melancolia: un problema terminologico

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melancolia: un problema terminologico
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ALMA MATER STUDIORUM
UNIVERSITA' DI BOLOGNA
FACOLTA' DI LETTERE E FILOSOFIA
Corso di laurea in Lettere
MELANCOLIA: UN PROBLEMA TERMINOLOGICO
Tesi di laurea in Letteratura Greca
Relatore ch.mo Prof: Renzo Tosi
Presentata da: Antonio Genova
Seconda Sessione
Anno accademico
2010/2011
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INDICE
Premessa…………………………………………………………………………................ P. 1
Capitolo 1
Ippocrate tra melancolia e bile nera...……………………………………… » 5
Capitolo 2
L’origine della melancolia…………………………………………………. » 32
Capitolo 3
L’interpretazione aristotelica………………………………………………. » 43
Conclusioni………………………………………………………………………………... » 51
Appendice I Il Corpus Hippocraticum............................................................................... » 56
Appendice II Problema 30, 1…………………………………………………………….. » 65
Bibliografia………………………………………………………………………………... » 76
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PREMESSA
Trattare di melancholia implica, innanzitutto, un problema di multidisciplinarità. Il
termine greco μελαγχολία, tradizionalmente connesso con la bile nera, ovvero μέλαινα χολή,
è attestato per la prima volta nel Corpus Hippocraticum.1 Seguirne l’evoluzione semantica e
concettuale nel corso dei secoli è pressoché impossibile, dal momento che esso assume diverse accezioni a seconda del contesto storico, sociale e culturale in cui si esplica, in relazione
alle differenti discipline in cui viene impiegato. Fare una storia della melancholia vorrebbe dire fare una storia dell’Antichità greco-romana, del Medioevo, del Rinascimento, proseguendo
fino ai giorni nostri; vorrebbe dire occuparsi di letteratura, arte, religione, filosofia, astrologia,
medicina e psicologia.2 Bisognerebbe, inoltre, scandagliare le profondità dell’animo umano,
perché, quando si parla di melancholia, si parla di un sentimento del tutto umano. Peter Toohey e Jackie Pigeaud, due tra gli studiosi che più si sono occupati di melancholia, hanno impostato i loro ultimi lavori proprio in questi termini.3 Toohey tenta di delineare il quadro entro
cui si verificò, tra I e II secolo d.C., nelle principali opere letterarie, un sostanziale cambiamento nel modo di presentare l’individualità e la coscienza di sé, mostrando con quali nuove
valenze venissero descritti sentimenti come melancholia, love, lovesickness e boredom. Pigeaud cerca di abbozzare una vera e propria histoire du sensu sui, dell’individuo e della sua
sofferenza interiore. Questa sofferenza appartiene alla sfera della melancholia, e ad essa fanno
riferimento i due studiosi quando chiamano in causa l’ἀμηχανία di Giasone (nel poema di
Apollonio Rodio), o l’aegritudo animi ciceroniana, o il funestus veternus oraziano, oppure il
taedium vitae di Lucrezio e di Seneca.4 Ragion per cui, fare una storia della melancholia, vorrebbe dire anche fare una storia dell’uomo e della sua interiorità.
1
Vd. infra, cap. 1, p. 6.
2
Per una storia generale della melancholia vd. Cabras-Lippi-Lovari 2005; Jackson 1986; Krämer 1994; Minois
2003; Starobinski 1960. Un’ulteriore visione panoramica, che non si ferma al mondo occidentale, ma analizza
anche l’influenza e le differenze del concetto di melancholia nella tradizione araba ed ebraica, è offerta da
AA.VV. 2010. Una raccolta di scritti sulla melancholia, dall’antichità fino all’epoca moderna, è compilata in
AA.VV. 2005a; AA.VV. 2005b; Radden 2000. Saggi vari sono riuniti in AA.VV. 2001 e AA.VV. 2007. Per
altre sommarie informazioni bibliografiche afferenti a campi disciplinari più specifici, vd. passim (in particolare,
sul concetto di μελαγχολία presso i Greci, vd. infra, n. 13).
3
Toohey 2007 e Pigeaud 2008. È opportuno ricordare che queste opere rappresentano il frutto di precedenti e
importanti studi (cf. Pigeaud 1981; Toohey 1990; Toohey 1992).
4
Rientrano, inoltre, nella trattazione della melancholia, considerata come malessere dell’individuo, la solitudine
di Bellerofonte, la follia di Eracle, quella di Oreste, il suicidio di Aiace, il mal d’amore di Medea, la sofferenza
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Alla luce di queste considerazioni, risulterà più facile spiegare il motivo per cui ho fin
qui parlato di melancholia utilizzando la traslitterazione dal greco. Essa permette di riferirsi,
in un stesso momento, a tutte quelle diverse accezioni che termini come melancholy, melancholie, mélancolie o ‘melanconia’, ormai carichi di un proprio e particolare significato, frutto
di una secolare evoluzione linguistica, non farebbero cogliere a pieno. Accezioni che non si
esauriscono certo a quelle menzionate poco sopra, ma comprendono altri concetti, quali
l’ἀθυμία/δυζθυμία dei filosofi,5 l’acedia medievale,6 o la nostra ‘malinconia’.7 Questa melancholia è una sorta di ‘etichetta neutra’, nella quale non si può non includere il legame che intercorre tra Saturno-Crono e i soggetti melancolici,8 o i retaggi artistici e letterari che sottostanno all’incisione Melancolia I di Albrecht Dürer.9 Nella quale è implicata la cosiddetta
‘angoscia’ di Kierkegaard, e ancora, lo spleen di Baudelaire, la nausée di Sartre e la ‘noia’ di
Moravia.10 Senza dimenticare, infine, le prime classificazioni operate dalla psichiatria moderna, che si sforzò di dare un contorno medico-scientifico ad una patologia dai connotati tanto
indefiniti e vasti. Così Pinel nella sua trattazione sulle malattie mentali, così il suo allievo
Esquirol, il quale preferì definire la malattia melancolica come lypémanie – altro termine coniato dal greco. E così Kraepelin, che parlò per la prima volta di ‘psicosi maniaco-depressiva’,
fino ad arrivare alle idee espresse in materia dalla psicanalisi di matrice freudiana.11
È chiaro come la mia indagine, se dovesse trattare della melancholia in senso lato, si
inoltrerebbe in una sorta di ‘campo minato’, in cui sarebbe necessario fare i conti non solo
con l’evoluzione linguistica di un termine, ma anche con il diverso rapporto che quest’ultimo
ha assunto, durante tutto l’arco della storia, nei confronti del pensiero e della cultura
fisica e morale di Filottete, e molte altre passioni che travolgono i personaggi dell’epica e della tragedia (cf.
Cabras-Lippi-Campanini 1995).
5
Vd. i contributi di Pigeaud 1981, in particolare pp. 441-521; Pigeuad 1984a, 505ss.; Pigeaud 1988, 27-31;
Pigeaud 2008, 67-118.
6
Vd. Klibansky-Panofsky-Saxl 1964, 64-115; Theunissen 1996.
7
Per un primo approccio verso una storia linguistica del termine in italiano (soprattutto per quanto riguarda il
suo profilo nel Duecento e Trecento) vd. Petronio 1948.
8
Vd. Klibansky-Panofsky-Saxl 1964, 117-201.
9
Vd. o.c. p. 261ss. Una raccolta di opere figurative sul tema della melancholia è presente in Clair 2005 e Prigent
2005.
10
Il valore che il termine melancholia può assumere in campo filosofico è analizzato in Colonnello 2004. Sui
riflessi dell’umore melancolico nel romanzo moderno vd. Celati 2001, 55-110.
11
Vd. Freud 1967. Per una discussione complessiva di carattere psicologico e psichiatrico vd. Binswanger 1960;
Borgna 2008; Spinnato 2006; Tellenbach 1974. Mania e melancholia vengono confrontate nel momento del loro
passaggio dalla medicina profana alla psichiatria scientifica del XIX secolo in Foucault 1972, 231-251.
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dell’uomo. Occorre, quindi, chiarire fin da subito qual è l’obiettivo di questa tesi, limitando in
relazione ad esso il campo di studio, altrimenti «on se perd à étudier la mélancolie».12
L’intento è quello di soffermarsi sulle radici della questione, di provare, in sostanza, a
comprendere che cosa i Greci in origine intendessero con μελαγχολία,13 in quale ambiente tale
concetto venne a formarsi, con quali prospettive fu impiegato da parte dei primissimi autori
dell’antichità. Per raggiungerlo, si devono, in primo luogo, prendere in esame i passi del Corpus Hippocraticum che contengono le prime attestazioni di μελαγχολία, in secondo luogo,
analizzare il primo trattato dedicato interamente – e, come vedremo, secondo un particolare
punto di vista – alla problematica degli uomini melancolici, ossia il Problema 30, 1 attribuito
ad Aristotele, o comunque alla scuola peripatetica. Lungi dal mio lavoro è stabilire alcuna
connessione tra la μελαγχολία degli albori e la ‘malinconia’ dei giorni nostri, tra la disposizione dell’animo condizionata da una discrasia di umori e la patologia nevrotica chiamata
‘depressione’. Perché μελαγχολία non coincide con melancholia, bensì ne fa parte. Proprio
per questo mi pare opportuno partire dalle origini, spogliando il termine di tutti i suoi condizionamenti storico-culturali, basandosi esclusivamente su quello che ci dicono in merito le
prime testimonianze a noi pervenute. D’altra parte, come afferma lo psichiatra tedesco Hubertus Tellenbach, «non solo i Greci si sono posti per la prima volta domande sulla Melancolia,
ma essi hanno dato pure delle risposte – seppure non spiegate nei dettagli – che ancor oggi
sono significative. Difficilmente ci sobbarcheremmo alla fatica di seguire queste tracce lontane se non fossimo dell’opinione che in esse è tracciato un cammino di grande importanza; ancora di più: il fatto che anche oggi l’esperienza che a che fare con i melanconici prenda in
12
Pigeaud 1984a, 501.
13
I lavori fondativi, che per la prima volta trattano in maniera organica della μελαγχολία – e parallelamente di
bile nera – nella teoria medica degli Antichi, sono quelli di Flashar 1966 e Müri 1953 (soprattutto il primo
fornisce un quadro d’insieme che va da Ippocrate ad Alessandro di Tralle). Un rapido excursus è offerto anche
da Klibansky-Panofsky-Saxl 1964, 7-63; Kudlien 1967, 77-88; Timken Zinkann 1968. Essenziali per la mia
esposizione sono gli studi di Di Benedetto 1986 e Jacques 1998. Il primo compie una dettagliata analisi dei passi
del Corpus Hippocraticum relativi ai termini μελαγχολία e derivati (vd. pp. 57-69); il secondo, invece, si
concentra su quelli presenti nella commedia attica (specialmente in Menandro). Altro lavoro importante è quello
di Jouanna 2007 (ripreso in Jouanna 2006a), nel quale si opera la distinzione tra μελαγχολία propriamente detta,
temperamento melancolico e nozione di bile nera. Sui particolari punti di vista di Toohey e Pigeaud vd. supra, p.
1 (in particolare, le definizioni di μελαγχολία vengono analizzate sulla base del rapporto tra malattia dell’anima e
malattia del corpo in Pigeaud 1981, 122-133 e Pigeaud 1984a). Si segnalano, infine, Di Benedetto 2007, 17521757; García 1984; Müller 2000; Stok 1995.
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considerazione tale cammino, è possibile solo perché i Greci l’hanno scoperto».14 Da questo
contenitore che convenzionalmente ho chiamato melancholia, e del cui immenso materiale mi
sono limitato, in questa premessa, a fornire un breve elenco, quello che a noi interessa estrarre
è solo la μελαγχολία dei Greci, anzi dei primi Greci che ne hanno trattato, per comprenderne
gli elementi essenziali, per capire meglio cosa fosse, e quindi cosa non rappresentasse.
14
Tellenbach 1974, 23.
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1. IPPOCRATE TRA MELANCOLIA1 E BILE NERA
Occorre innanzitutto passare in rassegna i luoghi del Corpus Hippocraticum in cui incontriamo il concetto di melancolia.2 Con una limitazione però. Sono stati fissati due punti di
riferimento: il Corpus Hippocraticum appunto, e il Problemata 30, 1 appartenente al Corpus
Aristotelicum. In altre parole, si è circoscritto il campo di indagine al V e al IV secolo a. C.,
tralasciando di fatto le cosiddette Lettere di Ippocrate, sia quelle comprese nel Corpus sia
quelle escluse. Per Corpus Hippocraticum si intende la raccolta di una sessantina di scritti
medici, conosciuti dal Rinascimento prima in latino e poi in greco, quelli che ora compaiono
nell‟ormai datata, ma non ancora del tutto sostituita, edizione di Emile Littré.3 La tradizione li
attribuisce in toto ad Ippocrate, ma il loro carattere eterogeneo è fuori discussione. Non mi
inoltro nella discussione su quali opere ascrivere al maestro di Cos in persona, e quali, invece,
alla mano di altri fisici o discepoli della sua scuola. Di certo, è possibile individuare un nucleo
originario nel Corpus, o quanto meno, un insieme di trattati redatti tra la seconda metà del V
secolo e la soglia del III, in linea con i limiti cronologici sopra esposti.4 Il che porta a tagliar
fuori dalla mia analisi non solo le lettere, palesemente tarde, non presenti nel Corpus (Epistula ad Ptolemaeum regem; Epistula ad Ptolemaeum regem de hominis fabrica),5 ma anche
quelle che vi sono incluse, in quanto redatte probabilmente intorno al I secolo a. C., frutto della leggenda che si era formata intorno alla figura di Ippocrate in età ellenistica.6
1
In base alle ragioni espresse nella Premessa, preferisco usare il termine „melancolia‟ quando parliamo specifi-
camente del concetto di ιεθαβπμθία presso i Greci, lasciando alla traslitterazione melancholia la possibilità di
riferirsi in generale a tutto ciò che concerne tale argomento.
2
Per maggiore chiarezza riporto i passi, con relativa traduzione, in Appendice I. Ogni ricerca lessicale all‟interno
del Corpus Hippocraticum è stata condotta con l‟ausilio di Kühn-Fleischer 1989.
3
È la nostra edizione critica di riferimento (L), di cui si citano volume e numero di pagine. Allo stesso modo
viene citato Galeno, secondo la classica edizione di Kühn (K).
4
Per quanto riguarda la „questione ippocratica‟, e per le indicazioni cronologiche, contenutistiche e stilistiche dei
vari scritti, accennate nel corso della trattazione, faccio riferimento a Jouanna 1992, in particolare pp. 58-72 e
377-412.
5
Vi compaiono, rispettivamente, i termini ιεθαβπμθίαζ e ιεθαβπμθζηόξ ποιόξ (i titoli delle due lettere, accompa-
gnati dalla lista dei codici che le contengono, sono presenti in Diels 1905, 40s.). Ulteriori attestazioni del concetto di melancolia si trovano nel Πενὶ δζαθόνςκ ηαὶ πακημίςκ ηνμθῶκ e nel Πενὶ δζαθμνᾶξ ηνμθῶκ πνὸξ
Πημθειαῖμκ, anch‟esse opere pseudo-ippocratiche.
6
È d‟obbligo ricordare l‟immensa importanza rivestita, nella storia della melancholia, dalla seconda sezione del-
le ventiquattro lettere contenute nel nono volume dell‟edizione Littré (Ep. 10-21, L IX 320-392) – tra le edizioni
moderne vd. Hersant 1989 e Roselli 1998; per il solo commento vd. Temkin 1985. Questo vero e proprio roman-
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La più antica attestazione a noi pervenuta del termine ιεθαβπμθία si trova nel capitolo
10 di Arie, acque, luoghi, a sua volta uno dei trattati più antichi di Ippocrate7 (risalente alla
seconda metà del V secolo a.C.). Il termine sembra indicare una malattia non meglio definita,
più precisamente una patologia che, insieme ad altre (secchezza corporea, affezioni oculari,
febbri particolarmente gravi), colpisce soprattutto i soggetti biliosi in condizioni climatiche di
eccessiva aridità. Se si esclude un passo degli Aforismi,8 in cui vi è una chiara ripresa del brano di Aër. 10, ιεθαβπμθία compare solo un‟altra volta in tutto il Corpus, più precisamente nel
primo libro delle Malattie.9 Qui la melancolia rientra nell‟elenco di una serie di malattie definite non mortali, tra le quali ritornano l‟oftalmia e le febbri – definite in modo più specifico
„quartana e terzana‟. Ciò che manca, ancora, è la benché minima definizione per questa particolare affezione melancolica. Non sappiamo in cosa consiste, ma ne conosciamo l‟eziologia,
zo epistolare ci narra dell‟incontro tra Democrito, tacciato di follia dagli Abderiti, e Ippocrate, chiamato in soccorso dagli stessi cittadini di Abdera. La presunta follia di Democrito, che ride di ogni cosa, anche delle
sventure altrui, il suo distacco dal consesso degli altri uomini, per dedicarsi allo studio e alla riflessione, sono
tratti che lo avvicinano al carattere del genio saturnino, quale soprattutto si sviluppa dal Rinascimento in poi (cf.
infra, cap. 3, p. 43s.). Non a caso, Robert Burton (1577-1640) scrive la sua monumentale opera enciclopedica
sulla melancholia (Jackson 2001; Starobinski 2003) sotto lo pseudonimo di Democritus Iunior. In effetti, tra i
sintomi ascritti a Democrito, ci sono anche quelli che affliggono i melancolici (Hippocr. Ep. 12, L IX 330:
ζοιααίκεζ ιὲκ μὖκ ηὰ πμθθὰ ημῖζζ ιεθαβπμθῶζζ ηὰ ημζαῦηα· ζζβδνμί ηε βὰν ἐκίμηε εἰζὶ ηαὶ ιμκήνεεξ, ηαὶ
θζθένδιμζ ηοβπάκμοζζκ· ἀπακενςπέμκηαί ηε λύιθοθμκ ὄρζκ ἀθθμηνίδκ κμιίγμκηεξ). Tuttavia, dopo aver discusso
con lui, Ippocrate stesso si converte alla „filosofia‟ di Democrito, che ride non perché pazzo, ma perché gli altri
uomini lo sono, per via delle loro inutili preoccupazioni (Ep. 17, L IX 378: ἐπειεζδία δὲ θέβςκ ηαῦηα, ηαί ιμζ,
Δαιάβδηε, εεμεζδήξ ηζξ ηαηεθαίκεημ, ηαὶ ηὴκ πνμηένδκ αὐηέμο ιμνθὴκ ἐλεθεθήζιδκ· ηαὶ θδιὶ, ὦ Δδιόηνζηε
ιεβαθόδμλε, ιεβάθαξ βε ηῶκ ζῶκ λεκίςκ δςνεὰξ εἰξ Κῶ ἀπμίζμιαζ· πμθθμῦ βάν ιε η῅ξ ζ῅ξ ζμθίδξ εαοιαζιμῦ
πεπθήνςηαξ· ἀπμκμζηές δέ ζμο η῅νολ ἀθδεείδκ ἀκενςπίκδξ θύζζμξ ἐλζπκεύζακημξ ηαὶ κμήζακημξ). Alla fine,
dunque, il folle risulta essere saggio (Ep. 17, L IX 348: ημῦη‟ ἐηεῖκμ, Δαιάβδηε, ὅπεν εἰηάγμιεκ, μὐ πανέημπηε
Δδιόηνζημξ, ἀθθὰ πάκηα ὑπενεθνόκεε, ηαὶ ἡιᾶξ ἐζςθνόκζγε ηαὶ δζ‟ ἡιέςκ πάκηαξ ἀκενώπμοξ). Ma la tradizione
di un Democrito „malato di melancolia‟ si impone e perdura nei secoli (su tale misunderstanding vd. Jouanna
2006a, 57s.). Tali lettere vengono lette in chiave medico-filosofica, ossia sulla base del rapporto tra malattia
dell‟anima e malattia del corpo, da Pigeaud (cf. supra, Prem., n. 5).
7
Ormai assodato che «Il nome di Ippocrate indica, da una parte, il personaggio storico, dall‟altra l‟opera che è
stata tramandata sotto il suo nome» (Jouanna 1992, 72), mi sarà concesso di parlare indifferentemente di Ippocrate o di Corpus Hippocraticum per riferirmi alle opere mediche prese in considerazione.
8
Uno dei trattati più ricchi ed eterogenei del Corpus, non per nulla, il più letto e commentato. Anche se vi con-
fluisce, come in questo caso, materiale antico, è stato redatto dopo il V secolo. Il passo in questione è citato in
Aph. III 14.
9
Trattato più recente di Arie, acque, luoghi: si può far risalire agli anni ottanta del IV secolo.
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si potrebbe obiettare. Già nell‟antichità il collegamento tra melancolia e bile nera è evidente.10
È questa la tradizione che è giunta fino a noi, è questo quello che a prima vista emerge dalle
opere di Galeno, il grande continuatore e sistematizzatore di Ippocrate.11 Occorre quindi chiedersi, innanzitutto, quale funzione ricoprisse tale sostanza nella medicina ippocratica.
La bile nera (insieme alla bile gialla, al flegma e al sangue) richiama immediatamente
alla mente la dottrina dei quattro umori, quale viene esposta nella prima parte del trattato sulla
Natura dell’uomo.12 Essa viene considerata da Galeno il fondamento dell‟insegnamento di Ippocrate,13 e godrà di una immensa fortuna dall‟epoca bizantina fino a tutto il Medioevo.14 Ma
nel V secolo a.C. è soltanto una teoria umorale tra le tante.15 L‟importanza di Natura
dell’uomo consiste in due fattori. Primo, gli umori ivi descritti non rappresentano soltanto sostanze patogene, ma fanno parte della costituzione naturale dell‟uomo. In stato di equilibrio
10
Vd. e.g. Isid. Etym. IV 7, 9: Melancholia dicta est a nigro felle. Graeci enim nigrum ιέθακ vocant, fel autem
πμθὴκ appellant.
11
La melancolia in Galeno è chiaramente menzionata come una delle affezioni causate dalla bile nera (In Hippo-
cratis aphorismos commentarium IV 2, K XVII B 659: ηαὶ βὰν ηἀπὶ ηαύηδξ [scil. η῅ξ ιεθαίκδξ πμθ῅ξ] ἡ ιὲκ
ηαε‟ ὅθμκ ηὸ ζῶια πνόα πνὸξ ηὸ ιεθάκηενμκ ηνέπεηαζ, ηά ηε ἐλακεήιαηα ιέθακα δζὰ ηὴκ η῅ξ ιεθαίκδξ βίκεηαζ
πνόακ. ὅζα δὲ πάεδ δζὰ ηὴκ πθεμκελίακ αὐη῅ξ βίβκεηαζ, θακενῶξ ἐκδείηκοηαζ ηὸ πθ῅εμξ ημῦ ποιμῦ, ηαεάπεν
ἐθέθαξ ηε ηαὶ ηανηίκμξ. ηαὶ ιὴκ ηαὶ ἡ ηεηανηαία πενίμδμξ ἐπὶ ηῷ ιεθαβπμθζηῷ βίβκεηαζ ποιῷ ηαὶ ζπθὴκ ιέβαξ
ηαὶ ηζνζμὶ ιεθαζκόιεκμζ η῅ξ αὐη῅ξ ηαύηδξ ἔββμκα πάεδ, ηαεάπεν βε ηαὶ ἡ ιεθαβπμθία ηαθμοιέκδ ηαὶ πᾶζα
παναθμνὰ δζακμίαξ, ὀνβίθδ, εναζεῖα, εδνζώδδξ). In realtà, nello stesso Galeno, la situazione è ben più complessa (vd. infra, n. 36).
12
Questa teoria rappresenta il frutto di una combinazione di principi non solo medici, ma anche filosofici: le ca-
tegorie tetradiche postulate dai pitagorici, le definizioni (elaborate da Alcmeone di Crotone, medico pitagorico)
di salute come equilibrio di diverse qualità (ζύιιεηνμξ ηῶκ πμζῶκ ηνᾶζζξ), e di malattia come predominio di una
sola (ιμκανπία), l‟unità tra macrocosmo e microcosmo stabilita da Empedocle attraverso la dottrina dei quattro
elementi (ῥζγώιαηα). Una chiara esposizione della genesi della dottrina dei quattro umori è offerta da KlibanskyPanofsky-Saxl 1964, 8-19.
13
Cf. In Hippocratis de natura hominis librum commentarium, Proem., K XV 11: ηὸ δὲ πνῶημκ αὐημῦ [scil. ημῦ
Πενὶ θύζεςξ ἀκενώπμο αζαθίμο] ιένμξ ἁπάζδξ η῅ξ Ἱππμηνάημοξ ηέπκδξ ἔπεζ ηὴκ μἷμκ ηνδπῖδα. Anche se, paradossalmente, Natura dell’uomo è l‟unico scritto del Corpus di cui si conosce l‟autore, che non è Ippocrate, ma il
discepolo Polibio. Si data intorno agli anni 410-400.
14
Sulla posterità di Natura dell’uomo vd. Jouanna 2006b.
15
In Morb. IV 32 si afferma che esistono quattro specie di umori – ηὰ ὑβνά vengono definiti – capaci di ingene-
rare malattie nell‟essere umano, ovvero flegma, sangue, bile e acqua: ἔπεζ δὲ ηαὶ ἡ βοκὴ ηαὶ ὁ ἀκὴν ηέζζαναξ
ἰδέαξ ὑβνμῦ ἐκ ηῷ ζώιαηζ, ἀθ‟ ὧκ αἱ κμῦζμζ βίκμκηαζ, ὁηόζα ιὴ ἀπὸ αίδξ κμοζήιαηα βίκεηαζ· αὗηαζ δὲ αἱ ἰδέαζ
εἰζὶ θθέβια, αἷια, πμθὴ, ηαὶ ὕδνςρ (L VII 542). Come si è notato, della bile nera non c‟è traccia.
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generano salute, altrimenti, se uno di loro è in eccesso o difetto, malattia.16 Anche in altri trattati del Corpus sono presenti tipi di costituzione caratterizzati da un particolare umore, che
non presuppongono uno stato morboso.17 Ma non si arriva mai a un sistema definito come in
Natura dell’uomo, e comunque la funzione degli umori, in particolare bile e flegma, si realizza soprattutto ad un livello nosologico.18 Secondo fattore, l‟autore di Natura dell’uomo è
«l‟inventore della bile nera».19 Si può discutere il valore attribuito alla bile nera da ciascun
trattato, si può vedere in essa un umore specifico o una semplice alterazione della bile pura,
ma non si può negare che solo in Natura dell’uomo la bile nera assume una funzione fondamentale ed insostituibile. Gli studiosi sono soliti distinguere la questione tra scuola di Cnido e
scuola di Cos.20 Si sostiene concordemente che nei trattati cosiddetti cnidî (e.g. Malattie I,
Malattie II, Affezioni, Affezioni interne, Malattie delle donne) la bile nera è una semplice varietà di bile.21 Boncompagni22 ci ricorda che in Affezioni interne la bile nera ricorre cinque
volte in qualità di semplice agente patogeno di altrettante malattie.23 Del resto, all‟inizio del
capitolo 20, l‟autore ippocratico sostiene che, così come per la bile, anche per il flegma si distinguono varie specie.24 Se ne deduce il carattere non specifico della bile nera. Per quanto riguarda la scuola di Cos, le visioni degli studiosi sono più contrastanti. Alcuni ritengono che
nei trattati più antichi appartenenti a questa scuola (e.g. Arie, acque, luoghi, Epidemie I e III)
la bile nera non fosse altro che un stato patologico della bile, e che soltanto grazie a Natura
16
Nat.Hom. 4 (L VI 38): ηὸ δὲ ζῶια ημῦ ἀκενώπμο ἔπεζ ἐκ ἑςοηῷ αἷια ηαὶ θθέβια ηαὶ πμθὴκ λακεήκ ηε ηαὶ
ιέθαζκακ, ηαὶ ηαῦη‟ ἐζηὶκ αὐηέῳ ἡ θύζζξ ημῦ ζώιαημξ, ηαὶ δζὰ ηαῦηα ἀθβέεζ ηαὶ ὑβζαίκεζ. ὑβζαίκεζ ιὲκ μὖκ
ιάθζζηα, ὁηόηακ ιεηνίςξ ἔπῃ ηαῦηα η῅ξ πνὸξ ἄθθδθα ηνήζζμξ ηαὶ δοκάιζμξ ηαὶ ημῦ πθήεεμξ, ηαὶ ιάθζζηα
ιειζβιέκα ᾖ· ἀθβέεζ δὲ ὁηόηακ ηζ ημοηέςκ ἔθαζζμκ ἢ πθέμκ ᾖ ἢ πςνζζεῆ ἐκ ηῷ ζώιαηζ ηαὶ ιὴ ηεηνδιέκμκ ᾖ
ημῖζζ λύιπαζζκ.
17
Vd. e.g. gli usi degli aggettivi θθεβιαηώδδξ e πμθώδδξ (cf. infra, p. 13s.).
18
Cf. supra, n. 15.
19
Jouanna 2006a, 45.
20
L‟esistenza stessa delle due scuole è stata a lungo dibattuta. Non entreremo nel problema, ma ci limiteremo a
constatare che si è lontani dal trovare compromessi di sorta tra le opposte posizioni. Da una parte c‟è chi parla di
una «distinzione basilare fra scuola di Cos e scuola di Cnido» (Jouanna 1992, 72), dall‟altra, chi non riscontra
nessuna traccia nel Corpus Hippocraticum tale da poter ammettere l‟esistenza di due indirizzi diversi nell‟arte
medica del V e IV secolo (cf. Di Benedetto 1986, 70-87).
21
Cf. Joly 1975.
22
Boncompagni 1970-1971, 80s.
23
Tra cui non compare la melancolia (Int. 4, L VII 178; 5, ibid.; 16, o.c. 204; 27, o.c. 236; 34, o.c. 252).
24
L VII 214: πενὶ δὲ ημῦ θθέβιαημξ ηὰξ αὐηὰξ βκώιαξ ἔπς, ἃξ ηαὶ πενὶ πμθ῅ξ, ἰδέαξ αὐημῦ πμθθὰξ εἶκαζ. Segue
la trattazione delle specie di flegma epidemico e, al capitolo 21 (L VII 218), di flegma bianco.
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dell’uomo sia divenuta un umore costitutivo distinto.25 Altri, come Joly, contestano
l‟eccessivo peso dato alla teoria di Natura dell’uomo, cercando di dimostrare che la bile nera
era conosciuta a Cos come umore specifico anteriormente a questo trattato.26 Sennonché, altrove, lo stesso Joly ammette che «Même dans l‟École qui en fit un humeur spécifique [scil. la
scuola di Cos], il subsiste un flottement qui provient de la doctrine plus ancienne et plus répandue qui y voyait une variété de bile … qui désigne mieux la doctrine cnidienne».27 È evidente che la bile nera è originariamente considerata come una semplice varietà di bile, e sia che si
sostenga che a Cos essa acquisisce il rango di umore indipendente solo grazie a Natura
dell’uomo, sia che tale acquisizione venga riferita ad un periodo più antico, è soltanto in Natura dell’uomo che la bile nera riceve quella dignità che le permette di diventare l‟umore del
temperamento melancolico.28 Ma, come si è detto, quanto esposto in questo trattato assurge a
25
È questa la tesi di Flashar 1966, 21-36 e di Jouanna 1975, 48-50.
26
Joly 1969, 151-155. Il passo più dibattuto è quello di Epid. I 13, L II 696 (ἤιεζε πμθώδεα ὀθίβα, ιέθακα), che
viene confrontato con Epid. IV 16, L V 154 (ἤιεζε πμθὴκ ιέθαζκακ). Il raffronto dimostrerebbe, secondo i sostenitori dell‟apporto innovativo di Natura dell’uomo, che il concetto di bile nera all‟interno della scuola di Cos
era poco familiare nei trattati precedenti a Natura dell’uomo – Epidemie I viene datato intorno al 410, mentre
Epidemie IV tra la fine del V e l‟inizio del IV secolo. Dal punto di vista di Joly (ibid.), invece, l‟utilizzo
dell‟aggettivo derivato in luogo del sostantivo non presuppone che l‟autore del primo libro delle Epidemie non
conoscesse la bile nera come umore specifico, ma soltanto che in Epid. I 13 si tratta di bile impregnata di altre
materie, mentre in Epid. IV 16 di bile pura.
27
Joly 1975, 113 n. 3. Un esempio, secondo Joly (ibid.), dell‟uso del termine bile nera nella sua accezione origi-
naria, conservato nella scuola di Cos, è rappresentato dal passo di Aër. 10. Qui non si parla propriamente di
ιέθαζκα πμθή, bensì di una malattia chiamata melancolia (cf. infra, p. 13). L‟eziologia che se ne fornisce – la bile
perde umidità e diviene più densa – fa supporre, però, che si stia parlando di una malattia causata da
un‟alterazione della bile. Joly, rilevando l‟aporia rispetto alla sua tesi, prende in esame altri due luoghi del Corpus: Epid. II 3, 15, L V 116 (ηὸ ἔκαζιμκ ηαὶ ηὸ ὑπόπμθμκ, ὀλονεβιζῶδεξ· ἴζςξ δὲ ἐξ ιέθαζκακ ημύημζζζ ηεθεοηᾷκ)
e Epid. VI 6, 14 (vd. infra, App. I, p. 59). In entrambi si dice che la costituzione sanguigna e quella biliosa sono
soggette a trasformarsi in bile nera – tuttavia, lo faccio notare fin da ora, nel secondo caso non si parla di bile nera, ma di stato melancolico (cf. infra, p. 28). Questo fatto rappresenta per Joly la prova che anche in opere che
sicuramente conoscevano la bile nera come umore specifico (per la datazione di Epidemie II e VI che, insieme a
Epidemie IV, appartengono ad uno stesso autore, vd. supra, n. 26), tale sostanza poteva venire impiegata nel suo
primo valore di semplice varietà di bile.
28
Sulla teoria dei quattro temperamenti (bilioso, sanguigno, melancolico, flegmatico), costituitasi in epoca suc-
cessiva a Galeno, rimando a Jouanna 2006a, 58ss.; Jouanna 2006b, 122ss.; Klibansky-Panofsky-Saxl 1964, 5263.
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dogma solo in epoca tarda, a partire da Galeno.29 La storia immediatamente successiva a Ippocrate lo dimostra.
Come abbiamo un vuoto prima di Ippocrate, così anche la storia della medicina postippocratica è priva di fonti. Dobbiamo allora rifarci a Platone e ad Aristotele, per i quali l‟arte
medica non costituisce ancora un sapere specialistico da tenere distinto dalla filosofia.30 Della
dottrina dei quattro umori di Natura dell’uomo nelle loro opere non c‟è traccia.31 In Platone
flegma e bile hanno un valore esclusivamente patogeno,32 e la bile nera non è altro che una
varietà della bile.33 In Aristotele flegma, bile gialla e bile nera vengono classificati, insieme
allo sterco, come residui.34 Ancora nel IV secolo inoltrato, quindi, la bile nera non riveste nessuno statuto speciale, è un umore tra gli altri umori.
29
Cf. supra, n. 13 e 14. Del resto, ancora in Galeno il concetto di bile nera non risulta essere completamente de-
finito. In De locis affectis III 9 il medico di Pergamo distingue due tipi di bile nera, una simile a un deposito di
sangue, che non può propriamente definirsi bile nera, ma „umore melancolico‟ o „sangue melancolico‟, l‟altra
che proviene da un surriscaldamento della bile gialla: ὡζαύηςξ δὲ ηαὶ ὁ ιεθαβπμθζηὸξ ποιὸξ ἐκ ηῆ ζοζηάζεζ
ζαθεῖξ ἔπεζ ηὰξ δζαθμνὰξ, ὁ ιὲκ μἷμκ ηνὺλ αἵιαημξ, ἐκανβῶξ θαζκόιεκμξ ἱηακῶξ παπὺξ, ὥζπεν ἡ ημῦ μἴκμο ηνύλ·
ὁ δὲ πμθθῷ ιὲκ ημύημο θεπηόηενμξ ηαηὰ ηὴκ ζύζηαζζκ, ὀλὺξ δὲ ηαὶ ημῖξ ἐιέζαζζκ αὐηὸκ θαζκόιεκμξ ηαὶ ημῖξ
ὀζιςιέκμζξ … ηαὶ ηαθεῖκ αὐηὸκ [scil. ὃκ δ‟ ἔθδκ ἐμζηέκαζ παπείᾳ ηνοβὶ] εἴςεα ιεθαβπμθζηὸκ ποιὸκ ἢ
ιεθαβπμθζηὸκ αἷια, ιέθαζκακ βὰν πμθὴκ μὐδέπς δζηαζῶ ηὸκ ημζμῦημκ ὀκμιάγεζκ … ὁ ἕηενμξ ποιὸξ η῅ξ ιεθαίκδξ
πμθ῅ξ, ὁ ηαηςπηδιέκδξ η῅ξ λακε῅ξ πμθ῅ξ βεκόιεκμξ (K VIII 176-178). Il trattato De atra bile descrive l‟atrabile
come composta dalle qualità di caldo e secco, il che contrasta con quanto esposto in Natura dell’uomo e ripetuto
altrove da Galeno, ossia che la bile nera partecipa essenzialmente delle qualità di freddo e secco (cf. Jouanna
2009). Inoltre, come opportunamente rilevato da Müri 1953, 27s., l‟autore stesso di Natura dell’uomo spesso si
dimentica della quadripartizione da lui delineata, menzionando soltanto la bile e il flegma.
30
Aristotele mette sulla stesso piano il filosofo che indaga la natura e il medico che esercita la sua arte con una
sufficiente dose di filosofia: il primo termina la sua opera con la medicina, il secondo inizia con lo studio della
natura (Sens. 436 a 19-439 b: δζὸ ζπεδὸκ ηῶκ πενὶ θύζεςξ μἱ πθεῖζημζ ηαὶ ηῶκ ἰαηνῶκ μἱ θζθμζμθςηένςξ ηὴκ
ηέπκδκ ιεηζόκηεξ, μἱ ιὲκ ηεθεοηῶζζκ εἰξ ηὰ πενὶ ἰαηνζη῅ξ, μἱ δ‟ ἐη ηῶκ πενὶ θύζεςξ ἄνπμκηαζ). Sul notevole apporto di Aristotele negli studi medici vd. Marenghi 1961. Per quanto riguarda l‟uso e il valore della medicina
presso Platone vd. Vegetti 1995.
