comunicazione di Michele Consiglio

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comunicazione di Michele Consiglio
Terzo Congresso FAI
Parigi, 11 novembre 2010
Comunicazione di Michele Consiglio
Responsabile del Dipartimento “Rete mondiale aclista”
(Assisi, 1993)
Dai documenti che trovate proposti in cartella – dove sono ripercorse tappe ed
avvenimenti che hanno segnato la storia della FAI e, in essa, il mettersi continuamente
in gioco delle ACLI e del loro complesso sistema – alla relazione del Presidente, alcune
parole tornano insistentemente. Come risposte e come domande insieme.
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Sono
parole
dense
e
piene
di
significati:
internazionalità,
autonomia,
interdipendenza, sussidiarietà, valorizzazione. E poi ancora cittadinanza,
modello associativo, federalismo.
Sono parole importanti, orientamenti concreti, convincimenti forti, obiettivi strategici
alla cui realizzazione ci siamo impegnati in questi anni.
Con quali risultati?
Karen Blixen racconta una storia che le narravano da bambina. Un uomo che viveva
presso uno stagno, una notte fu svegliato da un gran rumore. Uscì allora nel buio e
si diresse verso lo stagno e nell'oscurità, correndo in su e in giù, a destra e a
manca, guidato solo dal rumore, cadde e inciampò più volte. Finché trovò una falla
da cui uscivano acqua e pesci: si mise subito al lavoro per tapparla e solo quando
ebbe finito se ne tornò a letto.
La mattina dopo, affacciandosi alla finestra vide con sorpresa che le impronte dei
suoi piedi avevano disegnato sul terreno la figura di una cicogna.
«Quando il disegno della mia vita sarà completo, vedrò o altri vedranno una
cicogna?» si chiede Karen Blixen
Nelle improvvise accelerazione di questo nostro tempo presente e il pur nostro
apprezzabile desiderio di fare sempre di più e meglio, spesso ci fanno perdere di
vista le nostre azioni e il disegno che queste realizzano, quand’anche siano chiare le
ragioni che le ispirano e le fatiche che chiedono.
Fuor di metafora:
La geografia delle ACLI è cambiata
In questi ultimi anni, la geografia delle ACLI è cambiata. E’ successo
attraverso il Patronato – avamposto tradizionale e insieme innovatore della proposta
associativa – e per il tramite di Ipsia, ma anche per iniziativa delle Acli territoriali
(province eregioni) o per quella dei Giovani, dell’Unione sportiva e di tante altre
parti del sistema.
Per queste vie - non sempre facili, non sempre conosciute e non sempre pienamente
comprese condivise - le Acli sono in Moldavia e in Bosnia, sono in Marocco –
costrette a ragionare su diversità irriducibili che pure mai rendono impossibile
collaborazione, scambio e dialogo – e sono in Palestina. Ormai da tempo, sono in
Albania, Kossovo e Kenia. Oltre ovviamente in tutti i Paesi dell’antica emigrazione.
Si sono impegnate in progettualità inedite, rivolte a soggetti diversi e diversificati.
Dai giovani italiani in mobilità lavorativa – come si dice oggi – a Londra e Bruxelles
agli anziani poveri e senza assistenza sanitaria di San Paolo e a Buenos Aires, ai
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bambini che frequentano il nido bilingue di Enaip Svizzera, ai tanti migranti che si
muovono in cerca di condizioni di vita e di lavoro migliori e cosi via…
Sono a sostenere una cultura del lavoro, fatta di persone in carne ed ossa e di storie
e vissuti che molto hanno ancora da dire e da dare, che non si faccia giocare dalla
versione mercantile dell’internazionalità, cioè quella globalizzazione che tutti
coinvolge e minaccia, mettendo in campo una interdipendenza nelle perdite e
mai nei profitti.
Sono dappertutto le ACLI, attraverso l’impegno per uno sviluppo sostenibile, le fonti
rinnovabili, la salvaguardia dell’ambiente, il disarmo, il commercio equo e solidale,
la pace…con il lavoro del Dipartimento Pece e sviluppo.
Queste ACLI che non riusciamo a guardare tutte intere non sono delle ACLI a pezzi.
E’ forse questa la ragione se non più vera certamente più urgente che ha portato
alla nascita del Dipartimento “Rete mondiale aclista”.
