progettazione e
attuazione di interventi di servizio sociale ad elevata complessità)
Nell’esercizio della professione, l’assistente sociale è chiamato all’osservanza e al rispetto di
norme deontologiche e giuridiche. Nel suo operato il professionista salvaguarda la centralità
della persona, assicurando il riconoscimento dei diritti sociali e civili garantiti dalla
Costituzione. Con l’emanazione del “pacchetto sicurezza” è stato introdotto il reato di clandestinità e ciò induce, da una parte, l’assistente sociale a denunciare il fatto (secondo l’art.
331 c.p.p.), ma, dall’altra, a predisporre un intervento di aiuto e sostegno a favore dello straniero irregolare. Questa conflittualità normativa limita e ostacola l’operato degli assistenti
sociali che lavorano con i soggetti immigrati.
Serena De Mani
2) La fidelizzazione del cliente in una prospettiva di Retail Banking (laurea triennale in
Economia e management delle imprese di servizi)
Il lavoro di tesi svolto analizza il contesto competitivo in cui operano le odierne imprese
commerciali, con l’intento di offrire loro i principali driver utili per fidelizzare il cliente. In
particolare, ho implementato tali concetti al retail banking, ponendo soprattutto attenzione
al mondo delle BCC, analizzando le tecniche, gli strumenti e le innovazioni di fidelizzazione utili a incrementare il loro livello di competitività.
Anna Marini
3) “Industrias y andanzas de Alfanhuì”: un’anomalia nel panorama letterario degli anni cinquanta (laurea triennale in Lingue)
Il lavoro di tesi in letteratura spagnola analizza un’opera dell’autore italo-spagnolo Rafael
Sánchez Ferlosio, pubblicata nel 1951, quindi in pieno franchismo. In questo particolare contesto storico, gli autori in generale optavano per uno stile realista che fotografasse nei minimi dettagli la realtà. Contrariamente a queste tendenze Ferlosio, con questa sua prima opera,
predilige la fantasia, l’immaginazione e l’irrealtà. Descrive le avventure di un bambino senza
nome, Alfanhuí, che costruisce da sé la propria identità intraprendendo un viaggio fantastico nelle terre della Castiglia. Entra in contatto con personaggi quasi magici che lo accompagnano nel suo percorso di crescita, che culmina nella scena finale con il raggiungimento della
piena maturazione e con l’abbandono definitivo dell’infanzia. Ovviamente, molti critici hanno
cercato di interpretare l’opera collocandola a metà strada tra un racconto fantastico, un racconto picaresco e un romanzo di formazione.
Laura Peserico
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Comunità di Fontanafredda
Assemblea annuale “Amici di Fontanafredda”
Giovedì 11 novembre 2010, in un clima di familiarità, di ascolto e di festa, si è svolta
l’assemblea annuale dei soci, aperta a tutti gli amici che in qualsiasi modo collaborano, si sentono legati e condividono le finalità della Casa di Spiritualità.
Attualmente fanno parte dell’associazione quasi 150 persone, un numero che è andato crescendo negli anni; all’assemblea era presente circa un centinaio di soci.
Il nostro Presidente signor Luigi Cordioli con la sua consueta affabilità ha salutato e
ringraziato tutti i partecipanti e in particolare suor Angiolina, la nuova Superiora
Generale eletta nel Capitolo dello scorso luglio.
Nel suo intervento, suor
Angiolina ha fatto convergere la nostra attenzione
sulle due parole: CASA
(di) SPIRITUALITA’, invitando l’assemblea ad
esprimere quello che ad
ognuno veniva alla mente
pensando a queste parole.
Prendendo poi spunto
dalle numerose indicazioni che sono uscite ci ha
fatto riflettere sull’importanza della Casa di Spiritualità come luogo di accoglienza per ritrovare se stessi e Dio
e sul nostro ruolo di laici che ne condividono lo spirito e a vario modo collaborano
per il suo funzionamento.
E’ stato poi proiettato un breve DVD, preparato dal professor Pino Passarelli, direttore della Libera Accademia di Fontanafredda, per ricordare Lida Poli, deceduta in
un grave incidente stradale il 5 maggio scorso. Proprio all’assemblea annuale dello
scorso anno, inaugurando la “Sala dell’Angelo” completamente rinnovata, Lida ci
aveva presentato, con il suo consueto entusiasmo e con un linguaggio che spesso
pareva poesia, una articolata riflessione sulla figura e la presenza degli angeli nella
nostra vita. Suor Raffaella Maria ha presentato a grandi linee la vita della Casa e le
varie proposte formative e di spiritualità che si succedono durante l’anno.