31
Vd. l‟ottima dimostrazione di Demont 2005.
32
In Resp. VIII (564 b 9-10) si paragona il danno recato allo stato dagli uomini inoperosi e scialacquatori a quel-
lo subito dal corpo a causa del flegma e della bile: ημύης [scil. ηὸ ηῶκ ἀνβῶκ ηε ηαὶ δαπακδνῶκ ἀκδνῶκ βέκμξ]
ημίκοκ, ἦκ δ‟ ἐβώ, ηανάηηεημκ ἐκ πάζῃ πμθζηείᾳ ἐββζβκμιέκς, μἷμκ πενὶ ζῶια θθέβια ηε ηαὶ πμθή.
33
Ogni specie di bile riceve la propria denominazione a seconda del colore: ηὰ δ‟ ἄθθα ὅζα πμθ῅ξ εἴδδ θέβεηαζ,
ηαηὰ ηὴκ πνόακ ἔζπεκ θόβμκ αὐηῶκ ἕηαζημκ ἴδζμκ. ἰπὼν δέ, ὁ ιὲκ αἵιαημξ ὀνὸξ πνᾷμξ, ὁ δὲ ιεθαίκδξ πμθ῅ξ
ὀλείαξ ηε ἄβνζμξ, ὅηακ ζοιιεζβκύδηαζ δζὰ εενιόηδηα ἁθιονᾷ δοκάιεζ (Ti. 83 c 3-7).
34
HA 511 b 9-10: ηὰ πενζηηώιαηα· ηαῦηα δ‟ ἐζηὶ ηόπνμξ, θθέβια, πμθὴ λακεὴ ηαὶ ιέθαζκα. Questi residui rap-
presentano ciò che resta dopo la digestione, e in quanto tali sono sostanze nocive per il corpo. Essendo termine
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Se tale è il valore originario assunto dalla bile nera, una domanda è d‟obbligo: una sostanza „gerarchicamente‟ non alla pari degli umori principali, quali flegma, bile o sangue,
semplice varietà o alterazione di uno di essi, con una funzione patogena né dissimile né superiore a quella di altri liquidi, come può esser la causa scatenante di uno stato morboso chiamato ιεθαβπμθία, conosciuto fin dai più antichi testi ippocratici? Ippocrate in proposito non si
esprime. Poiché è comunemente riconosciuto che l‟obbiettivo ippocratico non è quello «di
diagnosticare, ma di descrivere, elencare, annotare una successione di manifestazioni e il loro
esito in modo tale, senza dubbio, da elaborare un corpus di segni ai quali i medici potranno
riferirsi»,35 sorprende ancora di più che il medico di Cos non abbia incluso nei segni della
melancolia la bile nera. Facile obiezione è quella secondo cui la relazione tra melancolia e
bile nera sarebbe stata talmente ovvia da non essere esplicitata. Infatti, il fatto stesso che
Ippocrate non la espliciti, mentre viene rimarcata da autori tardi,36 è un indizio che porta su
d‟origine aristotelica, πενίζζςια appare nel Corpus Hippocraticum solo in Ep. 24, L IX 400 (cf. supra, p. 5).
Tuttavia, la credenza secondo cui i liquidi in eccesso derivanti dalla cozione dei cibi (πέρζξ) fossero responsabili
delle malattie, era talmente antica che si è cercato di trovarne dei corrispondenti nei trattati ippocratici. La conclusione a cui si è giunti è che gli umori di cui parla Ippocrate altro non sono che originarî πενζζζώιαηα, dalla
qual cosa dipende la loro potenzialità patogena (così Klibansky-Panofsky-Saxl 1964, 12; Thivel 1965).
L‟Anonimo di Londra, seppur la sua attendibilità è molto discussa, ci ha lasciato in proposito un‟interessante testimonianza (si riporta il testo edito in Diels 1893, c. V 35-VI 13): Ἱππμηνάηδξ δέ θ(δζζκ) αἰ(ηίαξ) (εἶκαζ) η῅ξ
κόζμο ηὰξ θύζαξ, ηαεὼξ δζείθδθεκ πενὶ αὐημῦ Ἀνζζημηέθδξ. ὁ βὰν Ἱππμηνάηδξ θέβεζ ηὰξ κόζμοξ ἀπμηεθεῖζεαζ
η(αηὰ) θ(όβμκ) ημζμῦημκ· ἢ πανὰ ηὸ πθ῅εμξ ηῶκ πνμζθενμιέκ(ςκ) ἢ πανὰ ηὴκ πμζηζθίακ ἢ πανὰ ηὸ ἰζπονὰ ηαὶ
δοζηαηένβαζηα (εἶκαζ) ηὰ πνμζθενόιεκα ζοιααίκεζ πενζζζώιαηα ἀπμβεκκᾶζεα[ζ … ἐβ δὲ ηῶκ πενζζζςιάη(ςκ)
ἀκαθένμκηαζ θῦζαζ· αἱ δὲ ἀκ[ε]κεπεεῖζαζ ἐπζθένμοζζ ηὰξ κόζμοξ. Al di là dello scalpore suscitato
dall‟affermazione che le malattie sono causate dai venti (vd. Jouanna 1992, 61-63), è interessante notare come
tale ventosità derivasse dai residui generatisi in seguito ad una cattiva digestione, almeno secondo
l‟interpretazione aristotelica di Ippocrate. Non è del tutto impossibile, quindi, che Aristotele si rifacesse, parlando degli umori come πενζζζώιαηα, ad un‟antica concezione ippocratica, se non addirittura pre-ippocratica. Del
resto, tra i significati di ποθόξ, variante di ποιόξ, c‟è anche quello di „estratto di cibi attraverso la digestione‟:
Sed tamen in animantibus specialiter magis Eum succum designat, quem ventriculus ex cibis per concoctionem
elicit (ThGL VIII 1769).
35
Pigeaud 1987, 21. E ancora (o.c. p. 19): «l‟obbiettivo ippocratico non è essenzialmente la diagnostica, cioè
l‟individuazione di una malattia, raccogliendone i segni sotto un concetto ed è ancor meno quello di ricondurre
sintomi sotto concetti piuttosto che quello di confrontare i segni, che bisogna descrivere al fine di stabilire una
prognosi».
36
Cf. supra, n. 11. In realtà, persino in Galeno, da un lato la nozione di bile nera è ancora incline a diverse inter-
pretazioni (vd. supra, n. 29), dall‟altro, quella della stessa melancolia risulta incerta, non necessariamente legata
alla prima. Il De locis affectis è illuminante in proposito. In primo luogo, Galeno fa derivare la melancolia da un
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una strada poco battuta: ritenere la bile nera e la melancolia, almeno in origine, non connesse
tra loro.37
Si è già visto che della malattia detta ιεθαβπμθία si hanno tre occorrenze nel Corpus:
Aër. 10, Aph. III 14 e Morb. I 3. Osservati meglio, questi passi ci dicono qualcosa di importante sul rapporto tra bile nera e melancolia. Cominciamo dall‟ultimo. Poco dopo aver elencato le malattie non mortali, tra cui è presente la melancolia, l‟autore passa ad esaminare i casi
in cui si rimane storpi: le paralisi – in particolare alle mani e ai piedi – e i problemi di fonazione sono causati dalla bile nera. Se consideriamo la melancolia discendere dalla bile nera, il
contrasto è lampante. Soprattutto alla luce di quanto appena detto, che la bile nera non riveste
un ruolo nosologico più importante rispetto a quello degli altri umori. Nello spazio di poche
eccesso nel cervello del cosiddetto umore o sangue melancolico (ὅη‟ ἂκ δ‟ ἐκ αὐηῷ πθεμκάζῃ ηῷ ημῦ ἐβηεθάθμο
ζώιαηζ, ιεθαβπμθίακ ἐνβάγεηαζ, III 9, K VIII 177), quell‟umore che lo stesso Galeno ammette di non poter definire propriamente bile nera (vd. supra, n. 29). Poi, distingue tre tipi di melancolia. Le prime due possono colpire
il cervello, con la differenza che in una tutto il sangue del corpo è melancolico, nell‟altra l‟umore melancolico è
insito solo nel cervello: μὕηςξ ἐβπςνεῖ ηαὶ ηὸκ ἐβηέθαθμκ ἐκίμηε ιὲκ, ἅπακημξ ημῦ ηαηὰ ηὰξ θθέααξ αἵιαημξ
ιεθαβπμθζημῦ βεκμιέκμο, ηῷ ημζκῷ θόβῳ η῅ξ αθάαδξ ηαὶ αὐηὸκ αθαα῅καζ· ηαε‟ ἕηενμκ δὲ ηνόπμκ ἀπαεμῦξ
δζαιέκμκημξ ημῦ ηαε‟ ὅθμκ ηὸκ ἄκενςπμκ αἵιαημξ, ἀθθμζςε῅καζ ηὸ ηαηὰ ιόκμκ ηὸκ ἐβηέθαθμκ, ηαὶ ζοια῅καζ
ημῦημ δζηηῶξ, ἢ ῥοέκημξ εἰξ αὐηὸκ ἑηένςεεκ, ἢ βεκκδεέκημξ ἐκ ηῷ ηόπῳ ημῦ ιεθαβπμθζημῦ ποιμῦ (III 10, K VIII
181-182). La terza è quella che si sviluppa nella regione addominale, per cui alcuni la chiamano ipocondriaca o
ventosa: ἔζηζ δὲ ηαὶ ηνίηδ ηζξ δζαθμνὰ ιεθαβπμθίαξ … ηαθμῦζζ δὲ ἔκζμζ ηῶκ ἰαηνῶκ ὑπμπμκδνζαηόκ ηε ηαὶ
θοζῶδεξ κόζδια ηὴκ αὐηὴκ δζάεεζζκ (III 10, K VIII 185). Di essa ne tratta Diocle di Caristo, medico peripatetico
del IV secolo a.C., la cui produzione ci è nota solo per tradizione indiretta. La lunga citazione galenica ce ne fornisce un‟idea (III 10, K VIII 186-187), ma né nella descrizione dei sintomi né in quella delle cause compare
alcun riferimento alla bile nera (cf. Eijk 2000-2001, fr. 109). Altrove Galeno riconosce che non sa spiegare il
motivo per cui un eccesso di bile nera nel cervello provochi la melancolia: πμθθὰ γδηήζαξ μὐπ εὗνμκ ὥζπεν β‟
μὐδὲ δζὰ ηί πμθ῅ξ ιὲκ λακε῅ξ ἐκ ἐβηεθάθῳ πθεμκαγμύζδξ εἰξ παναθνμζύκδκ ἑθηόιεεα, δζὰ ηί δὲ η῅ξ ιεθαίκδξ
εἰξ ιεθαβπμθίακ (Quod animi mores corporis temperamenta sequantur 3, K IV 777). Interessante, inoltre, è la
testimonianza di Sorano di Efeso (medico del II secolo d. C., trasmessoci da Celio Aureliano): Melancholia
dicta, quod nigra fella aegrotantibus saepe per vomitum veniant … et non, ut plerique existimant, quod
passionis causa vel generatio nigra sint fella (TP I 6). Nello stesso tempo vengono contestate l‟eziologia e
l‟etimologia comumente attribuite alla melancolia: la malattia porta questo nome non perché causata dalla bile
nera, ma perché chi ne soffre la vomita. La bile nera compare comunque, ma il fatto che se ne discuta il ruolo
nosologico mi pare molto indicativo. Ciò vuol dire, infatti, che i rapporti tra bile nera e melancolia non erano poi
così nitidi.
37
Giustamente Jouanna (cf. supra, Prem., n. 13) ritiene opportuno studiare parallelamente, ma in modo distinto,
«le tre nozioni fondamentali di bile nera, melancolia e temperamento melancolico», in quanto, «pur essendo
strettamente legate, non sono nate nello stesso tempo e non intervengono necessariamente nello stesso tempo»
(Jouanna 2006a, 44). Sul temperamento melancolico vd. supra, n. 28.
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righe non possono coesistere, da una parte, una particolare affezione direttamente provocata
dalla bile nera, da cui essa prenderebbe addirittura il nome, dall‟altra, una serie di stati morbosi come ne esistono tanti, conseguenza dell‟azione patogena di uno tra i tanti umori, la bile nera. Anche gli altri due passi si prestano a considerazioni simili. In Aër. 10 si offre una spiegazione eziologica per le malattie che colpiscono i biliosi. A causa del clima secco e arido, la
parte più fluida della bile viene meno, lasciando spazio a quella più densa e acre. Per Joly
siamo in presenza di una varietà corrotta di bile, la bile nera appunto.38 Tuttavia, si notano due
particolari. Primo, il processo di corruzione della bile riguarda non solo la melancolia, ma tutte le altre malattie elencate. Secondo, anche il sangue viene indicato come agente patogeno
per lo stesso motivo della bile: la perdita di umidità. Rimane Aph. III 14, che si è detto riprendere la descrizione di Arie, acque, luoghi, ma fino ad un certo punto. Nell‟aforisma, infatti,
non si parla di biliosi, ma di tutti quelli che né hanno una costituzione umida né sono di sesso
femminile. E cosa ancora più interessante, manca ogni riferimento all‟eziologia. In nessuno di
questi contesti, dunque, la melancolia e la bile nera appaiono strettamente correlate, e non si
può certo affermare che con ιεθαβπμθία si intendesse una patologia dovuta all‟ alterazione
della bile.39
L‟estratto di un trattato sul modo di utilizzare i medicamenti evacuanti, i Rimedi, sembra contraddire quanto detto finora: al capitolo 36 si afferma categoricamente che i biliosi
vanno purgati dalla bile, i flegmatici dal flegma, gli idropici dall‟acqua, e i melancolici dalla
bile nera. Per indicare le quattro costituzioni si utilizzano gli aggettivi corrispondenti formati
dal suffisso denominale (derivato dal sostantivo εἶδμξ). Termini come πμθώδδξ,
38
Cf. supra, n. 27.
39
Né si può credere che i Greci coniarono il termine ιεθαβπμθία solo per indicare uno stato alterato della bile
particolarmente malsano. Di per sé la bile è un umore nocivo, capace di ingenerare malattie (sull‟origine di questa potenzialità morbosa cf. supra, n. 34). Essa, insieme al flegma, costituisce l‟umore preposto a tale funzione:
«l‟étiologie humorale fondée essentiellement sur la bile et le phlegme est commune aux deux écoles de Cos et de
Cnide; elle paraît bien correspondre à un fond ancien antéhippocratique» (Joly 1975, 122). Una simile teoria
biumorale è senza dubbio esplicita nei trattati cnidî (κμοζήιαηα ημῖζζκ ἀκενώπμζζζ βίκεηαζ ἅπακηα ὑπὸ πμθ῅ξ ηαὶ
θθέβιαημξ, Aff. 1, L VI 208; αἱ ιὲκ μὖκ κμῦζμζ βίκμκηαζ ἅπαζαζ, ηῶκ ιὲκ ἐκ ηῷ ζώιαηζ ἐκεόκηςκ, ἀπό ηε πμθ῅ξ
ηαὶ θθέβιαημξ, Morb. I 2, L VI 142). Ma anche in uno scritto come Natura dell’uomo, che deve la sua fortuna
allo schema dei quattro umori, prevale qua e là ancora il binomio flegma/bile (cf. supra, n. 29). Anzi, il fatto
stesso che ci fosse una simile convergenza su una questione fondamentale come quella dell‟origine delle malattie, rivela, secondo Di Benedetto 1986, 77-79, l‟artificiosità con cui si distinguono due scuole all‟interno del
Corpus Hippocraticum (cf. supra, n. 20). Se la bile, quindi, possiede già un ruolo nosologico ben definito, risulta
pleonastico intendere ιεθαβπμθία nel senso di bile guasta e altamente dannosa.
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θθεβιαηώδδξ, ὑδνςπμεζδήξ ricorrono spesso in riferimento non solo alle sostanze, ma anche
alle tipologie di uomini costituiti dai rispettivi umori. Lo stesso non si può dire per
ιεθαβπμθώδδξ. Esso compare altre due volte in Morb. I 30, ma in un contesto totalmente diverso.40 Rimedi e Malattie I appartengono ad un‟epoca relativamente recente,41 ragion per cui
testimoniano l‟uso di un termine sviluppatosi successivamente al concetto originario di melancolia, e che non riscontra un grande successo nella medicina posteriore. Ecco perché il passo di Remed. 36 non mi sembra dissipare ogni ombra sulla connessione tra bile nera e melancolia, anzi ne accresce gli interrogativi: l‟unica volta che in Ippocrate un termine riguardante
la melancolia viene esplicitamente collegato alla bile nera, questo termine risulta essere stato
coniato non prima del IV secolo ed è per giunta di scarsa frequenza.
Tutte la altre accezioni della melancolia nel Corpus Hippocraticum sono espresse con
il suffisso –ζηόξ. Esso gioca un ruolo essenziale nella storia intellettuale dell‟antica Grecia e
non solo.42 A partire dalla prosa ionico-attica dell‟età classica il suffisso si diffonde nel vocabolario tecnico di tutte le discipline, dalla medicina alla grammatica, indicando principalmente l‟appartenenza ad un gruppo o ad una categoria di persone. Il rapido sviluppo di tale „suffixe catégorisant‟ apre la strada ad altri impieghi. Uno stesso aggettivo in –ζηόξ può così indicare, oltre alla „appartenance à une catégorie‟, anche la „caractérisation‟ (soprattutto tramite la
forma avverbiale –ζηῶξ) e la „aptitude‟. Anche il termine ιεθαβπμθζηόξ, dunque, si muove
fondamentalmente su tre livelli di significato: ciò che appartiene alla categoria melancolica;
ciò che si caratterizza come melancolico (ιεθαβπμθζηῶξ); l‟attitudine melancolica. È ovvio
che i tre livelli spesso si sovrappongono, ma provo a fare degli esempi. In Aph. III 20 e 22 si
elencano patologie rispettivamente estive e autunnali. In entrambi i casi compare la triade epilessia/mania/melancolia, o meglio, per l‟epilessia si parla prima di ἐπζθδπηζηά, poi di
ἐπζθδρίαζ, per l‟altra coppia sempre di ιακζηά/ιεθαβπμθζηά. È il primo livello di significato:
le affezioni che appartengo alla categoria melancolica. Categoria messa due volte sullo stesso
piano delle affezioni epilettiche43 e maniache, e che sembra quindi rientrare nel campo dei disturbi mentali. Il secondo livello si ritrova soprattutto nel primo libro del Prorretico,44 dove si
40
Vd. infra, p. 16. Per di più il primo dei due è v.l. (vd., infra, App. I, n. 10). Nello stesso contesto di Remed. 36,
invece, compare il verbo ιεθαβπμθῶζζ di Aff. 36, riferito a chi deve farsi purgare dalla bile nera. Ma in questo
caso si tratta di interpolazione (vd. infra, App. I, n. 12).
41
Prima metà del IV secolo (cf. supra, n. 9).
42
Vd. la trattazione di Chantraine 1956, 97-171.
43
Sul rapporto tra epilessia e melancolia vd. infra, p. 22-25.
44
Una raccolta di osservazioni relative alla prognosi (metà del IV secolo).
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fa cenno a coloro che impazziscono alla maniera melancolica, ovvero secondo quanto è caratteristico della categoria melancolica. Tale stato è accompagnato da disturbi fisici: tremori nella sezione 14; febbre ardente,45 problemi uditivi e oculari, fastidi alle narici nella sezione 18.
Il sintagma ἐλίζηδιζ ιεθαβπμθζηῶξ ritorna nelle Prenozioni di Cos,46 che riprendono, con
qualche variante, gli esempi di Prorretico I. Vediamo l‟ultimo livello. In Morb. III 13 chi è
affetto da opistotono47 corre il rischio di comportarsi come un folle o un melancolico: qui i
ιεθαβπμθζημί sono letteralmente coloro che manifestano attitudini melancoliche. Anche ora
ad un disturbo della mente se ne affianca uno fisico: la perdita della parola. Si evince che
ιεθαβπμθζηόξ indicava, in genere, delle categorie di persone o delle particolari condizioni in
cui il minimo comune denominatore era uno stato alterato della mente con eventuali complicazioni fisiche. Entriamo in uno dei settori più complessi e indefiniti degli studi classici, quello dei disturbi psichici.48 In questa sede è sufficiente ricordare che negli scritti ippocratici, da
una parte, «era vivo il senso di un continuum psico-fisico, per cui i sintomi organici venivano
registrati senza soluzione di continuità insieme ai sintomi relativi a disturbi psichici»,
dall‟altra, «non esisteva un sistema di malattie psichiche ben definite».49 Si tengano presenti,
inoltre, le parole di Pigeaud: «bisogna ignorare ciò che sappiamo sulla follia, dimenticare che
essa è legata, in quanto tale, a una specializzazione medica che porta un nome greco che può
indurre facilmente in errore: psichiatria … non vi è medicina psichiatrica antica».50
È fuori di dubbio che non si riscontra in Ippocrate nessuna diagnosi di quelle che oggi
si definiscono le patologie psichiche, ma sono rintracciabili, in alcuni casi, degli indizi che celano tentativi di classificazione, seppur allo stato embrionale. Si prenda la coppia mania/melancolia, che, lo abbiamo appena visto, sono spesso in stretta relazione tra loro. È possibile individuarne nel Corpus un principio di definizione, o, quantomeno, risalire a un insieme di sintomi che appartengono esclusivamente all‟una o all‟altra? Già in Morb. III 13 il testo
risulta ambiguo. Non si comprende, infatti, se i maniaci e i melancolici siano due facce della
45
Il valore nosologico di ηαῦζμξ non è riducibile a quello di semplice febbre ardente. Nonostante la terminologia
adottata, il lettore tenga presente che in Ippocrate numerosi sono gli stati morbosi non riconducibili a delle definite patologie odierne. Per una più ampia trattazione vd. Grmek 1983.
46
Vd. Coac. 87, 92, 93, 128 (cf. infra, App. I, p. 61). Il trattato non è anteriore alla fine del IV secolo.
47
Una contrazione muscolare nella regione posteriore del tronco.
48
Sull‟argomento la bibliografia è sterminata. Per una rapida introduzione vd. Alfieri 1983; Cilliers-Retief 2009;
Di Benedetto 1986, 35-69; Dodds 1951; Melillo Corleto 1992; Pigeaud 1987; Simon 1978.
49
Di Benedetto 1986, 63.
50
Pigeaud 1987, 11ss.
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stessa medaglia, o l‟autore voglia qui riferirsi a due tipologie di alterazione mentale ciascuna
con delle proprie peculiarità.51 Prendiamo Aph. VI 56. Il contesto è quello delle malattie melancoliche, durante le quali si possono verificare paralisi del corpo, spasmi, mania o cecità.
Siamo alle solite: i disturbi fisici sono in stretta relazione con quelli psichici. Il problema è un
altro. Occorre chiedersi se la mania, insieme alle altre affezioni elencate, sia un semplice sintomo della melancolia o uno stato morboso vero e proprio. Il senso generale della frase fa
propendere per la seconda ipotesi. Non si dice, infatti, che le malattie melancoliche sono sempre caratterizzate da tali disturbi, ma solo se vi è una concentrazione di umori si hanno maggiori probabilità di incorrere in questi pericoli. Se i ηὰ ιεθαβπμθζηὰ κμοζήιαηα fossero delle
semplici malattie atrabiliari, sarebbe inutile e ripetitivo rilevare la presenza di umori. A maggior ragion riferire αἱ ἀπμζηήρζεξ in modo specifico alla bile nera non mi sembra opportuno.52 Qui si sta parlando di affezioni generali dette melancoliche, che, qualora gli umori si riversino in un particolare punto del corpo, sfociano in patologie più gravi. E se la melancolia,
come abbiamo visto, deve essere intesa come un‟alterazione della mente, la mania risulta da
questo passo un‟alterazione mentale più grave della melancolia. È d‟obbligo il confronto con
Morb. I 30. Vi si espone una delle più delle più importanti definizioni riguardo la frenite:
„alienazione mentale con febbre‟.53 Si aggiunge che il comportamento dei frenitici nel delirio
è simile a quello dei melancolici.54 Anche questi ultimi impazziscono, e soltanto alcuni diventano maniaci. La mania colpisce solo una parte dei melancolici, in quanto essa è meno efficace “nella misura in cui il flegma è più debole della bile”. Il testo non è chiaro,55 ma secondo
Di Benedetto,56 l‟autore vuole dire che, a causa della diversa qualità degli agenti patogeni, le
forme di ιακία e παναθνόκδζζξ nei melancolici sono meno intense rispetto alla frenite. Infatti, se da un lato la frenite insorge in seguito alla corruzione del sangue da parte della bile,57 nei
melancolici lo stesso processo è attuato da un tipo di bile più debole, in quanto commista al
flegma. Al di là di tale interpretazione, che a me pare corretta, la mania appare, ancora una
volta, come una forma di delirio molto grave che può andare a peggiorare lo stato mentale dei
melancolici (o dei frenitici), già di per sé non del tutto integro. Inoltre, non si può fare a meno
51
Cf. infra, App. I, n. 13.
52
Al contrario la maggior parte dei traduttori (cf. infra, App. I, n. 5).
53
Morb. I 30: ηαὶ πανακμέεζ ηε ὥκενςπμξ ηαὶ μὐη ἐκ ἑςοηῷ ἐζηζκ ὑπὸ ημῦ πονεημῦ ημῦ πθήεεμξ.
54
Non si usa il solito ιεθαβπμθζηόξ, ma il più raro ιεθαβπμθώδδξ (cf. supra, p. 14).
55
Vd. infra, App. I, n. 11.
56
Di Benedetto 1986, 68 n. 67.
57
Morb. I 30: ὁηόηακ μὖκ πμθὴ ηζκδεεῖζα ἐξ ηὰξ θθέααξ ηαὶ ἐξ ηὸ αἷια ἐζέθεῃ.
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di evidenziare il ruolo nosologico degli umori: sola la frenite è una malattia prettamente „biliosa‟, nella melancolia subentra anche il flegma. Il legame tra bile nera e melancolia viene
nuovamente sconfessato.
Se il proposito era quello di individuare una sorta di diagnostica in nuce delle malattie
mentali, almeno per quanto riguarda melancolia e mania, lo si può dire raggiunto. È ovvio che
né ιακία né ιεθαβπμθία in Ippocrate sono malattie ben definite, classificate sulla base di un
insieme di sintomi chiaramente stabilito. Ma vi è una certa distinzione tra le due. Con melancolia si intende uno stato alterato della mente che comprende vari disturbi fisici. Essa si situa
su un livello generale. La mania, invece, appare come uno stato morboso più specifico, anche
se dai contorni ancora indefiniti, sicuramente sintomo di un grave stato di salute. Sta di fatto
che entrambe, insieme alla frenite, andranno a rappresentare le forme classiche della follia.58
Altri esempi si pongono su questa linea. In Iudic. 41 è giudicato positivamente il fatto che insorgano emorragie nei casi di melancolia con manifestazioni di frenite. Anche qui melancolia
e frenite sono in stretta relazione. Il terreno comune su cui si muovono è quello dei disturbi
psichici. La prima risulta essere un‟affezione generale, la seconda una patologia meglio delineata, che può essere compresa nella prima. In Prorrh. I 123 gli accessi di follia violenti e di
breve durata vengono definiti melancolici. Se compaiono in seguito alla mestruazioni, verminosi. L‟autore si chiede, inoltre, se anche nelle donne si verificano spasmi e perdita della voce, sintomi fisici tipicamente connessi con gli stati di delirio, come traspare, tra l‟altro, da un
caso clinico. È chiaro che l‟autore vuole rendere conto di una sottile differenza che passa nella
pazzia a seconda del sesso del paziente. Il problema sta nel tipo di differenza. Mi spiego meglio. Se pensiamo ad una differenza eziologica, dobbiamo intendere, da una parte, „a causa
della bile nera‟, dall‟altra, „a causa dei vermi‟. Tuttavia il testo è abbastanza esplicito su que58
Vd. e.g. Celso (De medicina III 18), che cataloga tre generi di follia. Il primo è la frenite, menzionata diretta-
mente con il nome greco (Incipiam ab insania, primamque hujus ipsius partem aggrediar, quae et acuta, et in
febre est: θνεκῖηζκ Graeci appellant). Segue la melancolia, o meglio, quella che l‟enciclopedista romano chiama
„tristezza contratta da bile nera‟ (Consistit in tristitia, quam videtur bilis atra contrahere). Il nome del terzo tipo
di insania non viene specificato, ma vi è generalmente riconosciuta la mania. Il concetto di frenite è già abbastanza delineato in Ippocrate e non subirà profondi mutamenti (cf. supra, p. 16; sulla storia della frenite cf. Pigeaud 1981, 71-100). Diverso è il discorso per mania e melancolia. La definizione completa della prima si sviluppa nel II secolo a. C. e riceve il suo statuto ufficiale – „alienazione mentale senza febbre‟ – in Definitiones
medicae 246 (K XIX 416) dello Pseudo-Galeno (ιακία ἐζηὶκ ἔηζηαζζξ η῅ξ δζακμίαξ ηαὶ παναθθαβὴ ηῶκ κμιίιςκ
ηαὶ ηῶκ ἐκ ηῷ ὑβζαίκεζκ ἐεῶκ ἄκεο πονεημῦ). Per l‟evoluzione del concetto di ιακία nell‟Antichità classica vd.
Pigeaud, 1987. La definizione di melancolia come una sorta „tristezza senza causa‟ viene formalizzata solo con
Galeno (cf. infra, p. 29s.).
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sto punto, almeno per quanto riguarda le donne. Di queste si sta prendendo in considerazione
non la follia in generale, ma quella dovuta ai flussi mestruali, la cui azione patogena è ribadita
nell‟esempio finale. La differenza non è, quindi, eziologica, bensì terminologica. Il delirio
breve e violento è detto generalmente melancolico, qualora intervenga la componente ginecologica, verminoso. Sebbene ci sfugga il senso esatto di εδνζώδδξ,59 quello che ci interessa rilevare è l‟ennesima connessione nel Corpus tra pazzia e melancolia, senza alcun riferimento
alla bile nera. Gli ultimi due esempi meritano un‟attenzione particolare.
In Epid. V 87 si registra il decesso del servitore di Timocharis, ma il quadro clinico è
abbastanza vago. I ιεθαβπμθζηά e la morte da essi provocata avvengono secondo le modalità
già descritte in un altro frangente. Littré non ha dubbi, l‟autore si riferisce all‟episodio esposto
nella sezione precedente (Epid. V 86):60
κεδκίζημξ δέ ηζξ πμοθὺκ ἄηνδημκ πεπςηώξ, ὕπηζμξ ἐηάεεοδεκ ἔκ ηζκζ ζηδκῆ· ημύηῳ
ὄθζξ ἐξ ηὸ ζηόια πανεζζεδύεημ ἀνβήξ. ηαὶ δὴ, ὅ ηζ ᾔζεεημ, μὐ δοκάιεκμξ θνάζαζεαζ,
ἔανολε ημὺξ ὀδόκηαξ, ηαὶ πανέηναβε ημῦ ὄθζμξ, ηαὶ ἀθβδδόκζ ιεβάθῃ εἴπεημ, ηαὶ ηὰξ
πεῖναξ πνμζέθενεκ ὡξ ἀβπόιεκμξ, ηαὶ ἐννίπηεζ ἑςοηόκ, ηαὶ ζπαζεεὶξ ἔεακεκ (L V
252) “Un giovane uomo, dopo aver bevuto un gran quantità di vino puro, dormiva supino in una tenda. Un serpente (della specie arges) gli si infilò nella bocca. Non potendo capire cosa avvertisse, digrignò i denti e morse il serpente. Preso da un dolore
lancinante, si portava le mani [scil. alla gola] come se soffocasse e si dimenava. Morì
in preda agli spasmi”.
59
Si pensa perlopiù a „dovuto ai vermi, pieno di vermi‟(cf. Epid. VI 1, 11, in App. I, p. 59), da cui „infetto‟. È
bene notare che anche altrove i disturbi psichici vengono così definiti, ma senza riferimento al flusso mestruale.
Nello stesso libro del Prorretico gli accessi di follia violenti e di breve durata si dicono tutti verminosi: αἱ ἐπ‟
ὀθίβμκ εναζέεξ παναηνμύζζεξ, εδνζώδεεξ (Prorrh. I 26, L V 516). In Galeno lo stesso aggettivo affianca la follia
causata da uno dei due umori melancolici, quello generatosi da un surriscaldamento della bile gialla (cf. supra, n.
29): ηαεάπεν ὁ ἕηενμξ ποιὸξ η῅ξ ιεθαίκδξ πμθ῅ξ, ὁ ηαηςπηδιέκδξ η῅ξ λακε῅ξ πμθ῅ξ βεκόιεκμξ, ηὰξ εδνζώδεζξ
παναθνμζύκαξ ἀπμηεθεῖ πςνὶξ πονεημῦ ηε ηαὶ ζὺκ πονεηῷ, πθεμκάγςκ ἐκ ηῷ ζώιαηζ ημῦ ἐβηεθάθμο (De locis
affectis III 9, K VIII 177-178). Ma in questo caso preferisco tradurre con „bestiali‟ (cf. infra, cap. 3, p. 48). I passi, comunque, ci confermano che l‟uso di εδνζώδδξ in relazione ai disturbi psichici prescinde da una motivazione
eziologica. Si tratta piuttosto di un uso terminologico, non tanto chiaro nemmeno a Ippocrate, visto il contrasto
tra Prorrh. I 26 e 123, e che perdura fino a Galeno (cf. anche In Hippocratis aphorismos commentarium IV 2,
cit. supra, n. 11).
60
Littré glossa questo caso come «Affection mélancolique provoquée par une cause singulière».
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Nessun richiamo alla melancolia, tantomeno meno alla bile nera. Si può solo notare
che, per via della terribile sofferenza, provocata, forse, dal veleno del serpente, il giovane è
come se non fosse più in sé – lo spasmo ne è un sintomo evidente. Si tenga presente che Epidemie V ha uno stretto legame con Epidemie VII.61 Quest‟ultimo, infatti, riprende, con qualche variazione, una serie di schede di malati fornite in Epidemie V, più precisamente le sezioni 51-106, con un‟ unica eccezione, proprio la sezione 86. La svista, come rilevato da Littré,
può essere dovuta al fatto che la morte del servo di Timocharis, ripresa in Epid. VII 91, fosse
sentita in relazione non solo con quella del κεδκίζημξ, ma anche con quella esposta in Epid. V
85, che infatti ritorna in Epid. VII 90:
ἡ δὲ Κόκςκμξ εενάπαζκα, ἐη ηεθαθ῅ξ ὀδύκδξ ἀνλαιέκδξ, ἔηημζεεκ ἐβέκεημ· αμή,
ηθαοειμὶ πμοθθμί, ὀθζβάηζξ ἡζοπίδ. πενὶ δὲ ηὰξ ηεζζανάημκηα ἐηεθεύηδζεκ· ηὰξ ὅηε
δὲ ἔεκδζηε δέηα ἡιέναξ, ἄθςκμξ ηαὶ ζπαζιώδδξ ἐβέκεημ (L V 252) “La serva di Conone, dopo una cefalgia iniziale, impazzì: gridava, piangeva in continuazione, non era
quasi mai tranquilla. Morì intorno al quarantesimo giorno di malattia. Dieci giorni
prima del decesso, perse la voce ed ebbe convulsioni”.
Che il paziente sia uscito di senno, è qui detto chiaramente. Urla, pianti, agitazione accompagnano il suo delirio. A precedere il decesso, non solo spasmi, ma anche afonia. Se i
ιεθαβπμθζηά del servo di Timocharis vanno ascritti anche a questo episodio, è chiaro che Epidemie V e VII ribadiscono il valore psichico del concetto di melancolia fin qui osservato. Ma
c‟è di più. Non ho precisato che Epidemie VII colloca in ordine sparso le cinquantacinque
schede di malati riprese da Epidemie V, rispettandone solo in pochi casi la sequenza. Proprio
in uno di questi casi rientrano i passi da noi analizzati. Anzi, essi costituiscono, insieme ad altri, la sequenza „regolare‟ più lunga. Le sezioni 80-87 di Epidemie V (con l‟esclusione ovviamente di 86) vengono così disposte nel medesimo ordine in Epid. VII 85-91. Vediamo il contenuto dei restanti passi:
Ἀκδνμθακεῖ ἀθςκίδ, θήνδζζξ· θοεέκηςκ δὲ ημύηςκ, πενζ῅κ ἔηζ ζοπκά· ηαὶ ὑπμζηνμθαὶ
ἐβίκμκημ· ἡ δὲ βθῶζζα δζεηέθεζ πάκηα ηὸκ πνόκμκ λδνή· ηαὶ εἰ ιὴ δζαηθύγμζημ,
δζαθέβεζεαζ μὐπ μἷόξ ηε ἦκ, ηαὶ πζηνὴ θίδκ ἦκ ηὰ πμθθά· ἔζηζ δ‟ ὅηε ηαὶ πνὸξ ηανδίδκ
ὀδύκδ, ἣκ θθεαμημιίδ ἔθοζεκ· ηαύηῃ ὑδνμπμζίδ ἢ ιεθίηνδημκ λοκήκεβηεκ. ἐθθέαμνμκ
ἔπζε ιέθακα, μὐδὲ ηὸ πμθῶδεξ δζῄεζ, ἀθθ‟ ὀθίβμκ. ηέθμξ δὲ πεζιῶκμξ ηαηαηθζεείξ, ἔλς
61
Entrambi i trattati risalgono alla metà del IV secolo.
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ἐβέκεημ, ηαὶ ηὰ η῅ξ βθώζζδξ παεήιαηα ὅιμζα, εένιδ θεπηή, ἄπμνμξ, βθῶζζα ἄπνμμξ,
θςκὴ πενζπθεοιμκζηή, ἀπόζηαλζξ· εἷια ἀπεδύεημ, ηαὶ ἐλάβεζκ αὐηὸκ ἐηέθεοεκ, μὐδὲκ
δὲ ἠδύκαημ ζάθα εἰπεῖκ· ἐξ κύηηα ἐηεθεύηα (Epid. V 80, L V 248-250) “Androfane
perse la voce, agiva insensatamente. Una volta guarito da questi mali, sopravvisse ancora per molto tempo. Ebbe anche delle ricadute. La lingua continuava per tutto il
tempo ad essere secca; se non si inumidiva, non era in grado di articolare parola. Ed
era sempre troppo amara. In caso di cardialgia, la flebotomia lo liberava dal dolore.