Una nascita salutata all’inizio forse con qualche scetticismo che ha scontato una mai
risolta – e forse mai risolvibile – composizione della diatriba tra autonomia, delle
single Acli Nazionali, e dipendenza dalle Acli Italiane, in cui l’inserzione correttiva
del principio sussidiarietà non è riuscita ancora a porre definitivamente rimedio.
Il 2006, anno del nostro precedente congresso, è l’Anno europeo per la mobilità
dei lavoratori. Dal 1° maggio diventa operativa la direttiva UE sul diritto dei
cittadini a circolare e risiedere liberamente nei Paesi membri.
A gennaio, viene promulgata la prima enciclica di Benedetto XVI “Deus caritas
est”. In America Latina c’è aria di grande cambiamento: Michelle Bachelet diventa
presidente del Cile: la prima donna nel continente; Evo Morales è il primo
presidente indio della Bolivia; Chavez è confermato in Venezuela.
In Italia, Giorgio Napolitano è eletto presidente della Repubblica e il governo
italiano approva il decreto sulla previdenza complementare che permette il decollo
dei fondi pensione dal 1° gennaio 2007.
In novembre, pochi giorni dopo la conclusione del congresso FAI, le ACLI
ricordano a Berlino i 60 anni dall’istituzione del segretariato per l’emigrazione. E
l’anno dopo, 50° anniversario della firma dei trattati di Roma, in Canada si
celebrano i 50 anni del Patronato. A marzo, esce il primo numero della rivista ACLI
Mondo, con redazione a Roma, e a fine ottobre l’Assemblea della FAI delibera le
modifiche statutarie. La Federazione esce dal congresso di Orvieto rinnovando e
riaffermando il patto associativo e federativo, ma di fatto con una operatività
ridottissima, emblematicamente rappresentata dalla chiusura della sede di
Bruxelles, dove pure si mantiene il recapito legale.
E’ per questo che nella relazione organizzativa e nel documento congressuale trovate
il riferimento ad un arco temporale ridotto rispetto a quello che ci separa da Orvieto e
che coincide con l’operatività del Dipartimento “Rete mondiale aclista”, nato in ottica
sussidiaria all’indomani del congresso nazionale delle ACLI italiane.
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Dal Congresso di Orvieto e poi in particolare dal luglio 2008 ad oggi, la FAI,
sostenuta dal Dipartimento, tuttavia ha ripreso a pieno la sua attività, riavviando
percorsi interrotti ma soprattutto aprendo nuove piste di lavoro, nuovi
luoghi organizzativi e di confronto, sostenendo nuove progettualità.
Alla base di tutto questo fare, che è stato tanto – ne potete avere contezza
scorrendo il Report delle attività – c’è stata una precisa volontà e un ben definito
obiettivo: quello di valorizzare l’enorme patrimonio di esperienza accumulato
dalle ACLI nel mondo, rimettendolo in gioco, ponendolo di fronte alle sfide
nuove di questo tempo, dandogli voce, gambe e coraggio, senza la fretta di
andare subito all’incasso e la paura di perdere.
Valorizzare un patrimonio di tutta la nostr aesperienza a partire da quella spesso
dimenticata dell’emigrazione– lo scandalo di Pompei ce lo ricorda amaramente –
vuol dire assicurargli un futuro.
Internazionalità delle ACLI
Perché abbiamo insistito e insistiamo tanto sulla internazionalità delle
ACLI?
Attraverso questa dimensione, che abbiamo nominato come costitutiva e insieme
“naturale” delle ACLI, abbiamo riletto la storia delle ACLI e della FAI, abbiamo
promosso ricerca e riflessione, tastandole il polso, interrogandone la vitalità e gli
esiti attraverso i numerosi seminari e incontri che non sto qui ad elencare.
Questa internazionalità si tratta per noi di una dimensione fondamentale ma bisogna
intendersi bene su cosa sia.
L'internazionalità è consapevolezza profonda della necessaria, ineludibile
interdipendenza di tutti e di ciascuno. E’ per questo che diciamo che
l’internazionalità è per noi obiettivo e metodo di lavoro, ingrediente necessario alla
produzione di pensiero e intelligenza sul mondo e nel mondo.
La relazione del Presidente della Fai Andrea Olivero di questa mattina è quanto mai
chiara ed esplicita su tale questione e ci traccia un inequivocabile percorso.
E’ una questione centrale e oggi particolarmente critica, come testimonia anche la
messa a tema della povertà nel seminario che si aprirà questo pomeriggio.