Il Presidente ha fatto una breve relazione sui vari interventi di manutenzione svolti dai soci collaboratori ed ha proposto dei possibili interventi da realizzare per la
funzionalità della Casa.
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Alla fine è stato presentato il bilancio dell’associazione che l’assemblea ha approvato all’unanimità.
Nella sala da pranzo sottostante è seguito un momento di fraternità e di festa con la
condivisione di dolci, vino e bibite e la castagnata offerti dalla Casa, mentre i soci
hanno avuto la possibilità di rinnovare l’adesione all’Associazione.
La serata è stata allietata dalla presenza del coro “Dieci più Uno” di Valeggio che ci
ha intrattenuto con varie canzoni del suo repertorio.
Guardando al cammino fatto in questi cinque anni trascorsi dalla fondazione della
nostra Associazione non possiamo che ringraziare la Provvidenza per la partecipazione e la disponibilità di tanti amici. Ma il cammino deve proseguire, sia per coinvolgere “forze più giovani”, sia per dare concretezza all’impegno di formazione che
ci siamo presi, in occasione del X° Capitolo dell’Istituto, per approfondire la conoscenza del carisma mazziano, creare forti legami di fraternità e aiutarci a passare gradualmente dalla collaborazione alla corresponsabilità.
Elio Scala
Comunità missionarie
Carissimi
Non c’è festa di Natale che non ci porti a ricordare tutte le persone care con le quali,
sia pure in modo diverso, siamo entrate in relazione durante il cammino della vita; a
sentire voglia di comunicare buone notizie!!!
E’ il Natale di Gesù, l’avvenimento storico unico al mondo che come cristiani ci interpella profondamente e ci coinvolge nella missione di rivelare a tutti l’Amore misericordioso del Padre.
Para que o homem suba às sumas alturas,
desce o Deus do Céu para creatura.
(Perché l’uomo salga sulle vette dei monti,
Scende Dio dal Cielo per la sua creatura)
canta con molta devozione il popolo brasiliano.
Che meraviglia! Credete! Il nostro Dio è presenza: accoglie e si rivela a tutti coloro
che lo cercano!
Per le feste natalizie e per l’anno nuovo il nostro augurio è che, nella quotidianità
della vita, il Signore Gesù conceda a tutti la grazia di lasciarsi coinvolgere nel Suo
mistero di DONO ai fratelli perché, collaborando attivamente alla realizzazione del
Suo Regno di Amore, Pace e Giustizia, possiamo fin da ora pregustare la gioia della
Vita Nuova e felice che il nostro Dio desidera per tutti noi.
Quest’anno 2010 è stato per noi, Suore di Don Mazza, un tempo di grazia, perché
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abbiamo celebrato il X° Capitolo Generale della nostra Congregazione. Ci siamo
incontrate tutte insieme; abbiamo pregato, studiato, riflettuto e confermato la nostra
missione tra i poveri, fiduciose di poter contare ancora sulla vostra solidarietà, essendo ancora insufficienti le
risorse locali, per garantire la
continuità dell’opera cominciata e suscitata dalla Divina
Provvidenza per soccorrere
alle necessità di tanti fratelli
che sono nel bisogno.
Per ultimo, ma non meno
importante, abbiamo eletto la
nuova Madre Generale, nella
persona di suor Angiolina
Giramonte, e le sorelle del
Consiglio Generale: nella foto
Madre Angiolina posa con noi
suore missionarie che operiamo in Brasile.
Quante cose belle per ringraziare il Signore!
Domenica 24 ottobre abbiamo concluso, nel “Centro pastorale educativo Padre
Mazza” con una santa messa celebrata da padre João Claudio, sacerdote brasiliano
della “Pia Società di Don Nicola Mazza”, il ciclo delle celebrazioni per i “330 anni”
della nostra presenza missionaria in Brasile. La numerosa partecipazione dei nostri
collaboratori dei progetti educativi “Scuola per la Vita”, del gruppo di “Laici
Mazziani”, degli animatori delle varie pastorali provenienti dalle diverse comunità
parrocchiali, dei parenti delle nostre suore e di altre persone con le quali abbiamo
vissuto e lavorato fin dall’inizio e di altre con le quali stiamo condividendo ora il quotidiano, costruendo amicizie fraterne gioiose, vere e feconde. Tutto ciò attraverso:
l’annuncio, l’ascolto e l’accoglienza della Parola di Dio che illumina e trasforma la
VITA, cura, libera, fortifica e fa crescere fino a dare frutti di Vita Nuova e di
Resurrezione (cfr. Mat 10, 7-8).