Contro questo dolore gli conveniva bere dell‟acqua e dell‟idromele. Bevve elleboro
nero, ma la bile non veniva fuori, se non in minima quantità. Alla fine, messo a letto in
inverno, impazzì. Le affezioni alla lingua erano simili. Sentiva un leggero calore. Era
intrattabile. La lingua era pallida, la voce risentiva di un‟infiammazione polmonare.
Perdeva sangue dal naso. Si toglieva la coperta e voleva che lo si portasse fuori, ma
non si riusciva a esprimere chiaramente. Morì durante la notte”.
ηὸ Νζηάκμνμξ πάεμξ, ὁπόηε ἐξ πμηὸκ ὥνιδημ, θόαμξ η῅ξ αὐθδηνίδμξ· ὁηόηε θςκ῅ξ
αὐθμῦ ἀνπμιέκδξ ἀημύζεζεκ αὐθεῖκ ἐκ λοιπμζίῳ, ὑπὸ δεζιάηςκ ὄπθμζ· ιόθζξ
ὑπμιέκεζκ ἔθδ, ὅηε εἴδ κύλ· ἡιένδξ δὲ ἀημύςκ, μὐδὲκ δζεηνέπεημ· ημζαῦηα πανείπεηό
μἱ ζοπκὸκ πνόκμκ (Epid. V 81, L VI 250) “La malattia di Nicanore, quando questo si
metteva a bere, consisteva nell‟avere paura della suonatrice di flauto. Nel momento in
cui sentiva che la musica del flauto cominciava a suonare, le paure lo assillavano. Diceva di sopportarle a stento di notte, mentre, se ascoltava la musica di giorno, non ne
era turbato. Rimase in una simile condizione per molto tempo”.
Δδιμηθ῅ξ ὁ ιεη‟ ἐηείκμο ἀιαθοώζζεζκ ηαὶ θοζζζςιαηεῖκ ἐδόηεε, ηαὶ μὐη ἂκ παν῅θεε
πανὰ ηνδικὸκ μὐδ‟ ἐπὶ βεθύνδξ· μὐδὲ ημὐθάπζζημκ αάεμξ ηάθνμο δζαπμνεύεζεαζ,
ἀθθὰ δζ‟ αὐη῅ξ η῅ξ ηάθνμο μἷόξ ηε ἦκ· ημῦημ πνόκμκ ηζκὰ λοκέαδ αὐηῷ (Epid. V 82, L
VI 250) “Democle, che era con lui, sembrava debole di vista e spossato nel corpo. Non
camminava sul ciglio di un dirupo né sopra un ponte, e nemmeno sopra il meno profondo dei fossati, ma era solo capace di passarvi attraverso. Per qualche tempo tale fu
il suo comportamento”.
ηὸ Φμίκζημξ, ἐη ημῦ ὀθεαθιμῦ ημῦ δελζμῦ ημζμῦηόκ ηζ ἦκ· ηὰ πμθθὰ ὥζπεν ἀζηναπὴκ
ἐδόηεεκ ἐηθάιπεζκ· μὐ πμθὺ δὲ ἐπζζπόκηζ ὀδύκδ ἐξ ηὸκ ηνόηαθμκ ηὸκ δελζὸκ ἐκεζηήηεζ
δεζκή, εἶηα ἐξ ὅθδκ ηὴκ ηεθαθὴκ ηαὶ ἐξ ηνάπδθμκ, ηαεὸ δέδεηαζ ἡ ηεθαθὴ ὄπζζεεκ
ζπμκδύθῳ· ηαὶ λύκηαζζξ, ηαὶ ζηθδνόηδξ ἀιθὶ ημὺξ ηέκμκηαξ· ηαὶ εἰ δζμίβεζκ ἐπεζνᾶημ,
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λοκηεζκόιεκμξ. ἔιεημζ ὁηόηε βεκμίαημ, ἀπέηνεπμκ ηὰξ εἰνδιέκαξ ὀδύκαξ, ηαὶ
ἠπζςηέναξ ἐπμίεμκ· ἀθθὰ ιὴκ ηαὶ θθεαμημιίδ ὠθέθεε, ηαὶ ἐθθεαμνμπμζίδ ἀκ῅βε
πακημδαπά, μὐπ ἥηζζηα δὲ πναζμεζδέα (Epid. V 83, L V 250-252) “Per quanto riguarda la malattia di Fenice, egli provava all‟occhio destro una simile sensazione: per molto tempo gli sembrava che brillasse come un fulmine. Dopo una breve attesa, un dolore terribile sorgeva alla tempia destra, poi in tutta la testa e nel collo, nel punto in cui
la testa si fissa dietro la vertebra. I tendini erano rigidi e duri. Se provava ad aprire
bocca, aveva delle contrazioni. Se vomitava, i dolori suddetti si allontanavano e si alleviavano. Anche la flebotomia era d‟aiuto. Bere l‟elleboro faceva evacuare ogni genere di sostanza, soprattutto quelle simili al porro”.
Πανιεκίζηῳ ηαὶ πνόηενμκ ἐκέπζπημκ ἀεοιίαζ ηαὶ ἀπαθθαβ῅ξ αίμο ἐπζεοιίδ, ὁηὲ δὲ
πάθζκ εὐεοιίδ (Epid. V 84, L V 252) “Parmenisco era inizialmente abbattuto e desiderava morire, talvolta era nuovamente di buon umore”.62
Ne emerge un quadro clinico non lontano da quello evidenziato per la servitrice di Conone e per il κεδκίζημξ: si tratta di stati alterati della mente.63 Ed è probabilmente in forza di
tale omogeneità che l‟autore di Epidemie VII ha ritenuto opportuno seguire l‟ordine di Epidemie V. In questa prospettiva, l‟omissione della sezione 86 non rappresenta un problema per
il senso generale. E se è vero che il decesso del servo di Timocharis richiama solo i casi in cui
l‟esito della malattia è mortale, ciò non toglie che i ιεθαβπμθζηά possono rappresentare la
chiusa finale dell‟intera sequenza, attraverso cui riassumere tutti i sintomi in essa illustrati:
problemi oculari, perdita della voce, spasmi, paure immotivate e abbattimenti. Il filo conduttore rimane l‟alterazione mentale. La grande assente la bile nera.64
62
Il caso di Parmenisco, così come citato in Epid. V 84, non rappresenta che l‟incipit della più ampia descrizione
fornita nel parallelo Epid. VII 89. Si aggiungono, tra i sintomi, perdita della voce (ἄθςκμξ), insonnia (ἀβνοπκία),
agitazione silenziosa (ῥζπηαζιόξ ιεηὰ ζζβ῅ξ), inquietudine (ἀθοζιόξ). Dopo quattordici giorni di malattia il paziente si dice guarito.
63
La scheda relativa al malato Fenice rappresenta forse l‟unica eccezione, anche se i problemi oculari e la forte
cefalgia non la rendono totalmente avulsa da tale contesto. Del resto, anche nel caso del κεδκίζημξ il riferimento
al delirio non è esplicito.
64
Non traggano in inganno i riferimenti all‟elleboro. Prima di essere assunto come rimedio specifico contro
l‟atrabile, i suoi effetti medicamentosi all‟interno del Corpus Hippocraticum sono vari, spesso in relazione con la
cura della follia in generale (questo è l‟uso che perdura ancora in Ar. V. 1489 bis e Dem. Or. 18, 121). Sorte
analoga avrà la mandragora (cf. Starobinski 1960, 27-33).
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Le cose non cambiano con l‟epilessia. Da un lato il cosiddetto „male sacro‟ viene messo sullo stesso piano dei fenomeni maniaci e melancolici,65 ma allo stesso tempo se ne sottolinea la profonda diversità. In Epid. VI 8, 31, infatti, melancolia ed epilessia sono presentate
come malattie interscambiabili, ma la prima colpisce la mente, l‟altra il corpo. Che l‟autore
voglia qui effettuare una rigida ripartizione tra patologia prettamente psichica e disturbo organico non è ammissibile.66 Le spiegazioni fisiologiche che i medici della cerchia di Ippocrate
propongono per l‟epilessia sono numerose.67 In Male sacro essa è dovuta al cervello che non
si è purgato a sufficienza prima o dopo la nascita, così che il flegma, discendendo dalla testa
attraverso le due grandi vene provenienti dal fegato e dalla milza, coagula il sangue e ostacola
il passaggio dell‟aria (capp. 3-6). L‟azione del flegma è determinante, tanto che per ben due
volte si ribadisce in modo categorico che l‟epilessia insorge ai flegmatici, non ai biliosi.68 Se i
ιεθαβπμθζημί di Epid. VI 8, 31 fossero semplicemente dei soggetti atrabiliari, non si spiegherebbe una relazione così stretta con gli epilettici, presentati dall‟autore di Male sacro come essenzialmente flegmatici. Se poi si riflette sul fatto che quest‟autore viene considerato lo stesso
di Arie, acque, luoghi, il trattato che conosce la ιεθαβπμθία, ci si chiede perché di una tale relazione in Male sacro non si faccia menzione. Tuttavia, ragionando sui dati fin qui ottenuti, si
osserva il contrario. Si è visto che ιεθαβπμθζηόξ indica un qualsiasi stato di disturbo mentale,
più o meno grave, con le relative conseguenze fisiche. Ed anche Male sacro si presta alla descrizione di quelli che ho chiamato, un po‟ impropriamente, disturbi psichici. Anch‟essi, come
65
Cf. supra, p. 14s. La più famosa descrizione dell‟epilettico si trova in Male sacro (cap. 7), l‟unico trattato del
Corpus dedicato interamente a tale argomento: ἢκ δὲ ημοηέςκ ιὲκ ηῶκ ὁδῶκ ἀπμηθεζζεῆ, ἐξ δὲ ηὰξ θθέααξ, ἃξ
πνμείνδηα, ηὸκ ηαηάῤῥμμκ πμζήζδηαζ, ἄθςκόξ ηε βίκεηαζ ηαὶ πκίβεηαζ, ηαὶ ἀθνὸξ ἐη ημῦ ζηόιαημξ ἐηνέεζ, ηαὶ μἱ
ὀδόκηεξ ζοκδνείηαζζ, ηαὶ αἱ πεῖνεξ ζοζπῶκηαζ, ηαὶ ηὰ ὄιιαηα δζαζηνέθμκηαζ, ηαὶ μὐδὲκ θνμκέμοζζκ, ἐκίμζζζ δὲ
ηαὶ ὑπμπςνέεζ ἡ ηόπνμξ ηάης (L VI 372). La condizione in cui si presenta l‟infermo è simile a quella di chi si
trova in uno stato alterato della mente: perdita delle facoltà mentali accompagnata da complicazioni fisiche (e.g.
l‟afonia, uno dei sintomi più comuni). È bene ricordare che in Morb.Sacr. la malattia in questione non viene ancora designata con i termini provenienti dalla radice επζθδπ- (cf. ἐπζθαιαάκς), che sono sì presenti, ma nel loro
significato originario di „attacco di, preso da‟ (scil. malattia). Per la denominazione „male sacro‟ cf. infra, App.
II, n. 4.
66
Cf. supra, p. 15.
67
Cf. Jouanna 1992, 186.
68
Morb.Sacr. 2 (ημῖζζ βὰν θθεβιαηώδεζζ θύζεζ βίκεηαζ· ημῖζζ δὲ πμθώδεζζκ μὐ πνμζπίπηεζ, L VI 366) e 5 (ἡ δὲ
κμῦζμξ αὕηδ βίκεηαζ ημῖζζ ιὲκ θθεβιαηίῃζζ, ημῖζζ δὲ πμθώδεζζκ μὔ, L VI 368).
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l‟epilessia, hanno origine nel cervello.69 L‟esposizione completa si ha nel capitolo 15 (L VI
388-390):70
βίκεηαζ δὲ ἡ δζαθεμνὴ ημῦ ἐβηεθάθμο ὑπὸ θθέβιαημξ ηαὶ πμθ῅ξ· βκώζῃ δὲ ἑηάηενα
ὧδε· μἱ ιὲκ βὰν ὑπὸ ημῦ θθέβιαημξ ιαζκόιεκμζ ἥζοπμί ηέ εἰζζ ηαὶ μὐ αμῶζζκ μὐδὲ
εμνοαέμοζζκ, μἱ δὲ ὑπὸ πμθ῅ξ ηεηνάηηαζ ηαὶ ηαημῦνβμζ ηαὶ μὐη ἀηνειαῖμζ, ἀθθ‟ αἰεί ηζ
ἄηαζνμκ δνῶκηεξ. ἤκ ιὲκ μὖκ λοκεπέςξ ιαίκςκηαζ, αὗηαζ αὐημῖξ αἱ πνμθάζζέξ εἰζζκ· ἢκ
δὲ δείιαηα ηαὶ θόαμζ πανζζηῶκηαζ, ὑπὸ ιεηαζηάζζμξ ημῦ ἐβηεθάθμο· ιεείζηαηαζ δὲ
εενιαζκόιεκμξ· εενιαίκεηαζ δὲ ὑπὸ η῅ξ πμθ῅ξ, ὁηόηακ ὁνιήζῃ ἐπὶ ηὸκ ἐβηέθαθμκ,
ηαηὰ ηὰξ θθέααξ ηὰξ αἱιαηίηζδαξ ἐη ημῦ ζώιαημξ· ηαὶ θόαμξ πανέζηδηε ιέπνζξ
ἀπέθεῃ πάθζκ ἐπὶ ηὰξ θθέααξ ηαὶ ηὸ ζῶια· ἔπεζηα πέπαοηαζ. ἀκζᾶηαζ δὲ ηαὶ ἀζᾶηαζ
πανὰ ηαζνὸκ ροπμιέκμο ημῦ ἐβηεθάθμο ηαὶ λοκζζηαιέκμο πανὰ ηὸ ἔεμξ· ημῦημ δὲ ὑπὸ
θθέβιαημξ πάζπεζ· ὑπ‟ αὐημῦ δὲ ημῦ πάεεμξ ηαὶ ἐπζθήεεηαζ. ἐη κοηηῶκ δὲ αμᾷ ηαὶ
ηέηναβεκ, ὁηόηακ ἐλαπίκδξ ὁ ἐβηέθαθμξ δζαεενιαίκδηαζ· ημῦημ δὲ πάζπμοζζκ μἱ
πμθώδεεξ, μἱ θθεβιαηώδεεξ δὲ μὔ· δζαεενιαίκεηαζ δὲ ηαὶ ἐπὴκ ηὸ αἷια ἐπέθεῃ πμοθὺ
ἐπὶ ηὸκ ἐβηέθαθμκ ηαὶ ἐπζγέζῃ. ἔνπεηαζ δὲ ηαηὰ ηὰξ θθέααξ πμοθὺ ηὰξ πνμεζνδιέκαξ,
ὁηόηακ ηοβπάκῃ ὥκενςπμξ ὁνέςκ ἐκύπκζμκ θμαενὸκ ηαὶ ἐκ ηῷ θόαῳ ἔῃ· ὥζπεν μὖκ
ηαὶ ἐβνδβμνόηζ ηόηε ιάθζζηα ηὸ πνόζςπμκ θθμβζᾷ, ηαὶ μἱ ὀθεαθιμὶ ἐνεύεμκηαζ,
ὁηόηακ θμα῅ηαζ, ηαὶ ἡ βκώιδ ἐπζκμέῃ ηζ ηαηὸκ ἐνβάζαζεαζ, μὕης ηαὶ ἐκ ηῷ ὕπκῳ
πάζπεζ· ὁηόηακ δὲ ἐπέβνδηαζ ηαὶ ηαηαθνμκήζῃ ηαὶ ηὸ αἷια πάθζκ ἀπμζηεδαζεῆ ἐξ ηὰξ
θθέααξ ηὰξ πνμεζνδιέκαξ, πέπαοηαζ “La corruzione del cervello avviene a causa del
flegma e della bile; riconoscerai che ciascuno dei due umori agisce secondo quanto
segue. Chi impazzisce a causa del flegma è calmo, non grida né strepita, mentre chi a
causa della bile, urla, si comporta male ed è agitato, compiendo sempre qualcosa di
inopportuno. Dunque, se la follia è continua, queste ne sono le cause. Qualora insorgano terrori e paure, ciò è dovuto a un‟alterazione del cervello. Esso muta il suo stato
se riscaldato, e viene riscaldato dalla bile, qualora essa dal corpo fluisca nel cervello
lungo le vene conduttrici di sangue. La paura persiste fino a che la bile non ritorna di
nuovo nelle vene e nel corpo. Solo allora cessa. Si prova abbattimento e disgusto senza
motivo, se il cervello si raffredda e si condensa oltre il dovuto. Ciò accade a causa del
flegma. Nel decorso della stessa malattia, si perde anche la memoria. Di notte il mala69
Morb.Sacr. 3 (L VI 366): ἀθθὰ βὰν αἴηζμξ ὁ ἐβηέθαθμξ ημύημο ημῦ πάεεμξ, ὥζπεν ηαὶ ηῶκ ἄθθςκ κμοζδιάηςκ
ηῶκ ιεβίζηςκ.
70
Cf. l‟analisi di Di Benedetto 1986, 41-43.
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to lancia grada ed urla, quando il cervello viene improvvisamente riscaldato. Ciò accade ai biliosi, non ai flegmatici. Il cervello si riscalda anche quando il sangue si riversa
in gran quantità nel cervello e ribolle. Esso attraversa copioso le vene suddette, quando
l‟uomo ha un incubo e ne rimane atterrito. Quindi, come il viso arrossisce quando si è
svegli, e gli occhi diventano rossi, soprattutto quando si ha paura, e la mente medita di
compiere qualche cattiva azione, così accade durante il sonno. Nel momento in cui ci
si risveglia e si riprende conoscenza, e il sangue si disperde nuovamente nelle vene
suddette, il tutto ha fine”.
Due sono i tipi di follia. Una continua e una temporanea. Entrambe si distinguono a loro volta a seconda dell‟agente patogeno. Se interviene la bile, essa provoca uno stato di continua agitazione e temporanee fobie, se interviene il flegma, la pazzia è calma e possono insorgere momenti di afflizione e di disgusto. L‟azione della prima dipende dal caldo, la seconda
agisce attraverso il freddo. I sintomi descritti sono quelli che si è incontrato altrove in riferimento a ιεθαβπμθζηόξ. Qui si utilizza il verbo ιαίκμιαζ, che in Ippocrate non richiama la
ιακία, ma indica ancora la follia in senso generale.71 I due termini, quindi, si muovono su uno
stesso terreno semantico, abbracciando il vasto campo dei disturbi mentali, dai più profondi
abbattimenti, alle più violente agitazioni. In mancanza di altri elementi,72 è lecito supporre che
anche il termine ιεθαβπμθία avesse in origine tale valenza. Se così fosse, l‟autore di Arie, acque, luoghi e di Male sacro utilizza, per riferirsi all‟alterazione mentale, nel primo trattato il
sostantivo ιεθαβπμθία, nel secondo il verbo ιαίκμιαζ. Su questa linea, si può affermare che la
stretta relazione tra epilettici e melancolici discende da Male sacro, in cui è sì assente il termine melancolia, ma vi compare il concetto fondamentale: uno stato alterato della mente. Ed
è forse proprio a Male sacro che sta pensando l‟autore di Epid. VI 8, 31. Come Male sacro
connette gli epilettici con chi è in preda alla follia, sulla base del fatto che in ambedue i casi è
il cervello ad essere colpito, così in Epid. VI 8, 31 si ribadisce tale connessione, ma allo stesso
tempo si sottolinea la diversità che attraversa i due stati morbosi: l‟epilessia non intacca le facoltà mentali, infatti il flegma che discende dalle due grosse vene della milza e del fegato attraversa tutto il corpo, mentre la melancolia colpisce direttamente la sede dell‟intelligenza –
che nel caso di Male sacro è appunto il cervello. Certo l‟autore di Epid. VI 8, 31 rimane volutamente ambiguo, in quanto consapevole che vi erano versioni contrastanti per quanto riguar71
Sulla terminologia relativa alle turbe del comportamento vd. Pigeaud 1987, pp. 19-28.
72
Cf. supra, p. 6s. e 12s. Tuttavia, si vedrà in seguito come tale comunanza di significato poggia sulla sinonimia
tra i verbi ιεθαβπμθάς e ιαίκμιαζ (cf. infra, cap. 2, p. 32).
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da sia l‟origine dell‟epilessia73 sia il luogo del corpo preposto alle facoltà intellettive.74 Ma il
fondo del discorso era unico: l‟epilessia era una malattia essenzialmente fisica con risvolti
psichici, al contrario la melancolia.
La relazione tra epilettici e melancolici ha largo seguito, ma si interseca in un dato
momento con la storia della bile nera, perché quest‟ultima si è a sua volta intersecata con la
storia della melancolia. E ciò a partire già dal IV secolo a. C., come ci testimonia Platone.
Nella sua eziologia del male sacro si ribadisce, da un lato, il ruolo fondamentale del flegma,
dall‟altro si precisa che esso è commisto alla bile nera.75 Se Platone sentì il bisogno di assegnare un ruolo nosologico preciso ad un umore che egli stesso non riteneva nulla più che una
varietà della bile pura,76 ciò significa che il binomio epilessia/melancolia risentì del nuovo binomio melancolia/bile nera.77 Del resto, anche nel Corpus Hippocraticum si incontra
ιεθαβπμθώδδξ esplicitamente connesso con la bile nera.78 La recenziorità e la scarsa frequenza di questo termine ci dicono, a mio avviso, che anche la cerchia di Ippocrate ad un certo
punto avvicinò i due concetti, ma in modo cauto e non sempre chiaro.
In Acut. 16 agli amarobiliosi si oppongono i melancolici. In Epid. III 3, 14 viene istituito un confronto tra la costituzione melancolica e sanguigna da un lato, e i flegmatici e gli
amarobiliosi dall‟altro. Secondo Joly siamo in presenza di una teoria umorale molto simile a
73
Cf. supra, n. 67.
74
I trattati ippocratici erano essenzialmente divisi tra encefalo (Male Sacro), cuore (Cuore; Malattie II) e sangue
(Venti; Malattie I). Platone si allinea alla tesi encefalica, Aristotele a quella cardiaca. Per una dettagliata esposizione sulle teorie inerenti alla localizzazione della sede delle attività cognitive tra V e IV secolo vd. Eijk 2005.
Per Galeno la sede dell‟attività dell‟anima è il cervello (De locis affectis III 7, K VIII 167: πνὴ θζθόπμκόκ ηε ηαὶ
γδηδηζηὸκ εἶκαζ ηὸκ ἰαηνὸκ, μὐη ἐκ ηῷ ζημπεῖκ ὅπςξ ἀκηείπῃ ημῖξ ηαθῶξ εἰνδιέκμζξ ὑπὸ ηῶκ παθαζῶκ πενὶ ροπ῅ξ
ἡβειμκζημῦ, πνάβιαημξ μὕηςξ ἐκανβμῦξ, ὡξ ηαὶ ημῖξ ἰδζώηαζξ πεπζζηεῦζεαζ ηαηὰ ηὸκ ἐβηέθαθμκ εἶκαζ).
75
Ti. 85 a 5-b 2: ιεηὰ πμθ῅ξ δὲ ιεθαίκδξ [scil. ηὸ θθέβια] ηεναζεὲκ ἐπὶ ηὰξ πενζόδμοξ ηε ηὰξ ἐκ ηῆ ηεθαθῆ
εεζμηάηαξ μὔζαξ ἐπζζηεδακκύιεκμκ ηαὶ ζοκηανάηημκ αὐηάξ, ηαε‟ ὕπκμκ ιὲκ ἰὸκ πνᾳΰηενμκ, ἐβνδβμνόζζκ δὲ
ἐπζηζεέιεκμκ δοζαπαθθαηηόηενμκ· κόζδια δὲ ἱενᾶξ ὂκ θύζεςξ ἐκδζηώηαηα ἱενὸκ θέβεηαζ.
76
Cf. supra, p. 10.
77
Anche Galeno, commentando proprio Epid. VI 8, 31, affronta la relazione melancolia/epilessia su un piano
puramente eziologico. Anche lui contraddice Male Sacro ed assegna all‟umore melancolico, insieme al flegma,
la capacità di generare l‟epilessia. Se agisce solo il primo c‟è la possibilità che la malattia evolva in melancolia,
altrimenti no: μὐ βὰν ὑπὸ ιεθαβπμθζημῦ ποιμῦ ιόκμκ, ἀθθὰ ηαὶ θθεβιαηζημῦ η῅ξ ἐπζθδρίαξ ἀπμηεθμοιέκδξ, ἡ
ιὲκ ὑπὸ ημῦ ιεθαβπμθζημῦ ποιμῦ βζκμιέκδ ιεηαπίπηεζ πμηὲ εἰξ ιεθαβπμθίακ, ἡ δ‟ ὑπὸ ημῦ θθεβιαηζημῦ πνὸξ
ἄθθμ ιέκ ηζ ιεείζηαηαζ πάεμξ, ὑπὲν μὗ ιζηνὸκ ὕζηενμκ ἐνῶ, ιεθαβπμθίακ δὲ μὐη ἐνβάγεηαζ (De locis affectis III
10, K VIII 180). Sul rapporto tra melancolia ed epilessia in Aristotele vd. infra, cap. 3, 44s.
78
Cf. supra, p. 13s.
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quella di Natura dell’uomo, essendo la bile amara un semplice sinonimo di bile gialla.79 In entrambi i casi l‟aggettivo ιεθαβπμθζηόξ è messo sullo stesso piano di termini che chiaramente
richiamano una costituzione in cui prevale un dato umore. Per cui esso non può che riferirsi
all‟atrabile: in Acut. 16 si parla di soggetti atrabiliosi, in Epid. III 3, 14 di una costituzione
atrabiliare. Ma l‟aspetto linguistico dei termini utilizzati lascia perplessi. Solo per indicare la
bile nera si adopera un aggettivo con suffisso in –ζηόξ, la cui importanza per la storia culturale
greca è già stata messa in evidenza.80 Non godono dello stesso onore πζηνόπμθμξ, ὕθαζιμξ, e
θθεβιαηώδδξ. Che si veda o no un principio dello schema tetradico degli umori, la bile nera
non ha ancora assunto un ruolo tanto importante da differenziarsi sul piano terminologico.81
Evidentemente, per esprimere ciò che è relativo all‟atrabile, si prende in prestito un termine
etimologicamente simile, ma che proviene da un altro contesto: ιεθαβπμθζηόξ. Esso deriva da
ιεθαβπμθία ed indica un generale stato di alterazione mentale, senza presupporre il concetto
di bile nera.
Data tale situazione, è probabile non solo che i medici ippocratici si siano serviti di
ιεθαβπμθζηόξ a volte secondo la sua antica accezione a volte in riferimento alla bile nera,82
ma anche che i due concetti si siano sovrapposti nello stesso termine. Ad esempio, il fatto che
in Epid. III 3, 14 allo stato atrabiliare vengano ascritti fenomeni frenitici, lascia aperta la possibilità che non solo la bile nera, ma anche l‟originario valore connesso con i disturbi psichici
fosse compreso in ιεθαβπμθζηόκ. Tuttavia, sempre nel terzo libro delle Epidemie (3, 17),
l‟autore, consapevole di questa sovrapposizione, dissipando ogni dubbio, specifica egli stesso
il contesto dei ιεθαβπμθζηά: si tratta delle affezioni che colpiscono la mente (πενὶ ηὴκ
βκώιδκ).83
Purtroppo, quando il testo non è così chiaro, si possono soltanto fornire delle ipotesi.
In Regime nelle malattie acute (Appendice) prevale il senso originario di ιεθαβπμθζηόξ.84 Se
79
Joly 1969, 157. Si tratterebbe di un‟altra prova a favore della tesi che nega l‟apporto innovativo di Natura
dell’uomo (cf. supra, n. 26). L‟autore di Epidemie III è lo stesso di Epidemie I.
80
Cf. supra, p. 14.
81
Cf. supra, pp. 7-10.
82
Lo stesso ιεθαβπμθώδδξ in Morb. I 30 rispecchia il valore originario del concetto di melancolia, mentre in
Remed. 36 il riferimento alla bile nera è esplicito.
83
Anche l‟autore di Morb. I 30 avverte la necessità di precisare in tal senso (ηαηὰ ηὴκ πανάκμζακ) l‟uso di
ιεθαβπμθώδδξ, di per sé ancora più ambiguo.
84
Il trattato costituisce l‟appendice di Regime nelle malattie acute, risalente alla fine del V secolo. Gli studiosi
dibattono se attribuirli o meno ad uno stesso autore. Per il fatto che in Regime nelle malattie acute il termine
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al capitolo 14 è preferibile attribuire il blocco dell‟aria nelle vene all‟azione della bile nera, ai
capitoli 8, 10 e 18 il contesto è quello dei disturbi mentali.85 È da notare che il melancolico di
Acut. (Sp.) 10 non è presentato come un malato, ma nemmeno è messo in relazione con altre
costituzioni umorali, per cui intenderlo semplicemente come atrabiliare non è soddisfacente.86
In questo caso il ιεθαβπμθζηόξ rappresenta una tipologia di persona, il cui stato mentale, di
per sé non del tutto sano, risulta essere maggiormente predisposto a cadere in preda alla follia.
Il secondo libro del Prorretico (capp. 7, 30 e 43) risulta ancora più ambiguo.87 I dolori e le affezioni melancoliche ivi accennate riflettono più che altro disturbi organici e quindi fenomeni
legati all‟umor nero. Solo in Prorrh. II 9 il delirio e la crisi apoplettica del paziente rientrano
nei casi di ιεθαβπμθζηαὶ ἐηζηάζζεξ. Sennonché, il senso stesso di ἐηζηάζζεξ è poco trasparente: più che ad alterazioni mentali, sembra riferirsi ad alterazioni degli umori.88 In Aph. IV 9 si
consiglia come purgare i melancolici (dal basso). Nulla induce a credere che la sostanza evacuata sia la bile nera. L‟aforisma è inoltre legato a quello precedente (ηῷ αὐηῷ θμβζζιῷ
ηἀκακηία πνμζηζεείξ), nel quale ad essere purgati sono i tisici,89 ma anche qui non si specifica
il tipo di umore da rimuovere. Dopo tutto, abbiamo già incontrato altri passi di Aforismi, e il
concetto di melancolia che vi prevale prescinde dalla bile nera. Nello stesso senso vanno interpretati Aph. VI 11 e VII 40. Nel secondo appare il solito corredo di disturbi organici che
accompagna il delirio. Nel primo il senso è meno evidente: vi appare l‟emorragia come un
ιεθαβπμθζηόξ ricorre una volta e in riferimento alla bile nera (cap. 16), mentre in Regime nelle malattie acute
(Appendice) ben quattro volte e prevalentemente nel significato originario, propendo per due mani diverse.
85
Acut. (Sp.) 18 va confrontato con Vict. I 35, in cui l‟assunzione di carne è elencata tra le cause della follia (ηαὶ
βὰν ἀπὸ αναπείδξ θθεβιμκ῅ξ ηαὶ ἀζοιθόνμο ιαίκμκηαζ, ηαὶ ἐκ ηῆζζ ιέεῃζζ ηαὶ ἐκ ηῆζζκ εὐελίῃζζ η῅ξ ζανηὸξ ηαὶ
ὑπὸ ηῶκ ηνεδθαβζῶκ, L VI 522).
86
In Acut. (Sp.) 5 la bile nera compare in relazione con quei sintomi che abbiamo spesso visto accompagnare i
disturbi psichici (afonia e spasmi). Tuttavia, essa non ha un ruolo nosologico determinante (al suo fianco vengono menzionati certi umori aspri) e il concetto di alienazione mentale non è pervenuto: ὁηόηακ ἀθβήιαηα
πνμβέκδηαζ, ιεθαίκδξ πμθ῅ξ ηαὶ δνζιέςκ ῥεοιάηςκ ἐπζῤῥύζζεξ βίβκμκηαζ· ἀθβέεζ δὲ ηὰ ἐκηὸξ δαηκόιεκμξ·
δδπεεῖζαζ δὲ ηαὶ θίδκ λδναὶ βεκόιεκαζ αἱ θθέαεξ ἐκηείκμκηαί ηε ηαὶ θθεβιαίκμοζαζ ἐπζζπῶκηαζ ηὰ ἐπζῤῥέμκηα·
ὅεεκ δζαθεανέκημξ ημῦ αἵιαημξ, ηαὶ ηῶκ πκεοιάηςκ μὐ δοκαιέκςκ ἐκ αὐηῷ ηὰξ ηαηὰ θύζζκ ὁδμὺξ ααδίγεζκ,
ηαηαρύλζέξ ηε βίβκμκηαζ ὑπὸ η῅ξ ζηάζζμξ, ηαὶ ζημηώζζεξ, ηαὶ ἀθςκίδ, ηαὶ ηανδαανίδ, ηαὶ ζπαζιμὶ (L II 404406).
87
Il fatto che l‟autore di Prorretico I adoperi ιεθαβπμθζηόξ per trattare esclusivamente dei disturbi mentali, non
ci deve sorprendere. Infatti, Prorretico II, malgrado il titolo, non costituisce il seguito di Prorretico I. Gli studiosi lo affiancano piuttosto a Prognostico (metà del V secolo).
88
Cf. infra, App. I, n. 14.
89
Aph. IV 8: ημὺξ δὲ θεζκώδεαξ, ὑπμζηεθθμιέκμοξ ηὰξ ἄκς.
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sintomo positivo sia per melancolici sia per nefritici. L‟aforisma è ripreso in Iudic. 41, ma al
posto della nefrite compare la frenite.90 Che si tratti o meno di un errore, se l‟autore di Iudic.
41 affianca melancolia e frenite, è probabile che egli assegni ai melancolici di Aph. VI 11 un
valore psichico. Noi possiamo fare altrettanto. In Epid. VI 1, 11 e II 5, 1 il concetto di melancolia è prossimo ad uno stato morboso.91 In Epid. VI 8, 20 e II 6, 1 il melancolico costituisce
una semplice tipologia di persona, non necessariamente malata.92 Alla luce di Epid. VI 8, 31,
dove si dice che i melancolici sono colpiti nel pensiero,93 è possibile che le accezioni di melancolia in questi passi sottintendano tutte l‟alterazione mentale, sia essa considerata come
una patologia specifica o una normale condizione del paziente. Perciò, non ritengo opportuno
ravvisare nemmeno in ιεθαβπμθζηόκ di Epid. VI 6, 14 una menzione della bile. È vero che il
contesto è quello umorale, ma in questo caso ad essere messi sullo stesso piano sono il corpo
bilioso e quello sanguigno. La loro trasformazione in uno stato melancolico non consiste necessariamente in un‟alterazione dell‟umore.94
Non rimane che prendere visione del trattato che fonda le basi della teoria dei quattro
umori e dei quattro temperamenti, e dell‟aforisma giustamente considerato come lo «statut juridique et fondateur»95 del concetto moderno di melancholia. L‟autore di Natura dell’uomo,
pur essendo «l‟inventore della bile nera»,96 non fornisce alcuna definizione del concetto di
melancolia. Solo verso la fine del trattato (cap. 15) ricorre il solito ιεθαβπμθζηόξ. Le febbri
quartane fanno parte della categoria melancolica, in quanto sono malattie tipicamente autunnali e colpiscono in genere gli uomini tra i venticinque e quarantacinque anni. Non se ne ricava alcun elemento utile a delineare tale categoria. Il riferimento all‟autunno non è indicativo.
In Epid. VI 1, 11 lo stato melancolico compare d‟autunno, ma nel terzo libro di Aforismi i
ιεθαβπμθζηά sono catalogati sia tra i disturbi primaverili (sez. 20) sia tra quelli autunnali (sez.
90
Cf. supra, p. 17; infra, App. I, n. 15.
91
In Epid. VI 1, 11 tra le patologie autunnali, al fianco dello stato melancolico, compare ηὸ εδνζῶδεξ (cf. supra,
n. 59).
92
Cf. Acut. (Sp.) 10. Il fatto che in Epid. VI 8, 20 il melancolico vomiti indefinite sostanze nere, non è una prova
sufficiente per ravvisare la presenza della bile nera.
93
Cf. supra, pp. 22-24.
94
Il passo viene confrontato con Epid. II 3, 15 (cit. supra, n. 27), dove la costituzione sanguigna e quella biliosa
si mutano in bile nera. Ma prima ancora si afferma che entrambe soffrono di acidità di stomaco. Se un confronto
ci deve essere tra i due passi, ιεθαβπμθζηόκ va messo sullo stesso piano non della bile nera, ma di ὀλονεβιζῶδεξ.
95
Pigeaud 1984a, 502.
96
Cf. supra, p. 8.
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22).97 Qui l‟autore sta cercando di far entrare le febbri in uno schema umorale.98 Ma ormai lo
si è capito: il concetto di melancolia non può essere schematizzato. Il riferimento all‟età, invece, non riguarda né le origini della bile nera né quelle della melancolia. Esso si sviluppa solo in epoca tardoantica nella dottrina dei quattro temperamenti.99 Che lo stato melancolico di
Natura dell’uomo comporti un chiaro riferimento alla bile nera, non è possibile ammetterlo
con certezza.100 Se così fosse, non si capirebbe il motivo per cui lo stesso autore si spenda a
ricordare subito dopo che soprattutto l‟età descritta e l‟autunno sono caratterizzate dalla bile
nera. Evidentemente il semplice ιεθαβπμθζηόξ non risultava sufficientemente chiaro.101 Resta
il fatto che l‟unico trattato che tratta specificamente di bile nera, non tratta della melancolia.
Di uno stato melancolico caratterizzato da prolungata paura o da prolungato abbattimento si parla in Aph. VI 23. È il passo più famoso sulla melancolia, quello che secondo Galeno ne riassume il concetto.102 Ma in Ippocrate θόαμξ e δοζεοιία non sono altro che due atteggiamenti caratteristici di chi non si trova in uno stato mentale completamente sano. E, co97
In Aër. 10 la stagione in cui insorge la ιεθαβπμθία non è esplicitata. In genere si pensa al soggetto della frase
precedente: ηὸ ιεηόπςνμκ. Tuttavia, in questo caso, la malattia non dipende dalla stagione in sé, ma dalla condizione climatica (secca e priva di piogge).