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Oggi, in particolare a causa della crisi finanziaria ed economica, dobbiamo
riconoscere che l’accelerazione che gli eventi hanno dato alla società sono tali da
dover rimodulare il nostro essere associazione internazionale.
Si pensi a quanto le politiche finanziarie dei Paesi in cui siamo presenti, in questi
ultimi anni, hanno causato espulsioni dal mondo del lavoro richiamando tutti a
nuove e più urgenti responsabilità. A queste sono seguite aumento della povertà e
diminuzione di risorse che, sempre più limitate, minano un welfare attento ai bisogni
delle persone in difficoltà e delle famiglie.
L’affievolirsi inoltre dei diritti sta ponendo ovunque interrogativi sulla
tenuta della democrazia e della libertà in molti Paesi.
La stessa questione migratoria è divenuta cartina di tornasole di una precarietà di
diritti a tal punto che bisogna essere costantemente in stato di allerta per evitare
che la coesione sociale venga compromessa e alzata la soglia della conflittualità.
Alla questione migratoria si aggiunge una mobilità del lavoro, (tema trattato nel
seminario di ieri del Patronato) soprattutto in ambito dell’Unione Europea ma non
solo, che richiama alla esigenza di rileggere il concetto di cittadinanza in funzione
delle mutate opportunità di lavoro.
Ma anche il lavoro insieme alla sua organizzazione diviene il “luogo” da cui
ridisegnare scelte e strutture per tornare a dare senso e speranza in un momento
tanto buio. Nel Sud come nel Nord, nell’Est come nell’Ovest del mondo.
Le maggiori preoccupazioni, dunque, che attanagliano le popolazioni a livello
internazionale e su cui dovranno adoperarsi nei prossimi tempi i governi, sono in
buona sostanza e sintetizzo: il futuro del welfare e del lavoro, la sicurezza e la
migrazione.
Saranno propri questi i temi in cui le ACLI nel mondo, tutte le Acli e quindi la FAI,
dovranno essere capaci di elaborare per portare un proprio contributo creativo, per
partecipare attivamente al dibattito che si animerà sempre più all’interno delle
società civile e della politica internazionale. Basti pensare, e rimango ad uno
sguardo solo italiano, a quanto accade con la vicenda Fiat: Secondigliano e la
Polonia, Mirafiori e la Serbia. Sono temi che non possono essere piùaffrontati solo in
una dimensione nazionale.
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Sapersi dunque confrontare con queste e altre sfide che interpellano la società
internazionale significa assumere la pedagogia della interdipendenza che ci fa
tutti responsabili di tutti.
Di fronte allo scomporsi di tante certezze e al cedere di tanti ideali di riferimento, si
rischia una rassegnazione che potrebbe favorire qualsiasi sopruso. Al contrario le
società, le persone, hanno bisogno di essere animate a produrre uno scatto d’anima
per superare crisi, contraddizioni, e recuperare un profilo etico che innalzi la qualità
della vita e incoraggi una progettazione politica ed economica per il bene di tutti e di
ciascuno.
Si potrebbe dire, e non appaia consolatorio, che come conseguenza di ogni crisi
forte c’è la rinascita. Questa arriverà, e i ricorsi storici lo insegnano, solo dopo un
lungo e travagliato periodo di difficoltà sotto ogni profilo come stiamo vivendo. Essa
potrà essere davvero tale se tutti contribuiremo, anche con modalità diverse ma
tendenti tutte allo stesso obiettivo, a ricostruire un tessuto etico ancor prima di
quello politico. Se tutti saremo capaci di cogliere dalla crisi l’aspetto positivo dei
semi del Verbo che comunque in essa sono presenti. Questo è un pezzo del nostro
mestiere associativo.
Le ACLI nel mondo devono rendersi consapevoli che il patrimonio storico di
cui dispongono è tale da rendere possibile il superamento di quelle barriere che,
oggi, sembrano arrestarla in quell’autosufficienza che rischia di farle mettere in
secondo piano quei valori di democrazia, di libertà, di spiritualità che le
appartengono fin dalle origini.
L’internazionalità è la prima sfida proprio per uscire da questo rischio!
Perché la globalizzazione non è una malattia che prima o poi passa.
E credo che la questione dell'internazionalità può servirci a mettere finalmente in
luce - e poi alle corde - il nostro generale “provincialismo”, o il “Nazionalismo”, il
cominciare e finire a noi, lo sguardo e il fiato corto, la compartimentazione forzata
perfino delle teorie e delle ipotesi, in una parola: il difetto dello sguardo.
