OLTRE IL VELO DI MAYA Manuela Bartolotti Ablondi

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OLTRE IL VELO DI MAYA Manuela Bartolotti Ablondi
DISILLUSIONISMO:
OLTRE IL VELO DI MAYA
“E’ Maya, il velo ingannatore, che avvolge gli occhi dei
mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi
né che esista, né che non esista; perché Ella rassomiglia
al sogno , rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia ,
che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche
rassomiglia alla corda gettata a terra che egli prende per
un serpente.”
A. Schopenhauer
Non illudiamoci di trovare risposte. Qui ci sono solo domande. Le cose fuori posto,
decontestualizzate assumono forze inaspettate. La materia si raggruma, si deforma, si
accartoccia. Le opere di questo nuovo gruppo di artisti che si definiscono “Disillusionisti”,
restano come dubbi angoscianti, ragni raggomitolati dentro. Intorno, spiragli di verità lievitanti
e sfuggenti. Ci sono solo domande che ci precipitano, ci affondano. Si va anni luce dentro i
vortici di Van Gogh, i tagli di Fontana, i cretti di Burri, le tenebrosità fradice, apocalittiche di
Anselm Kiefer. Ricordiamo il mito della caverna di Platone. Gli uomini rivolti verso la parete
della caverna non vedono mai la realtà ma solo le ombre proiettate sul fondo, apparenze. Qui
ci si volta indietro con la spavalderia dell’artista, ma troppa è la luce e la realtà ci viene
rimandata bruciata come una pellicola esposta avventatamente. Disillusioni. Impotenza. Oltre
la luce solo la sua carcassa d’ombra, la nostra guasta cecità. L’artista si uccide nell’abbandono
– quasi sciamanico – alla verità, all’arte. C’è un’intima tragicità, quasi epica – d’epica greca
verrebbe da dire – nel procedimento artistico, di questi artisti in particolare. E tutti, tranne uno
forse – lo scultore Maurizio Catellani – hanno una costruzione pittorica entropica e cumulativa.
Aggiungono per far pesare ancor più la privazione (di definizioni, certezze, illusioni). Accumulo
di oggetti è accumulo di sensazioni che vanno a definirne una sola che prende forma, al posto
della vera, illusoria forma che vediamo nel quotidiano. E ci arriva, ci coglie con un impatto
quasi violento, risucchiandoci, con un andamento centripeto nei colori aggressivi di Giacomo
Ponzi - c’è nelle sue opere una ferocia sotterranea, un furibondo ribellarsi a qualcosa, a tanto , negli assemblaggi di suo fratello Cristiano, più accomodante ma per sottile astuzia, abilità
compositiva, nella patafisica tragica – alla Baj - di Aureliano Lanzoni con la sua “Natura
malata” che pare un urlo munchiano al contrario, trattenuto, ingoiato ma non per questo meno
atroce. Viscerale. Gli avanzi del mondo (oggetti abbandonati, rotti, arrugginiti, inutili) non
hanno più nulla dell’ironia del Ready made perché rappresentano la nostra sopravvivenza, la
nostra essenza, l’essenzialità. Non utili per fare, ma per dire. E ci dicono che siamo pezzi di un
puzzle di vanità, tenuti insieme da collanti di sogni, vacillanti. Al limite, sulla soglia. E ci sono
sempre solo domande.
L’opera di Rossi, forse la più potente in termini espressivi, rivela il tracollo delle illusioni, è un
fagocitare cose e colori, anime e dolori. L’unico sollievo è nella catarsi artistica, l’equilibrio
raggiunto anche dopo la rivelazione, la resurrezione concessa all’artista dopo il calvario
dell’opera. E tutta questa tensione, l’energia moltiplicata della natura, raffinata nell’amplesso
con lo spazio, una fuga stavolta fuori, oltre, più liquida ancora che aerea è quella delle sculture
di Maurizio Catellani. Qui l’affondo centripeto, il disvelamento è completo. Non più sensazioni,
ferite, varchi, specchi infranti o moltiplicati, avanzi di uomo, di spirito, ma pura essenza, linee
come note limpide, acute, infinite. O avvolgenti silenzi. La luce scorre via come acqua sui
profili delle sue sculture, le modella continuamente, è una viva vibrazione.
Riprendendo le parole di William Blake: “Se le porte della percezione fossero pulite, tutto
apparirebbe all’uomo come veramente è, infinito”. In questa frase è racchiusa la missione, il
fondamento del movimento “Disillusionismo”.
Manuela Bartolotti Ablondi