98
Nat.Hom. 15 tratta, oltre che della febbre quartana, della continua, della quotidiana e della terzana, secondo
uno schema tipicamente tetradico. Vengono tralasciate molte altre tipologie di febbre (causo, febbre notturna,
regolare, irregolare, semiterzana, notturna). La più ampia descrizione è offerta in Epid. I 2, 4 (L II 618-624).
99
Siamo in presenza della «prima formulazione della relazione fra gli umori e l‟età» (Jouanna 2006a, 45). Cf.
supra, n. 37.
100
Non escludo che si possa riferire ad uno stato alterato della mente causato dalla febbre quartana, di cui si rile-
va qui e altrove (Epid. I 2, 4, L II 622) la maggiore durata rispetto ad altri stati febbrili. La presenza e l‟assenza
di febbre risultano determinanti, infatti, per definire tipologie di follia (cf. la definizione di mania e frenite, supra, n. 58).
101
L‟unità di Natura dell’uomo è stata spesso messa in discussione per quanto riguarda i capitoli 16-24 (gli ulti-
mi due sono concordemente considerati spurî). Ma c‟è chi ha avanzato dubbi anche per i capitoli 9-15 (Joly
1969, 151). Lo iato consiste nella quasi totale assenza della teoria umorale esposta nei capitoli 1-8. Il
ιεθαβπμθζηόξ di Natura dell’uomo compare, non a caso, nella sezione in cui la dottrina dei quattro umori appare
più debole.
102
Galeno rimprovera Diocle per avere omesso dalla sua trattazione della melancolia (cf. supra, n. 36) i sintomi
principali della malattia: ηαῦηα ιὲκ μὖκ ὁ Δζμηθ῅ξ ἔβναρε, παναθζπὼκ ἐκ ηῷ ηαηαθόβῳ ηῶκ ζοιπηςιάηςκ ηὰ
ηονζώηαηα η῅ξ ὅθδξ ζοκδνμι῅ξ, ὅζα ηήκ ηε ιεθαβπμθίακ παναηηδνίγεζ (De locis affectis III 10, K VIII 187s.).
Citando Aph. VI 23 poco dopo, lo stesso Galeno esplicita in cosa consistano questi sintomi. L‟aforisma viene
citato anche in In Hippocratis aphorismos commentarium VII 40 (K XVIII A 143) e in De symptomatum causis
II 7 (K VII 203), oltre ad essere commentato in In Hippocratis aphorismos commentarium VI 23 (K XVIII A
35).
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me si è visto, in Morb.Sacr. 15 la paura è determinata dal riscaldamento del cervello da parte
della bile, mentre l‟abbattimento dal raffreddamento del cervello da parte del flegma.103
L‟aggettivo ιεθαβπμθζηόξ viene per l‟ennesima volta messo in relazione con i disturbi psichici, senza alcuna implicazione con la bile nera.104 Il senso che oggigiorno si attribuisce comunemente alla melancholia, quello di „tristezza senza causa‟ (o „depressione‟ nell‟accezione
psichiatrica), non deriva, quindi, da Ippocrate, ma dall‟interpretazione che di Ippocrate dà Galeno.105
In breve, nel Corpus Hippocraticum la melancolia è un concetto antico, ma non ancora
delineato compiutamente. Le tre sole occorrenze del sostantivo ιεθαβπμθία ce lo testimoniano. In compenso, di un largo uso ha goduto l‟aggettivo derivato ιεθαβπμθζηόξ, impiegato comunemente per indicare un generale stato di alterazione mentale. Stato che non significa necessariamente malattia, ma qualifica anche delle tipologie di persone.106 Stato che non implica
la nozione di bile nera. Questo per due motivi fondamentali. Primo, la bile nera assume uno
statuto speciale solo a partire dall‟età tardoantica e bizantina, in qualità di uno degli elementi
fondamentali nella dottrina dei quattro umori e dei quattro temperamenti. Le basi teoriche
vanno cercate in Natura dell’uomo, ma a valorizzarle sino a farne dogma è Galeno. Il secondo
motivo è la conseguenza del primo: un umore che in origine non ha nulla di speciale, non può
dar vita ad un concetto di per sé speciale, sia da un punto di vista cronologico che terminologico. Cronologico perché conosciuto fin dai più antichi testi ippocratici (Aër. 10). Terminologico perché il suffisso –ζηόξ riveste un‟importanza culturale talmente forte che riferirlo ad una
103
Cf. supra, pp. 22-24.
104
In Mul. II 182 la bile nera nella matrice comporta stati di paura e di abbattimento: ὅηακ βοκὴ ηὴκ ηεθαθὴκ
ἀθβέῃ ηὸ ανέβια ηε ηαὶ ηὸκ ηνάπδθμκ ηαὶ ἰθζββζᾷ πνὸ ηῶκ ὀιιάηςκ ηαὶ θμα῅ηαζ ηαὶ ζηοβκὴ ᾖ, ηαὶ μὖνα ιέθακα
ηαὶ δζ‟ ὑζηένδξ ὅιμζα, ηαὶ ἄζδ ἔπῃ ηαὶ δοζεοιίδ, ιέθαζκα πμθὴ ἐκ ηῆζζ ιήηνῃζζκ ἔκζ (L VIII 364). Ciò non impone di vedervi un passo parallelo ad Aph. VI 23. Qui il contesto morboso è ginecologico e se ne descrive
l‟eziologia, lì si parla su un piano generale di uno stato melancolico determinato (non determinante) da paura ed
abbattimento. In Mul. II 182 la bile nera, come altrove la semplice bile o il semplice flegma, non è altro che la
causa di turbe mentali. Anche in Epid. V 2 essa assolve tale funzione, senza peraltro essere circoscritta a sintomi
precisi: ἐκ Ἤθζδζ, Τζιμηνάηδξ ἔπζε πθέμκ· ιαζκόιεκμξ δὲ ὑπὸ πμθ῅ξ ιεθαίκδξ, ἔπζε ηὸ θάνιαημκ (L V 204). Infine, è bene rammentarlo, Malattie delle donne è considerato un trattato cnidio. La bile nera nella scuola di Cnido non riveste un‟importanza tale da delineare il concetto di melancolia (cf. supra, p. 8s.).
105
Ciò nonostante, lo ricordo, nello stesso Galeno il concetto di melancolia non è sempre così nitido (cf. supra,
n. 36).
106
A conclusioni simili giunge Di Benedetto 1986, 63: «La nozione di melancolia, pur presentando un accentua-
to carattere di ambiguità, tende a coprire l‟area di quel complesso di fenomeni che con espressione approssimativa si usa oggi chiamare „nervosi‟, con possibili risvolti psico-fisici».
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semplice varietà di bile mi sembra un controsenso. Infatti, la stessa terminologia non si riscontra per gli altri umori.107 È chiaro che quando i medici ippocratici si sono trovati nella necessità di riferirsi all‟atrabile, non si sono serviti del più adatto ιεθάβπμθμξ,108 ma del già esistente ιεθαβπμθζηόξ. La nozione di bile nera e quella di melancolia, quindi, hanno cominciato
a sovrapporsi fin da Ippocrate. L‟etimologia ha fatto il resto. Ma il fatto che ancora nella medicina posteriore si continui a discutere sulla connessione tra bile nera e melancolia, è il sintomo che la seconda non deriva dalla prima.
In quale ambito si è formato, allora, il concetto di melancolia? Per rispondere a questa
domanda bisogna oltrepassare il confine dei testi medici, andando ad analizzare un termine
che, paradossalmente, occupa un posto irrilevante in Ippocrate: il verbo ιεθαβπμθάς.109
107
Gli aggettivi θθεβιαηώδδξ, πμθώδδξ/ὑπόπμθμξ/πζηνόπμθμξ, ἔκαζιμξ/ὕθαζιμξ sono quelli maggiormente ado-
perati per riferirsi rispettivamente al flegma, alla bile o al sangue. Al contrario, θθεβιαηζηόξ, πμθζηόξ e αἱιαηζηόξ
non ricorrono mai nel Corpus Hippocraticum. Le loro prime attestazioni – rispettivamente Arist. HA 634 a 26,
Plut. De virtute et vitio 101 c 6 e Arist. PA 665 b 5 – risalgono ad un periodo successivo, in cui «en même temps
que le suffixe [scil. –ζηόξ] devenait plus courant, la valeur en devenait moins précise» (Chantraine 1956, 170).
108
In tutt‟altra accezione è impiegato in contesto tragico (cf. infra, cap. 2, p. 40s.). Altro termine più appropriato
di ιεθαβπμθζηόξ per indicare la bile nera è ιεθαβπμθώδδξ, che in effetti compare in Remed. 36 in chiara relazione con essa (cf. supra, p. 13s.). Tuttavia, esso compare soltanto altre due volte nel Corpus Hippocraticum (Morb.
I 30), per di più secondo il valore originario del concetto di melancolia (cf. supra, nn. 54, 82 e 83).
109
Le uniche due attestazioni sono dubbie: una è v.l. (Morb. I 30), l‟altra va espunta (Aff. 36). Cf. supra, n. 40.
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2. L‟ORIGINE DELLA MELANCOLIA
Il verbo κειαγρνιάσ è d‟uso frequente nella commedia attica. Non solo in Aristofane,
ma anche nei comici del IV secolo, quali Alessi e Menandro. Adoperato come semplice sinonimo di καίλνκαη, esso ha il senso generale di „essere pazzo‟.1 Lo stesso vale per il parallelo
ρνιάσ.2 Lo scoliaste d‟Aristotele ci informa che un simile impiego è specificamente attico.
Altrove il verbo ρνιάσ ha il significato di „essere adirato‟.3 Similmente l‟epica omerica utilizza ρόινο – „ira, collera‟ – e il parallelo ρνιόνκαη – „adirarsi‟. Il paragone con ρνιάσ è stato
spesso evidenziato dagli studiosi.4 Come ρνιόνκαη deriva da un sostantivo che ha perso la sua
valenza fisiologica originaria, per assumerne una metaforica, così il denominativo ρνιάσ presuppone il termine ρνιή nell‟accezione traslata di „follia‟, non in quella di semplice umore. Su
quest‟ultimo punto i dati in nostro possesso non sono numerosi. Il lessico di Esichio definisce
ρνιή come „follia amara/violenta‟5 e ρόινο come „ira‟.6 Da Cirillo derivano entrambe le glosse, di cui la prima è forse di natura biblica. In NT. Act. Ap. 8, 23 si parla, infatti, di una certa
ρνιὴ πηθξίαο.7 Tuttavia, il contesto non permette di assegnare alla bile il valore di „follia‟.8
Ancora uno scolio aristofaneo può essere d‟aiuto. In Ar. Pax 64-67 il servo di Trigeo si appresta ad esporre in cosa consista la pazzia del padrone, ed a un certo punto (v. 66) adopera il
termine ρνιή.9 Secondo lo scoliaste, si tratta di un semplice sinonimo di „follia‟.10 Il materiale
è scarso, dubbio e per giunta molto tardo, ma va tenuto in considerazione.
1
Ar. Av. 14; Ec. 251; Pl. 12, 366, 903; Alex. PCG II 214; Men. Asp. 306; Dysc. 89; Sam. 563. In Men. Phasm.
57 il verbo è preceduto dal prefisso ὑπν- (vd. infra, p. 38). Con il medesimo valore κειαγρνιάσ ricorre anche in
Pl. Phdr. 268 e 2; Dem. Or. 48, 56.
2
Antiph. PCG II 89 = Epicr. PCG V 5; Ar. Nu. 833; Men. Epit. 393; Sam. 416.
3
Schol. in Ar. Pl. 12: ρνιᾶλ παξὰ ηνῖο Ἀηηηθνῖο ηὸ καίλεζζαη· παξὰ δὲ ηνῖο θνηλνῖο ηὸ ζπκνῦζζαη (cf. Jacques
1998, 222). Già nel Corpus Hippocraticum si è notato per κειαγρνιία e καίλνκαη uno terreno semantico comune
(cf. supra, cap. 1, p. 24).
4
A partire da Müri 1953, 35s.
5
Hesych. ρ 611 H. *ρνιή· καλία πηθξά. È preferibile tradurre „follia‟, in quanto mania suggerisce piuttosto
l‟accezione medica (cf. supra, cap. 1, n. 58).
6
Hesych. ρ 617 H. *ρόινο· ὀξγή. ἐπηκνλή. θαὶ ἡ ηῆο ρνιῆο δηάζεζηο.
7
εἰο γὰξ ρνιὴλ πηθξίαο θαὶ ζύλδεζκνλ ἀδηθίαο ὁξῶ ζε ὄληα.
8
Non è escluso che la καλία del lessico esichiano (cit. supra, n. 5) sia da intendere come „ira‟ (cf. GI2 1226). Del
resto, anche il verbo καίλνκαη assume talvolta il senso di „essere infuriato‟ (cf. LSJ9 1073).
9
ηνῦη‟ ἐζηὶ ηνπηὶ ηὸ θαθὸλ αὔζ‟ νὑγὼ ‟ιεγνλ· / ηὸ γὰξ παξάδεηγκα ηῶλ καληῶλ ἀθνύεηε· / ἃ δ‟ εἶπε πξῶηνλ ἡλίθ‟
ἤξρεζ‟ ἡ ρνιή, / πεύζεζζ‟.
10
Schol. in Ar. Pax 66: ἡλίθα ἤξρεην ἡ καλία.
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Tornando ai testi comici, laddove il significato traslato di ρνιή risulta evidente,
l‟accezione prevalente è quella di „ira, collera‟.11 Ciò non ci deve sorprendere. Lo ionicoattico ha preferito a ρόινο il termine ρνιή.12 Sia nel valore esclusivamente umorale dei testi
ippocratici,13 sia in quello metaforico della commedia.14 È chiaro, allora, che il teatro comico
attico ha adoperato ρνιή anche nei valori tipicamente attribuiti a ρόινο. La sovrapposizione
fra i due termini rende l‟uno semplice variante dell‟altro.15 Anche nei corrispondenti verbi denominativi si riscontra tale sovrapposizione. Sia ρνιάσ sia ρνιόσ sono intesi come sinonimi
di ὀξγίδνκαη „essere adirato‟. La lessicografia in proposito è ricca di esempi.16 Sennonché, la
commedia attica ci conserva un valore semantico di ρνιάσ più forte del semplice „adirarsi‟.
Ciò fa ipotizzare la presenza nella lingua colloquiale attica di un‟accezione di ρνιή più intensa dell‟uso omerico di ρόινο. Le prove in favore di questa ipotesi non sono esaustive, ma di
certo non mancano. Una cosa è certa: ρνιή/ρόινο nella loro veste metaforica riflettono un particolare stato d‟animo, che si tratti di „ira‟ o di „follia‟. Ancora una volta gli studi lessicografici non mancano di notarlo.17 Se l‟uso comico di ρνιάσ presuppone la nozione traslata di
11
Vd. e.g. Ar. V. 403; Men. Epit. 1126.
12
Cf. Boisacq 1950, 1065s.
13
Nel Corpus Hippocraticum l‟unica attestazione di ρόινο si ha in Epid. VII 84 (L V 442). Ma si tratta di v.l. –
Littré stampa ρνιώδεα.
14
A parte una testimonianza nel mimo di Sofrone (PGC I 118), solo una volta ρόιoο ricorre negli autori comici
(Ar. Ra. 814), nel senso di „ira‟.
15
Secondo Chantraine coppie di termini quali γνλή/γόλνο, ηνκή/ηόκνο possono distinguersi semanticamente a
seconda del suffisso: il maschile in –νο ha un valore più concreto, mentre il corrispondente ossitono femminile
designa meglio «les manifestations diverses du procès» (DELG 223; vd. anche Heilmann 1963, §§ 172 e 204).
Tuttavia, tale sfumatura di significato non si riscontra per ρόινο e ρνιή. Essi «ne fonctionnent pas pour le sens
selon le mécanisme de γνλή/γόλνο, ηνκή/ηόκνο etc.» (DELG 1268).
16
Vd. e.g. Et.Gud. 568 De St. ρόισ, θαὶ ρνιῶ δηαθέξεη· ἐπὶ κὲλ ηνῦ ὀξγηδνκέλνπ ἐθ ηνῦ ρνιή· ἔζηη δὲ δεπηέξαο
ζπδπγίαο ηῶλ πεξηζπσκέλσλ, ρνιῶ ρνιᾶο, ηὸ πιεζπληηθὸλ ρνιᾶηε, ἐκνὶ ρνιᾶηε, ὅηη ὅινλ ηὸλ ἄλζξσπνλ ὑγηῆ
ἐπνίεζα· ἐπὶ δὲ ηνῦ ἐθ ηνῦ ρόινο, γίλεηαη ρνιῶ, ηξίηεο ζπδπγίαο ηῶλ πεξηζπσκέλσλ, ρνιόσ ρνιῶ, ὁ κέιισλ
ρνιώζσ, θερνισκέλνο. Citazione biblica rappresenta ἐκνὶ ρνιᾶηε, ὅηη ὅινλ ηὸλ ἄλζξσπνλ ὑγηῆ ἐπνίεζα (NT. Ev.
Jo. 7, 23).
17
Prendiamo ad esempio ancora Et.Gud. 568 De St. ρνισζάκελνο, ὀξγηζζείο· ηὸ ρν κηθξὸλ δηάηη; ἐθ ηνῦ ρέσ, ὁ
γὰξ ρόινο δηαρεῖηαη· ἡ πξώηε γὰξ ἔθθαπζηο ηῆο θαξδίαο, θαὶ δηάρπζηο ηῆο ρνιῆο πξὸο ὀξγὴλ, ρόινο ιέγεηαη·
πνίνπ εἴδνπο ηῶλ ὑπνπεπησθόησλ ηῷ ὀλόκαηη; εἰδηθνῦ· θαὶ ηὸ γεληθόλ ἐζηηλ ὁ ζπκόο. Al di là della verosimiglianza o meno dell‟etimolo gia, è interessante evidenziare il riferimento a ζπκόο – qui nel senso di „ira, collera‟.
L‟immagine della „collera‟ che si riversa come un liquido appartiene anche ad uno scolio omerico: ὡο γὰξ ἐθ
θεξάκνπ ὑπεξεμερεῖην ὁ ζπκόο (schol. in Il. I 103-104 c). In questo caso ζπκόο riprende non ρνιή, bensì κέλνο
(vd. Il. I 102-104, cit. in Aret. SD I 5, infra, p. 36s.,).
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ρνιή, e non quella fisiologica, lo stesso dicasi per il parallelo κειαγρνιάσ. Quest‟ultimo,
quindi, non può sottintendere il concetto di bile nera. Il problema sta nel definire il ruolo del
prefisso κειαλ- (κέιαο).
L‟aggettivo „nero‟ indica molto di più che una semplice sfumatura cromatica. Oltre il
suo senso letterale, esso delinea qualcosa di forte, intenso, spesso portatore di qualità negative.18 Ciò rappresenta non solo una particolarità linguistica della Grecia antica, ma una credenza comune a quasi tutte le culture, se non addirittura universale.19 Alla luce di queste considerazioni, alcuni studiosi hanno fatto derivare la bile nera dalla tradizione popolare, ritenendo
che « “melancholia” was a popular term for the condition of those considered crazy, or batty,
probably before or contemporaneous with its earliest medical usage». 20 Secondo altri, invece,
l‟assunzione di un tipo di bile di colore nero si basava sulle osservazioni empiriche dei medici
ippocratici – ad esempio il colore scuro degli escrementi e del vomito.21 A mio avviso, le opposte visioni vanno integrate.
Non condivido l‟affermazione di Angelino e Salvaneschi: «determinare se essa [scil.
κέιαηλα ρνιή] sia da ricercarsi in precise esperienze anatomiche o in un‟indistinta credenza
popolare sulla negatività del colore nero, non mi pare possibile né utile». 22 In Omero non
compare mai la nozione di bile nera. Né la tragedia ci accorre in aiuto. Eccettuato un frammento papiraceo attribuito a Strattide,23 nella commedia κέιαηλα ρνιή è attestato solamente in
Men. Epit. 880. È il servo di Carisio che parla, Onesimo, alludendo allo stato di alterazione
mentale che sconvolge il padrone (Epit. 878-881):24
ὑπνκαίλεζ‟ νὗηνο, λὴ ηὸλ Ἀπόιισ, καίλεηαη·
κεκάλεη‟ ἀιεζῶο· καίλεηαη λὴ ηνὺο ζενύο.
ηὸλ δεζπόηελ ιέγσ Χαξίζηνλ. ρνιὴ
κέιαηλα πξνζπέπησθελ ἢ ηνηνῦηό [ηη
18
Cf. LSJ9 1095s.
19
Così Simon 1978, 235: «We begin to see that the associations of blackness, bile, and dejection arise from
common (perhaps universal) subjective experiences». Vd. anche Klibansky-Panofsky-Saxl 1964, 19 n. 2: «La
parola κειάο (nero), come i suoi equivalenti in moltissime altre lingue, significa molto di più che un semplice
colore; κέιαλεο ἄλζξσπνη, ad esempio, sono uomini spietati, κέιαηλαη ὀδύλαη sono sofferenze orrende».
20
Simon 1978, 235. Lo studioso (o.c. p. 234s.) si trova d‟accordo con le teorie di Kudlien 1967, 77-88.
21
Vd. e.g. Flashar 1966, 36. Cf. anche la rassegna di ipotesi espresse in Timken Zinkann 1968.
22
Angelino-Salvaneschi 1981, 39.
23
PCG VIII 1105, 76.
24
Si segue il testo edito da Sandbach 1990.
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“Costui è un po‟ folle, per Apollo, è pazzo. È veramente uscito fuori di sé. È impazzito, per gli dei. Sto parlando del mio padrone Carisio. Deve essere un attacco di bile nera o qualcosa del genere”.
Non si ricava nessun elemento utile per affermare un possibile legame tra bile nera e
credenza popolare. Anzi, in questo caso Menandro non sembra far altro che riprendere un
concetto medico.25 Sulla stessa lunghezza d‟onda si pongono le testimonianze lessicografiche.
La bile nera appare solo nel cosiddetto „lessico tittmanniano‟, in riferimento alla dottrina dei
quattro umori.26 Di ipotesi sull‟origine della bile nera nemmeno l‟ombra. Da un lato, l‟esigua
presenza di un tale umore nelle fonti letterarie, dall‟altro, la sua assidua presenza nel Corpus
Hippocraticum, rivelano che la κέιαηλα ρνιή è una nozione tipicamente medica, basata
sull‟esperienza condotta sul campo dalla cerchia ippocratica. Inoltre, se la sua nascita si dovesse rintracciare nell‟ambito delle credenze comuni, risulterebbe strano il fatto che in tutta la
letteratura greca non esiste alcuna testimonianza del sintagma *κέιαο ρόινο.27 Il colore nero è
riferito soltanto alla variante ρνιή, la variante ionico-attica. Perché è nei trattati in lingua ionica di Ippocrate che la bile nera prende vita. Non solo, dunque, è possibile risalire all‟origine
della bile nera, ma anche utile ai fini del nostro discorso. Infatti, per integrare l‟idea che la bile nera provenga da un contesto medico, con le credenze popolari intorno al colore nero, è indispensabile scindere il concetto di bile nera da quello di melancolia.
Vediamo innanzitutto che cosa ci dice in proposito chi non ha dubbi nel far discendere
la bile nera dalla melancolia. Così Galeno in De locis affectis ΙΙΙ 10 (Κ 190-192):
ὥζηε ὀξζῶο ἔνηθελ ὁ Ἱππνθξάηεο εἰο δύν ηαῦηα ἀλαγαγεῖλ ηὰ ζπκπηώκαηα αὐηῶλ
πάληα, θόβνλ θαὶ δπζζπκίαλ· ἐπί γέ ηνη ηῇ ηνηαύηῃ δπζζπκίᾳ κηζνῦζηλ πάληαο, νὓο ἂλ
βιέπσζηλ, θαὶ ζθπζξσπνὶ δηὰ παληόο εἰζη, δεηκαίλνληεο, ὥζπεξ ἐλ ζθόηῳ βαζεῖ ηά ηε
παηδία θνβεῖηαη θαὶ ηῶλ ηειείσλ νἱ ἀπαίδεπηνη. θαζάπεξ γὰξ θαὶ ηὸ ἔμσζελ ζθόηνο εἰο
θόβνλ ἄγεη ζρεδὸλ ἅπαληαο ἀλζξώπνπο, πιὴλ ηῶλ ἤηνη πάλπ θύζεη ηνικεξῶλ, ἢ
πεπαηδεπκέλσλ, νὕησο θαὶ ηῆο κειαίλεο ρνιῆο ηὸ ρξῶκα παξαπιεζίσο ζθόηῳ ηὸλ
θξνλνῦληα ηόπνλ ἐπηζθηάδνλ ἐξγάδεηαη ηνὺο θόβνπο … ἄμηνλ δέ ἐζηη θ὾λ ηνύηῳ
ζαπκάζαη ηὰο θνηλὰο ἐλλνίαο ηῶλ ἀλζξώπσλ, ὥζπεξ θαὶ ηἄιια πνιιὰ δόγκαηα, πεξὶ
ὧλ ἠγλόεζαλ νὐθ ὀιίγνη θηινζόθσλ ηε θαὶ ἰαηξῶλ· ἅπαληεο γνῦλ ὀλνκάδνπζηλ ηὸ
25
Già si è ricordato il valore psicopatologico della semplice bile (Morb.Sacr. 15, cit. supra, cap. 1, p. 23ss.) e
della bile nera (Mul. II 182, cit. supra, cap. 1, n. 104).
26
Zonar. 1678, 1705, 1747 T.
27
Diverso il discorso per κειάγρνινο (cf. infra, p. 40s.).
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πάζνο ηνῦην κειαγρνιίαλ, ἐλδεηθλύκελνη δηὰ ηῆο πξνζεγνξίαο ηὸλ αἴηηνλ αὐηνῦ ρπκόλ
“A buon diritto, quindi, sembra che Ippocrate riconduca a due tutti i sintomi dei melancolici: paura e abbattimento. A causa di tale abbattimento essi odiano tutti coloro
che incontrano, sono sempre scuri in viso, ed hanno paura, come i bambini e gli adulti
incolti nel buio pesto. Infatti, come l‟oscurità esterna induce alla paura quasi tutti gli
uomini, eccetto i temerari per natura o gli istruiti, così il colore della bile nera, in modo quasi uguale all‟oscurità, genera paure oscurando la sede del pensiero … anche in
questo caso meritano ammirazione le comuni opinioni degli uomini, come pure la
maggior parte delle altre credenze, che non pochi filosofi e medici hanno ignorato. È
opinione comune, appunto, chiamare questa malattia melancolia, indicando nella denominazione l‟umore come causa della stessa”.
Sul fatto che secondo Galeno l‟etimologia di κειαγρνιία coincide con l‟eziologia, non
ci sono dubbi. Altrove egli non sa spiegarne il motivo.28 Qui si rifugia, per così dire, nella
credenza popolare: la paura29 è generata dal colore scuro della bile che offusca le facoltà intellettive. Il grande sistematizzatore di Ippocrate non è riuscito a fornire una spiegazione scientifica sul perché la bile nera provochi la melancolia. Ciò risulta ancora più strano se pensiamo
che il concetto di bile nera nell‟interpretazione galenica poggia su Natura dell’uomo.30 E nel
Corpus Hippocraticum la κέιαηλα ρνιή è una sostanza esclusivamente fisiologica.31 Nessuna
menzione delle opinioni comuni degli uomini.
Areteo di Cappadocia, medico del I secolo d. C., si discosta della visione galenica.
Egli dedica un intero capitolo alla κειαγρνιία. Ad un certo punto, nella descrizione dei sintomi, interviene così (SD I 5):32
κεηεμεηέξνηζη δὲ νὔηε θῦζα νὔηε κέιαηλα ρνιὴ ἐγγίγλεηαη, ὀξγὴ δὲ ἄθξεηνο θαὶ ιύπε
θαὶ θαηεθείε δεηλή. θαὶ ηνύζδε ὦλ κειαγρνιηθνὺο θαιένκελ, ρνιῇ κὲλ ηῆο ὀξγῆο
μπκθξαδνκέλεο, κειαίλῃ δὲ πνιιῆο θαὶ ζεξηώδενο. ηέθκαξ δὲ Ὅκεξνο, ἔλζα θεζὶ
ηνῖζη δ‟ ἀλέζηε
ἥξσο Ἀηξείδεο εὐξπθξείσλ Ἀγακέκλσλ
28
Cf. Quod animi mores corporis temperamenta sequantur 3 (cit. supra, cap. 1, n. 36).
29
Per Galeno, il sintomo principale, insieme all‟abbattimento, della melancolia (cf. supra, cap. 1, p. 29s.).
30
Cf. supra, cap. 1, p. 7. Anche laddove Galeno si allontana da quanto esposto in Natura dell’uomo, la bile nera
riceve sempre un‟interpretazione fisiologica (vd. supra, cap. 1, n. 29).
31
Cf. supra, cap. 1, p. 7-10.
32
Si segue il testo edito da Hude 1958.
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ἀρλύκελνο· κέλενο δὲ κέγα θξέλεο ἀκθηκέιαηλαη
πίκπιαλη‟, ὄζζε δέ νἱ ππξὶ ιακπεηόσληη ἐΐθηελ
“Ad alcuni [scil. melancolici] non insorgono né flatulenze né bile nera, bensì rabbia
smisurata, afflizione e un tremendo abbattimento. Quindi, li chiamiamo melancolici
perché, da un lato, la rabbia è sinonimo di bile, dall‟altro, con il colore nero si intende
il suo essere molta e la sua violenza. Ne è prova un passo di Omero: «Si alzò tra loro
l‟eroe Atride, Agamennone dall‟ampio potere, sconvolto. I suoi precordi, completamente neri, erano straripanti d‟ira, pareva avesse gli occhi fiammeggianti»33 ”.
Areteo non parla dell‟umore κέιαηλα ρνιή. Egli si riferisce al significato traslato di
ρνιή. Così come κέιαο non indica il colore della bile, bensì l‟intensità dell‟ira. 34 Tanto che si
afferma che in alcuni casi la bile nera non si manifesta in nessun modo nel decorso della malattia. La citazione omerica conferma tale assunto.35 Persino in un autore tardo come Areteo,
la validità del nesso melancolia/bile nera viene smentita. Le credenze popolari intorno al „nero‟, dunque, sono importanti per delineare non l‟origine della bile nera, ma quella della melancolia. In questo senso va forse interpretato il verbo κειαγρνιάσ della commedia.
Il prefisso κειαλ- sottolinea l‟intensità della follia. Se ρνιάσ ha il significato di „essere pazzo‟, κειαγρνιάσ significa „essere oltremodo pazzo‟. Inoltre, il fatto che ρνιάσ nei dialetti non attici si sia sovrapposto a ρνιόνκαη, può aver indotto a rafforzare il verbo semplice:
la „collera‟ lascia spazio a un sentimento più forte, una sorta di „ira furibonda‟, una vera e
propria pazzia. Le fonti al riguardo appartengo al teatro comico. Il valore traslato assegnato a
κέιαο è tipico della tradizione popolare. Ne deriva un‟ipotesi affascinante: il concetto di melancolia può avere una matrice popolare. Più specificatamente, l‟uso di κειαγρνιάσ, caratteristico del linguaggio colloquiale attico, può essere stato coniato prima del termine
κειαγρνιία.36 Quest‟ultimo, sorto in ambiente medico, riprende il significato del verbo, connotandolo di scientificità. Non è raro, infatti, il caso di termini della lingua comune entrati a
33
Il. I 102-104.
34
Cf. Et.Gud. 568 De St. ρνιὴ, παξὰ ηὴλ ὀξγὴλ θαὶ ηὴλ κειαλίαλ· ἢ δηὰ ηὸ ρέεζζαη ηὴλ αἰηίαλ εἰο ὅινλ ηὸ ζῶκα,
θαὶ ηπθιεῖλ αὐηόλ. Anche in questo caso l‟oscurità della bile che ottenebra tutto il corpo potrebbe riferirsi alla
violenza di νξγή.
35
Cf. schol. ad loc. (cit. supra, n. 17). Il passo in questione è stato spesso preso come spunto di partenza per risa-
lire alle origini della bile nera (cf. Roselli 2001).
36
Una posizione simile assume Jacques 1998, se non fosse che lo studioso considera melancolia e bile nera due
nozioni indissolubili.
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far parte del lessico specialistico della medicina del V secolo.37 A confermare una simile teoria è il modo stesso in cui Ippocrate adopera ρνιάσ e κειαγρνιάσ.
Il verbo ρνιάσ è impiegato quattro volte nel Corpus Hippocraticum, col valore fisico
di „essere pieno di bile/infetto da bile‟.38 Esso viene potenziato non dal prefisso κειαλ-, ma
dal più tecnico ὑπεξ- (ρνιάσ „avere troppa bile‟).39 D‟altro canto, il verbo κειαγρνιάσ è
scarsamente utilizzato, se non addirittura assente. Gli si preferisce κειαγρνιία e, soprattutto,
l‟aggettivo derivato κειαγρνιηθόο.40 Se ne deducono tre punti importanti. Primo, l‟esigua frequenza di ρνιάσ testimonia che i medici ippocratici, al corrente del valore traslato di tale verbo, hanno cercato di evitarlo nei limiti del possibile. Secondo, essi hanno ritenuto opportuno
riferirsi alla melancolia non con κειαγρνιάσ, d‟uso troppo corrente, ma coniando un termine
più specialistico. Terzo, non è un caso che si sia formata solo la parola κειαγρνιία, e non la
pur probabile *ρνιία. Il prefisso κειαλ- connotava meglio l‟intensità dell‟alterazione mentale,
mentre ρνιάσ si confondeva con il sentimento di semplice „ira‟. È chiaro, allora, che
κειαγρνιάσ fu ben presto avvertito come un‟unità inscindibile, divenendo una sorta di sinonimo di καίλνκαη. Infatti, in un passo menandreo compare ὑπνκειαγρνιάσ.41 Il prefisso ὑπνindica approssimazione.42 Il senso del verbo – „essere un po‟ folle‟ – è prossimo a quello di
ὑπνκαίλνκαη, presente anch‟esso in Menandro.43 Sintomo che il più incisivo κειαγρνιάσ,
piuttosto che l‟ambiguo ρνιάσ, si era ormai configurato nel linguaggio colloquiale attico come uno dei modi per indicare la follia.
La commedia ci tramanda un concetto di melancolia legato ai disturbi mentali, precedente alle formulazioni mediche, quindi non connesso con la bile nera. Anche per Jacques
κειαγρνιάσ è un termine d‟origine popolare, ma lo studioso assegna tale matrice anche a
κέιαηλα ρνιή, ritenendo inseparabili le due nozioni.44 Inoltre, egli sostiene che nello Scudo di
Menandro il verbo abbia una valenza più tecnica („avere un accesso di bile nera‟), atta a de37
Cf. Lanza 1972, in particolare p. 407ss. Per una visione panoramica sul rapporto tra commedia attica e medici-
na vd. Alfageme 1981 (su κειαγρνιάσ vd. p. 60ss.).
38
Morb. I 7 (L VI 152); Morb. II 19 (L VII 32); Morb. II 40 (o.c. 56); Superf. 34 (L VIII 504). In Superf. 33
(ibid.) ρνιῶζηλ è v.l. per ραιῶζηλ – quest‟ultima stampata da Littré.
39
Morb. II 41 (L VII 58). Nella commedia ὑπεξρνιάσ ha una sola occorrenza, nel senso metaforico di „essere
oltremodo adirato‟ (Ar. Lys. 694).
40
Cf. supra, cap. 1, p. 30s.
41
Phasm. 57.
42
DELG 1160.
43
Epit. 878 (cit. supra, p. 34).
44
Cf. supra, n. 36.
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scrivere uno stato di abbattimento.45 In Asp. 300 Cherestrato viene descritto dal servo Davo
come afflitto e scoraggiato.46 In tal senso Jacques interpreta κειαγρνιάσ del v. 306. Ma ciò
non trova conferma dalle parole di Cherestrato (vv. 305-309):47
Δᾶε παῖ, θαθῶο ἔρσ.
κειαγρνιῶ ηνῖο πξάγκαζηλ· κὰ ηνὺο ζενύο,
νὐθ εἴκ‟ ἐλ ἐκαπηνῦ, καίλνκαη δ‟ ἀθαξὴο πάλπ·
ὁ θαιὸο ἀδειθὸο εἰο ηνζαύηελ ἔθζηαζηλ
ἤδε θαζίζηεζίλ κε ηῆη πνλεξίαη
“Davo, mi sento male. Questa vicenda mi fa „impazzire‟. Per gli dei, ho perso il controllo di me stesso, quasi divento matto. Quel grand‟uomo di mio fratello, con la sua
cattiveria, mi ha ridotto a questo stato di delirio”.
Il contesto porta a tradurre κειαγρνιάσ nella sua accezione generale di alienazione
mentale. Inoltre, il fatto che il finto medico inviato da Davo, per diagnosticare la finta malattia
di Cherestrato,48 menzioni tra i sintomi la bile,49 sia un‟ulteriore prova, secondo Jacques, di
come il concetto di melancolia nello Scudo presupponga la nozione di bile nera, non mi pare
plausibile. Non si parla, appunto, specificatamente di κέιαηλα ρνιή, ma di semplice bile. Anche altrove Davo, elencando a Smicrine gli stati morbosi che tormentano Cherestrato, cita la
bile (e non la bile nera), accompagnata da afflizione, delirio e soffocamento.50 È vero che
45
Jacques 1998, 226ss.
46
Il motivo è l‟avidità del fratello maggiore Smicrine, su cui si impernia la trama dello Scudo. Un terzo fratello è
morto, lasciando una figlia e un figlio più grande, Cleostrato, partitosene per la guerra. Cherestrato ha una moglie e una figlia, e la moglie ha un figlio di primo letto, Cherea. Quest‟ultimo si appresta a sposare la sorella di
Cleostrato, quando giunge il servitore di costui, Davo, recante il bottino del padrone e ciò che resta del suo scudo
ritrovato sul campo di battaglia. Secondo Davo è la prova della morte di Cleostrato (l‟ipotesi si rivelerà errata).