Come dei bambini che giocano a nascondino, pensando di non essere visti perchè
non vedono, abbiamo vissuto senza vedere parti enormi di mondo, indifferenti a ciò
che vi accadeva e perchè.
Ma il mondo c'è, tutto quanto, e non guardarlo non si può più.
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Questo
spesse
volte
è
terribile,
soprattutto
per
chi
non
è
abituato
a
quest'affollamento. Ma è l'unica intelligenza (quasi infinita) che abbiamo da
guadagnare.
Dunque, l'internazionalità è anche questa consapevolezza, della propria
parzialità condizionata e insieme della propria libertà infinita.
Certo,
può
fare
forse
dispiacere
constatare
che
a
questo
piano
-
dell'internazionalità necessaria - ci abbia chiamato la crisi, quella finanziaria ed
economica ma anche del lavoro, con la dislocazione di produzioni ed esseri umani,
che poi in estrema sintesi ha voluto dire cambiare radicalmente il senso del lavoro e
dello sviluppo, in una direzione assai diversa da quella del progresso umano, della
libertà e della democrazia.
E dunque, quello che abbiamo avviato insieme in questi ultimi anni è un processo
culturale fondamentale e necessario, che pone al centro la valorizzazione ma non
teme la discontinuità, e che si propone di far sintesi delle elaborazioni e delle
esperienze del sistema ACLI, anche per individuare nuovi modelli di sviluppo
associativo.
L’insistenza sullo sviluppo locale, sull’esigenza di essere ovunque, nelle societàe
nei Paesi che abitiamo, protagonisti e promotori dello sviluppo sociale locale e di
quello associativo, ha segnato tutto il percorso della FAI e del Dipartimento di questi
ultimi tre anni, a partire dalla stagione congressuale fino ad oggi.
“Ma quali sono i modelli sociali, associativi e partecipativi che le Acli hanno
proposto e realizzato? E oggi, quei modelli valgono ancora? A chi si rivolgono e chi
escludono? Che conti hanno fatto con il cambiamento e la moltiplicazione delle
domande che provengono dal tessuto sociale? Si tratta di modelli “consapevoli” e tra
loro dialoganti? In che lingua e a quali contesti parlano?”
Sono questi alcuni degli interrogativi che ci siamo posti nel corso dei lavori della
nostra ultima Assemblea generale di Milano e che disegnano la traiettoria del nostro
impegno comune.
Nel porceli, una risposta l’abbiamo già data, ponendo in campo un’opzione forte sul
“come” vogliamo procedere.
“Molteplici sono i progetti che il sistema delle ACLI realizzano in varie parti del
mondo, ma quale che sia il progetto o il Paese dove esse operano, la loro azione è
sempre ispirata all’unità della famiglia umana e al paradigma della fraternità
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universale, valorizzando le varie forme di dialogo tra le culture e le religioni, e
rifiutando ogni discriminazione fondata sulla razza, il sesso, la cultura o la religione
come contraria ai diritti umani...”.
Quest’ultima affermazione l’abbiamo condivisa nello scorso congresso FAI. Ed è un
impegno e una promessa insieme.
La “rete” che sta nel nome del nuovo Dipartimento vuole indicare la modalità con
cui le Acli “tutte” intendono realizzare quell’unità: attraverso una progettualità
comune e condivisa, attraverso lo scambio e il confronto, favorendo la conoscenza e
la valorizzazione delle esperienze di ciascuno, riattivando e rafforzando relazioni.
Nato a sostegno del progetto della FAI e della sua realizzazione, il Dipartimento ha
lavorato sin da subito a quella che forse con brutta espressione chiamiamo
“integrazione di sistema” e ad ampliare e rafforzare le rete inter-associativa.
Internazionali perché, abbiamo detto dunque, ma anche come e con chi.
Voglio richiamarla perché forse a qualcuno potrà apparire piccola cosa, ma non è così.
L’indagine sulla percezione di povertà e impoverimento che abbiamo portato
avanti nei diversi Paesi europei, al pari e di più dell’interrogazione che abbiamo
assunto sulla dimensione organizzativa in occasione della COP italiana, sono
testimonianza che il lavoro della FAI e del Dipartimento, e direi di più dei
Dipartimenti e Funzioni delle Acli Italiane (Welfare, Studi …), ha interpretato una
necessità diffusa di condivisione e direi quasi di “visione” da parte delle diverse ACLI
nazionali,
rafforzate
nella
loro
capacità
propositiva
dalla
creazione
del
Coordinamento dei presidenti.
