Assaggio - Sillabe, casa editrice

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Assaggio - Sillabe, casa editrice
Thornton Wilder
La piccola città
Commedia in tre atti
Traduzione di
Carlo Fruttero e Franco Lucentini
Introduzione di
Will Eno
sillabe
OUR TOWN by Thornton Wilder
Copyright: © The Wilder Family LLC 1938, 1957
Introduzione, copyright © 2015 Will Eno
All rights whatsoever are strictly reserved and application for
performance etc should be made to The Wilder Family LLC,
whose address is: c/o The Barbara Hogenson Agency Inc., 165
West End Avenue, Suite 19C, New York, New York 10023 USA.
No performance may be given unless a license has been obtained
and no alterations may be made in the title or text of the play
without prior written consent.
Tutti i diritti riservati
Titolo originale: Our Town
Traduzione dall’inglese: Carlo Fruttero e Franco Lucentini
ISBN 978-88-8347-804-8
© s i l l a b e s.r.l.
www.sillabe.it
Prima edizione: giugno 2015
© collana editoriale - Arcadia & Ricono
diretta da Anna Ashton Parnanzini
direzione editoriale: Maddalena Paola Winspeare
coordinamento: Laura Belforte
redazione: Giulia Bastianelli
impaginazione: Simonetta Geppetti
Per la foto di Thornton Wilder © Author photograph courtesy
of The Yale Collection of American Literature (YCAL)
La piccola città (Our Town) venne rappresentata per la prima volta al McCarter Theatre di Princeton, New Jersey, il
22 gennaio 1938.
A New York, la prima rappresentazione all’Henry Miller
Theatre ebbe luogo il 4 febbraio 1938, con la regia di Jed
Harris. Interpreti principali Frank Craven (il Direttore di
scena), Jay Fasset (il dottor Gibbs), Evelyn Varden (la signora Gibbs), John Craven (George), Thomas Ross (il signor
Webb), Helen Carew (la signora Webb) e Martha Scott
(Emily).
In Italia, la prima rappresentazione a Roma è avvenuta al
Teatro delle Arti il 18 aprile 1939, con la regia di Enrico
Fulchignoni. Interpreti principali Umberto Giardini (il
Direttore di scena), Carlo Minellono (George Gibbs) e
Gemma Griarotti (Emily Webb).
Introduzione a La piccola città
Will Eno
In Nord America, paese natale di Thornton Wilder
e luogo d’origine del suo Our Town, molte persone
ricevono un’introduzione all’opera quando viene rappresentata alle scuole superiori. Our Town è stata rappresentata innumerevoli volte da innumerevoli scuole
negli Stati Uniti. Questo ha in sè un’ironia speciale e
meravigliosa perché per descrivere queste produzioni
si potrebbe dire: persone troppo giovani per capire
la vita che rappresentano, persone troppo umane per
capirla. Quindi c’è qualcosa di molto vero in queste
rappresentazioni un po’ imbranate e goffe e inevitabili, qualcosa di esatto. C’è molto nella vita reale che
consideriamo inevitabile (il lavoro, i doveri familiari, la morte), e probabilmente adempiamo a questi
compiti in modo goffo e a volte anche con un certo
timore. Allo stesso modo queste rappresentazioni sono caratterizzate da una meravigliosa qualità titubante ma determinata che è molto vicina alla vita come la
conosciamo. Thornton Wilder facilita questa qualità
grazie alla sua scrittura infinitamente umana e piena
di umanità.
È molto preciso nelle didascalie, insistendo che la
scenografia e gli oggetti di scena siano minimalistici e che la maggior parte degli oggetti reali, le posate per esempio, siano immaginarie. Sono richieste solo
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Will Eno - Introduzione
persone che facciano finta di essere persone, e chi può
far questo meglio dei giovanissimi, che non hanno ancora trovato il loro posto nel mondo, che provano furiosamente nuovi tagli di capelli e vestiti diversi nello
sforzo di diventare se stessi.
Questo non vuol dire che anche persone più adulte
non possano interpretare questi ruoli. Anzi. Il ricercare e il non-sapere non si fermano ai 18 anni. E in
effetti, in spettacoli dove una donna di quarant’anni
ha il ruolo di una donna di quarant’anni, vediamo un
approfondimento e un ampiamento dell’ironia rispetto alle produzioni delle scuole superiori. Perché si sa,
avendo a che fare con una persona più vecchia, che lei
ora sa cos’è la vita, almeno un po’, e che ha anche, nel
suo passato, vite che non ha scelto, scelte che non ha
fatto, e momenti che non ha colto se non dopo che
erano passati.
E questa sensazione, questo sentimento, questa malinconia di stupore e perdita che emerge in una persona quando la si guarda molto da vicino, è uno dei temi che pervadono l’opera. La vita che capita una volta
sola, il suo flusso quotidiano in tempo reale, e quanto
impossibile sia notarla, goderla e ricordarla, mentre la
si sta vivendo. Nostra madre muore durante un’eclisse
lunare, nostro figlio fa il primo passo mentre squilla il
telefono. Oppure, come succede nell’opera, un ragazzo
viene istruito rigorosamente nel tentativo di assicurarsi
un futuro il più possibile brillante, per poi venire ucciso in guerra. Fortunati noi, poveri noi, sembra voler
dire il Signor Wilder. Irrefrenabili, impossibili noi.