Smicrine, spinto dal desiderio di impadronirsi della dote, si fa avanti, reclamando il diritto, sancito dalla legge, di
sposare la sorella del defunto, in qualità di parente più prossimo e più alto in grado per anzianità. Davo, allora,
escogita un piano per ostacolare le pretese di Smicrine: fargli credere che il fratello sia in punto di morte, in modo da indurlo a spostare le sue mire sulla ben più cospicua dote della figlia di Cherestrato. Il finale è lacunoso,
ma se ne deduce il ritorno di Cleostrato e le nozze tra sua sorella e Cherea.
47
Si segue il testo edito da Sandbach 1990.
48
Cf. supra, n. 46.
49
Vv. 439 e 451. Si usa la variante dorica ρνιά. Un medico parlante dorico risultava più credibile, visto che un
simile dominio linguistico caratterizzava i territori del mondo greco in cui sorsero le principali scuole mediche
(Cos, Cnido, Magna Grecia e Sicilia).
50
Vv. 422-423: ρνιή, ιύπε ηηο, ἔθζηαζηο θξελῶλ, / πληγκόο.
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Menandro risulta più condizionato di altri autori comici dall‟influsso dei trattati ippocratici,
tanto che non solo nella sua produzione è presente l‟unica attestazione di κέιαηλα ρνιή del
teatro comico,51 ma nello stesso Scudo ricorre l‟aggettivo κειαγρνιηθόο – sempre riferito alla
condizione mentale di Cherestrato.52 Tuttavia, il concetto di melancolia da lui espresso non si
discosta da quello evidenziato per il resto della commedia. Conviene gettare uno sguardo su
ciò che ci dice in proposito il genere che fa da contraltare alla commedia.
Nella tragedia compare un hapax sofocleo terminologicamente affine alla melancolia,
ma nello stesso tempo profondamente diverso dal punto di vista concettuale (Soph. Tr. 572577):53
ἐὰλ γὰξ ἀκθίζξεπηνλ αἷκα ηῶλ ἐκῶλ
ζθαγῶλ ἐλέγθῃ ρεξζίλ, ᾗ κειαγρόινπο
ἔβαςελ ἰνὺο ζξέκκα Λεξλαίαο ὕδξαο,
ἔζηαη θξελόο ζνη ηνῦην θειεηήξηνλ
ηῆο Ἡξαθιείαο, ὥζηε κήηηλ‟ εἰζηδὼλ
ζηέξμεη γπλαῖθα θεῖλνο ἀληὶ ζνῦ πιένλ
“Se raccoglierai con le tue mani il sangue raggrumato intorno alla mia ferita, nel punto
in cui il mostro dell‟Idra di Lerna intinse le frecce „velenosissime‟, avrai un filtro magico per il cuore di Eracle, in modo che lui, qualunque donna veda, non l‟amerà più di
te”.
Sono le parole ingannevoli di Nesso riferite da Deianira. Colpito a morte dall‟arco di
Eracle, il centauro raccomanda alla sposa dell‟eroe di conservare il sangue delle sua ferita e di
usarlo come filtro d‟amore. Gli esiti saranno nefasti per Eracle, che aveva intriso le sue frecce
nel veleno dell‟Idra. Si tratta della seconda fatica di Eracle, descritta più dettagliatamente
nell‟opera storica di Diodoro Siculo e nella Biblioteca tramandata sotto il nome di Apollodoro
Ateniese. In entrambi gli autori il termine ρνιή designa il veleno del mostro.54 Anche nelle
Argonautiche di Apollonio Rodio si accenna a tal mito. Lo stile epico obbliga il poeta a ricorrere alla variante omerica ρόινο,55 ma il significato non muta: la bile ferina ha il senso di „ve51
Epit. 880 (cit. supra, p. 34).
52
Asp. 339.
53
Si segue il testo edito da Storr 1913.
54
Diod. Sic. IV 11, 6: νὕησο νὖλ ρεηξσζάκελνο ηὸ δῷνλ εἰο ηὴλ ρνιὴλ ἀπέβαπηε ηὰο ἀθίδαο, ἵλα ηὸ βιεζὲλ βέινο
ἔρῃ ηὴλ ἐθ ηῆο ἀθίδνο πιεγὴλ ἀλίαηνλ. Apollod. II 5, 2: ηὸ δὲ ζῶκα ηῆο ὕδξαο ἀλαζρίζαο ηῇ ρνιῇ ηνὺο ὀηζηνὺο
ἔβαςελ.
55
Il termine ρνιή non compare mai nei poemi omerici.
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leno‟.56 Allo stesso modo va inteso l‟aggettivo κειάγρνινο di Tr. 573. Con una particolarità
però: il prefisso κειαλ- intensifica la nocività del veleno.57 Nulla a che vedere, dunque, né con
la bile nera né con la melancolia.58 È tutto quello che abbiamo per quanto riguarda la tragedia.
Nessuna ricorrenza di κέιαηλα ρνιή, né tantomeno di κειαγρνιία e κειαγρνιηθόο.
Nella tragedia si sono riscontrati, è vero, influssi provenienti dai trattati ippocratici
(soprattutto per quanto riguarda la descrizione delle malattie e dei malati), ma vi domina perlopiù una concezione della malattia più arcaica rispetto a quella razionale del Corpus Hippocraticum. Il concetto tragico di malattia affonda le sue radici nel mito, in quanto prolunga in
un certo qual modo la tradizione epica.59 Ciò vale anche per quanto concerne l‟alterazione
mentale. Nei poemi omerici «tutte le deviazioni dalla condotta umana normale, senza causa
immediatamente percettibile dalla coscienza del soggetto o dagli osservatori, vengono attribuite a un‟operazione soprannaturale». 60 I disturbi mentali in Omero non vengono considerati
come una vera e propria malattia, tanto che per riferirsi ad essi si fa ricorso al verbo καίλνκαη,
mentre di καλία non si ha alcuna menzione.61 In una simile prospettiva la follia si conserva
nella tragedia.62 Stando così le cose, è evidente che termini quali κειαγρνιία e κειαγρνιηθόο
non potevano comparire all‟interno delle opere tragiche.63 Essi, sorti in ambito medico, di cer-
56
Ap. Rh. IV 1403-1405: ἐλ δὲ ιηπόλησλ / ὕδξεο Λεξλαίεο ρόινλ αἵκαηη πηθξὸλ ὀηζηῶλ / κπῖαη ππζνκέλνηζηλ ἐθ‟
ἕιθεζη ηεξζαίλνλην.
57
Simile opinione è espressa da Flashar 1966, 37: «Gemeint ist mit dem Wort κειάγρνινο zunächst so viel wie
„giftig‟». Tuttavia, secondo lo studioso, il prefisso si riferisce al cromatismo del sangue raggrumato. Vd. inoltre
Ceschi 2009, 138s. e Guardasole 2000, 238s.
58
Del termine κειάγρνινο, d‟altronde, non ci sono occorrenze nel Corpus Hippocraticum. A parte il luogo sofo-
cleo, esso ricorre altre 16 volte nella storia della letteratura greca, in opere di età tardoantica e bizantina. Ci si
limita a ricordare l‟unica attestazione in contesto medico, ovvero nell‟anonimo De alimentis (cap. 75): θάιιηνλ
[scil. ἧπαξ] δὲ παξὰ πᾶζη ηὸ ηνῦ ρνίξνπ, πιὴλ δὲ θαθόρπκνλ θαὶ κειάγρνινλ. L‟aggettivo si riferisce chiaramente alla bile nera.
59
Sul rapporto tra tragedia e medicina del V secolo vd. Guardasole 2000; Jouanna 1987; Jouanna 1988.
60
Dodds 1951, 54s.
61
Sulla valenza di καίλνκαη in Omero vd. Chandler 2009.
62
Vd. Ciani 1974, in particolare p. 108: «Una forma di superstizione alimenta il credo dell‟ „origine divina‟ della
follia, e la tragedia, anche se non aderisce razionalmente a questo credo, se ne serve tuttavia come mezzo di inquisizione per dibattere il rapporto tra uomo e dio. Per questo motivo, nella tragedia, la follia „dipende‟ sempre
da una divinità o comunque da una potenza».
63
Il che porta ad escludere anche il verbo κειαγρνιάσ, d‟uso specificatamente comico e soprattutto non presente
in Omero.
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to non designano una patologia ben definita, ma comunque rientrano in una terminologia prettamente specialistica, atta a indicare uno stato morboso.64
Gli indizi fin qui esposti non permettono di giungere ad alcuna conclusione certa. Ciò
nonostante, è possibile delineare un‟ipotesi sull‟origine della melancolia in linea con quanto
osservato nel Corpus Hippocraticum. Da una parte c‟è κειαγρνιάσ. Il suo impiego frequente
nella commedia fa pensare ad una matrice popolare, specificatamente attica, del termine. Popolare è l‟uso traslato di ρνιάσ, come popolare è il valore assegnato al prefisso κειαλ-. Il
verbo indica un generale stato di alterazione mentale. Dall‟altra parte κέιαηλα ρνιή.
L‟accezione del sintagma è esclusivamente fisiologica. Esso designa un particolare umore
scoperto dai medici del V secolo.65 La lessicografia conferma quanto appena detto. Da un lato, è in essa largamente attestato il senso metaforico di ρνιή e di ρόινο (e dei corrispondenti
verbi denominativi), dall‟altro la bile nera non vi compare se non nella sua valenza umorale.
Tuttavia, nello stesso tempo in cui le nozioni di bile nera e di melancolia iniziano a sovrapporsi, l‟equivalenza bile/follia e le credenze popolari ruotanti attorno al colore „nero‟ si trasferiscono all‟umore atrabiliare. Galeno ne è un esempio.66 Ma prima di lui, c‟è una altro grande
sistematizzatore del concetto di melancolia. Parlo di Aristotele.
64
Lo stesso discorso si può fare per il termine καλία. Certo, a differenza di Omero, esso compare nei testi tragici,
ma non per definire una patologia precisa (cf. supra, cap. 1, n. 58). Semplicemente καλία era sentito in rapporto
con il parallelo καίλνκαη. Al contrario, nel Corpus Hippocraticum questo verbo non designa la καλία, ma indica
un generale stato di alienazione mentale (cf. supra, cap. 1, n. 71).
65
Sulla stessa linea si pone Di Benedetto 1986, 59: «è probabile che la nozione di melancolia prima di entrare
nell‟uso medico fosse nata in ambiente non scientifico. Sulla base dell‟equivalenza bile/ira già attestata in Omero
e sulla base dell‟uso del verbo ρνιόνκαη nel senso di „adirarsi‟, si passò all‟uso di ρνιάσ nel senso di „essere
fuori di senno‟, e anche alla forma intensificata κειαγρνιάσ (con nella prima parte l‟aggettivo κέιαο, „nero‟)
con lo stesso valore … Concomitante con questo sviluppo si pone quello del termine bile e più in particolare della nozione di „bile nera‟ (una „varietà‟ probabilmente individuata sulla base di particolari vomiti di bile). Ma in
che modo questi diversi dati abbiano interagito tra di loro non siamo in grado di dire».
66
De locis affectis ΙΙΙ 10 (cit. supra, p. 35s.). Cf. anche Isid. Etym. X M 176: Malus appellatus a nigro felle,
quod Graeci κέιαλ dicunt: unde et melancholici appellantur homines qui et conversationem humanam refugiunt
et amicorum carorum suspecti sunt. È forse possibile rintracciare in questa paretimologia l‟origine del nostro
„malinconia‟ (cf. DISC 1466). Sull‟analisi di melancholia e di altre „malattie psichiche‟ nelle Etimologie di Isidoro vd. Pigeaud 1984b.
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3. L‟INTERPRETAZIONE ARISTOTELICA
Il Problema 30, 1 rappresenta la prima monografia dedicata interamente alla melancolia. La paternità è stata a lungo dibattuta. Il testo non sembra attribuibile direttamente ad Aristotele. Probabilmente è la redazione di un suo allievo, che ha cercato di riordinare gli appunti
del maestro. Altri pensano che esso sia ciò che rimane di un trattato perduto di Teofrasto, sulla base della testimonianza di Diogene Laerzio.1 In qualunque modo si veda la questione, il
concetto di melancolia che traspare dal Problema 30, 1 è in linea con le altre accezioni di melancolia che compaiono nel Corpus Aristotelicum.2 Chiunque ne sia l‟autore, vi si riflettono
essenzialmente le idee di Aristotele. In questo senso, analizzo il Problema 30, 1 come un trattato di Aristotele.3
La domanda che si pone il trattato4 mostra di per sé in che senso «fu rivoluzionata la
nozione di melanconia dai peripatetici».5 Al perché gli uomini eccezionali in ogni campo, dalla filosofia alla politica, risultano essere tutti melancolici, Aristotele risponde con un processo
organico: l‟osmosi tra caldo e freddo in una particolare miscela caratterizzata dalla bile nera.
Il nesso tra follia e genialità, assente negli scritti ippocratici, riceve qui la sua spiegazione fisiologica. Già Platone ha distinto una mania intesa come malattia dell‟uomo, dalla mania
concessa per dono divino, divisa a sua volta in profetica (derivata da Apollo), telestica (da
Dioniso), poetica (dalle Muse), amorosa (da Afrodite ed Eros). 6 La prima è ovviamente un
1
Tra le opere di Teofrasto, Diogene Laerzio annota il libro πεξὶ κειαγρνιίαο (V 44).
2
Div.Somn. 463 b 17; 464 a 32; EE 1248 a 39; EN 1150 b 25; 1152 a 19; 28; 1154 b 11; Insomn. 461 a 22; MM
1203 b 1; Mem. 453 a 19; Pr. 3, 13 (873 a 32); 25 (874 b 18); 4, 20 (878 b 39); 30 (880 a 30); 11, 38 (903 b 1920); 18, 1 (916 b 5); 7 (917 a 21); 30, 14 (957 a 32); Somn.Vig. 457 a 27. Ogni ricerca lessicale all‟interno del
Corpus Aristotelicum è stata effettuata con l‟ausilio di Bonitz 1955. Per un‟ampia trattazione di tutte le occorrenze del concetto di melancolia nel Corpus Aristotelicum v. Eijk 1990 e Roussel 1988.
3
Fin dall‟antichità la teoria del Problema 30, 1 è attribuita ad Aristotele. Così Cic. Tusc. I 80 (Aristoteles quidem
ait omnis ingeniosos melancholicos esse); Sen. De tranq. 17, 10 (sive Aristoteli: “Nullum magnum ingenium sine
mixtura dementiae fuit”); Plut. Lys. 2, 5 (cit. infra, App. II, n. 6).
4
Δηὰ ηί πάληεο ὅζνη πεξηηηνὶ γεγόλαζηλ ἄλδξεο ἢ θαηὰ θηινζνθίαλ ἢ πνιηηηθὴλ ἢ πνίεζηλ ἢ ηέρλαο θαίλνληαη
κειαγρνιηθνὶ ὄληεο (953 a 10-12). L‟intero Problema 30, 1 viene riportato, con relativa traduzione, in Appendice
II.
5
È parte del titolo del paragrafo che introduce la discussione sul Problema 30, 1 in Klibansky-Panofsky-Saxl
1964, 19.
6
Phaedr. 265 a 9-b 5: καλίαο δέ γε εἴδε δύν, ηὴλ κὲλ ὑπὸ λνζεκάησλ ἀλζξσπίλσλ, ηὴλ δὲ ὑπὸ ζείαο ἐμαιιαγῆο
ηῶλ εἰσζόησλ λνκίκσλ γηγλνκέλελ … ηῆο δὲ ζείαο ηεηηάξσλ ζεῶλ ηέηηαξα κέξε δηειόκελνη, καληηθὴλ κὲλ
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male, dalla seconda, invece, provengono i massimi benefici.7 È la dottrina del furore esposta
nel Fedro.8 A differenza di quella aristotelica, la spiegazione di Platone è di tipo irrazionale: i
grandi ingegni e la grandi passioni hanno un‟origine divina. A riunire le due teorie penserà
Marsilio Ficino (1433-1499).9 Proprio il Ficino, e con lui l‟Umanesimo fiorentino, riscoprono
la dottrina platonica dei furores e quella aristotelica della melancolia, gettando le basi per la
nascita del concetto moderno di genio.10 Il carattere del genio melancolico delineato da Aristotele riveste, quindi, un‟importanza capitale nella storia culturale dell‟Occidente, ma solo a
partire dal Rinascimento. Difatti, la teoria del Problema 30, 1 perde progressivamente consistenza negli autori antichi. Per gli stoici la preminenza intellettuale diventa una semplice predisposizione alla melancolia patologica.11 Per Rufo di Efeso il troppo studio è la causa diretta
della melancolia.12 In Galeno ogni riferimento alla connessione tra genio e pazzia viene meno.13 Solo una volta Galeno cita un Problema aristotelico sulla melancolia, ma non questo.14
Sennonché, il Problema 30, 1 influenza l‟evoluzione del concetto di melancolia anche nel periodo immediatamente successivo, ma secondo un altro punto di vista.
L‟autore di Problema 30, 1 è il primo a mettere in relazione in modo esplicito la melancolia con bile nera. Già nel Corpus Hippocraticum le due nozioni hanno cominciato a sovrapporsi, almeno a livello terminologico: κειαγρνιηθόο può indicare sia uno stato di alterazione mentale sia l‟atrabile.15 Già con Platone entrambe sono divenute interscambiabili, se
esatta risulta l‟interpretazione data a Epid. VI 8, 31.16 Si è detto che la relazione ivi espressa
ἐπίπλνηαλ Ἀπόιισλνο ζέληεο, Δηνλύζνπ δὲ ηειεζηηθήλ, Μνπζῶλ δ‟ αὖ πνηεηηθήλ, ηεηάξηελ δὲ Ἀθξνδίηεο θαὶ
Ἔξσηνο.
7
Phaedr. 244 a 5-8: εἰ κὲλ γὰξ ἦλ ἁπινῦλ ηὸ καλίαλ θαθὸλ εἶλαη, θαιῶο ἂλ ἐιέγεην· λῦλ δὲ ηὰ κέγηζηα ηῶλ
ἀγαζῶλ ἡκῖλ γίγλεηαη δηὰ καλίαο, ζείᾳ κέληνη δόζεη δηδνκέλεο.
8
Sui precedenti della dottrina platonica del furore cf. Klibansky-Panofsky-Saxl 1964, 19 n. 7.
9
La più limpida esposizione si ha nella trilogia De vita (ed. it. Tarabochia Canavero 1995). Vd. Brann 2002, 82-
107 e Klibansky-Panofsky-Saxl 1964, 228-257.
10
Vd. Brann 2002. Sull‟evoluzione storica del concetto di genio vd. Wittkower-Wittkower 1963. In particolare,
sul rapporto tra genio, pazzia e melancolia vd. o.c. pp. 112-123.
11
Un‟analisi di alcuni testi stoici relativi alla mania e alla melancholia è offerta in Graver 2003.
12
Cf. Pormann 2008, fr. 33 e 34.
13
Sullo sviluppo del concetto di melancolia nel periodo successivo al Problema 30, 1 vd. Klibansky-Panofsky
1964, 39-51.
14
Si tratta del Pr. 4, 30 (cit. infra, App. II, n. 23), ripreso in Gal. In Hippocratis sextum librum epidemiarum
commentarium III 12 (K XVII B 29).
15
Cf. supra, cap. 1, p. 25s.
16
Cf. supra, cap. 1, pp. 22-25.
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tra epilettici e melancolici si riferisce alla relazione tra epilettici e malati mentali esposta in
Morb.Sacr. 15. La bile nera non c‟entra. Il principio eziologico di Male Sacro – l‟epilessia insorge ai flegmatici non ai biliosi – è rispettato.17 Platone scalfisce questo principio, ritenendo
non solo il flegma, ma anche la bile nera causa dell‟epilessia.18 Evidentemente per filosofo
κειαγρνιηθόο ha assunto già il valore di atrabile. Simile discorso può essere fatto per Aristotele. In lui, come in Platone, la bile nera non è altro che una semplice varietà di bile.19 Eppure,
nel Problema 30, 1 l‟epilessia è delineata come un‟affezione specificatamente atrabiliare.20
Rispetto al predecessore, il ruolo patologico del flegma non è pervenuto. Quanto esposto in
Male Sacro perde ogni ragion d‟essere. Il nuovo binomio melancolia/bile nera la fa da padrone. Ma l‟autore del Problema 30, 1 non si ferma a questo. Egli, infatti, cerca di motivare razionalmente tale connessione. Ciò che non abbiamo trovato in Ippocrate, lo incontriamo in
Aristotele.
Il Problema 30, 1 non è un trattato medico. Il linguaggio non tecnico e lo stile, brachilogico e spesso ripetitivo, del testo ne rendono difficile la comprensione. La sezione conclusiva (955 a 29-40) riepiloga la questione. Essa si può dividere in due parti. Analizziamo la prima:21
ὡο νὖλ ἐλ θεθαιαίῳ εἰπεῖλ, δηὰ κὲλ ηὸ ἀλώκαινλ εἶλαη ηὴλ δύλακηλ ηῆο κειαίλεο
ρνιῆο ἀλώκαινί εἰζηλ νἱ κειαγρνιηθνί· θαὶ γὰξ ςπρξὰ ζθόδξα γίλεηαη θαὶ ζεξκή. δηὰ
δὲ ηὸ ἠζνπνηὸο εἶλαη (ἠζνπνηὸλ γὰξ ηὸ ζεξκὸλ θαὶ ςπρξὸλ κάιηζηα ηῶλ ἐλ ἡκῖλ ἐζηίλ)
ὥζπεξ ὁ νἶλνο πιείσλ θαὶ ἐιάηησλ θεξαλλύκελνο ηῷ ζώκαηη πνηεῖ ηὸ ἦζνο πνηνύο
ηηλαο ἡκᾶο. ἄκθσ δὲ πλεπκαηηθά, θαὶ ὁ νἶλνο θαὶ ἡ κέιαηλα ρνιή.
Emergono tre punti fondamentali. Primo, l‟incostanza dei melancolici deriva
dall‟incostanza della bile nera, a sua volta oscillante tra il caldo e il freddo. Secondo, i principali elementi organici che plasmano il carattere22 sono appunto il caldo e il freddo. Terzo, sia
il vino sia la bile nera sono sostanze atte a forgiare il carattere e caratterizzate dalla presenza
di aria. I tre punti si integrano a vicenda.
17
Morb.Sacr. 2 e 5 (cit. supra, cap. 1, n. 68).
18
Ti. 85 a 5-b 2 (cit. supra, cap. 1, n. 75).
19
Cf. supra, cap. 1, p. 10.
20
Vd. 953 a 16; 953 b 6; 954 b 30.
21
955 a 29-36.
22
Sulla traduzione di ἦζνο vd. infra, App. II, n. 13.
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Il vino, se bevuto in una certa quantità, altera momentaneamente il carattere degli uomini. Li fa diventare collerici o benigni, compassionevoli o sfrontati, ciarlieri o taciturni, fino
a spingerli alla violenza e al delirio, o a fiaccarli e renderli ottusi. Uno stesso uomo, per natura, può avere uno di questi caratteri. Il melancolico, invece, li possiede tutti.23 La sua natura
polimorfica, consistente in uno stato più o meno alterato della mente, dipende dal processo di
osmosi tra caldo e freddo che si instaura nella miscela atrabiliare.24 Il paragone tra vino e miscela atrabiliare si muove essenzialmente su questo piano: tutti i processi organici sono regolati dall‟azione del calore.25 Altra caratteristica comune alla due sostanze è la presenza di
aria.26 Di qui, allora, la dimostrazione secondo cui i melancolici sono più inclini all‟amore di
altri.27 In sostanza, quindi, il vino e la miscela atrabiliare appartengono alla stessa natura.28
L‟unica differenza è che il vino agisce sul comportamento umano in maniera temporanea,
mentre la miscela atrabiliare rende i melancolici tali per tutta la vita.29
In cosa consista la miscela atrabiliare, se sia caratterizzata dalla sola bile nera o da altri
umori in cui prevale la bile nera, non è dato saperlo. Di certo, è interessante rilevare che tale
κειαγρνιηθὴ θξᾶζηο può formarsi in ogni essere umano, in quanto la stessa bile nera è una sostanza presente in dosi più o meno elevate in tutti gli uomini. E come tutte le altre sostanze
naturali, la κέιαηλα ρνιή è soggetta all‟azione del caldo e del freddo.30 Di per sé è un umore
freddo. Se eccede nel corpo, genera paralisi, torpori, abbattimenti, paure. Qualora venga surriscaldata, dà vita a stati euforici, a delirio, ad eruzioni di piaghe e cose simili. Semplice residuo
derivante dalla digestione, essa è responsabile, quindi, di comuni malattie dette appunto atrabiliari.31 Si adopera il sintagma κειαγρνιηθὰ λνζήκαηα.32 In questo caso, l‟aggettivo
κειαγρνιηθόο si riferisce inequivocabilmente alla bile nera. Ma lo stesso non si può dire per
κειαγρνιηθνί. I melancolici del Problema 30, 1 sono qualcosa di più di semplici atrabiliari.
Anche in loro è presente la miscela atrabiliare, ma in misura maggiore rispetto al resto degli
23
Vd. 953 a 33-953 b 10.
24
Vd. 954 a 28-39.
25
Vd. 953 b 22-23.
26
Vd. 953 b 23-24.
27
Vd. 953 b 27-954 a 4. Cf. infra, App. II, n. 23.
28
Vd. 953 b 26-27.
29
Vd. 953 b 9-10; 953 b 17-19.
30
Vd. 954 a 13-20.
31
Vd. 954 a 21-26. Sulla dottrina dei πεξηζζώκαηα cf. supra, cap. 1, n. 34.
32
Vd. 954 a 28 (al singolare); 954 b 28-29. Il sostantivo è sottinteso in 953 b 6 (cf. infra, App. II, n. 18). Invece
di λνζήκαηα si usa πάζε in 953 b 24-25.
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uomini. Questo perché nei melancolici essa non trae origine dal nutrimento quotidiano, bensì
fa parte della loro innata costituzione. I melancolici sono come gli altri, anzi più degli altri,
soggetti alle affezioni atrabiliari. Ma di per sé non rappresentano dei malati, ma delle tipologie di persone fuori dalla norma.33 Pur nella loro anormalità, essi possono trovare il giusto
equilibrio. Come si evince dalla seconda delle due parti in cui ho diviso la sezione conclusiva:34
ἐπεὶ δ‟ ἔζηη θαὶ εὔθξαηνλ εἶλαη ηὴλ ἀλσκαιίαλ θαὶ θαιῶο πσο ἔρεηλ, θαὶ ὅπνπ δεῖ
ζεξκνηέξαλ εἶλαη ηὴλ δηάζεζηλ θαὶ πάιηλ ςπρξάλ, ἢ ηνὐλαληίνλ δηὰ ηὸ ὑπεξβνιὴλ
ἔρεηλ, πεξηηηνὶ κέλ εἰζη πάληεο νἱ κειαγρνιηθνί, νὐ δηὰ λόζνλ, ἀιιὰ δηὰ θύζηλ.
Una miscela innata non adeguatamente dosata rende gli uomini troppo melancolici. Se
troppo fredda, essi risultano stolti e pigri, se troppo calda, invasati.35 Solo se i due elementi
caldo e freddo raggiungono un certo equilibrio, i melancolici eccellono nelle varie attività
umane.36 In ogni caso, il carattere melancolico non è una condizione morbosa, ma fa parte
della natura dell‟individuo.37 È questo l‟assunto principale del Problema 30, 1.38 Per dimostrarlo, Aristotele ipotizza due tipi di bile nera: una potenzialmente dannosa, residuo della digestione dei cibi, l‟altra insita per natura nell‟uomo, che in tal caso risulta melancolico. Il che
ci richiama un passo di Galeno.39 Si tratta di De locis affectis III 9 (K VIII 176-178):
ὡζαύησο δὲ θαὶ ὁ κειαγρνιηθὸο ρπκὸο ἐλ ηῇ ζπζηάζεη ζαθεῖο ἔρεη ηὰο δηαθνξάο, ὁ κὲλ
νἷνλ ηξὺμ αἵκαηνο, ἐλαξγῶο θαηλόκελνο ἱθαλῶο παρύο, ὥζπεξ ἡ ηνῦ νἴλνπ ηξύμ· ὁ δὲ
πνιιῷ κὲλ ηνύηνπ ιεπηόηεξνο θαηὰ ηὴλ ζύζηαζηλ, ὀμὺο δὲ θαὶ ηνῖο ἐκέζαζηλ αὐηὸλ
θαηλόκελνο θαὶ ηνῖο ὀζκσκέλνηο· νὗηνο θαὶ μύεη ηὴλ γῆλ, ἐμαίξσλ ηε θαὶ δπκῶλ θαὶ
πνκθόιπγαο ἐγείξσλ, νἷαη ηνῖο δένπζη δσκνῖο ἐθίζηαληαη· ὃλ δ‟ ἔθελ ἐνηθέλαη παρείᾳ
ηξπγί, ηήλ ηε δύκσζηλ νὐθ ἐξγάδεηαη θαηὰ ηῆο γῆο ἐθρπζείο, πιὴλ εἰ κὴ πάλπ ζθόδξα
ηύρνη ηόηε θαηνπηεζεὶο ἐλ δηαθαεῖ ππξεηῷ, θαὶ ἥθηζηα κεηέρεη πνηόηεηνο ὀμείαο, ἡλίθα
θαὶ θαιεῖλ αὐηὸλ εἴσζα κειαγρνιηθὸλ ρπκὸλ ἢ κειαγρνιηθὸλ αἷκα, κέιαηλαλ γὰξ
33
Vd. 954 b 18-32.
34
Vd. 955 a 36-40.
35
Cf. supra, n. 24.
36
Cf. 954 b 26-28. Lo stesso termine πεξηηηόο è ambiguo (cf. infra, App. II, n. 2).
37
Cf. 953 a 31-32.
38
Vd. 953 a 11-13.
39
Cit. parzialmente supra, cap. 1, nn. 29, 36, 59.
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ρνιὴλ νὐδέπσ δηθαηῶ ηὸλ ηνηνῦηνλ ὀλνκάδεηλ. γελλᾶηαη δ‟ ὁ ρπκὸο νὗηνο ἐλίνηο πνιύο,
ἢ δηὰ ηὴλ ἐμ ἀξρῆο θξᾶζηλ, ἢ δη‟ ἔζνο ἐδεζκάησλ εἰο ηνηνῦηνλ ρπκὸλ ἐλ ηῇ θαηὰ ηὰο
θιέβαο πέςεη κεηαβαιόλησλ. ὥζπεξ δ‟ ὁ παρὺο ρπκὸο ηνῦ θιέγκαηνο, νὕησ θαὶ νὗηνο
παρὺο ρπκὸο ὁ κειαγρνιηθὸο ἐπηιεςίαο πνη‟ ἐξγάδεηαη θαηὰ ηὰο ἐθξνὰο ηῶλ ἐλ
ἐγθεθάιῳ θνηιηῶλ ἰζρόκελνο, ἤηνη ηῆο κέζεο, ἢ ηῆο ὄπηζζελ· ὅη‟ ἂλ δ‟ ἐλ αὐηῷ
πιενλάζῃ ηῷ ηνῦ ἐγθεθάινπ ζώκαηη, κειαγρνιίαλ ἐξγάδεηαη, θαζάπεξ ὁ ἕηεξνο ρπκὸο
ηῆο κειαίλεο ρνιῆο, ὁ θαησπηεκέλεο ηῆο μαλζῆο ρνιῆο γελόκελνο, ηὰο ζεξηώδεηο
παξαθξνζύλαο ἀπνηειεῖ ρσξὶο ππξεηνῦ ηε θαὶ ζὺλ ππξεηῷ, πιενλάδσλ ἐλ ηῷ ζώκαηη
ηνῦ ἐγθεθάινπ “Così anche l‟umore melancolico si distingue chiaramente nella sua
composizione. Uno è simile al residuo del sangue, visibilmente denso a sufficienza,
come la feccia del vino; l‟altro ha una composizione molto meno densa del precedente,
appare acido a chi lo vomita o lo annusa. Questo corrode la terra, fa fermentare, sollevando ed eccitando, bolle simili a quelle che compaiono sulla superficie della salsa in
ebollizione. L‟umore che ho definito della stessa natura di una feccia densa, non dà
luogo a fermentazione se versato in terra, a meno che non venga completamente surriscaldato nel fuoco rovente. Non è per nulla acido, perciò sono solito chiamarlo umore
melancolico o sangue melancolico – la denominazione „bile nera‟ mi pare assolutamente inappropriata. Quest‟umore si genera ad alcuni in abbondanza, o a causa della
miscela originaria, o a causa dell‟alimentazione – i cibi si trasformano in tale umore
durante il processo di cozione nelle vene. Come l‟umore denso del flegma, così anche
il denso umore melancolico, se si fissa nei condotti cavi del cervello, sia nel mezzo sia
da dietro, produce epilessia. Quando abbonda nella massa stessa del cervello, genera
melancolia. Così come l‟altro tipo di umore atrabiliare, quello prodottosi da un surriscaldamento della bile gialla, dà vita a delirî „bestiali‟40 con o senza febbre, qualora ce
ne sia in quantità eccessiva nella massa del cervello”.
L‟interpretazione galenica è assai simile a quella aristotelica. Anche il medico di Pergamo ipotizza due tipologie di bile nera. Una per così dire „naturale‟, innata nell‟uomo o frutto della digestione, l‟altra „corrotta‟, prodotto finale della combustione della bile gialla. Solo
dalla prima si genera la κειαγρνιία. Inoltre, come Aristotele non parla propriamente di
40
Sulla difficile resa di ζεξηώδεο cf. supra, cap. 1, p. 17s. e n. 59.
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κέιαηλα ρνιή, bensì di κειαγρνιηθὴ θξᾶζηο,41 così Galeno afferma, addirittura, che il tipo di
umore da cui deriva la melancolia è preferibile definirlo κειαγρνιηθὸο ρπκόο o κειαγρνιηθὸο
αἷκα, piuttosto che κέιαηλα ρνιή.42 Il grande sistematizzatore di Ippocrate ha forse subito
l‟influsso della sistematizzazione aristotelica.43 Tale, infatti, appare l‟interpretazione del Problema 30, 1. Con un‟unica grande differenza, però, tra i due autori: Galeno cerca di definire i
contorni della malattia detta κειαγρνιία, Aristotele considera i melancolici non come malati,
ma come tipologie di persone.44
Già in Ippocrate abbiamo incontrato l‟aggettivo κειαγρνιηθόο in riferimento né ad uno
stato morboso né alla bile nera, bensì ad un tipo di persona che in condizioni normali presenta
di per sé uno stato alterato della mente.45 Allo stesso modo vanno intesi i κειαγρνιηθνί del
Problema 30, 1. Ed in base alle riflessioni fin qui espresse, è lecito affermare che un simile
modo di intendere la melanconia è ciò che rimane del più antico concetto di melancolia, conservatoci probabilmente dalle fonti del teatro comico: un generale stato di alienazione mentale
senza alcuna connotazione medico-specialistica.46 A questo punto Aristotele si trova di fronte
a due problemi. Da un lato, egli deve integrare l‟originario concetto di melancolia con la sua
accezione più specificatamente patologica, che è quella prevalente nel Corpus Hippocraticum.
Dall‟altro, deve fare quello che i medici ippocratici non hanno fatto, ovvero motivare su basi
fisiologiche la natura dei melancolici. La soluzione più logica è quella di affidarsi alla bile nera. Essa, in qualità di semplice residuo, genera affezioni atrabiliari, caratterizzate da disturbi
psichici con complicazioni fisiche: è la concezione di melancolia che prevale in Ippocrate. Se
la bile nera è presente nel corpo fin dalla nascita in quantità superiore alla media, gli individui
risultano fuori dalla norma, ossia melancolici, non per malattia, ma per natura: si tratta del più
41
Quando l‟autore del Problema 30, 1 prende in considerazione il tipo di miscela atrabiliare innata nell‟uomo, la
definisce anche ἕμηο (954 b 5 e 27). Il termine sta a indicare uno stato duraturo e permanente del corpo (cf. infra,
App. II, n. 30). Ci allontaniamo sempre più dal concetto prettamente umorale di bile nera (cf. infra, n. s.).
42
Anche Aristotele utilizza, una sola volta, il sintagma κειαγρνιηθὸο ρπκόο per riferirsi alla miscela atrabiliare
insita per costituzione nell‟uomo (954 a 12). Nel filosofo di Stagìra ρπκόο ha in generale il senso di „gusto, succo
o liquido‟, mentre per indicare gli umori si fa ricorso ai termini ὑγξόλ o πεξίζζσκα (vd. Demont 2005, 278s.).
Infatti, ρπκόο compare ancora nel Problema 30, 1 (953 b 23), in riferimento al „succo del vino‟ (cf. infra, App.
II, n. 21). È come se l‟autore volesse distinguere anche su un piano terminologico la bile nera, semplice residuo
presente in tutti gli uomini, dalla costituzione melancolica, presente per natura solo in alcuni.
43
Cf. Klibansky-Panofsky-Saxl 1964, 48-50.
44
Nel Corpus Aristotelicum, infatti, non è presente alcuna attestazione del termine κειαγρνιία.
45
Cf. supra, cap. 1, p. 27s.
46
Vd. supra, cap. 2, passim.
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antico concetto di melancolia. In tutto questo, a determinare il grado della malattia atrabiliare
e dell‟anormalità melancolica è l‟osmosi tra caldo e freddo. Ecco perché l‟autore preferisce
parlare di miscela atrabiliare. Quasi che l‟azione fondamentale in questi processi sia da attribuire non tanto a κέιαηλα ρνιή, quanto a ζεξκόλ e a ςπρξόλ.47
Ricapitolando, quanto esposto nel Problema 30, 1 ha tutta l‟aria di essere di una sistematizzazione per quanto concerne la melancolia. Anzi, al riguardo, è il primo tentativo di sistematizzazione a chiamare in causa direttamente la bile nera. In questo senso, il trattato assume un‟importanza decisiva per gli immediati sviluppi della nozione di melancolia. Lo stesso Galeno non può non tenerne conto. L‟assunto che i melancolici siano uomini eccezionali,48
e la conseguente relazione tra genio e follia trovano campo fertile, invece, solo in età rinascimentale. Il terreno su cui ci si muove non è più quello della melancolia, bensì quello della melancholia.
