Federica Lodi: dal Carlino a Sky
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Federica Lodi: dal Carlino a Sky
Federica Lodi: dal Carlino a Sky La conduttrice: «È il lavoro più bello del mondo, non potrei fare altro» T alento e spirito di sacrificio: queste le caratteristiche per diventare giornalisti. Federica Lodi, ferrarese e conduttrice di Sky Sport 24, dopo essere stata presente alla Tavola Rotonda organizzata in occasione del decennale del nostro giornalino, ci ha raccontato la sua carriera, le gioie e le difficoltà di un mestiere affascinante come quello del cronista. Cosa ti ha portato a svolgere il tuo mestiere? «Ho sempre amato la scrittura e, durante gli anni delle scuole superiori, sono perito aziendale e corrispondente in lingue estere, ho deciso che il mio futuro avrebbe dovuto essere nel mondo del giornalismo. Perlomeno, a metà anni ’90, ho deciso che avrei voluto fare un tentativo. Nel 2000, durante il primo anno di Scienze della Comunicazione, ho iniziato a collaborare con Il Resto del Carlino e ad amare, giorno dopo giorno sempre più, questo bellissimo mestiere». Come hai fatto a passare da una testata locale come Telestense ad una nazionale come Sky? «Dopo anni di gavetta, trascorsi a Telestense ma anche, in contemporanea, al Carlino, all’ufficio stampa della squadra maschile di pallavolo e a Rete Alfa, ho cominciato a collaborare con Sky grazie a Pubbliteam, un service di Ferrara che fornisce troupe alle principali televisioni nazionali ma non solo. Produce anche vari programmi per Sky. Il lavoro con il service mi ha offerto la possibilità di farmi conoscere dalla redazione di Sky Sport. All’apertura del canale all news, sono stata corrispondente da Bologna, poi redattore e conduttrice in redazione a Milano». Quali requisiti servono per svolgere la tua professione? «Serve talento, abbinato a tanto spirito di sacrificio. Gli orari spesso sono proibitivi, non esistono le giornate convenzionali di festa come il sabato, la domenica, Natale, Capodanno, Ferragosto e tutte le altre, c’è tanto lavoro di “cucina”, ovvero tutto ciò che non finisce sotto i riflettori. Bisogna armarsi di pazienza: servono tanti anni di gavetta, spesso purtroppo mal retribuita e con poche soddisfazioni. Serve fortuna ma bisogna anche saperla aiutare, per essere al posto giusto nel momento giusto». Come è organizzato il lavoro in una redazione televisiva come Sky sport 24? «Sky Sport 24 è in diretta ininterrottamente dalla mattina alle 7 all’una di notte. La redazione è organizzata in tre turni di lavoro: dalle 5 alle 12, dalle 10 alle 18 e dalle 17 all’una. In ogni turno, oltre a una coppia di conduttori, c’è una squadra di lavoro al pod e una all’intake. Il pod è la sezione della redazione che si occupa della messa in onda: compila le scalette, prepara le immagini di copertura, si occupa dei titoli del telegiornale e coordina i conduttori. L’intake, invece, si occupa della scrittura e della copertura dei servizi e di lavorare il materiale che arriva dagli inviati». Da dove è nata la tua passione per lo sport? «Ho sempre seguito e amato lo sport. Da bambina mia sorella e mio papà mi portavano al Paolo Mazza e, sempre con loro, seguivo il calcio in tv. Ma la mia vera passione è sempre stata la pallavolo: mi sono entusiasmata per il volley grazie alle Olimpiadi di Atlanta 96 e l’anno dopo, nel 97/98, io, mia sorella e mio cognato non abbiamo perso una sola partita della prima stagione in serie A1 della squadra di Ferrara. È un amore folle che prosegue anche oggi». Quanto è appagante il tuo lavoro? «Parlando delle caratteristiche che servono per fare questo mestiere ho spiegato le tante difficoltà che si incontrano quotidianamente: tutto vero, ma è il lavoro più bello del mondo, io non potrei fare altro. Offre tante opportunità, ad oggi per me quella più entusiasmante è stata seguire i giochi Olimpici di Londra nel 2012, mi ha regalato soddisfazioni e sfide continue». Per quale squadra tifi? «Anche se vivo a Milano ormai da diversi anni la mia squadra resta sempre la Spal. Confesso, ho una simpatia marcata anche per una squadra di serie A, quella per cui ha sempre tifato tutta la mia famiglia, ma non posso dirvelo!».