Le testimonianze espresse dai gruppi e dalle numerose persone sia qui a João Pessoa
Alto, che a Itapororoca, a Zumbì e San Paolo, che con forte commozione hanno raccontato un poco della loro storia di vita, ci hanno fatto vibrare di gioia per le meraviglie che il Signore ha fatto e che continuerà a fare nella gente, per la forza intrinseca della Sua Parola. Dice l’evangelista: “A che cosa è simile il regno di Dio, e a che
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cosa lo rassomiglierò? E’ simile a un granellino di senapa, che un uomo ha preso e
gettato nell’orto; poi è cresciuto e diventato un arbusto, e gli uccelli del cielo si sono
posati tra i suoi rami” (Lc 13, 18-19).
le suore della Comunità di João Pessoa
1980-2010: una festa, un cammino
Quest´anno ricorre il trentesimo della nostra presenza missionaria in Brasile iniziata
nell’agosto del 1980 con la partenza dall’Italia per la Paraiba, nord-est del Brasile, di
tre sorelle: suor Noemi, suor Nella e suor Rosa.
Questo tempo trascorso é stato, sia per noi che per il popolo brasiliano, un tempo di
crescita umana e spirituale, di condivisione delle gioie e delle fatiche e di accoglienza reciproca delle differenza culturali e storiche.
Le comunità che hanno accolto le prime tre sorelle, e che ora stanno accogliendo noi
arrivate dopo, hanno voluto far festa ma soprattutto ringraziare il Signore per quanto ha operato in questi trent´anni, sta operando e nel suo disegno opererà, sicuri che
non ci abbandonerà.
Così nel mese di ottobre 2010 le nostre Comunità parrocchiali hanno organizzato, in
momenti differenti per dare la possibilità a chi lo volesse di uno scambio reciproco
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nella partecipazione, un momento celebrativo liturgico e di festa, in cui tutti piccoli
e adulti, si sono resi partecipi collaborando e mettendo a servizio i propri doni, quegli stessi doni tanto cari a don Mazza che, una volta scoperti e valorizzati, possono
essere utili non solo per se stessi, ma anche alla Chiesa e alla società, come don
Nicola Mazza stesso diceva.
Tutti nelle celebrazioni hanno ricordato i momenti di preghiera e di lotta per migliorare quello cui ogni persona dovrebbe aver diritto: acqua, salute, dignità, ma hanno
anche ricordato i momenti di festa e quanto, come suore secondo il carisma mazziano e con l’aiuto di Dio, dei laici e dei ragazzi che cresciuti nel frattempo hanno
abbracciato il nostro ideale carismatico, abbiamo fatto e stiamo facendo nei progetti, nelle Pastorali e in mezzo al popolo.
Tutto questo, in un cammino voluto da Dio e iniziato in quel lontano Agosto 1980.
suor Giliola Taietta
30 anni di missione - La vita non è sempre una festa
La vita non è sempre
una festa, ma sicuramente questa festa è
vita!
Far festa nei momenti
importanti di una
Congregazione, che
da 30 anni opera con i
fratelli del Brasile, è
un modo per dire che
se la vita è generare,
la generazione costa
fatica. Tale fatica,
però, è conosciuta
solo dal Buon Dio:
cerchiamo di adorarlo nei momenti di preghiera per poi andare tra i fratelli per evangelizzare e per amarli. La vita missionaria educa noi missionari e anche coloro che
incontriamo, alla fede, alla bellezza, alla relazione; ci insegna a non guardare alla
fatica di ogni giorno ma alla meta finale, Cristo.