La cosa interessante è che dal Problema 30, 1 emerge una trattazione sulla melancolia
in sostanziale accordo con la mia teoria. Se Aristotele, o chi per lui, è il primo autore greco
conosciuto a tentare di motivare razionalmente la connessione tra melancolia e bile nera, è lecito supporre che tale binomio rappresenti una formazione successiva all‟originario concetto
di melancolia.
47
E non può essere altrimenti in un autore per cui la bile nera rappresenta nient‟altro che un residuo (cf. supra,
cap. 1, p.10). In Morb.Sacr. 15 (cit. supra, cap. 1, p. 23s.) la bile e il flegma intervengono nella formazione di
stati di delirio. La loro azione consiste rispettivamente nel riscaldare o raffreddare eccessivamente il cervello.
Anche in questo caso, gli elementi caldo e freddo risultano determinanti, più degli stessi umori. Una riprova del
fatto che la relazione tra epilessia e melancolia di Epid. VI 8, 31 non coinvolge la bile nera (cf. supra, cap. 1, pp.
22-25).
48
Detta in questi termini, l‟affermazione risulta errata. Il Problema 30, 1, infatti, dice che soltanto i melancolici
in cui la miscela innata raggiunga un equilibrio a livello termico, risultano superiori agli altri uomini nelle varie
discipline (cf. infra, App. II, n. 2).
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CONCLUSIONI
Le più antiche testimonianze del concetto di melancolia risalgono ad Ippocrate.
Dall’analisi dei luoghi del Corpus Hippocraticum emergono i seguenti punti.
A. Non viene fornita alcuna definizione per μελαγτολία.
B. L’uso prevalente dell’aggettivo derivato μελαγτολικός nel senso di stato alterato
della mente con complicazioni fisiche, fa intendere che in tal modo vada intesa anche la malattia detta μελαγτολία. Tuttavia, i contorni patologici di tale affezione,
con annessi sintomi, cause e trattamenti, restano vaghi. Infatti, alcune occorrenze
di μελαγτολικός fanno riferimento non a dei malati, ma a delle tipologie di persone
che in normali condizione di salute presentano uno stato di alterazione mentale.
C. La bile nera sembra inizialmente estranea al concetto di melancolia. Tale sostanza
viene presentata in Natura dell’uomo come uno dei quattro umori principali del
corpo. Ma soltanto Galeno pone la teoria di questo trattato come base fondamentale dell’insegnamento ippocratico. In origine, μέλαινα τολή è una semplice variante
cromatica della bile, che non ha quindi le carte in regola per dar vita ad una patologia recante il suo stesso nome. La dottrina dei quattro umori si sviluppa in età
tardoantica e bizantina. La melancolia, invece, è un concetto antico, forse persino
pre-ippocratico.
D. In pochissimi casi è possibile rilevare in μελαγτολικός l’equivalente di μέλαινα
τολή. Tuttavia, ciò rappresenta una forzatura dal punto di vista terminologico.
Confrontando la terminologia in uso per gli altri umori, gli aggettivo più consoni
per indicare la bile nera dovrebbe essere μελάγτολος o μελαγτολώδης. Il primo
non è attestato in Ippocrate. In epoca contemporanea ai trattati ippocratici, esso
compare una volta in contesto tragico (Soph. Tr. 573). Ma il suo valore prescinde
sia dal concetto di bile nera sia da quello di melancolia. Le altre attestazioni sono
tarde e non costituiscono una traccia utile per indagare sull’origine della melancolia. Il secondo aggettivo ricorre nel Corpus Hippocraticum tre volte. Una in Remed. 36, dove esso ha il valore di bile nera. Le altre due occorrenze – di cui una è
dubbia – si hanno in Morb. I 30, nel significato di alienazione mentale. È probabile
che μελαγτολώδης, di formazione più recente rispetto a μελαγτολικός, sia stato
coniato inizialmente nel senso umorale, e poi si sia sovrapposto al concetto generale di melancolia. Per μελαγτολικός, invece, si ipotizza il processo inverso. I medici
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ippocratici, per riferirsi all’atrabile, hanno utilizzato, seppur con parsimonia, una
parola come μελαγτολικός che, eccetto la somiglianza etimologica, non aveva nulla a che vedere, almeno in origine, con tale sostanze organica. Il suo valore originario, che è poi quello prevalente in Ippocrate, è stato espresso al punto B.
Il Problema 30, 1 è il primo trattato in cui si cerca di dare ordine a questi elementi. Per
farlo, da un lato si scinde in modo netto l’accezione prettamente patologica di melancolia, da
quella più generale che non presuppone un vero e proprio stato morboso. Dall’altro, viene assegnato un ruolo determinante per entrambe le condizioni all’osmosi tra caldo e freddo.
Osmosi che caratterizza un certo tipo di miscela composta essenzialmente da bile nera. Di per
sé, μέλαινα τολή è un semplice residuo derivato dalla digestione. Non riveste alcuna importanza particolare all’interno dell’organismo. La sua azione diventa decisiva soltanto se eccede
per un qualche motivo all’interno del corpo, in uno specifico stato termico. Non si tratta più
propriamente di bile nera, bensì di miscela atrabiliare. Di quest’ultima ne esistono due tipi,
corrispondenti alle accezioni di melancolia del Problema 30, 1. La prima, prodottasi in quantità eccessiva in seguito al nutrimento quotidiano, genera vari disturbi psico-fisici, condizionati dalla temperatura o troppo calda o troppo fredda della stessa miscela: sono le cosiddette
malattie atrabiliari. La seconda, invece, che prevale nel corpo fin dalla nascita, rappresenta la
costituzione naturale di un uomo, che risulta così avere un carattere al di fuori della norma
non per malattia, ma per natura: è il carattere dei melancolici. Essi possono essere sì affetti da
disturbi atrabiliari, ma il loro stato alienato della mente, più o meno grave a seconda della
temperatura della miscela, non è il risultato di una specifica patologia, bensì fa parte della loro
stessa natura. Che si veda o no in Aristotele l’autore del Problema 30, 1, l’interpretazione della melancolia che ne emerge è sicuramente aristotelica. La nozione di μέλαινα τολή – sebbene
attraverso l’accezione sfumata di μελαγτολικὴ κρᾶζις – entra prepotentemente nel campo della melancolia, non solo da un punto di vista terminologico, come già si è verificato nel Corpus
Hippocraticum, ma anche da un punto di vista concettuale. Ciò che manca, ancora, è una
qualsiasi definizione di μελαγτολία.
Galeno pone le basi per una definitiva sistematizzazione del concetto di melancolia,
tenendo conto sia delle indicazioni del suo ‘maestro’ Ippocrate, sia dell’interpretazione del
Problema 30, 1. Da una parte, il medico di Pergamo trasforma la bile nera da semplice varietà
di una delle tante sostanze liquide presenti nel corpo, a uno dei quattro umori costitutivi
dell’organismo umano – insieme a bile gialla, flegma e sangue. Dall’altra, fa derivare dalla
stessa bile nera la malattia detta μελαγτολία, definendone per la prima volta i sintomi princi-
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pali: paura e abbattimento. Come si è accennato nel corso della trattazione, la sistematizzazione di Galeno, in quanto tale, presenta punti oscuri e contraddizioni. Tuttavia, essa risulta fondamentale per la genesi dell’odierna melancholia intesa come ‘tristezza senza causa’.
Il problema dell’origine della melancolia si rivela, quindi, un problema essenzialmente
terminologico. In quale contesto prendono vita termini quali μελαγτολάω e μελαγτολία? Nasce prima l’uno o l’altro? Qual è il valore da assegnare ai membri del composto? Questi ultimi
corrispondono alla nozione prettamente umorale di μέλαινα τολή o presuppongono una diversa formazione? Ho cercato di rispondere a tali interrogativi sulla base delle pur scarse testimonianze offerte in proposito dai testi del teatro comico del V e IV secolo a.C. e dagli studi
lessicografici greci. Se ne è ricavato che l’origine della melancolia può essere rintracciata
nell’uso popolare e dunque traslato dei termini τολή (‘ira, follia’) e μέλας (‘tremendo’), da cui
il verbo μελαγτολάω, tipico del linguaggio colloquiale attico, nel senso di ‘essere completamente pazzo’. Successivamente, i medici della cerchia ippocratica hanno coniato il termine
μελαγτολία, riprendendo il senso del verbo ma connotandolo di scientificità. La nascita di
μέλαινα τολή sembra ascriversi, invece, alle osservazioni empiriche degli stessi medici ippocratici. Essa rappresenta nient’altro che un liquido organico di colore nero.
In definitiva, l’originario valore di melancolia è quello di ‘stato alterato della mente’,
senza presupporre in alcun modo la bile nera. La medicina del V secolo, da un lato, delinea il
quadro morboso della melancolia, pur rimanendo ancora su un piano generale, dall’altro, inizia a sovrapporre le nozioni, terminologicamente affini, di melancolia e bile nera.1 A fornire
una dimostrazione razionale alla loro connessione pensa il Problema 30, 1. Ma si tratta pur
sempre di una sistematizzazione. Nonostante essa venga perfezionata da Galeno, le aporie e i
dubbi permangono.2 Una cosa è certa: la melancolia, in origine, non corrisponde a nessuna
1
Un processo inverso si può individuare nel termine θλέγμα. La sua radice è quella del verbo θλέγω ‘infiamma-
re’ (DELG, 1208s.). In Il. XXI 337, infatti, θλέγμα compare nel significato di ‘incendio, fiamma’. Nel Corpus
Hippocraticum, invece, esso sia ricorre nel senso etimologico di ‘infiammazione’ o di ‘agente infiammatorio’,
sia rappresenta l’umore freddo ed umido quale emerge soprattutto da Natura dell’uomo. Dunque, come θλέγμα
si è scisso nel significato, passando a indicare, dalla sostanza con proprietà calorifiche, l’umore refrigerante (su
tale sviluppo semantico vd. Lonie 1981, 277-279), al contrario, μέλαινα τολή si è progressivamente sovrapposto
a μελαγτολία e i suoi derivati.
2
Anche il mondo latino risente di tale confusione. Un esempio è Cic. Tusc. III 11: Graeci autem μανίαν unde
appellent, non facile dixerim; eam tamen ipsam distinguimus nos melius quam illi. hanc enim insaniam, quae
iuncta stultitiae patet latius, a furore disiungimus. Graeci volunt illi quidem, sed parum valent verbo: quem nos
furorem, μελαγτολίαν illi vocant; quasi vero atra bili solum mens ac non saepe vel iracundia graviore vel timore
vel dolore moveatur. Secondo Cicerone, la lingua greca non è in grado di distinguere in modo chiaro i vari gradi
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patologia precisa.3 Né quindi è possibile rintracciare nel Corpus Hippocraticum la melancolia
laddove essa non compare, esclusivamente sulla base di un qualche raffronto sintomatologico,4 né tantomeno è opportuno identificare la melancolia con una malattia odierna. 5 Ancora
una volta deve intervenire Galeno, che assegna alla melancolia un quadro clinico meglio definito.6 L’interpretazione galenica rappresenta uno snodo fondamentale per il futuro sviluppo
della follia: e.g. la stultitia dal furor. La sua critica si rivolge soprattutto al termine μελαγτολία, che i Greci inopportunamente impiegano per riferirsi al furor latino (cf. ThGL V 707: «Μελαγτολία, ἡ, Furor s. Desipiscentia ex
atrae bilis redundantia»). L’autore latino muove quest’appunto in quanto non riesce a spiegarsi il ruolo eziologico della bile nera. Il legame tra melancolia e bile nera è ormai assodato, ma la misura del loro rapporto continua
ad essere discussa. Un’analisi del lessico latino relativo alla follia è offerta in Stok 1997. Ιn particolare,
sull’influenza del greco μελαγτολία e sull’impiego del calco atra bilis vd. o.c. p. 444ss.
3
Per questo motivo, non ritengo soddisfacente l’interpretazione di Ceschi 2009, 101-105 e 207-222, che ravvisa
nella sofferenza di Filottete – nell’omonima tragedia sofoclea – una sorta di patologia melancolica. Del resto, lo
stesso studioso riconosce che la melancolia nel Corpus Hippocraticum è «una malattia scarsamente connotata»
(o.c. p. 104), e conclude diagnosticando per Filottete non una precisa affezione melancolica, bensì una «ulcera
maligna al piede con complicazioni melancoliche» (o.c. p. 221).
4
Starobinski 1960, 27 cita Morb. II 72 (L VII 108-110) come esempio di melancolia. La malattia ivi descritta ha
come sintomi principali disgusto (ἄζη) e paura (θόβος), ma viene esplicitamente denominata θρονηίς ‘preoccupazione’. Il fatto che il rimedio indicato sia l’elleboro non è indicativo (cf. supra, cap. 1, n. 64). Sempre nel secondo libro delle Malattie, alla sezione seguente (73, L VII 110-112), si parla di una ‘malattia nera’ (μέλαινα
νοῦζος), in cui il paziente vomita sostanze nere. Di certo non è ravvisabile alcun riferimento ad un particolare
stato melancolico. E neppure è possibile rintracciare una malattia causata dalla bile nera, nonostante una glossa
di Galeno (Linguarum seu dictionum exoletarum Hippocratis explicatio, s.v. μέλαινα, K XIX 120) ci dica il contrario: λέγεηαί ηε καὶ ἡ νόζος οὕηως ἀπὸ μελαίνης τολῆς ζσνιζηαμένη (cf. Jouanna 1983, 275 n. 4). Tuttavia,
Kudlien 1967, 82 non solo interpreta come Starobinski Morb. II 72, ma anche nella sezione 73 crede di vedere
una forma di melancolia. E cosa ancora più strana, ritiene giusto parlare di melancolia persino in Morb. II 66 (L
VII 100-102), dove si espone la scheda di una malattia detta ‘secca’ (αὐανηή). Il valore scientifico di simili osservazioni viene giustamente definito nullo da Di Benedetto 1986, 63 n. 1 e 68 n. 64.
5
Così Lerza 1986, che dal confronto di un insieme di passi, soprattutto ippocratici ed aristotelici, giunge a «rav-
visare in alcuni casi di sofferenza atrabiliare una sindrome di narcolessia» (o.c. p. 219s.).
6
L’evoluzione della patologia melancolica presenta punti di contatto con quella ‘maniaca’. Sia μελαγτολία sia
μανία presuppongono alla base rispettivamente μελαγτολάω e μαίνομαι. I due verbi sono praticamente sinonimi
ed hanno il valore di ‘essere folle, impazzire’. I sostantivi nel Corpus Hippocraticum ne riprendono il valore, ma
secondo un’ottica più medico-specialistica. I contorni delle due affezioni rimangono sfumati, ma vi si intravede
già una certa differenza (cf. supra, cap. 1, pp. 15-17). Se si è ipotizzato che la definizione standard di μανία –
‘alienazione mentale senza febbre’ – si costituisce intorno al II secolo a. C., tanto che così viene descritta in Definitiones medicae 246 (cf. supra, cap. 1, n. 58), uno sviluppo simile si può supporre per μελαγτολία. Non a caso,
in Definitiones medicae 247 (K XIX 416) incontriamo anche la definizione di melancolia, in sostanziale accordo
con l’interpretazione galenica: μελαγτολία ἐζηὶ πάθος βλάπηον ηὴν γνώμην μεηὰ δσζθσμίας ἰζτσρᾶς καὶ
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della nozione di melancolia, ma le basi della sua dottrina vanno cercate in Ippocrate ed Aristotele.
ἀποζηροθῆς ηῶν θιληάηων γιγνόμενον ἄνεσ ηοῦ πσρεηοῦ. ηιζὶ δὲ αὐηῶν καὶ τολὴ προζγινομένη πολλὴ μέλαινα
βλάπηει ζηόματον, ὥζηε καὶ ἀπεμεῖζθαι καὶ οὕηως ηὴν γνώμην ζσγκακοῦζθαι. Da notare che la bile nera non
viene menzionata come un sintomo fisso della malattia: essa insorge solo ad alcuni melancolici.
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APPENDICE I: IL CORPUS HIPPOCRATICUM1
Αër. 10 (L II 50)
ἢλ δὲ βόξεηόλ ηε ᾖ θαὶ ἄλπδξνλ, θαὶ κήηε ὑπὸ θύλα ἔπνκβξνλ, κήηε ἐπὶ ηῷ ἀξθηνύξῳ, ηνῖζη
κὲλ θιεγκαηίῃζη θύζεη μπκθέξεη κάιηζηα, θαὶ ηνῖο ὑγξνῖο ηὰο θύζηαο, θαὶ ηῇζη γπλαημίλ·
ηνῖζη δὲ ρνιώδεζη ηνῦην πνιεκηώηαηνλ γίλεηαη· ιίελ γὰξ ἀλαμεξαίλνληαη, θαὶ ὀθζαικίαη
αὐηένηζηλ ἐπηγίγλνληαη μεξαί, θαὶ ππξεηνὶ ὀμέεο θαὶ πνιπρξόληνη, ἐλίνηζη δὲ θαὶ κειαγρνιίαη.
ηῆο γὰξ ρνιῆο ηὸ κὲλ ὑγξόηαηνλ θαὶ ὑδαξέζηαηνλ ἀλαινῦηαη, ηὸ δὲ παρύηαηνλ θαὶ δξηκύηαηνλ
ιείπεηαη, θαὶ ηνῦ αἵκαηνο θαηὰ ηὸλ αὐηὸλ ιόγνλ· ἀθ᾽ ὧλ ηαῦηα ηὰ λνζεύκαηα αὐηένηζη
γίγλεηαη “Se il clima è boreale e secco, e non piove né durante la canicola, né verso metà settembre, tale situazione risulta essere estremamente favorevole per coloro che hanno una costituzione flegmatica ed umida, e per le donne; mentre per i biliosi essa è molto dannosa: rinsecchiscono troppo, sono affetti da oftalmie secche e febbri acute che si protraggono a lungo, alcuni anche da disturbi melancolici. Questo poiché la parte della bile più umida e acquosa si
consuma, mentre rimane quella più densa e acre; per quanto riguarda il sangue vale lo stesso
discorso. In conseguenza di ciò queste malattie insorgono ai biliosi”.2
Acut. 16 (L II 358)
ἐλ θεθαιαίῳ δ᾽εἴξεζζαη, αἱ ἀπὸ ὀμένο ὀμύηεηεο πηθξνρόινηζη κᾶιινλ ἢ κειαγρνιηθνῖζη
μπκθέξνπζη· ηὰ κὲλ γὰξ πηθξὰ δηαιύεηαη θαὶ ἐθθιεγκαηνῦηαη, κεηεσξηδόκελα ὑπ᾽αὐηένπ· ηὰ
δὲ κέιαλα δπκνῦηαη θαὶ κεηεσξίδεηαη θαὶ πνιιαπιαζηνῦηαη· ἀλαγσγὸλ γὰξ κειάλσλ, ὄμνο
“Per farla breve, l‟acidità che proviene dall‟aceto favorisce la costituzione degli amarobiliosi
piuttosto che quella degli atrabiliosi, in quanto, da una parte, le sostanze amare, messe in movimento dall‟aceto, si disciolgono e si mutano in flegma, dall‟altra, invece, le sostanze nere
fermentano, si mettono in movimento e si moltiplicano. Di queste ultime, non a caso, l‟aceto
provoca l‟evacuazione”.
Acut. (Sp.) 8 (L II 426)
ὁθόζνηζη δὲ ἐλ ππξεηνῖζη θνηιίε ὑγξὴ θαὶ γλώκε ηεηαξαγκέλε, νἱ πνιινὶ ηῶλ ηνηνπηέσλ ηὰο
θξνθύδαο ἀθαηξένπζη, θαὶ ηὰο ῥῖλαο ζθάιινπζη, θαὶ θαηὰ βξαρὺ κὲλ ἀπνθξίλνληαη ηὸ
ἐξσηώκελνλ, αὐηνὶ δὲ ἀθ᾽ ἑσπηῶλ νὐδὲλ ιέγνπζη θαηεξηεκέλνλ· δνθέεη νὖλ κνη ηὰ ηνηάδε
κειαγρνιηθὰ εἶλαη “Se, durante i casi di febbre, i malati hanno il ventre fluido e la mente tur1
Salvo diversa indicazione, il testo greco di riferimento è quello edito da Littré (L), di cui si citano volume e
numero di pagina.
2
Ripreso da Aph. III 14.
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bata, la maggior parte di loro mostra segni di carfologia, si strappa i peli dal naso, risponde
bruscamente alle domande, e questi di per sé non dicono nulla di connesso: mi sembra si tratti
di disturbi melancolici”.
Acut. (Sp.) 10 (L II 450)
θαὶ ἢλ ἀθκάδῃ ηῇ ἡιηθίῃ θαὶ ηὸ ζῶκα ἐθ γπκλαζίσλ ἢ εὐζαξθώζηνο ἔρῃ, ἢ κειαγρνιηθὸο ᾖ, ἢ
ἐθ πόζηνο ρεῖξεο ηξνκεξαί, θαιῶο ἔρεη παξαθξνζύλελ πξνεηπεῖλ ἢ ζπαζκόλ “Qualora il paziente sia nel fiore dell‟età e sia in forma grazie all‟esercizio fisico, o sia in uno stato melancolico, o abbia le mani tremanti per il bere, è corretto pronosticare delirio o convulsione”.
Acut. (Sp.) 14 (L II 468)
θαὶ ἀπὸ κειαγρνιηθῶλ δηὰ θιεβῶλ πλεπκάησλ ἀπνιήςηεο ὁθόηαλ ἔσζη, θιεβνηνκίε ῥύεηαη
“Nel caso in cui si verificasse un blocco nel passaggio dell‟aria nelle vene a causa di fenomeni atrabiliari, si ricorra alla flebotomia”.
Acut. (Sp.) 18 (L II 488)
ηὰ κὲλ γὰξ κειαγρνιηθὰ παζήκαηα θαὶ παξνμπλζείε ἂλ ὑπὸ βνείσλ θξεῶλ “Le affezioni melancoliche possono acuirsi in seguito all‟assunzione di carne bovina”.
Epid. III 3, 14 (L III 98)
ηὸ κειαγρνιηθόλ ηε θαὶ ὕθαηκνλ· νἱ θαῦζνη θαὶ ηὰ θξεληηηθά, θαὶ ηὰ δπζεληεξηώδεα ηνύησλ
ἥπηεην. ηεηλεζκνὶ λένηζη θιεγκαηώδεζηλ. καθξαὶ δηάξξνηαη θαὶ ηὰ δξηκέα δηαρσξήκαηα θαὶ
ιηπαξὰ πηθξνρόινηζηλ “In una costituzione atrabiliare e sanguigna insorgevano febbri ardenti,
affezioni frenitiche e dissenterie. Tenesmi capitavano ai soggetti flegmatici di giovane età. Gli
amarobiliosi erano colpiti da diarree prolungate con feci acide e grasse”.
Epid. III 3, 17 (L III 112)
ηαύηῃ ηὰ ηῶλ νὔξσλ δηὰ ηέιενο ἦλ κέιαλα θαὶ ιεπηὰ θαὶ ὑδαηώδεα· θῶκα παξείπεην·
ἀπόζηηνο, ἄζπκνο, ἄγξππλνο· ὀξγαί· δπζθνξίαη· ηὰ πεξὶ ηὴλ γλώκελ κειαγρνιηθά “Fino alla
fine, le sue urine erano nere, scarse e acquose; lo stato di coma non l‟abbandonava; rifiutava il
cibo; era abbattuta; non dormiva; l‟irascibilità e l‟irrequietezza l‟accompagnavano. Si tratta di
quelle affezioni melancoliche che colpiscono la mente”.
Aph. III 14 (L IV 492)
ἢλ δὲ βόξεηνλ ᾖ θαὶ ἄλπδξνλ, ηνῖο κὲλ ὑγξνῖζη ηὰο θύζηαο θαὶ ηῇζη γπλαημὶ μύκθνξνλ· ηνῖζη δὲ
ινηπνῖζηλ ὀθζαικίαη ἔζνληαη μεξαί, θαὶ ππξεηνὶ ὀμέεο, θαὶ θόξπδαη, ἐλίνηζη δὲ θαὶ
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κειαγρνιίαη “Un clima caratterizzato da vento boreale ed assenza di precipitazioni è utile a
chi ha una costituzione umida per natura e alle donne; per gli altri non ci saranno che oftalmie
secche, febbri acute, raffreddori, per alcuni anche disturbi melancolici”.
Aph. III 20 (L IV 494)
ηνῦ κὲλ γὰξ ἦξνο, ηὰ καληθά, θαὶ ηὰ κειαγρνιηθά, θαὶ ηὰ ἐπηιεπηηθά, θαὶ αἵκαηνο ῥύζηεο, θαὶ
θπλάγραη, θαὶ θόξπδαη, θαὶ βξάγρνη, θαὶ βῆρεο, θαὶ ιέπξαη, θαὶ ιεηρῆλεο, θαὶ ἀιθνί, θαὶ
ἐμαλζήζηεο ἑιθώδεεο πιεῖζηαη, θαὶ θύκαηα, θαὶ ἀξζξηηηθά “In primavera si verificano casi di
disturbi mentali a carattere maniaco, melancolico ed epilettico, flussi di sangue, casi di angina, raffreddore, raucedine, tosse e lebbra, eruzioni cutanee, leucodermie, moltissime efflorescenze simili a piaghe, escrescenze e sindromi di artrite”.
Aph. III 22 (L IV 496)
ηνῦ δὲ θζηλνπώξνπ, θαὶ ηῶλ ζεξηλῶλ ηὰ πνιιά, θαὶ ππξεηνὶ ηεηαξηαῖνη, θαὶ πιαλῆηεο, θαὶ
ζπιῆλεο, θαὶ ὕδξσπεο, θαὶ θζίζηεο, θαὶ ζηξαγγνπξίαη, θαὶ ιεηεληεξίαη, θαὶ δπζεληεξίαη, θαὶ
ἰζρηάδεο, θαὶ θπλάγραη, θαὶ ἄζζκαηα, θαὶ εἰιενί, θαὶ ἐπηιεςίαη, θαὶ ηὰ καληθά, θαὶ ηὰ
κειαγρνιηθά “In autunno si verificano molte delle malattie estive, febbri quartane e irregolari,
dolori alla milza, idropisie, tisi, strangurie, lienterie, dissenterie, sciatiche, angine, asma,
ostruzioni intestinali, epilessie, disturbi mentali di carattere maniaco e melancolico”.
Aph. IV 9 (L IV 504)
ηνὺο δὲ κειαγρνιηθνύο, ἁδξνηέξσο ηὰο θάησ, ηῷ αὐηῷ ινγηζκῷ ηἀλαληία πξνζηηζείο “Applicando l‟opposta procedura attraverso un medesimo ragionamento, [scil. purgare]3 fortemente i
melancolici dal basso”
Aph. VI 11 (L IV 566)
ηνῖζη κειαγρνιηθνῖζη, θαὶ ηνῖζη λεθξηηηθνῖζηλ αἱκνξξνίδεο ἐπηγηλόκελαη, ἀγαζόλ “Per i
melancolici e per chi soffre di malattie renali, la comparsa di emorroidi è un fatto positivo”.4
Aph. VI 23 (L IV568)
ἤλ θόβνο ἢ δπζζπκίε πνπιὺλ ρξόλνλ δηαηειέῃ, κειαγρνιηθὸλ ηὸ ηνηνῦηνλ “Se la paura o
l‟abbattimento si protraggono a lungo, tale stato è melancolico”.
Aph. VI 56 (L IV 576)
3
Si sottintende l‟infinito iussivo θαξκαθεύεηλ.
4
Cf. Iudic. 41.
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ηνῖζη κειαγρνιηθνῖζη λνπζήκαζηλ ἐο ηάδε ἐπηθίλδπλνη αἱ ἀπνζθήςηεο· ἢ ἀπόπιεμηλ ηνῦ
ζώκαηνο, ἢ ζπαζκόλ, ἢ καλίελ, ἢ ηύθισζηλ ζεκαίλνπζηλ “Nelle malattie melancoliche le
concentrazioni [scil. di umori]5 risultano pericolose perché sono sintomo di paralisi del corpo,
convulsione, mania o cecità”.
Aph . VII 40 (L IV 588)
ἤλ ἡ γιῶζζα ἐμαίθλεο ἀθξαηὴο γέλεηαη, ἢ ἀπόπιεθηόλ ηη ηνῦ ζώκαηνο, κειαγρνιηθὸλ ηὸ
ηνηνῦην γίλεηαη “Se la lingua improvvisamente diviene impotente, o vi è una paralisi parziale
del corpo, tale stato è melancolico”.
Epid. II 5, 1 (L V 128)
λνζήκαηα δὲ ἔρνπζη ηξαπιὸο ἢ θαιαθξὸο ἢ ἰζρλόθσλνο ἢ δαζὺο ἰζρπξῶο κειαγρνιηθά “Il
balbuziente, il calvo, colui che parla con voce flebile, o il villoso, tutti questi soffrono notevolmente di affezioni melancoliche”.
Epid. II 6, 1 (L V 132)
νἱ ηξαπινί, ηαρύγισζζνη, κειαγρνιηθνί, θαηαθνξέεο, ἀζθαξδακύθηαη, ὀμύζπκνη “I balbuzienti, coloro che parlano velocemente, i melancolici, i fastidiosi e quelli dallo sguardo fisso, sono
irascibili”.
Epid. V 87 (L V 252)
θαὶ ὁ ηνῦ Τηκνράξηνο ζεξάπσλ, ἐθ κειαγρνιηθῶλ δνθεόλησλ εἶλαη θαὶ ηνηνύησλ θαὶ
ηνζνύησλ, ἔζαλελ ὁκνίσο πεξὶ ηὰο αὐηὰο ἡκέξαο “Il servitore di Timocharis, in seguito a disturbi melancolici di tal genere e tanto gravi, morì in modo simile negli stessi giorni”.6
Epid. VI 1, 11 (L V 272)
ηὸ ζεξηῶδεο θζηλνπώξνπ, θαὶ αἱ θαξδηαιγίαη, θαὶ ηὸ θξηθῶδεο, θαὶ κειαγρνιηθόλ “Sono manifestazioni tipicamente autunnali la comparsa di vermi nel corpo dell‟uomo, i bruciori di
stomaco, i brividi e lo stato melancolico”.
Epid. VI 6, 14 (L V 330)
ηὸ ἐπίρνινλ θαὶ ἔλαηκνλ ζῶκα κειαγρνιηθόλ, κὴ ἔρνλ ἐμεξάζηαο7 “Il corpo bilioso e quello
sanguigno tendono ad uno stato melancolico, nel caso non abbiano vie di sbocco”.
5
Littré e Jones 1931, 193 sottintendono la bile nera (cf. supra, cap. 1, p. 16).
6
Ripreso da Epid. VII 91.
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Epid. VI 8, 20 (L V 352)
ὁ κειαγρνιηθὸο ὁ Ἀδείκαληνο ἀπὸ πεπιίσλ πιεηόλσλ ἤκεζέ πνηε κέιαλα, ἄιινηε ἀπὸ
θξνκκύσλ “Il melancolico Adimanto, talora con l‟ausilio di una forte dose di porcellana selvatica, talora con l‟ausilio di cipolle, vomitò sostanze nere”.
Epid. VI 8, 31 (L V 354)
νἱ κειαγρνιηθνὶ θαὶ ἐπηιεκπηηθνὶ εἰώζαζη γίλεζζαη ὡο ἐπὶ ηὸ πνπιύ, θαὶ νἱ ἐπίιεκπηνη,
κειαγρνιηθνί· ηνπηέσλ δὲ ἑθάηεξνλ κᾶιινλ γίλεηαη, ἐθ᾽ ὁπόηεξα ἂλ ῥέςῃ ηὸ ἀῤῥώζηεκα, ἢλ
κὲλ ἐο ηὸ ζῶκα, ἐπίιεκπηνη, ἢλ δὲ ἐπὶ ηὴλ δηάλνηαλ, κειαγρνιηθνί “I melancolici sono soliti
generalmente diventare epilettici, e gli epilettici melancolici. Ciascuno di questi due stati prevale sull‟altro, a seconda che la malattia inclini nell‟una o nell‟altra direzione, se prende il
corpo sono epilettici, se prende il pensiero sono melancolici”.
Epid. VII 91 (L V 448)
θαὶ ὁ ηνῦ Τηκνράξηνο ζεξάπσλ, ἐθ κειαγρνιηθῶλ δνθεύλησλ εἶλαη θαὶ ηνηνύησλ, ἐηειεύηεζελ
ὁκνίσο, θαὶ πεξὶ ἡκέξαο ηὰο αὐηάο “Il servitore di Timocharis, in seguito a tali disturbi melancolici, moriva allo stesso modo e negli stessi giorni”.
Prorrh. I 14 (L V 514)
ηνῖζηλ ἐμηζηακέλνηζη κειαγρνιηθῶο, νἷζη ηξόκνη ἐπηγίλνληαη, θαθόεζεο “Se insorgono tremori
a coloro che sono fuori di senno alla maniera melancolica, la malattia è di natura maligna”.8
Prorrh. I 18 (L V 514)
ἐλ ππξεηῷ θαπζώδεη, ἤρσλ πξνζγελνκέλσλ κεηὰ ἀκβιπσγκνῦ, θαὶ θαηὰ ηὰο ῥῖλαο
πξνζειζόληνο βάξενο, ἐμίζηαληαη κειαγρνιηθῶο “In caso di frebbre ardente, a cui si aggiungono disturbi dell‟udito e della vista, nonché un fastidio alle narici, i malati escono di senno in
modo melancolico”.9
Prorrh. I 123 (L V 552)
ηὰ ἐπ᾽ ὀιίγνλ ζξαζέσο παξαθξνύνληα, κειαγρνιηθά· ἢλ δὲ θαὶ ἀπὸ γπλαηθείσλ ᾖ, ζεξηώδεα·
ἐπὶ πιένλ δὲ ηαῦηα μπκπίπηεη· ἦξά γε θαὶ ζπαζκώδεεο αὗηαη; ἆξά γε θαὶ αἱ κεηὰ θάξνπ
ἀθσλίαη, ζπαζκώδεεο; νἷνλ ηῇ ηνῦ ζθπηέσο ζπγαηξί· ἤξμαην γπλαηθείσλ παξεόλησλ “I casi di
7
Si segue il testo greco edito da Manetti-Roselli 1982, 139 n. ad loc., che preferisce ἐμεξάζηαο a ἐμαξύζηαο di
Littré.
8
Ripreso da Coac. 87 e 92. Cf. anche Coac. 93.
9
Cf. Coac. 128.
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delirio che durano poco e hanno carattere aggressivo vengono definiti melancolici; qualora
essi siano causati dai flussi mestruali, verminosi. Generalmente accadono queste cose. Forse
tali donne soffrono di convulsioni? Forse la perdita della voce accompagnata da torpore comprende anche convulsioni? È il caso ad esempio della figlia del calzolaio: la malattia cominciò
quando ancora erano in corso le mestruazioni”.
Coac. 87 (L V 602)
Τῶλ ἐμηζηακέλσλ κειαγρνιηθῶο, νἱ ηξνκώδεεο γελόκελνη, θαθνήζεεο “Se coloro che sono
fuori di senno alla maniera melancolica, incominciano ad avere tremiti, la loro malattia è maligna”.
Coac. 92 (L V 602)
ηῶλ ἐμηζηακέλσλ κειαγρνιηθῶο, νἷο ηξόκνη ἐπηγίλνληαη, θαθόλ “Sono in una brutta situazione,
tra coloro che delirano alla maniera melancolica, quelli a cui sopraggiungono tremiti”.
Coac. 93 (L V 602)
νἱ ἐμηζηάκελνη κειαγρνιηθῶο, ηξνκώδεεο γηλόκελνη θαὶ πηπαιίδνληεο, ἦξά γε θξεληηηθνί; “Coloro che sono fuori di senno nel modo melancolico, se hanno tremiti e salivazione alla bocca,
sono forse affetti da frenite?”.
Coac. 128 (L V 610)
ἐλ ηνῖζη θαπζώδεζηλ, ἤρσλ πξνζγελνκέλσλ κεηὰ ἀκβιπσγκνῦ θαὶ θαηὰ ῥῖλαο βάξνπο,
ἐμίζηαληαη κειαγρνιηθῶο, κὴ αἱκνῤῥαγήζαληεο “Nei casi di frebbre ardente, a cui si aggiungono disturbi dell‟udito e della vista, nonché fastidî alle narici, i malati escono di senno in
modo melancolico, se non hanno fuoriuscite di sangue”.
Nat.Hom. 15 (L VI 68)
γλώζῃ δὲ ἐλ ηῷδε, ὅηη νἱ ηεηαξηαῖνη ππξεηνὶ κεηέρνπζη ηνῦ κειαγρνιηθνῦ· θζηλνπώξνπ γὰξ
κάιηζηα νἱ ἄλζξσπνη ἁιίζθνληαη ὑπὸ ηῶλ ηεηαξηαίσλ θαὶ ἐλ ηῇ ἡιηθίῃ ηῇ ἀπὸ πέληε θαὶ
εἴθνζηλ ἐηέσλ ἕσο ηῶλ πέληε θαὶ ηεζζαξάθνληα, ὅηη θαὶ ἡ ἡιηθίε αὕηε ὑπὸ κειαίλεο ρνιῆο
θαηέρεηαη κάιηζηα παζέσλ ηῶλ ἡιηθηῶλ, ἥ ηε θζηλνπσξηλὴ ὥξε κάιηζηα παζέσλ ηῶλ ὡξέσλ
ἐπηηεδεηνηάηε “Riconoscerai che le febbri quartane partecipano dello stato melancolico in
quanto soprattutto d‟autunno gli uomini sono affetti dalle quartane e nell‟età tra i venticinque
e i quarantacinque anni, e che questa età tra tutte è quella in cui più predomina la bile nera, e
la stagione autunnale, tra tutte le stagioni, è quella più adatta”.