Ma il percorso che abbiamo intrapreso chiede impegno e continuità. Considerare
l’internazionalità come processo e come apprendimento vuol dire mettersi nella
dimensione formativa con determinazione. Valorizzare il patrimonio di esperienze e
saperi non è un’istanza ideale: è un progetto che chiede cura e responsabilità.
Abbiamo bisogno, come Acli Nazionali e come Fai di una politica “Estera” unitaria
sintesi delle riflessioni e delle esperienze di tutti i soggetti che operano nella
dimensione della “Mondialità”.
Difendere e valorizzare il prezioso patrimonio della nostra emigrazione, lo dico non
solo alle Acli in giro per il mondo ma anche alle Acli italiane, alle province e alle
regioni, vuol dire legare quelle radici e quelle memorie ad una dimensione di
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“internazionalità” così come abbiamo cercato di dire con questa mia comunicazione
e soprattutto con quella del presidente della FAI.
Tenere insieme, includere e non escludere è un compito non facile. Ma è il nostro
compito.
Io credo che dobbiamo lavorare nella direzione in cui non ci possano e non ci
debbano essere politiche estere separate nel sistema Acli mondiale.
Non c’è la politica estera di un singolo Paese, o di un servizio o di una associazione
specifica.
Voglio particolarmente insistere su questo aspetto perché ritengo, come ci ha
richiamate il Presidente Olivero nella sua relazioni, che questo Congresso deve
segnare anche da questo punto di vista una “Discontinuità”. Credo che questa sia
una condizione non solo necessaria, ma indispensabile per continuare il lavoro che
abbiamo fatto, per dare una dimensione al tempo stesso costitutiva e innovativa
della nostra presenza mondiale.
Non mi sono soffermato su alcune questioni, che interessano molto agli italiani nel
mondo, non perché li ritengo secondarie, ma perchè credo che il rilancio e la
rigenerazione associativa del fare Acli in Italia e nel Mondo ci richieda le riflessioni
che abbiamo tentato di mettere in campo questa mattina e che erano già contenute
nel documento preparatorio a questo nostro Congresso.
E quindi, le cito solo per capitoli, si inseriscono temi quali:
o
i tagli contenuti nei recenti provvedimenti governativi
o
il voto degli italiani all’estero
o
la rappresentanza e la partecipazione in ordine alle elezione di Comites e del
CGIE
Su tali questioni vorremo produrre degli ordini del giorno del Congresso.
Conclusioni
Lo ha detto molto chiaramente il Presidente della FAI Olivero, nella sua relazione di
apertura, e voglio ripetere le sue parole: “La Rete Mondiale Aclista deve allora
sentire la responsabilità di promuovere anche il PERCORSO di approfondimento della
nuova internazionalità, facendosi luogo e stimolo di formazione, partecipazione e di
valorizzazione delle diverse esperienze”.
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Dobbiamo accettare INSIEME questa sfida e insieme per me vuol dire con le gli
organismi che eleggeremo in questo congresso, con il Coordinamento (Conferenza)
dei Presidenti, con le diverse Acli Nazionali, con i Dipartimenti e Funzioni delle Acli
Italiane, con le Regioni delle Acli (che qui sono rappresentate nella delegazione
italiana), con i Servizi e le Associazioni specifiche.
Dobbiamo nella dimensione della interdipendenza aiutarci ad uscire da una certa
autoreferenzialità.
Credo che questo nostro appuntamento parigino, per il numero di eventi (Patronato,
Giovani, FAI, ...) possa rappresentare un segnale di un viatico, seppur faticoso, che
si può veramente intraprendere.
Infine, voglio ringraziare tutte le Acli Nazionali per la disponibilità manifestata tutte
le volte che abbiamo organizzate visite nei diversi Paesi in Europa e in America
Latina in particolare, il Patronato, Ipsia il Dipartimento Pace e a tanti altri, penso ai
Giovani delle Acli e all’Us Acli per il percorso avviato in Brasile… e a quanti ne
verranno.
E ancora ringraziare quanti hanno collaborato ad organizzare questi eventi di oggi e
di domani e in particolare il Dipartimento Welfare e le Funzioni Studi e
Progettazione.
Grazie!
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