La nostra Comunità di S. Paolo ha celebrato in due momenti i 30 anni di missione:
domenica 10 ottobre 2010 nella Comunità Ladeira Rosa, e domenica 17 ottobre nella
Comunità Sacra Famiglia. Aiutate dal tema del primo congresso dei laici che si è svolto nella diocesi di S. Paolo, anche noi abbiamo incontrato le nostre comunitá facen26
do formazione con lo
stesso tema: “Laici
siate sale e luce nel
mondo di oggi”. La
testimonianza cristiana
è possibile solo se
siamo capaci di fare
esperienza vera con il
Cristo Risorto. Per far
conoscere don Mazza,
abbiamo presentato un
DVD durante le celebrazioni, in cui vi
erano alcuni canti missionari scelti dalle
Comunità, tra i quali uno molto bello e significativo che ci ha emozionate: Cidadão
do infinito “Cittadino dell’infinito che ascoltando la voce che diceva che manca gente
per seminare ...si è messo in fila con gli operari che lasciano tutto per annunciare il
Signore e per costruire un mondo nuovo di pace…”. Al termine, vi sono state alcune testimonianze da parte degli animatori. Tra queste, molto belle quella di di Syrlei
e di Lúcia. La più commovente sicuramente quella di Zezão: ”Vi siete fatte carico
delle sofferenze dei poveri, avete sofferto e adottato famiglie e giovani, avete migliorato la situazione poverissima di alcune famiglie, avete promosso lo studio tra i giovani fino all´università, avete preparato giovani e adulti ai sacramenti. Con voi ho
capito che questa era la passione educativa che ha spinto don Mazza, tanto tempo fa,
ad arrivare fino in Africa, non ancora evangelizzata. Quel compito educativo si sta
realizzando qui oggi in Brasile, nel nord est e nella nostra periferia di S. Paolo. Per
questo, la nostra Comunità vi ringrazia. Continuate a rimanere tra noi per molto
tempo senza dimenticare altre zone più povere. Che il Signore vi faccia crescere in
santità e in numero, per servire sempre meglio i poveri che tanto amate.”
Da ricordare sicuramente anche Nadina, donna semplice piena di fede. Si é alzata presto la domenica della nostra festa; è andata al mercato appoggiandosi al suo bastone,
camminando per un chilometro, per comprarci un mazzo di fiori. Alla fine della S.
Messa ha inviato una bambina per offrircelo, mentre lei ringraziava le nostre suore:
sembrava che le conoscesse tutte. Ha nominato per ben tre volte Joao Pessoa e Verona,
ha poi salutato Suor Edilma, suora brasilina in partenza per l’Italia, con le seguenti
parole: ”Siamo poveri ma siamo capaci di inviare anche noi missionari in altre terre.
Questa volta la mandiamo tra le suore di Don Mazza; e quando saremo noi inviate?
Certamente anche noi con il battesimo diventiamo missionari, è vero o no?”
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Finita la celebrazione Eucaristica, la coordinatrice Andrea della Comunità Sacra
Famiglia, il marito Gerson e Stella, nostra grande amica e benefattrice, ci hanno fatto
la sorpresa di portarci a mangiare in un piccolo ristorante , concludendo cosi la
nostra festa.
Ritornate a casa abbiamo ringraziato il Signore della bella giornata e nel vespro ci
siamo dette: “Lasciamoci condurre per mano da Maria nostra Madre nella pienezza
delle beatitudini. Come ci propone il Vangelo, faccia che seguiamo il suo Figlio Gesù,
per rinvigorire la nostra cristianità e il nostro essere missionari”.
Suor Rosa Melucci
In Brasile da 30 anni
Abbiamo il piacere di presentarvi un poco della nostra convivenza con la gente con
questo cordel, un modo semplice e popolare di descrivere la vita in versi, che riassume i sentimenti delle persone con le quali condividiamo la vita e la missione.
E’ stato dedicato a noi suore missionarie “brasiliane” da una donna della Comunità di
Itapororoca. Ne diamo qui di seguito la
versione in italiano.
Ricorro allo Spirito Santo
che è fonte di ispirazione.
A Dio chiedo il permesso
di festeggiare le suore di don Mazza
per i 30 anni di missione.
Amici, ascoltate i miei versi
che prendo dall’immensità dell’anima
dentro il cuore.
Il Brasile necessita
di molta pace e preghiera.
Già sono passati trent’anni di missione
che ha trasformato la gioventù
con l’evangelizzazione.
L’Italia ci invia
missionari di valore
che si uniscono in Brasile
per aiutare la gente;
hanno sparso buona semente.
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Il nostro Dio è contento.
Aiutare i poveri è una missione.
Qui a Itapororoca grande è il loro contributo
nel progetto educativo di integrazione
scolastica e sociale “Scuola per la Vita”,
preziosa semente della missione.