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Morb. I 3 (L VI 144)
ηὰ δὲ ηνηάδε νὐ ζαλάζηκα, ἢλ κή ηη αὐηνῖζη πξνζγέλεηαη· θέδκαηα, κειαγρνιίε, πνδάγξε,
ἰζρηάο, ηεηλεζκόο, ηεηαξηαῖνο, ηξηηαῖνο, ζηξαγγνπξίε, ὀθζαικίε, ιέπξε, ιεηρὴλ, ἀξζξῖηηο·
ἔκπεξνη δὲ πνιιάθηο ἀπὸ ηῶλδε γίλνληαη πνπιινί, ἀπόπιεθηνη κὲλ ρεῖξαο θαὶ πόδαο, θαὶ
θσλῆο ἀθξαηέεο, θαὶ παξαπιῆγεο ὑπὸ κειαίλεο ρνιῆο, ρσινὶ δὲ ὑπὸ ἰζρηάδσλ, ὄκκαηα δὲ
πεξνῦληαη θαὶ ἀθνὴλ ὑπὸ θιέγκαηνο θαηαζηεξίμαληνο “Tali malattie non sono mortali, a meno che non sopraggiungano complicazioni: flussioni, melancolia, podagra, sciatica, tenesmo,
febbre quartana, febbre terzana, stranguria, oftalmia, lebbra, ulcera, artrite. Spesso molti pazienti rimangono storpi per i seguenti motivi: alcuni hanno un attacco apoplettico nelle mani e
nei piedi, perdono il controllo della voce, restano paralizzati a causa della bile nera, altri diventano claudicanti in seguito ai dolori all‟anca, altri ancora sono privati dell‟uso della vista e
dell‟udito per colpa della formazione di depositi di flegma”.
Morb. I 30 (L VI 200)
πξνζενίθαζη δὲ κάιηζηα νἱ ὑπὸ ηῆο θξελίηηδνο ἐρόκελνη ηνῖζη κειαγρνιώδεζη10 θαηὰ ηὴλ
παξάλνηαλ· νἵ ηε γὰξ κειαγρνιώδεεο, ὁθόηαλ θζαξῇ ηὸ αἷκα ὑπὸ ρνιῆο θαὶ θιέγκαηνο, ηὴλ
λνῦζνλ ἴζρνπζη θαὶ παξάλννη γίλνληαη, ἔληνη δὲ θαὶ καίλνληαη· θαὶ ἐλ ηῇ θξελίηηδη ὡζαύησο·
νὕησ δὲ ἧζζνλ ἡ καλίε ηε θαὶ ἡ παξαθξόλεζηο γίλεηαη, ὅζῳ πεξ ηὸ θιέγκα11 ηῆο ρνιῆο
ἀζζελεζηέξε ἐζηίλ “Coloro che sono affetti da frenite assomigliano moltissimo ai melancolici
per quanto riguarda il delirio. Non è un caso che i melancolici, quando il sangue viene corrotto dalla bile e dal flegma, si ammalano e delirano, ed alcuni diventano anche maniaci; lo stesso avviene nel corso della frenite. Così la mania e il delirio agiscono di meno nella misura in
cui il flegma è più debole della bile”.
Aff. 36 (L VI 246)
ηνύηνηζη ηνῖζη θαξκάθνηζηλ ἀπνθαζαίξνληα ὧδε ρξῆζζαη· ὅζνη κὲλ ρνιώδεέο εἰζη, δηδόλαη ηὰ
ὑθ᾽ ὧλ ρνιὴ θαζαίξεηαη· ὅζνη δὲ θιεγκαηώδεεο, ηὰ ὑθ᾽ ὧλ θιέγκα· [ὅζνη δὲ κειαγρνιῶζη, ηὰ
ὑθ᾽ ὧλ κέιαηλα ρνιή· ηνῖζη δὲ ὑδξσπηῶζη ηὰ ὑθ᾽ ὧλ ὕδσξ]12 “Durante le purghe, utilizzare
10
Littré stampa v.l. κειαγρνιῶζη. Data la scarsa frequenza di tale verbo nel Corpus (cfr. supra, cap. 1, p. 31),
seguo Potter 1988a, 178.
11
Accolgo la congettura Di Benedetto 1986, 68 n. 67, la cui interpretazione del passo induce a sostituire ηὸ
θιέγκα al tradito ἡ ρνιὴ (corruzione dovuta al contiguo ηῆο ρνιῆο). Cf. supra, cap. 1, p. 16s.
12
Artelt del. (cf. Potter 1988a, 58 n. ad loc.). Il testo contrasta con l‟eziologia biumorale basata sugli coppia bile-
flegma esposta nella prima sezione (cit. supra, cap. 1, n. 39). Probabilmente si tratta di un‟interpolazione sulla
base del confronto con Remed. 36.
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questi medicamenti nel seguente modo: ai biliosi si somministrino purganti attraverso cui
evacuare la bile; ai flegmatici purganti attraverso cui evacuare il flegma; agli atrabiliari purganti attraverso cui evacuare la bile nera; agli idropici purganti attraverso cui evacuare
l‟acqua”.
Morb. III 13 (L VII 134)
ἐλίνηε δὲ θαὶ ἄθσλνη γίλνληαη ἅκα ἁιηζθόκελνη ἢ καληθνί ηε θαὶ13 κειαγρνιηθνί “Talvolta
perdono anche la voce e nello stesso tempo sono presi da stati maniaci e melancolici”.
Prorrh. II 7 (L IX 26)
καιίζηα δὲ πεξηγίλνληαη ἐθ ηῶλ ηνῦ αἵκαηνο ἀλαῤῥήμεσλ νἷζηλ ἂλ ἀιγήκαηα ὑπάξρῃ
κειαγρνιηθὰ ἔλ ηε ηῷ λώηῳ θαὶ ἐλ ηῷ ζηήζεη, θαὶ κεηὰ ηὴλ ἀλάῤῥεμηλ ἀλσδπλώηεξνη
γέλσληαη “Sopravvivono in seguito alla fuoriuscita di sangue soprattutto coloro che soffrono
di dolori atrabiliari nella schiena e nel petto, e dopo l‟emorragia sentono meno dolori”.
Prorrh. II 9 (L IX 28)
ἐπηρεηξέεηλ δὲ ρξὴ ηνπηένηζη ηὸλ ἰεηξὸλ, εἰδόηα ηὸλ ηξόπνλ ηῆο ἰήζηνο, ἢλ ἔσζηλ νἱ ἄλζξσπνη
λένη ηε θαὶ θηιόπνλνη· πιὴλ ὅζνλ αἱ θξέλεο ηη θαθὸλ ἔρνπζηλ, ἢ εἴ ηηο ἀπόπιεθηνο γέγνλελ· αἱ
κὲλ γὰξ κειαγρνιηθαὶ αὗηαη ἐθζηάζηεο νὐ ιπζηηειέεο· αἱ δὲ ἄιιαη αἱ ἐο ηὰ θάησ ηξεπόκελαη
πᾶζαη ἀγαζαί· ἄξηζηαη δὲ θαὶ ἐληαῦζα πνιιῷ αἱ αἱκαηεξόηαηαη “Bisogna che il medico, se
conosce il metodo della cura, l‟applichi su questi malati, qualora siano uomini giovani e diligenti, a meno che la mente non abbia qualche problema, o uno sia colto da apoplessia. Infatti,
queste alterazioni atrabiliari non sono vantaggiose, mentre le altre che si dirigono verso il basso lo sono tutte. Lì i migliori residui sono di gran lunga i più sanguigni”.14
Prorrh. II 30 (L IX 64)
ηῇζη δὲ γπλαημὶλ ἐλ ηῇζη θεθαιαιγίῃζη ηὰ κὲλ ἄιια πάληα γίλεηαη ἃ θαὶ ηνῖζηλ ἀλδξάζηλ· αἱ
θληδώζηεο δὲ θαὶ ηὰ κειαγρνιηθὰ ηαύηῃζηλ ἧζζνλ ἢ ηνῖζηλ ἀλδξάζηλ, ἢλ κὴ ηὰ θαηακήληα
ηειέσο ἠθαληζκέλα ᾖ “Nei dolori alla testa tutti gli altri fenomeni che accadono alle donne
13
C‟è un problema testuale. Potter 1988b, 26 n. ad loc. congettura ηη ἢ; Θ: ηε ἢ; Littré stampa ηε θαὶ ma traduce
«transport maniaque ou mélancolique».
14
Il senso non è chiaro. Il soggetto dell‟ultima frase sono i „residui‟ o „depositi di umori‟ (ἀπνζηάζηεο), stando a
Prorrh. II 7 (L IX 26): ἄξηζηαη δὲ ηῶλ ἀπνζηαζίσλ αἱ αἱκαηεξόηαηαη. Ma anche αἱ δὲ ἄιιαη sembra riferirsi più a
questi che a ἐθζηάζηεο precedente. Cf. la nota ad loc. di Littré: «ἐθζηάζηεο paraît être pris dans le sans de
ἀπνζηάζηεο. C‟est pour cela que, en place de ηξεπόκελαη πᾶζαη, Cornarius voulait lire πᾶζαη ἀπνζηάζηεο».
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avvengono anche negli uomini; mentre i pruriti e le affezioni atrabiliari colpiscono meno le
donne che gli uomini, a meno che esse non siano in menopausa”.
Prorrh. II 43 (L IX 74)
αἱ δὲ ιέπξαη θαὶ νἱ ιεηρῆλεο ἐθ ηῶλ κειαγρνιηθῶλ “I casi di lebbra e di eruzioni cutanee sono
dovuti a fenomeni atrabiliari”.
Iudic. 41 (L IX 290)
ηνῖο κειαγρνιηθνῖο κεηὰ θξεληηηθῶλ ἐρνκέλνηο αἱκνξξνίδεο ἐγγελόκελαη ἀγαζόλ “Se si verificano flussi di sangue nei melancolici affetti da stati di frenite, ciò è un segno positivo”.15
Remed. 3616
ρξὴ νὖλ πξῶηνλ δηδόλαη ηνῖζη κὲλ ρνιώδεζηλ ὅ ηη ρνιὴλ θαζαίξεη, ηνῖζη δὲ θιεγκαηῶδεζηλ ὅ
ηη θιέγκα, ηνῖζη δὲ ὑδξσπνεηδέζη ὅ ηη ὕδσξ, ηνῖζη δὲ κειαγρνιώδεζηλ ὅ ηη κέιαηλαλ ρνιήλ
“Bisogna innanzitutto somministrare ai biliosi un medicamento che purga la bile, ai flegmatici
uno che purga il flegma, agli idropici uno che purga l‟acqua, agli atrabiliari uno che purga la
bile nera”.
15
Anche in Aph. VI 11 l‟emorragia è presentata come un sintomo positivo, ma i melancolici non sono accompa-
gnati da stati di frenite, bensì sono affiancati ai nefritici. Se consideriamo che Crisi è composto essenzialmente
da estratti di altri trattati, tra cui appunto Aforismi, è lecito ipotizzare un‟errata lettura di λεθξηηηθνῖζηλ, che per
scambio consonantico è divenuto θξεληηηθῶλ (anasillabismo). Tale svista può essere stata condizionata dal fatto
che già altrove, nel Corpus, melancolici e frenitici appaiono sullo stesso piano (Morb. I 30 e Coac. 93; cf. supra,
cap. 1, pp. 16s. e 27s.).
16
Il trattato non è incluso nell‟edizione di Littré. Si segue il testo pubblicato da Schöne 1920-1924.
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APPENDICE II: PROBLEMA 30, 11
δσλ ἐπηιήπηνπο ἢ θαὶ ἐρνκέλνπο ηνῖο κειαγρνιηθνῖο ἄγαλ.
ὥζπεξ νὖλ ὁ εἷο ἄλζξσπνο κεηαβάιιεη ηὸ ἦζνο πίλσλ θαὶ
Γηὰ ηί πάληεο ὅζνη πεξηηηνὶ γεγόλαζηλ ἄλδξεο ἢ θαηὰ θη- (953a10)
ρξώκελνο ηῷ νἴλῳ πνζῷ ηηλί, νὕησ θαζ‟ ἕθαζηνλ ηὸ ἦζνο εἰζί
ινζνθίαλ ἢ πνιηηηθὴλ ἢ πνίεζηλ ἢ ηέρλαο θαίλνληαη κε-
ηηλεο ἄλζξσπνη. νἷνο γὰξ νὗηνο κεζύσλ λῦλ ἐζηίλ, ἄιινο ηηο
ιαγρνιηθνὶ ὄληεο, θαὶ νἱ κὲλ νὕησο ὥζηε θαὶ ιακβάλεζζαη
ηνηνῦηνο θύζεη ἐζηίλ, ὁ κὲλ ιάινο, ὁ δὲ θεθηλεκέλνο, ὁ δὲ (10)
ηνῖο ἀπὸ κειαίλεο ρνιῆο ἀξξσζηήκαζηλ, νἷνλ ιέγεηαη ηῶλ
ἀξίδαθξπο· πνηεῖ γάξ ηηλαο θαὶ ηνηνύηνπο, δηὸ θαὶ Ὅκεξνο
ηε ἡξστθῶλ ηὰ πεξὶ ηὸλ Ἡξαθιέα; θαὶ γὰξ ἐθεῖλνο ἔνηθε
ἐπνίεζε “θαί κέ θεζη δάθξπ πιώεηλ βεβαξεκέλνλ νἴλῳ”. θαὶ
γελέζζαη ηαύηεο ηῆο θύζεσο, δηὸ θαὶ ηὰ ἀξξσζηήκαηα ηῶλ (15)
γὰξ ἐιεήκνλέο πνηε γίλνληαη θαὶ ἄγξηνη θαὶ ζησπεινί· ἔληνη
ἐπηιεπηηθῶλ ἀπ‟ ἐθείλνπ πξνζεγόξεπνλ νἱ ἀξραῖνη ἱεξὰλ λόζνλ.
γὰξ αὖ ἀπνζησπῶζη, θαὶ κάιηζηα ηῶλ κειαγρνιηθῶλ ὅζνη
θαὶ ἡ πεξὶ ηνὺο παῖδαο ἔθζηαζηο θαὶ ἡ πξὸ ηῆο ἀθαλίζεσο ἐλ
ἐθζηαηηθνί. πνηεῖ δὲ θαὶ θηιεηηθνὺο ὁ νἶλνο· ζεκεῖνλ δὲ ὅηη (15)
Οἴηῃ ηῶλ ἑιθῶλ ἔθθπζηο γελνκέλε ηνῦην δεινῖ· θαὶ γὰξ
πξνάγεηαη ὁ πίλσλ θαὶ ηῷ ζηόκαηη θηιεῖλ, νὓο λήθσλ νὐδ‟
ηνῦην γίλεηαη πνιινῖο ἀπὸ κειαίλεο ρνιῆο. ζπλέβε δὲ θαὶ
ἂλ εἷο θηιήζεηελ ἢ δηὰ ηὸ εἶδνο ἢ δηὰ ηὴλ ἡιηθίαλ. ὁ κὲλ
Λπζάλδξῳ ηῷ Λάθσλη πξὸ ηῆο ηειεπηῆο γελέζζαη ηὰ ἕιθε (20)
νὖλ νἶλνο νὐ πνιὺλ ρξόλνλ πνηεῖ πεξηηηόλ, ἀιι‟ ὀιίγνλ, ἡ δὲ
ηαῦηα. ἔηη δὲ ηὰ πεξὶ Αἴαληα θαὶ Βειιεξνθόληελ, ὧλ ὁ
θύζηο ἀεί, ἕσο ηηο ἂλ ᾖ· νἱ κὲλ γὰξ ζξαζεῖο, νἱ δὲ ζησπε-
κὲλ ἐθζηαηηθὸο ἐγέλεην παληειῶο, ὁ δὲ ηὰο ἐξεκίαο ἐδίσθελ,
ινί, νἱ δὲ ἐιεήκνλεο, νἱ δὲ δεηινὶ γίλνληαη θύζεη. ὥζηε δῆ- (20)
δηὸ νὕησο ἐπνίεζελ Ὅκεξνο “αὐηὰξ ἐπεὶ θαὶ θεῖλνο ἀπήρζεην
ινλ ὅηη δηὰ ηὸ αὐηὸ πνηεῖ ὅ ηε νἶλνο θαὶ ἡ θύζηο ἑθάζηνπ
πᾶζη ζενῖζηλ, ἤηνη ὁ θαππεδίνλ ηὸ Ἀιήτνλ νἶνο ἀιᾶην, ὃλ
ηὸ ἦζνο· πάληα γὰξ θαηεξγάδεηαη ηῇ ζεξκόηεηη ηακηεπό-
ζπκὸλ θαηέδσλ, πάηνλ ἀλζξώπσλ ἀιεείλσλ”. θαὶ ἄιινη δὲ (25)
κελα. ὅ ηε δὴ ρπκὸο θαὶ ἡ θξᾶζηο ἡ ηῆο κειαίλεο ρνιῆο
πνιινὶ ηῶλ ἡξώσλ ὁκνηνπαζεῖο θαίλνληαη ηνύηνηο. ηῶλ δὲ
πλεπκαηηθά ἐζηηλ· δηὸ θαὶ ηὰ πλεπκαηώδε πάζε θαὶ ηὰ
ὕζηεξνλ ἖κπεδνθιῆο θαὶ Πιάησλ θαὶ Σσθξάηεο θαὶ ἕηεξνη
ὑπνρνλδξηαθὰ κειαγρνιηθὰ νἱ ἰαηξνί θαζηλ εἶλαη. θαὶ ὁ (25)
ζπρλνὶ ηῶλ γλσξίκσλ. ἔηη δὲ ηῶλ πεξὶ ηὴλ πνίεζηλ νἱ πιεῖ-
νἶλνο δὲ πλεπκαηώδεο ηὴλ δύλακηλ. δηὸ δή ἐζηη ηὴλ θύζηλ
ζηνη. πνιινῖο κὲλ γὰξ ηῶλ ηνηνύησλ γίλεηαη λνζήκαηα ἀπὸ
ὅκνηα ὅ ηε νἶλνο θαὶ ἡ θξᾶζηο. δεινῖ δὲ ὅηη πλεπκαηώδεο
ηῆο ηνηαύηεο θξάζεσο ηῷ ζώκαηη, ηνῖο δὲ ἡ θύζηο δήιε (30)
ὁ νἶλόο ἐζηηλ ὁ ἀθξόο· ηὸ κὲλ γὰξ ἔιαηνλ ζεξκὸλ ὂλ νὐ πνηεῖ
ῥέπνπζα πξὸο ηὰ πάζε. πάληεο δ‟ νὖλ ὡο εἰπεῖλ ἁπιῶο εἰζί,
ἀθξόλ, ὁ δὲ νἶλνο πνιύλ, θαὶ κᾶιινλ ὁ κέιαο ηνῦ ιεπθνῦ,
θαζάπεξ ἐιέρζε, ηνηνῦηνη ηὴλ θύζηλ. δεῖ δὴ ιαβεῖλ ηὴλ
ὅηη ζεξκόηεξνο θαὶ ζσκαησδέζηεξνο. θαὶ δηὰ ηνῦην ὅ ηε νἶλνο
αἰηίαλ πξῶηνλ ἐπὶ παξαδείγκαηνο πξνρεηξηζακέλνπο. ὁ γὰξ
ἀθξνδηζηαζηηθνὺο ἀπεξγάδεηαη, θαὶ ὀξζῶο Γηόλπζνο θαὶ Ἀθξν-
νἶλνο ὁ πνιὺο κάιηζηα θαίλεηαη παξαζθεπάδεηλ ηνηνύηνπο νἵνπο
δίηε ιέγνληαη κεη‟ ἀιιήισλ εἶλαη, θαὶ νἱ κειαγρνιηθνὶ νἱ
ιέγνκελ ηνὺο κειαγρνιηθνὺο εἶλαη, θαὶ πιεῖζηα ἤζε πνηεῖλ (35)
πιεῖζηνη ιάγλνη εἰζίλ. ὅ ηε γὰξ ἀθξνδηζηαζκὸο πλεπκα-
πηλόκελνο, νἷνλ ὀξγίινπο, θηιαλζξώπνπο, ἐιεήκνλαο, ἰηακνύο·
ηώδεο. ζεκεῖνλ δὲ ηὸ αἰδνῖνλ, ὡο ἐθ κηθξνῦ ηαρεῖαλ πνηεῖ-
ἀιι‟ νὐρὶ ηὸ κέιη νὐδὲ ηὸ γάια νὐδὲ ηὸ ὕδσξ νὐδ‟ ἄιιν ηῶλ
ηαη ηὴλ αὔμεζηλ δηὰ ηὸ ἐκθπζᾶζζαη. θαὶ ἔηη πξὶλ δύλα- (35)
ηνηνύησλ νὐδέλ. ἴδνη δ‟ ἄλ ηηο ὅηη παληνδαπνὺο ἀπεξγάδεηαη,
ζζαη πξνΐεζζαη ζπέξκα, γίλεηαί ηηο ἡδνλὴ ἐπὶ παηζὶλ νὖζηλ,
ζεσξῶλ ὡο κεηαβάιιεη ηνὺο πίλνληαο ἐθ πξνζαγσγῆο· πα-
ὅηαλ ἐγγὺο ὄληεο ηνῦ ἡβᾶλ μύσληαη ηὰ αἰδνῖα δη‟ ἀθνια-
ξαιαβὼλ γὰξ ἀπεςπγκέλνπο ἐλ ηῷ λήθεηλ θαὶ ζησπεινὺο (953b)
ζίαλ· γίλεηαη δὲ δῆινλ δηὰ ηὸ πλεῦκα δηεμηέλαη δηὰ ηῶλ
κηθξῷ κὲλ πιείσλ πνζεὶο ιαιηζηέξνπο πνηεῖ, ἔηη δὲ πιείσλ
πόξσλ, δη‟ ὧλ ὕζηεξνλ ηὸ ὑγξὸλ θέξεηαη. ἥ ηε ἔθρπζηο ηνῦ
ῥεηνξηθνὺο θαὶ ζαξξαιένπο, πξντόληαο δὲ πξὸο ηὸ πξάηηεηλ
ζπέξκαηνο ἐλ ηαῖο ὁκηιίαηο θαὶ ἡ ῥῖςηο ὑπὸ ηνῦ πλεύκα- (954a)
ἰηακνύο, ἔηη δὲ κᾶιινλ πηλόκελνο ὑβξηζηάο, ἔπεηηα καληθνύο,
ηνο ὠζνῦληνο θαλεξὸλ γίλεζζαη. ὥζηε θαὶ ηῶλ ἐδεζκάησλ
ιίαλ δὲ πνιὺο ἐθιύεη θαὶ πνηεῖ κσξνύο, ὥζπεξ ηνὺο ἐθ παί- (5)
θαὶ πνηῶλ εὐιόγσο ηαῦη‟ ἐζηὶλ ἀθξνδηζηαζηηθά, ὅζα πλεπκαηώδε ηὸλ πεξὶ ηὰ αἰδνῖα πνηεῖ ηόπνλ. δηὸ θαὶ ὁ κέ-
1
Si segue l‟edizione curata da Bekker 1960, con le
seguenti
modifiche:
Ἡξαθιέα;
in
luogo
di
ιαο νἶλνο νὐδελὸο ἧηηνλ ηνηνύηνπο ἀπεξγάδεηαη, νἷνη θαὶ νἱ (5)
κειαγρνιηθνὶ
πλεπκαηώδεηο.
δῆινη
δ‟
εἰζὶλ
ἐπ‟
ἐλίσλ·
ζθιεξνὶ γὰξ νἱ πιείνπο ηῶλ κειαγρνιηθῶλ, θαὶ αἱ θιέ-
Ἡξαθιέα. (953 a 14); ὑπνρνλδξηαθὰ in luogo di
βεο ἐμέρνπζηλ· ηνύηνπ δ‟ αἴηηνλ νὐ ηὸ ηνῦ αἵκαηνο πιῆζνο,
ὑπνρόλδξηα (953 b 25); ζβελλπκέλνπ ἐμαίθλεο, in
ἀιιὰ ηνῦ πλεύκαηνο. δηόηη δὲ νὐδὲ πάληεο νἱ κειαγρνιη-
luogo di ζβελλπκέλνπ, ἐμαίθλεο (955 a 11-12).
θνὶ ζθιεξνὶ νὐδὲ κέιαλεο, ἀιι‟ νἱ κᾶιινλ θαθόρπκνη, (10)
Altre edizioni critiche sono: Hett 1965; Louis 1994;
ἄιινο ιόγνο· πεξὶ νὗ δὲ ἐμ ἀξρῆο πξνεηιόκεζα δηειζεῖλ,
ὅηη ἐλ ηῇ θύζεη εὐζὺο ὁ ηνηνῦηνο ρπκὸο ὁ κειαγρνιηθὸο
Ruelle 1922. Per il commento e la traduzione vd.
θεξάλλπηαη· ζεξκνῦ γὰξ θαὶ ςπρξνῦ θξᾶζίο ἐζηηλ· ἐθ ηνύησλ
Angelino-Salvaneschi 1981; Ferrini 2002; Flashar
γὰξ ηῶλ δπνῖλ ἡ θύζηο ζπλέζηεθελ. δηὸ θαὶ ἡ κέιαηλα
1991; Forster 1927; Gravel 1982; KlibanskyPanofsky-Saxl 1964, 19-39; Pigeaud 1988.
ρνιὴ θαὶ ζεξκόηαηνλ θαὶ ςπρξόηαηνλ γίλεηαη. ηὸ γὰξ (15)
αὐηὸ πάζρεηλ πέθπθε ηαῦη‟ ἄκθσ, νἷνλ θαὶ ηὸ ὕδσξ ὂλ
ςπρξόλ, ὅκσο ἐὰλ ἱθαλῶο ζεξκαλζῇ, νἷνλ ηὸ δένλ, ηῆο
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θινγὸο αὐηῆο ζεξκόηεξόλ ἐζηη, θαὶ ιίζνο θαὶ ζίδεξνο δηά-
ηνο· θαὶ ηνῖο κὲλ ἐπηιεπηηθὰ ἀπνζεκαίλεη, ηνῖο δὲ ἀπν- (30)
ππξα γελόκελα κᾶιινλ ζεξκὰ γίλεηαη ἄλζξαθνο, ςπρξὰ
πιεθηηθά, ἄιινηο δὲ ἀζπκίαη ἰζρπξαὶ ἢ θόβνη, ηνῖο δὲ ζάξξε
ὄληα θύζεη. εἴξεηαη δὲ ζαθέζηεξνλ πεξὶ ηνύησλ ἐλ ηνῖο πεξὶ (20)
ιίαλ, νἷνλ θαὶ Ἀξρειάῳ ζπλέβαηλε ηῷ Μαθεδνλίαο βαζηιεῖ.
ππξόο. θαὶ ἡ ρνιὴ δὲ ἡ κέιαηλα θύζεη ςπρξὰ θαὶ νὐθ
αἴηηνλ δὲ ηῆο ηνηαύηεο δπλάκεσο ἡ θξᾶζηο, ὅπσο ἂλ ἔρῃ
ἐπηπνιαίσο νὖζα, ὅηαλ κὲλ νὕησο ἔρῃ ὡο εἴξεηαη, ἐὰλ
ςύμεώο ηε θαὶ ζεξκόηεηνο. ςπρξνηέξα κὲλ γὰξ νὖζα ηνῦ
ὑπεξβάιιῃ ἐλ ηῷ ζώκαηη, ἀπνπιεμίαο ἢ λάξθαο ἢ ἀζπ-
θαηξνῦ δπζζπκίαο πνηεῖ ἀιόγνπο· δηὸ αἵ η‟ ἀγρόλαη κάιηζηα (35)
κίαο πνηεῖ ἢ θόβνπο, ἐὰλ δὲ ὑπεξζεξκαλζῇ, ηὰο κεη‟
ηνῖο λένηο, ἐλίνηε δὲ θαὶ πξεζβπηέξνηο. πνιινὶ δὲ θαὶ κεηὰ
ᾠδῆο εὐζπκίαο θαὶ ἐθζηάζεηο θαὶ ἐθδέζεηο ἑιθῶλ θαὶ ἄιια (25)
ηὰο κέζαο δηαθζείξνπζηλ ἑαπηνύο. ἔληνη δὲ ηῶλ κειαγρνιη-
ηνηαῦηα. ηνῖο κὲλ νὖλ πνιινῖο ἀπὸ ηῆο θαζ‟ ἡκέξαλ ηξν-
θῶλ ἐθ ηῶλ πόησλ ἀζύκσο δηάγνπζηλ· ζβέλλπζη γὰξ ἡ ηνῦ
θῆο ἐγγηλνκέλε νὐδὲλ ηὸ ἦζνο πνηεῖ δηαθόξνπο, ἀιιὰ κόλνλ
νἴλνπ ζεξκόηεο ηὴλ θπζηθὴλ ζεξκόηεηα. ηὸ δὲ ζεξκὸλ ηὸ πεξὶ
λόζεκά ηη κειαγρνιηθὸλ ἀπεηξγάζαην. ὅζνηο δὲ ἐλ ηῇ
ηὸλ ηόπνλ ᾧ θξνλνῦκελ θαὶ ἐιπίδνκελ πνηεῖ εὐζύκνπο. θαὶ (955a)
θύζεη ζπλέζηε θξᾶζηο ηνηαύηε, εὐζὺο νὗηνη ηὰ ἤζε γίλνληαη
δηὰ ηνῦην πξὸο ηὸ πίλεηλ εἰο κέζελ πάληεο ἔρνπζη πξνζύκσο,
παληνδαπνί, ἄιινο θαη‟ ἄιιελ θξᾶζηλ· νἷνλ ὅζνηο κὲλ (30)
ὅηη πάληαο ὁ νἶλνο ὁ πνιὺο εὐέιπηδαο πνηεῖ, θαζάπεξ ἡ
πνιιὴ θαὶ ςπρξὰ ἐλππάξρεη, λσζξνὶ θαὶ κσξνί, ὅζνηο δὲ
λεόηεο ηνὺο παῖδαο· ηὸ κὲλ γὰξ γῆξαο δύζειπί ἐζηηλ, ἡ δὲ
ιίαλ πνιιὴ θαὶ ζεξκή, καληθνὶ θαὶ εὐθπεῖο θαὶ ἐξσηηθνὶ
λεόηεο ἐιπίδνο πιήξεο. εἰζὶ δέ ηηλεο ὀιίγνη νὓο πίλνληαο (5)
θαὶ εὐθίλεηνη πξὸο ηνὺο ζπκνὺο θαὶ ηὰο ἐπηζπκίαο, ἔληνη δὲ
δπζζπκίαη ιακβάλνπζη, δηὰ ηὴλ αὐηὴλ αἰηίαλ δη‟ ἣλ θαὶ
θαὶ ιάινη κᾶιινλ. πνιινὶ δὲ θαὶ δηὰ ηὸ ἐγγὺο εἶλαη ηνῦ
κεηὰ ηνὺο πόηνπο ἐλίνπο. ὅζνηο κὲλ νὖλ καξαηλνκέλνπ ηνῦ
λνεξνῦ ηόπνπ ηὴλ ζεξκόηεηα ηαύηελ λνζήκαζηλ ἁιίζθνληαη (35)
ζεξκνῦ αἱ ἀζπκίαη γίλνληαη, κᾶιινλ ἀπάγρνληαη. δηὸ θαὶ νἱ λένη
καληθνῖο ἢ ἐλζνπζηαζηηθνῖο, ὅζελ Σίβπιιαη θαὶ Βάθηδεο θαὶ νἱ
ἢ θαὶ νἱ πξεζβῦηαη κᾶιινλ ἀπάγρνληαη· ηὸ κὲλ γὰξ
ἔλζενη γίλνληαη πάληεο, ὅηαλ κὴ λνζήκαηη γέλσληαη ἀιιὰ
γῆξαο καξαίλεη ηὸ ζεξκόλ, ηῶλ δὲ ηὸ πάζνο θπζηθὸλ ὂλ (10)
θπζηθῇ θξάζεη. Μαξαθὸο δὲ ὁ Σπξαθνύζηνο θαὶ ἀκείλσλ ἦλ
θαὶ αὐηὸ ηὸ καξαηλόκελνλ ζεξκόλ. ὅζνηο δὲ ζβελλπκέλνπ
πνηεηήο, ὅη‟ ἐθζηαίε. ὅζνηο δ‟ ἂλ ἐπαλζῇ ηὴλ ἄγαλ ζεξκό-
ἐμαίθλεο, νἱ πιεῖζηνη δηαρξῶληαη ἑαπηνύο, ὥζηε ζαπκάδεηλ
ηεηα πξὸο ηὸ κέζνλ, νὗηνη κειαγρνιηθνὶ κέλ εἰζη, θξνλη- (954b)
πάληαο δηὰ ηὸ κεζὲλ πνηῆζαη ζεκεῖνλ πξόηεξνλ. ςπρξνηέξα
κώηεξνη δέ, θαὶ ἧηηνλ κὲλ ἔθηνπνη, πξὸο πνιιὰ δὲ δηαθέ-
κὲλ νὖλ γηλνκέλε ἡ θξᾶζηο ἡ ἀπὸ ηῆο κειαίλεο ρνιῆο, ὥζ-
ξνληεο ηῶλ ἄιισλ, νἱ κὲλ πξὸο παηδείαλ, νἱ δὲ πξὸο ηέ-
πεξ εἴξεηαη, πνηεῖ ἀζπκίαο παληνδαπάο, ζεξκνηέξα δὲ νὖζα (15)
ρλαο, νἱ δὲ πξὸο πνιηηείαλ. πνιιὴλ δὲ θαὶ εἰο ηνὺο θηλδύλνπο
εὐζπκίαο. δηὸ θαὶ νἱ κὲλ παῖδεο εὐζπκόηεξνη, νἱ δὲ γέξνλ-
πνηεῖ δηαθνξὰλ ἡ ηνηαύηε ἕμηο ηνῦ ἐλίνηε ἀλσκάινπο εἶλαη (5)
ηεο δπζζπκόηεξνη. νἱ κὲλ γὰξ ζεξκνί, νἱ δὲ ςπρξνί· ηὸ
κὲλ ηνῖο θόβνηο πνιινὺο ηῶλ ἀλδξῶλ. ὡο γὰξ ἂλ ηύρσζη
γὰξ γῆξαο θαηάςπμίο ηηο. ζπκβαίλεη δὲ ζβέλλπζζαη ἐμαί-
ηὸ ζῶκα ἔρνληεο πξὸο ηὴλ ηνηαύηελ θξᾶζηλ, δηαθέξνπζηλ
θλεο ὑπό ηε ηῶλ ἐθηὸο αἰηηῶλ, ὡο θαὶ παξὰ θύζηλ ηὰ ππ-
αὐηνὶ αὑηῶλ. ἡ δὲ κειαγρνιηθὴ θξᾶζηο, ὥζπεξ θαὶ ἐλ
ξσζέληα, νἷνλ ἄλζξαθα ὕδαηνο ἐπηρπζέληνο. δηὸ θαὶ ἐθ κέ- (20)
ηαῖο λόζνηο ἀλσκάινπο πνηεῖ, νὕησ θαὶ αὐηὴ ἀλώκαιόο ἐζηηλ·
ζεο ἔληνη ἑαπηνὺο δηαρξῶληαη· ἡ γὰξ ἀπὸ ηνῦ νἴλνπ ζεξκόηεο
ὁηὲ κὲλ γὰξ ςπρξά ἐζηηλ ὥζπεξ ὕδσξ, ὁηὲ δὲ ζεξκή. ὥζηε (10)
ἐπείζαθηόο ἐζηηλ, ἧο ζβελλπκέλεο ζπκβαίλεη ηὸ πάζνο. θαὶ
θνβεξόλ ηη ὅηαλ εἰζαγγειζῇ, ἐὰλ κὲλ ςπρξνηέξαο νὔζεο
κεηὰ ηὰ ἀθξνδίζηα νἱ πιεῖζηνη ἀζπκόηεξνη γίλνληαη, ὅζνη
ηῆο θξάζεσο ηύρῃ, δεηιὸλ πνηεῖ· πξνσδνπεπνίεθε γὰξ ηῷ
δὲ πεξίηησκα πνιὺ πξνΐεληαη κεηὰ ηνῦ ζπέξκαηνο, νὗηνη
θόβῳ, θαὶ ὁ θόβνο θαηαςύρεη. δεινῦζη δὲ νἱ πεξίθνβνη·
εὐζπκόηεξνη· θνπθίδνληαη γὰξ πεξηηηώκαηόο ηε θαὶ πλεύ- (25)
ηξέκνπζη γάξ. ἐὰλ δὲ κᾶιινλ ζεξκή, εἰο ηὸ κέηξηνλ θα-
καηνο θαὶ ζεξκνῦ ὑπεξβνιῆο. ἐθεῖλνη δὲ ἀζπκόηεξνη πνιιά-
ηέζηεζελ ὁ θόβνο, θαὶ ἐλ αὐηῷ θαὶ ἀπαζῆ. ὁκνίσο δὲ θαὶ (15)
θηο· θαηαςύρνληαη γὰξ ἀθξνδηζηάζαληεο δηὰ ηὸ ηῶλ ἱθα-
πξὸο ηὰο θαζ‟ ἡκέξαλ ἀζπκίαο· πνιιάθηο γὰξ νὕησο ἔρν-
λῶλ ηη ἀθαηξεζῆλαη· δεινῖ δὲ ηνῦην ηὸ κὴ πνιιὴλ ηὴλ ἀπνξ-
κελ ὥζηε ιππεῖζζαη, ἐθ‟ ὅηῳ δέ, νὐθ ἂλ ἔρνηκελ εἰπεῖλ· ὁηὲ
ξνὴλ γεγνλέλαη. ὡο νὖλ ἐλ θεθαιαίῳ εἰπεῖλ, δηὰ κὲλ ηὸ ἀλώ-
δὲ εὐζύκσο, ἐθ‟ ᾧ δ‟ νὐ δῆινλ. ηὰ δὴ ηνηαῦηα πάζε θαὶ
καινλ εἶλαη ηὴλ δύλακηλ ηῆο κειαίλεο ρνιῆο ἀλώκαινί (30)
ηὰ παιαηὰ ιερζέληα θαηὰ κέλ ηη κηθξὸλ πᾶζη γίλεηαη·
εἰζηλ νἱ κειαγρνιηθνί· θαὶ γὰξ ςπρξὰ ζθόδξα γίλεηαη
πᾶζη γὰξ κέκηθηαί ηη ηῆο δπλάκεσο· ὅζνηο δ‟ εἰο βάζνο, (20)
θαὶ ζεξκή. δηὰ δὲ ηὸ ἠζνπνηὸο εἶλαη (ἠζνπνηὸλ γὰξ ηὸ ζεξ-
νὗηνη δ‟ ἤδε πνηνί ηηλέο εἰζη ηὰ ἤζε. ὥζπεξ γὰξ ηὸ εἶδνο
κὸλ θαὶ ςπρξὸλ κάιηζηα ηῶλ ἐλ ἡκῖλ ἐζηίλ) ὥζπεξ ὁ νἶλνο
ἕηεξνη γίλνληαη νὐ ηῷ πξόζσπνλ ἔρεηλ, ἀιιὰ ηῷ πνηόλ ηη ηὸ
πιείσλ θαὶ ἐιάηησλ θεξαλλύκελνο ηῷ ζώκαηη πνηεῖ ηὸ ἦζνο
πξόζσπνλ, νἱ κὲλ θαιόλ, νἱ δὲ αἰζρξόλ, νἱ δὲ κεζὲλ ἔρνλ-
πνηνύο ηηλαο ἡκᾶο. ἄκθσ δὲ πλεπκαηηθά, θαὶ ὁ νἶλνο θαὶ (35)
ηεο πεξηηηόλ, νὗηνη δὲ κέζνη ηὴλ θύζηλ, νὕησ θαὶ νἱ κὲλ κη-
ἡ κέιαηλα ρνιή. ἐπεὶ δ‟ ἔζηη θαὶ εὔθξαηνλ εἶλαη ηὴλ ἀλσ-
θξὰ κεηέρνληεο ηῆο ηνηαύηεο θξάζεσο κέζνη εἰζίλ, νἱ δὲ (25)
καιίαλ θαὶ θαιῶο πσο ἔρεηλ, θαὶ ὅπνπ δεῖ ζεξκνηέξαλ
πιήζνπο ἤδε ἀλόκνηνη ηνῖο πνιινῖο. ἐὰλ κὲλ γὰξ ζθόδξα
εἶλαη ηὴλ δηάζεζηλ θαὶ πάιηλ ςπρξάλ, ἢ ηνὐλαληίνλ δηὰ ηὸ
θαηαθνξὴο ᾖ ἡ ἕμηο, κειαγρνιηθνί εἰζη ιίαλ, ἐὰλ δέ πσο
ὑπεξβνιὴλ ἔρεηλ, πεξηηηνὶ κέλ εἰζη πάληεο νἱ κειαγρνιηθνί,
θξαζῶζη, πεξηηηνί. ῥέπνπζη δ‟, ἂλ ἀκειῶζηλ, ἐπὶ ηὰ κε-
νὐ δηὰ λόζνλ, ἀιιὰ δηὰ θύζηλ.