Scuola materna
aula di alfabetizzazione
festa per tutti: danza, teatro,
canto, informatica, ricamo,
uncinetto, pittura, sport, capoeira:
la missione continua
in una “luta verdadeira”
nell’accoglienza e nell’amore.
Le bande musicali
“Padre Nicola Mazza” e
“Rainha da Paz”
che ci donano tanta emozione
tolgono dalla strada
adolescenti e giovani
che nella condivisione dei Doni
costruiscono vere amicizie.
Anche questo è un frutto
meraviglioso della missione.
Le sementi che hanno piantato
in questa terra di missione sono:
gruppi di adolescenti, di giovani,
di sposi,
di canto, liturgia, catechesi e orazione,
pastorale dei bambini:
tutti frutti dell’evangelizzazione.
Adesso termino rivolgendomi
a tutte le suore che tanto amano
la nostra cultura, e le ringrazio
per averci insegnato a vivere
in comunità, in unione con Gesù Cristo,
che è la fonte della felicità!
a cura di suor Noemi Cavagna
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MISCELLANEA
Siria, terra di frontiera
Di questo viaggio conservo immagini di grandiose rovine, di fortezze
medievali, dei colori del deserto, ma anche sensazioni di stanchezza,
di un arrancare faticoso sotto un sole implacabile, della ricerca affannosa di un’ombra ristoratrice. Troppe cose ci sono da vedere in Siria:
nel corso della sua storia antichissima ha visto succedersi popoli provenienti dall’Africa, dall’Asia, dall’Europa centrale, dal Mar
Mediterraneo e tutti hanno lasciato un’impronta. Molte rovine sono
sepolte sotto la sabbia, altre sono state strappate al deserto, altre
ancora si sono sovrapposte.
A Damasco, per esempio, dove ora si trova la Grande Moschea eretta
nell’ottavo secolo, prima c’era la basilica cristiana dedicata a San
Giovanni Battista; ancora oggi all’interno c’è una cappella dove si dice
sia conservato il teschio del Battista, venerato anche dai musulmani
come Profeta. Prima della basilica c’era un tempio dedicato a Giove e,
inizialmente, uno dedicato al dio Haddad.
Tra le antiche città emerse dall’oblio grazie alla tenacia di qualche
archeologo (italiano, Paolo Matthiae dell’università di Roma) c’è Ebla,
una città-stato fiorente nel terzo millennio A.C. quando fu devastata e
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incendiata dagli invasori. L’incendio
però permise alle 17.000 tavolette di
argilla dell’archivio reale di cuocersi e
di arrivare fino a noi con le loro preziose informazioni sulle transazioni
commerciali, la religiosità, la giurisdizione: erano scritte a caratteri
cuneiformi e sistemate su scaffali,
suddivise per argomento! Del palazzo
reale rimane ben poco, anche perché
era costruito con mattoni a crudo, ma
abbastanza per rendersi conto della
sua imponenza.
Moltissime sono le rovine dell’impero romano, disseminate un po’ ovunque. Noi
abbiamo visitato quelle di Palmira, Apamea e Bosra, le meglio conservate e le più
spettacolari per ampiezza, maestosità e decorazioni. Per raggiungere Palmira si passa
in mezzo al deserto: sabbia, monti, rocce color ocra; per ben due volte abbiamo visto
il fenomeno dei miraggi. La strada scorre dritta in mezzo alla sabbia, c’è traffico
soprattutto di camion iracheni diretti al porto di Latakia; sembra di correre verso il
nulla, invece d’improvviso, come un miraggio appare la città con le sue palme i suoi
minareti e, staccato, un enorme complesso monumentale romano dove svettano
colonne, resti di palazzi, templi, terme, teatro… E’ una meraviglia al tramonto, quando le pietre dorate sembrano assorbire i colori caldi del cielo.
Grande impressione fanno anche le rovine di Apamea: la Via Colonnata, l’antico
cardo romano, è fiancheggiata da colonne lungo tutto il percorso, 1850 metri! Il teatro romano di Bosra costruito in basalto è perfettamente conservato, ancora funzionante, troppo invitante per non provarne l’acustica: quattro patiti del bel canto si
sono cimentati nel “Va’ pensiero” ricevendo calorosi applausi.
Lungo il viaggio abbiamo cercato le tracce del cristianesimo, difficili da individuare
se non accompagnati da un esperto. A Damasco abbiamo visitato la piccola cappella di Sant’Anania situata nel luogo in cui San Paolo riacquistò la vista, la cappella di
San Paolo e la finestra da cui fu calato quando evase dal carcere. L’unico paese a maggioranza cristiana, disseminato di croci e di madonne, è il villaggio di Maaloula,
incassato tra i monti, a 1500 metri di altitudine. Qui si trova il monastero di Santa
Tecla e, più sopra, quello di San Sergio, entrambi ortodossi; ancora oggi a Maaloula
si parla l’aramaico, l’antica lingua di Gesù. Ad Hama siamo entrati in una chiesa ortodossa per recitare una preghiera, dato che era domenica e nei dintorni non c’era una
chiesa cattolica. Era spaziosa, piena di luce, con un’iconostasi preziosa. Vi si stava
svolgendo un rito: quattro sacerdoti addobbati di paramenti dorati cantavano dialo31
gando mentre un quinto, camminando a passo svelto, percorreva tutto il perimetro
della chiesa incensando e recitando preghiere. Nessun fedele. Abbiamo pregato in
silenzio e quando stavamo per uscire sono
entrate alcune persone: hanno fatto per tre
volte il segno della
croce, hanno acceso
una candela e si sono
sedute nel banco.
Poi non abbiamo più
visto chiese “vive”, ma
solo rovine: imponenti e sontuose come
quelle delle quattro
basiliche sorte intorno alla colonna su cui
visse San Simone lo Stilita, oppure modeste come quelle delle città morte, ma sempre testimoni di un passato religioso importante.
Ma la Siria non ha ancora finito di stupirti; di ogni periodo storico importante conserva monumenti grandiosi come le fortezze costruite dai crociati, adibite nei secoli
successivi ad usi diversi e giunte fino a noi ancora in ottimo stato di conservazione.
Una di queste è il Crac dei Cavalieri, una cittadella che occupa un’intera collina, la
più grande fortezza del mondo, impressionante per i sistemi di difesa, per le “trovate” che le hanno permesso di superare indenne varie calamità naturali, per la varietà
e la funzionalità degli ambienti. Altrettanto interessante è la cittadella di Aleppo: una
collina chiara in mezzo a una distesa di edifici grigi. Di molte altre cose potrei parlare perché la Siria è uno scrigno di tesori, un vero paradiso per gli archeologi, ma è
anche una nazione viva, un crogiolo di razze dove convive l’era moderna con il
Medioevo e di cui, al volo, vorrei riportare alcune impressioni.
Per quello che ho potuto vedere i siriani sono fieri della loro terra e della loro cultura, non c’erano mendicanti né ragazzini lasciati per le strade da soli. Nel cortile della
Grande Moschea di Damasco arrivavano gruppi di famiglie, padre in testa, tanti bambini ben tenuti dietro e la mamma che li teneva a bada; si accomodavano all’ombra
dei portici in un’atmosfera festosa piena di voci e di colori. Noi, al contrario, ci sentivamo ridicoli, coperti di un mantello con cappuccio impermeabile marrone, grondanti di sudore, scalzi: questo è il prezzo da pagare per entrare a visitare la moschea,
peraltro bellissima.
Nelle città c’erano molte donne che si aggiravano per le vie, alcune in gruppo, altre
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da sole, altre ancora al seguito del marito, molte con il velo e nessuna troppo appariscente né vestita in modo succinto. Un po’ impressionanti erano le donne vestite di
nero: il viso coperto dalla punta del velo, ti passavano accanto come ombre, non si
riusciva a distinguere niente dei lineamenti: non so come facessero a vederci (in realtà
si muovevano con molta disinvoltura), né a sopportare il caldo. Chissà mai dove sarà
scritto che le donne debbano andare in giro vestite così.
Un’altra cosa che ti lascia sconcertato è il campo dei profughi palestinesi a Damasco.
In misere casupole, una addosso all’altra, vivono migliaia di persone: sanno che non
potranno mai diventare cittadini siriani anche se qui sono nati, hanno un lavoro, frequentano le scuole, vengono curati e chissà mai quando potranno ritornare in
Palestina. La Siria non ha nessun rapporto con Israele e nemmeno ti accetta se sul
passaporto hai il timbro di quella nazione. Se la guida non ci avesse portato a vedere anche la zona nuova della città con i moderni ed eleganti edifici in stile arabo
saremmo rimasti con una pessima impressione di Damasco: tolti alcuni edifici storici, la città antica si espande in una serie di vicoli stretti, maleodoranti, sporchi. Gli
alberghi invece sono moderni, confortevoli con saloni d’entrata pieni di verde e di fresco: un vero ristoro dopo una giornata al galoppo.