ιαγρνιηθὰ λνζήκαηα, ἄιινη πεξὶ ἄιιν κέξνο ηνῦ ζώκα-
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“Perché tutti quanti gli uomini che risultano essere eccezionali2 nei vari campi della filosofia, della politica, della poesia o delle arti, sono chiaramente melancolici, a tal punto che
alcuni sono anche affetti dalle malattie derivate dalla bile nera? Basta citare, a titolo
d‟esempio, gli episodi del mito riguardanti Eracle, che, infatti, sembrava appartenere a tale
costituzione3 – da lui, perciò, gli antichi ricavarono il nome „male sacro‟ per le patologie epilettiche.4 A dimostrarlo ci sono la follia che scatenò addosso ai suoi figli, e l‟eruzione di piaghe avvenuta sul monte Eta prima della sua morte.5 Ciò capita a molti a causa della bile nera.
2
Il termine πεξηηηόο indica ciò « “qui dépasse la normale” d‟où excessif, extraordinaire, abondant, superflu»
(DELG, 886). Si tratta di una sorta di vox media, che in Aristotele ricorre spesso nel senso positivo (cf. Metaph.
983 a 62). Anche in questo caso (953 a 10) e in 954 b 28, il contesto assegna al termine un‟accezione positiva.
Ma ciò non è sempre scontato. L‟eccezionalità melancolica oscilla tra il polo positivo e quello negativo nello
stesso Problema 30, 1 (953 b 18; 954 b 24; 955 a 39). La Ringkomposition del testo sottolinea tale contrasto. In
953 a 10-12 si afferma che tutti gli uomini πεξηηηνί sono melancolici. Il che fa sottintendere che non tutti i melancolici lo sono. In questo caso πεξηηηόο ha valenza positiva, come sottolineato dagli accusativi di relazione introdotti da θαηά. In 955 a 39, invece, si dice che tutti i melancolici sono πεξηηηνί. Qui il termine conserva il suo
doppio valore: i melancolici sono persone fuori dalla norma, e solo se la loro innata miscela presenta un equilibrio termico, risultano più bravi degli altri. Aristotele gioca sull‟ambiguità del carattere melancolico anche a livello terminologico. Inoltre, lo ricordiamo, la stessa bile nera nella concezione aristotelica è nient‟altro che un
πεξίζζσκα (cf. supra, cap. 1, p. 10; lo stesso termine, in riferimento ai residui spermatici, compare in 955 a 24 e
25).
3
Nel contesto del Problema 30, 1 il termine θύζηο può assumere il significato più specifico di „costituzione natu-
rale, innata‟.
4
Molte altre spiegazioni sono state addotte. Areteo (SD I 4) rimanda alla connessione tra epilettici e luna; alla
grandezza della malattia (infatti ἱεξόλ per i Greci vuol dire anche κέγα); al tipo di cura che non proviene
dall‟uomo, ma dalla divinità; alla credenza che durante l‟attacco epilettico avvenisse un‟aggressione della divinità contro l‟uomo. Celio Aureliano (TP I 4) aggiunge che l‟epilessia corrompe l‟anima, la quale è sacra, e ha sede
nella testa, sacro santuario dell‟anima. Platone pensa al fatto che in questa malattia il flegma si riversa nei „periodi‟, che sono quanto di più sacro è contenuto nella testa (cit. supra, cap. 1, n. 75). Il nostro testo potrebbe riferirsi ad un‟approssimativa similitudine tra Ἡξα- e ἱεξάλ (questa l‟opinione di Jouanna 2003, LI n. 78). Ippocrate
parla di una „malattia d‟Eracle‟ (Mul. I 7, L VIII 32), anche se non possiamo dire con certezza che si tratti di
epilessia. Galeno, invece, cita in modo esplicito la λόζνλ Ἡξαθιείαλ in riferimento all‟epilessia (In Hippocratis
sextum librum epidemiarum commentarium VI 7, K XVII B 341). Qualunque sia l‟origine della correlazione tra
l‟epilessia e il sacro o il divino, questa malattia nel mondo greco assume dei contorni molti vasti, non riducibili a
quelli che caratterizzano l‟odierna patologia (cf. supra, cap. 1, n. 45).
5
I due episodi vengono rappresentati rispettivamente nell‟Eracle di Euripide (in cui l‟eroe uccide anche la mo-
glie) e nelle Trachinie di Sofocle.
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Accadde anche allo Spartano Lisandro di essere cosparso di piaghe prima della morte.6 E ancora, si vedano i casi di Aiace7 e Bellerofonte: il primo impazzì completamente, il secondo
cercava luoghi solitari, perciò, come scrisse Omero, «dopo esser venuto in odio presso tutti gli
dei, vagava solitario per la pianura Alea, rodendosi l‟animo ed evitando l‟orma degli uomini».8
Molti altri eroi9 versavano in simili condizioni. Tra gli uomini del nostro tempo, invece, Empedocle, Platone, Socrate,10 e molte altre personalità illustri. E ancora, la maggior parte
di coloro che si dedicano all‟attività poetica.11
6
Delle piaghe di Lisandro non sappiamo nient‟altro. Plutarco si riferisce palesemente alla tradizione aristotelica
quando parla di un Lisandro malato di κειαγρνιία durante la vecchiaia (Lys. 2, 5: Ἀξηζηνηέιεο δὲ ηὰο κεγάιαο
θύζεηο ἀπνθαίλσλ κειαγρνιηθάο, ὡο ηὴλ Σσθξάηνπο θαὶ Πιάησλνο θαὶ Ἡξαθιένπο, ἱζηνξεῖ θαὶ Λύζαλδξνλ νὐθ
εὐζύο, ἀιιὰ πξεζβύηεξνλ ὄληα ηῇ κειαγρνιίᾳ πεξηπεζεῖλ). Ma delle eruzioni cutanee nessuna traccia.
7
Vd. l‟omonima tragedia sofoclea.
8
I versi rappresentano una tradizione poco distante dalla vulgata di Il. VI 200-202. In un contesto differente
vengono tradotti da Cic. Tusc. III 63 (Qui miser in campis maerens errabat Aleïs, / Ipse suum cor edens hominum vestigia vitans). Con chiaro riferimento alla κειαγρνιία vengono citati dallo pseudo-Galeno di Introductio
seu medicus 13 (K XIV 741). Ad essi si richiamano anche i versi di Rutilio Namaziano (De reditu I 448-452:
Tristia seu nigro viscera felle tument. / Sic nimiae bilis morbum assignavit Homerus / Bellerophonteis sollicitudinibus: / Nam iuveni offenso saevi post tela doloris / Dicitur humanum displicuisse genus). Il poeta latino attribuisce l‟angoscia di Bellerofonte esplicitamente ad un eccesso di atrabile. La grande eco di questi esametri omerici nell‟antichità greco-latina fu senz‟altro favorita dal Problema 30, 1.
9
La melancholia diverrà la „malattia degli eroi‟ per eccellenza. Ce lo ricorda, anche se in un contesto ironico,
Gellio (Noctes Atticae XVIII 7, 4): Videtur enim mihi ἐπηζήκσο καίλεζζαη. Scitote … tamen intemperiem istam
quae κειαγρνιία dicitur, non parvis nec abiectis ingeniis accidere, ἀιιὰ εἶλαη ζρεδόλ ηη ηὸ πάζνο ἡξστθόλ.
10
In che modo questi tre personaggi si possono qualificare come melancolici? L‟eccezionalità e la stravaganza di
Socrate possono essere rintracciate in quel ηὸ δαηκόληνλ da cui si diceva fosse accompagnato e guidato nelle sue
azioni (vasta è la bibliografia sull‟argomento; cf. le indicazioni di Pigeaud 1988, 9 e 111 n. 14). La citazione di
Empedocle, fisico, ma anche autore di poemi (Purificazioni; Sulla natura), non illustra un esempio di poeta
melancolico, stando alla famosa affermazione di Aristotele nella Poetica (1447 b 17-20: νὐδὲλ δὲ θνηλόλ ἐζηηλ
Ὁκήξῳ θαὶ ἖κπεδνθιεῖ πιὴλ ηὸ κέηξνλ, δηὸ ηὸλ κὲλ πνηεηὴλ δίθαηνλ θαιεῖλ, ηὸλ δὲ θπζηνιόγνλ κᾶιινλ ἢ
πνηεηήλ). Piuttosto, la sua melancholia va rintracciata nella tradizione che lo vuole morto suicida gettandosi nel
cratere dell‟Etna (Diog. Laert. VIII 69: Ἱππόβνηνο δέ θεζηλ ἐμαλαζηάληα αὐηὸλ ὡδεπθέλαη ὡο ἐπὶ ηὴλ Αἴηλελ,
εἶηα παξαγελόκελνλ ἐπὶ ηνὺο θξαηῆξαο ηνῦ ππξὸο ἐλαιέζζαη θαὶ ἀθαληζζῆλαη ). Per quanto riguarda Platone, in
mancanza di dati biografici che ci testimonino particolari condizioni psicologiche, occorre guardare alla sua
opera, e più precisamente alla dottrina del furore divino esposta nel Fedro, di cui l‟esposizione di Problema 30, 1
rappresenterebbe una sorta di rielaborazione (cf. supra, cap. 3, p. 43s.).
11
L‟assunto che il melancolico sia più portato degli altri uomini all‟attività creativa, in special modo alla poesia,
è stato a lungo discusso da Pigeaud 1978, Pigeuad 1988, 46-52 e Pigeaud, 1989. È soprattutto un passo dei
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A molti di loro insorgono malattie a causa di una tale miscela nel corpo,12 ad altri è
evidente che la costituzione propende per queste affezioni. Tutti, per farla breve, sono, come
si è detto, melancolici per costituzione.
Per coglierne la causa, bisogna innanzitutto ricorrere ad un esempio. Infatti, sembra
proprio che una grande quantità di vino renda gli uomini tali e quali noi abbiamo detto essere
i melancolici, e, bevuto, plasmi svariati caratteri,13 ad esempio rende gli uomini irritabili,
amanti del prossimo,14 compassionevoli, sfrontati. Né il miele, né il latte, né l‟acqua, né alcun
altra sostanza, si comportano in maniera simile. Si potrebbe notare che il vino forgia uomini
di ogni sorta, osservando come trasforma gradualmente i bevitori. Se viene assunto da coloro
che, in condizioni di sobrietà, sono freddi e taciturni, e se bevuto in quantità un po‟ eccessiva,
li rende più ciarlieri; se bevuto ancora di più, li fa diventare abili oratori e audaci, fino a farli
Parva Naturalia a rivelare, secondo Pigeuad, la stretta connessione tra melancholia e metafora (Div.Somn. 464 a
32-b 5: νἱ δὲ κειαγρνιηθνὶ δηὰ ηὸ ζθνδξόλ, ὥζπεξ βάιινληεο πόξξσζελ, εὔζηνρνί εἰζηλ, θαὶ δηὰ ηὸ
κεηαβιεηηθὸλ ηαρὺ ηὸ ἐρόκελνλ θαληάδεηαη αὐηνῖο· ὥζπεξ γὰξ ηὰ Φηιαηλίδνο πνηήκαηα θαὶ νἱ ἐκκαλεῖο ἐρόκελα
ηνῦ ὁκνίνπ ιέγνπζη θαὶ δηαλννῦληαη, νἷνλ Ἀθξνδίηελ θξνδίηελ, θαὶ νὕησ ζπλείξνπζηλ εἰο ηὸ πξόζσ. ἔηη δὲ δηὰ
ηὴλ ζθνδξόηεηα νὐθ ἐθθξνύεηαη αὐηῶλ ἡ θίλεζηο ὑθ‟ ἑηέξαο θηλήζεσο.). Considerazioni simili, ma articolate
nell‟ottica specifica della filosofia del linguaggio, si ritrovano in Mazzeo 2008 e Mazzeo 2009 (in particolare p.
212ss.). È opportuno segnalare che una parte dell‟interpretazione di Mazzeo 2008 si basa su un‟errata traduzione
di Pr. 30, 1, 954 b 23-24 (o.c. p. 187ss.). Lo studioso contesta ad Angelino-Salvaneschi 1981, 23, la scelta di
rendere πεξηηηόο nel senso di „mediocre‟. Peccato che i due studiosi traducano in tal modo non il termine in sé,
bensì l‟intera perifrasi νἱ δὲ κεζὲλ ἔρνληεο πεξηηηόλ (cf. infra, p. 74).
12
Tradotto di solito con „temperamento‟ o „costituzione‟, è preferibile, sulla scorta delle considerazioni di Pi-
geaud 1988, 19, rendere θξᾶζηο con „miscela‟, significato etimologico del termine, ma anche concetto
fondamentale della medicina e della filosofia greca (cf. supra, cap. 1, n. 12). Altro problema è se riferire il dativo
di relazione ηῷ ζώκαηη a λνζήκαηα, e quindi parlare di „malattie fisiche‟ (così la maggior parte dei traduttori),
oppure associarlo a ηῆο ηνηαύηεο θξάζεσο, come fanno Pigeaud 1988, 83 («mélange dans le corp») e Flashar
1991, 250 («Mischung im Körper»). Seguo la seconda interpretazione. L‟autore vuole forse dire che i disturbi
atrabiliari possono insorgere sia a causa della miscela innata di bile nera, sia se tale miscela si venga a formare
solo in seguito, in un particolare punto del corpo. Nel primo caso si tratta di melancolici affetti da disturbi
atrabiliari, nel secondo di semplici malati colpiti dagli effetti della bile nera.
13
Traduco ἦζνο secondo l‟uso comune, ma il senso più appropriato è quello di „modo d‟essere abituale, compor-
tamento solito‟ (cf. le riflessioni di Pigeaud 1988, 23s.).
14
Colpisce che tra i vari comportamenti che possono assumere i melancolici compaia la θηιαλζξσπία, mentre sia
assente il suo contraltare, la κηζαλζξσπία, ovvero una delle più comuni manifestazioni associate alla melancholia nel corso della storia. Una riprova che κειαγρνιία non corrisponde a melancholia (cf. supra, Prem., passim).
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agire da sfrontati; in quantità ancora superiore, li spinge alla violenza e poi alla follia; 15 ormai
scolato smodatamente, li fiacca16 e li rende stolti,17 come chi è affetto da epilessia fin
dall‟infanzia, o chi soffre di disturbi atrabiliari18 al massimo grado.
Dunque, come un solo uomo cambia il suo carattere bevendo vino in una certa quantità, allo stesso modo alcuni corrispondono a un singolo carattere. Si può essere ciarlieri, agitati, facili al pianto, uno perché momentaneamente ubriaco, l‟altro perché è tale per costituzione. Che anche il vino li rende tali, ce lo testimonia Omero: «e dice che io nuoto nelle lacrime
perché appesantito dal vino».19
Talvolta si diventa compassionevoli, feroci, taciturni. Alcuni, d‟altra parte, stanno in
completo silenzio, soprattutto chi, tra i melancolici, impazzisce. Il vino li rende anche inclini
all‟amore, come dimostra il fatto che il bevitore tende a baciare chi nessuno, da sobrio, bacerebbe, per via dell‟aspetto o dell‟età.
Il vino rende fuori dal normale non a lungo, ma per poco tempo, invece la costituzione
sempre, per tutta la vita. Infatti, alcuni sono audaci, altri taciturni, altri compassionevoli, altri
pavidi, per costituzione. Così risulta chiaro che il vino e la natura forgiano il carattere di
ognuno secondo il medesimo principio: tutti i processi20 sono realizzati tramite il calore.
15
Il contesto del Problema 30, 1 non è specialistico. Per cui, il termine καληθόο non riferisce in modo specifico
alla καλία – la cui definizione nosologica si completa solo in epoca successiva (cf. supra, cap. 1, n. 58). Esso è
un semplice sinonimo di ἔθζηαζηο (cf. Pigeaud 1988, 36-40).
16
Il senso di ἐθιύσ non è chiaro. Allettante la traduzione di Angelino-Salvaneschi 1981, 15, «toglie ogni
inibizione». Tuttavia, ritengo più opportuno seguire quella della maggior parte dei traduttori, dato che il senso di
„indebolimento‟ e „spossamento‟ è ben attestato nel verbo alla forma base.
17
Il nesso tra melancolia e stoltezza trova largo seguito. Non a caso, Hersant inserisce nella sua antologia un
passo della Laus stultitiae (εγθώκηνλ κσξίαο) di Erasmo da Rotterdam (AA.VV. 2005b, 79-83). Non siamo più
nel campo specifico della κειαγρνιία, ma in quello più vasto e generale della melancholia. Di certo, non sembra
opportuna la traduzione di Angelino-Salvaneschi 1981, 15 «fa impazzire».
18
Intendo ηνῖο κειαγρνιηθνῖο come un neutro (così Pigeaud 1988, 112 n. 25). Diversamente Angelino-
Salvaneschi 1981, 15 («assai affini agli atrabiliari») e Flashar 1991, 251 («die schon stark an die Melancholiker
herankommen»). La seconda interpretazione mi pare, infatti, ridondante: gli epilettici sono di per sé assai simili
ai melancolici. Ciò non toglie che di simili ridondanze il testo è pieno.
19
Seconda citazione omerica, con maggiori variazioni della prima rispetto al testo tradito: θῇ δὲ δαθξππιώεηλ
βεβαξεόηα κε θξέλαο νἴλῳ (Od. XIX 122).
20
Difficile la resa del participio ηακηεπόκελα. Letteralmente è ciò che viene immagazzinato ed amministrato
(scil. nel corpo).
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Il succo [scil. del vino]21 e la miscela della bile nera sono composte d‟aria. Perciò, i
medici affermano che flatulenze, asma e dolori dell‟ipocondrio sono sindromi atrabiliari.22
Anche il vino ha la proprietà di essere costituito d‟aria. Insomma, il vino e la miscela sono
simili per natura. A dimostrarlo – che il vino è costituito d‟aria – è la schiuma. L‟olio, infatti,
quando è caldo, non fa la schiuma, invece il vino ne fa molta, il nero più di quello bianco,
poiché contiene più calore ed è più corposo. Per questo motivo, il vino scatena gli impulsi
sessuali degli uomini – giustamente si dice che Dioniso e Afrodite vanno a braccetto. Anche i
melancolici sono lascivî. Non a caso, l‟atto sessuale è caratterizzato da emissione d‟aria. Ne è
prova il pene, che, da piccolo, rapidamente si ingrossa, gonfiandosi. Ancora prima di poter
emettere lo sperma, i bambini, ormai prossimi alla pubertà, provano un certo piacere quando
si lasciano andare alla masturbazione. Ciò avviene evidentemente per la fuoriuscita di aria da
quei pori, attraverso cui, in seguito, è condotto il liquido seminale. L‟emissione dello sperma
e l‟eiaculazione nei rapporti sessuali avviene chiaramente a causa della spinta dell‟aria. Così,
a buon diritto, si chiamano afrodisiaci quei cibi e quelle bevande che riempiono d‟aria la parte
del corpo in cui si situano gli organi sessuali.23 Ecco perché il vino nero, più di ogni altra sostanza, rende gli uomini tali quali sono i melancolici, ossia caratterizzati dall‟aria. Alcuni fatti
lo dimostrano. La maggior parte dei melancolici è magra24 e le vene sporgono loro: ne è causa
21
Per Angelino-Salvaneschi 1981, 29 n. ad loc., si tratta dell‟umore atrabiliare. Tuttavia, «in Aristotle, ρπκόο is
used in relation to sensation and epistemology … The main word for humour is rather ὑγξόλ» (Demont 2005,
278).
22
Da quale tradizione medica derivi l‟affezione melancolica al livello dell‟ipocondrio resta un mistero. Alcuni
pensano a Diocle (cf. supra, cap. 1, n. 36). La conoscono anche Areteo (SD I 5: ἢλ δὲ ἄλσ ῥέπῃ ἐο ζηόκαρνλ, ἢ
ἐο θξέλαο, κειαγρνιίελ ηεύρεη. θῦζάλ ηε γὰξ ἐκπνηέεη θαὶ ἐξπγὰο θαθώδεαο, ἰρζπώδεαο· δηαπέκπεη δὲ θαὶ θάησ
θύζαο ςνθώδεαο.) e Rufo di Efeso (Pormann 2008, fr. 18). Nel Corpus Hippocraticum non se ne fa alcuna menzione. I πλεπκαηώδε πάζε possono riferirsi a disturbi sia intestinali che respiratori. La traduzione riflette entrambe le accezioni (cf. Angelino-Salvaneschi 1981, 30 n. ad loc.).
23
Per dimostrare che i melancolici sono, per così dire, più eccitati di altri, si instaura il paragone tra il vino, la
miscela atrabiliare e l‟atto sessuale. Tutti sono caratterizzati dalla presenza di πλεῦκα. La schiuma ne è la prova:
presente nel vino, è di natura simile allo sperma (vd. Arist. GA 736 a 18-20: ἔνηθε δὲ νὐδὲ ηνὺο ἀξραίνπο
ιαλζάλεηλ ἀθξώδεο ἡ ηνῦ ζπέξκαηνο νὖζα θύζηο). Da qui la stretta correlazione tra Dioniso e Afrodite
(quest‟ultima etimologicamente imparentata con l‟ἀθξόο, la schiuma marina dalla quale la dea nacque: vd. Hes.
Th. 185ss.). La questione è affrontata anche in Arist. Pr. 4, 30 (880 a 30-33): Γηὰ ηί ἀθξνδηζηαζηηθνὶ νἱ
κειαγρνιηθνί; ἢ ὅηη πλεπκαηώδεηο, ηὸ δὲ ζπέξκα πλεύκαηνο ἔμνδόο ἐζηηλ. νἷο νὖλ πνιὺ ηὸ ηνηνῦηνλ, ἀλάγθε
πνιιάθηο ἐπηζπκεῖλ ηνύηνπο ἀπνθαζαίξεζζαη· θνπθίδνληαη γάξ.
24
Il testo greco riporta ζθιεξνί. Sulla base di un corrispondente passo aristotelico (Somn.Vig. 457 a 27-34: νὐδ‟
νἱ κειαγρνιηθνί· θαηέςπθηαη γὰξ ὁ εἴζσ ηόπνο, ὥζη‟ νὐ γίγλεηαη πιῆζνο αὐηνῖο ἀλαζπκηάζεσο. δηὰ ηνῦην γὰξ
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non l‟abbondanza di sangue, ma d‟aria. Il motivo per cui non tutti i melancolici sono magri e
di carnagione scura, ma soprattutto quelli in cui è presente un cattivo stato dell‟umore, è un
altro discorso. Torniamo a ciò che ci siamo proposti di spiegare all‟inizio, vale a dire che un
tale umore atrabiliare rappresenta, senz‟altro, una miscela naturale, la quale si compone di
caldo e di freddo. La natura stessa è composta da queste due proprietà. Perciò anche la bile
nera è a volte più calda a volte più fredda. Una medesima sostanza è per natura propensa a essere soggetta ad entrambi gli stati. Come l‟acqua, che, pur essendo fredda, nondimeno, quando viene riscaldata abbastanza – ad esempio al punto d‟ebollizione – diviene più calda della
fiamma stessa; sia la pietra che il ferro, se incandescenti, sono più caldi di un carbone ardente,
anche se sono materiali per natura freddi. Si è discusso più chiaramente di questi argomenti
nel trattato Sul fuoco.25 La bile nera è fredda per natura, e non compare in superficie,26 quando
si mantiene nello stato che si è detto, qualora eccede nel corpo, dà vita a paralisi, torpori, abbattimenti27 o paure, qualora si surriscaldi, invece, a stati euforici accompagnati da canti, delirî, eruzioni di piaghe, e altre affezioni simili. Alla maggior parte della gente, generatasi dal
nutrimento quotidiano, non muta per niente il carattere, ma produce solo una patologia atrabiliare. Quanti possiedono una tale miscela per natura, manifestano senz‟altro caratteri di ogni
sorta, ciascuno secondo la propria miscela. Ad esempio, quelli che hanno una gran quantità di
miscela fredda, sono pigri e stolti, mentre quelli che hanno una quantità eccessiva di miscela
calda, sono deliranti, abili per natura, inclini all‟amore, facili all‟ira e al desiderio, alcuni anche assai ciarlieri. Molti, a causa della vicinanza del calore intorno al luogo
dell‟intelligenza,28 sono presi da momenti di follia e invasamento, ragion per cui abbiamo le
sibille, gli indovini e tutti coloro che sono invasati, nel caso in cui lo siano diventati non per
θαὶ βξσηηθνί, ζθιεθξνὶ ὄληεο), si è indotti ad accettare la v.l. ζθιεθξνί, che invece non ritengo così probante.
Come affermano Angelino-Salvaneschi 1981, 30 n. ad loc., «un‟evoluzione da „duro, asciutto, secco‟ a „magro‟
appare, infatti, del tutto plausibile per ζθιεξόο, rispetto a cui ζθιεθξόο rappresenterebbe una variante suffissale
con specializzazione semantica».
25
Diogene Laerzio (V 45) ci ricorda che Teofrasto tratta del fuoco in due libri (πεξὶ ππξόο). Di tale autore si è
conservato, in effetti, un piccolo trattato De igne, che alla fine rimanda ad un‟opera più estesa sull‟argomento.
26
L‟avverbio ἐπηπνιαίσο è di difficile interpretazione. Ritengo che l‟autore voglia dire che la bile nera è una so-
stanza interna al corpo, la quale si rivela in „superficie‟ solo attraverso i risvolti patologici di cui è causa. Cf. infra, n. 33.
27
Sulla carica semantica e concettuale dei termini appartenenti alla famiglia di ζπκόο, vd. supra, Prem., n. 5.
28
Non condivido la fiducia di Pigeaud 1988, 119 n. 46 nell‟affermare che questa parte del corpo «pour rester
aussi vague que le texte, est sans doute le cœur». L‟autore può esser rimasto sul vago volutamente (cf. supra,
cap. 1, p. 24s. e n. 74).
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malattia, ma per miscela naturale. Maraco di Siracusa era un poeta migliore durante i suoi accessi di follia. Quei melancolici in cui il calore eccedente affiora nella giusta misura,29 si presentano più assennati e meno stravaganti, superiori agli altri in molti campi, alcuni nella cultura, altri nelle arti, altri ancora nell‟attività politica.
Tale costituzione,30 di fronte ai pericoli, implica molta diversità, per il fatto che talvolta la maggioranza degli uomini è incostante nei momenti di paura.31 Quando il corpo si trova
in una simile miscela, una stessa persona si comporta in modo differente. La miscela atrabiliare, come rende le persone incostanti nelle malattie, così è essa stessa incostante, a seconda che
sia fredda come l‟acqua, oppure calda. Quando si viene a conoscenza di una notizia che suscita paura, qualora ci si trovi in una miscela molto fredda, questo rende vili; infatti spiana la
strada alla paura, che agghiaccia. Lo dimostrano i tremori di chi ha paura. Qualora la miscela
sia più calda, la paura conduce ad un equilibrio, e rende l‟uomo nello stesso momento conscio
della paura e privo di turbamento.32 Lo stesso accade quando si è momentaneamente abbattuti. Spesso ci si trova in uno stato di afflizione, senza che se ne possa definire il motivo. Altre
volte si è euforici per una causa sconosciuta. Tali affezioni e quelle ricordate prima,33 appartengono un po‟ a tutti, perché in tutti è mescolata una certa quantità di tale forza [scil. di bile
29
Non è necessario accogliere l‟emendamento di Bywater ἐπαλεζῇ „viene moderato‟, in quanto ἐπαλζέσ è atte-
stato nel Corpus Aristotelicum, in riferimento a un liquido marino che „affiora in superficie‟ (Pr. 23, 9, 932 b 21:
ἐπαλζεῖ ἄλσ ὁ ηνηνῦηνο ρπκόο). In questo caso, dunque, ἐπαλζῇ avrebbe valore traslato e il soggetto sarebbe rappresentato da un accusativo di relazione (cf. Angelino-Salvaneschi 1981, 31 n. ad loc. e Pigeaud 1988, 121 n.
51).
30
Traduciamo „costituzione‟ per rendere meglio il concetto di ἕμηο. Esso non indica uno stato pure e semplice,
ma una condizione stabile e duratura nel tempo, quindi, in questo caso, una „costituzione innata, naturale‟, quale
può essere la miscela atrabiliare (cf. Arist. Cat. 8 b 28-37: δηαθέξεη δὲ ἕμηο δηαζέζεσο ηῷ κνληκώηεξνλ θαὶ
πνιπρξνληώηεξνλ εἶλαη … δηαζέζεηο δὲ ιέγνληαη ἅ ἐζηηλ εὐθίλεηα θαὶ ηαρὺ κεηαβάιινληα, νἷνλ ζεξκόηεο θαὶ
θαηάςπμηο θαὶ λόζνο θαὶ ὑγίεηα). Vd. anche infra, n. 38.
31
Non è necessario accogliere gli emendamenti di Richards ([ηῷ] ἐλίνηε ἀλσκάινπο εἶλαη [ἐλ] ηνῖο θόβνηο
πνιινὺο ηῶλ ἀλδξῶλ), come fa Klibansky-Panofsky-Saxl 1964, 22. Ritengo oppurtune le considerazioni di
Angelino-Salvaneschi 1981, 31 n. ad loc., che intende l‟infinito sostantivato come gentivo dipendente da ἕμηο, o,
meglio ancora, come proposizione causale.
32
Riferisco ἐλ αὐηῷ a θόβνο (cf. Pigeaud 1988, 122 n. 54). Diversamente Angelino-Salvaneschi 1981, 23: «la
paura porta alla moderazione, all‟autocontrollo e all‟imperturbabilità».
33
L‟emendamento πάιαη di Sylburg, in luogo di παιαηὰ, è sicuramente plausibile, ma non altera il senso globale
del testo. Interessante è la congettura ἐπηπόιαηα proposta da Forster 1927, n. ad loc. Essa richiamerebbe
l‟ἐπηπνιαίσο precedente (954 a 22; cf. supra, n. 26) e sarebbe in contrapposizione con il successivo εἰο βάζνο
(954 b 20; cf. infra, n. 35). A mio giudizio, tuttavia, ἐπηπόιαηα non chiarifica il senso di ἐπηπνιαίσο, anzi lo
complica.
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nera].34 Mentre quelli in cui [scil. la bile nera] agisce in profondità,35 presentano un determinato carattere. Infatti, come si è diversi nell‟aspetto non per l‟avere un volto, ma per l‟avere
un certo tipo di volto, gli uni bello, gli altri brutto, altri ancora non hanno nulla di eccezionale
(sono i normali per natura), così chi partecipa poco di una tale miscela risulta normale, mentre
chi ne partecipa in abbondanza è fuori dalla media. Qualora la costituzione sia molto squilibrata, sono eccessivamente melancolici, qualora venga mescolata in un certo modo, sono eccezionali. Sono inclini, se non fanno attenzione, alle malattie atrabiliari, chi in una chi in
un‟altra parte del corpo. Ad alcuni si manifestano sindromi epilettiche, ad altri paralisi, ad altri forti abbattimenti o paure, ad altri ancora eccessiva fiducia, come ad Archelao re di Macedonia. Ne è causa la miscela di questa forza,36 a seconda che sia partecipe del freddo e del
caldo. Se più fredda del necessario, provoca abbattimenti senza motivi; perciò soprattutto i
giovani, e talvolta anche gli anziani, si impiccano. Molti si ammazzano anche dopo essersi
ubriacati. Qualche melancolico persiste nello sconforto dopo i bagordi, poiché il calore del
vino spegne il calore naturale. Il caldo intorno alla regione attraverso cui pensiamo e nutriamo
le nostre speranze, rende euforici. Per questo tutti desiderano bere fino ad essere ubriachi,
poiché una gran quantità di vino rende tutti speranzosi, come la giovinezza rende speranzosi i
fanciulli – mentre la vecchiaia non nutre speranza, la giovinezza ne è colma. Ce ne sono pochi, invece, che, mentre bevono, vengono presi da sconforto per lo stesso motivo per cui alcuni lo sono dopo aver bevuto. Chi è abbattuto a causa della consunzione del calore, ha più probabilità di impiccarsi. Perciò sono soprattutto i giovani, o anche gli anziani, a farlo: nel caso
della vecchiaia, essa estingue il calore, nel caso dei giovani, è un fenomeno fisiologico che lo
consuma – il calore si consuma spontaneamente.37 La maggior parte di coloro in cui, invece,
il calore si è spento improvvisamente, si toglie la vita, tanto che tutti restano stupiti del fatto
34
Cf. 954 b 33 e, in modo esplicito, 955 a 30.
35
L‟autore, a mio avviso, vuole dire che la bile nera, se è innata nel corpo attraverso una particolare miscela tra
caldo e freddo, rende melancolici per costituzione.
36
Vd. supra, n. 34.
37
Il passo θαὶ αὐηὸ ηὸ καξαηλόκελνλ ζεξκόλ (955 a 11) risulta estremamente problematico, tanto che Angelino-
Salvaneschi 1981, 32 n. ad loc. lo interpone fra cruces desperationis. Ritengo possa trattarsi di una sorta di
glossa, che ricorda la differenza aristotelica tra κάξαλζηο, l‟estinzione spontanea del calore, e ζβέζηο, lo
spegnimento del calore dovuto ad agenti contrari (cf. Juv. 469 b 20-23: ἀιιὰ κὴλ ππξόο γε δύν ὁξῶκελ θζνξάο,
κάξαλζίλ ηε θαὶ ζβέζηλ. θαινῦκελ δὲ ηὴλ κὲλ ὑθ‟ αὑηνῦ κάξαλζηλ, ηὴλ δ‟ ὑπὸ ηῶλ ἐλαληίσλ ζβέζηλ). Ciò trova
conferma nella frase seguente, che contrappone a quelli in cui la consuzione del calore è spontanea (ὅζνηο κὲλ
νὖλ καξαηλνκέλνπ ηνῦ ζεξκνῦ, 955 a 7), quanti, invece, inncorrono in uno spegnimento improvviso dello stesso
(ὅζνηο δὲ ζβελλπκέλνπ ἐμαίθλεο, 955 a 11-12).
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che non si abbia avuto alcun segno che preannunciasse un simile gesto. Dunque, la miscela
atrabiliare, come si è detto, quando troppo fredda, genera ogni sorta di abbattimento, quando
troppo calda, stati di euforia. Perciò i fanciulli sono più euforici e gli anziani più abbattuti: gli
uni sono caldi, gli altri freddi. In effetti, la vecchiaia consiste in un raffreddamento. Accade,
poi, che il calore si spegne improvvisamente a causa di agenti esterni, così come si raffreddano contro natura sostanze incandescenti, per esempio il carbone ardente quando si versa sopra
dell‟acqua. Perciò alcuni si suicidano dopo essersi ubriacati: il calore del vino è importato
dall‟esterno, e quando si spegne, sopravviene il malessere. In genere, ci si sente più abbattuti
dopo un rapporto sessuale, mentre chi emette molte sostanze residuali insieme allo sperma, è
più euforico. Questo perché si alleggeriscono di tali residui, dell‟aria e del calore in eccesso.
Gli altri, invece, sono spesso molto abbattuti, dal momento che, dopo il coito, si raffreddano
in seguito alla perdita di elementi necessarî, come dimostra la scarsa emissione di flusso
spermatico.
Dunque, ricapitolando, poiché la forza della bile nera è incostante (infatti varia a seconda dell‟eccessivo freddo e dell‟eccessivo caldo), incostanti si presentano i melancolici. Atta a plasmare il carattere (tra le proprietà presenti nel nostro corpo, svolgono questa funzione
soprattutto il caldo e il freddo), come il vino se miscelato in dose più o meno abbondante nel
corpo, forgia il carattere di alcuni di noi. Entrambi, vino e bile nera, sono costituiti d‟aria.
Poiché è possibile che questa incostanza sia in qualche modo ben miscelata, per cui occorre
un‟alternanza tra uno stato38 molto caldo ed uno freddo, oppure il contrario (visto il suo stare
tra due estremi), tutti i melancolici sono uomini fuori dalla norma, non per malattia, ma per
costituzione”.
38
La δηάζεζηο, nell‟uso tecnico aristotelico, indica uno stato mutevole, pronto a cambiar forma rapidamente (cf.
supra, n. 30).
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