Interessante anche il complesso dei mercati coperti di Aleppo, ricco dei colori vivaci delle spezie, dei tessuti, dei dolci, risuonante del vociare allegro delle contrattazioni, famoso per il sapone. I venditori sono abilissimi nel rifilarti qualsiasi cosa come
autentica, le trattative sono estenuanti e, quando credi di aver finalmente fatto un
buon affare, ti accorgi di essere stato gabbato.
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Il 50% del territorio siriano è
deserto ma, ciò nonostante,
nella parte fertile riesce a
produrre ciò che serve al fabbisogno della popolazione:
importano solo le banane e
sono i più grandi esportatori
di pistacchio. Abbiamo mangiato dell’ottima frutta e
bevuto delle spremute di
melagrano molto dissetanti.
Anche il mare ha il suo fascino, l’acqua è calda e la gente
fa il bagno fino a notte. Sulla spiaggia non ci sono ombrelloni per ripararsi dal sole,
ma gruppi di palme ed è rigorosamente proibito andarci vestiti normalmente, o si
indossa il costume o via.
Un’altra cosa affascinante è il modo di sfruttare l’acqua. Ad Hama nel periodo del
Medioevo avevano costruito lungo il fiume Oronte delle enormi ruote in legno simili
a quelle dei nostri mulini, chiamate norie, che andavano a pescare l’acqua nel fiume
in basso per portarla in alto ad irrigare i campi.
Non ho potuto visitare la parte Est della Siria dove, oltre il deserto, scorre l’Eufrate.
Anche lì ci sono città ricche di storia e oasi e campi coltivati… ma questo lo scoprirò
in un altro viaggio. Se ci sarà.
Clementina Presa
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NOTE DI CASA
Sono nati:
Luca, secondogenito di Mina Maria e Massimo Guarise
Si sono laureate:
Sarah Bertoldo di Isola Vicentina (VI) in Progettazione e attuazione
di interventi di servizio sociale ad elevata complessità
Silvia Corradin di Terrazzo (VR) in Economia e management delle
imprese di servizi
Serena De Mani di Barbarano Vicentino (VI) in Progettazione e
attuazione di interventi di servizio sociale ad elevata complessità
Anna Marini di Sossano (VI) in Economia e management delle
imprese di servizi
Samanta Miglierina di Travedona-Monate (VA) in Lingue e culture
per il turismo e il commercio internazionale
Laura Peserico di Valdagno (VI) in Lingue e letterature straniere
Elda Xhaferllari di Valona (Albania) in Economia aziendale
Ricordiamo nella preghiera
coloro che sono entrati nella Casa del Padre:
Maria Benedetti, sorella di Natalina, ex allieva Collegio studenti
Silvana Zaltron , mamma di Laura Pegoraro, ex allieva Collegio
universitario
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Per conoscere don Mazza
Aveva sfornato e stava sfornando ecclesiastici ben
formati e particolarmente istruiti, professionisti e
artisti, maestre e provette donne di famiglia, insieme a giovanetti neri, maschi e femmine, che con i
missionari mazziani attendevano a un piano di
rigenerazione dell’Africa e per mezzo dell’Africa.
In generatione sua Mazza fu una delle espressioni
più significative del cattolicesimo veronese del primo Ottocento, in particolare di quello rappresentato da Antonio Cesari (1760-1828) e
Pietro Leonardi (1769-1844), dai santi Maddalena di Canossa
(1774-1835) e Gaspare Bertoni (1777-1853), in un amalgama di
sensibiltà religiose dove la “linea della Carità”, coltivata dai primi fondatori in ambiente filippino e declinata col paradigma di san Vincenzo
de Paoli, si coniugava con quella “del Sacro Cuore”, di abbandono nei
disegni divini praticata da Bertoni. Imperniando il suo ministero
sacerdotale sul confessionale e sulla direzione delle anime, prendeva le
distanze dal rigorismo diffuso per approdare da battistrada in compagnia di Bertoni alla morale e alla pietà di sant’Alfonso Maria de
Liguori, all’insegna di Deus vult omnes homines salvos fieri, di una
amicizia con Dio accessibile atutti e carica di umanità.
Rino Cona, “Nicola Mazza - Un prete per la Chiesa e la Società”
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