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LA PICCOLA CITTà
Un altro tema dell’opera è il Grande e il Piccolo, anche se a volte “tema” non pare la parola giusta, visto che
Wilder presenta le sue idee così abilmente e delicatamente, che sembrano aspetti di una personalità, come
i capelli marroni o una risata tintinnante, e non tanto
componenti intellettuali. Wilder sembra interessato a
una soluzione o almeno a un’investigazione della Teoria
Unificata su cui hanno lavorato tutti i fisici da Einstein
in poi. Vuole capire come il topo si relazioni alla luna,
come un particolare momento si relazioni all’Eternità. C’è un famoso esempio, in Our Town, illustrato dal
personaggio di Rebecca, quando racconta la storia della
lettera che la sua amica Jane Crofut ha ricevuto dal suo
pastore, quando era malata. L’aveva indirizzata a Jane,
ci dice, a “Fattoria Crofut; Grover’s Corners; Sutton
County; New Hampshire; Stati Uniti d’America,
Continente del Nord America; Emisfero Occidentale;
Terra; Sistema Solare; Universo; Mente di Dio.” Ecco
il Cielo e la Terra e una penna biro, buchi neri e la carta da lettere di un pastore. Poi la giovane Rebecca offre un’osservazione filosofica finale: “E il postino l’ha
portata comunque.” Il Sig. Wilder capisce che a volte
leggiamo solo fino a dove è necessario. Arriviamo fino
al New Hampshire, ci orientiamo, facciamo i nostri ragionamenti e facciamo procedere la lettera, e il resto
non ha molta importanza. Wilder capisce che a volte
il nostro bisogno di certezze generali ci fa saltare a pie’
pari la poesia locale. Dobbiamo capire la Vita con la V
maiuscola, e così ci perdiamo il tramonto bellissimo e
reale con la t minuscola. Wilder capisce che siamo i residenti di un insieme di comunità da capogiro e quasi
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Will Eno - Introduzione
infinite e capisce anche il fatto tragico ma esilarante che
non ci sia possibile prestare attenzione contemporaneamente a tutti questi livelli differenti al tempo stesso.
La struttura teatrale di Our Town è, al tempo stesso,
incredibilmente sofisticata e tuttavia rassicurante nella sua semplicità. C’è del genio nella marionetta di un
animale, un asino o cervo fatto di sacco, manovrato
da bastoncini e fili. Il modo in cui la coda si muove e
la testa si alza e si gira, di appena qualche centimetro,
per annusare qualcosa nell’aria o per ascoltare. Senza
la quasi magia del rito e della rappresentazione, siamo
liberi di sentire l’intera magia della realtà, la totale natura della natura. Siamo liberi di entrare una zona di
sentimento diretto e di mitologia delicata, guardare il
piccolo cane giocattolo e piangere per Rusty, il nostro
cane vero. Questo è il genio di Thornton Wilder, che,
attraverso il personaggio del direttore di scena, ci fa vedere da subito i fili e il testo e le impalcature, e così ci
libera, sin dall’inizio, dalle piccole e medie questioni.
Tutto ciò ci rassicura, non ci fa preoccupare troppo dei
livelli di rappresentazione e performance, così che possiamo invece preoccuparci delle questioni più grandi,
dei livelli esistenziali più ampi, delle persone morte in
un cimitero e di che cosa ci facciano lì.
Our Town è spesso considerata una visione graziosa e
vecchio stile di un tempo grazioso e vecchio stile. Non è
così. È una visione senza paura, ruvida e reale, della vita
sulla Terra. Inoltre, deve essere detto, la visione dell’aldilà di Wilder, proposta nel terzo atto di Our Town, è
un superamento quasi eroico dell’idea normale e un
po’ sentimentale della morte e dei morti. È una visione
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LA PICCOLA CITTà
quasi non-cristiana, in modo esilarante, ma comunque
ancora amorevole, determinate e in modo spietato. È
una dipartita quasi totale dalle teologie e fiabe a cui
generalmente aspiriamo. Nelle quali troviamo conforto nel credere che i morti ci stiano guardando, proteggendo, guidando con amore e saggezza. Nel cimitero di
Grover’s Corners, i morti sono sotto di noi, nelle loro
tombe, rappresentate sul palco da gente seduta su sedie
rigide, ginocchia unite, che guarda il cielo ma evitando
di guardare direttamente negli occhi quell’incrociare lo
sguardo con i devoti e gli amati di un tempo che forse vengono a piangere. Hanno superato la soglia più
grande che ci sia, hanno lasciato questo mondo e le sue
illusioni, e comunque ci sono cose che non sanno, cose
per cui sono in attesa. Sono timidi, molto cambiati, in
qualche modo molto diversi, al di là di ogni famiglia e
di ogni storia, sono andati via per sempre, eppure stanno parlando del tempo. “Guarda il cielo si sta schiarendo” dice una persona morta, in mezzo all’eternità. È
triste e strano in modo quasi nauseante pensarci, quando ci si pensa davvero. E poi si conclude così delicatamente l’opera, se è dell’opera che stiamo parlando.
“Riposate bene anche voi. Buonanotte.”
Tutto ciò per dire che questa pièce, anche se è complicata come un mondo, qualsiasi esso sia, è anche semplice come un mondo. Le persone nascono e il sole sorgerà, e poi il sole tramonterà e le persone moriranno.
Alcuni giorni pioverà. Ma in questi semplici fatti, nel
fatto della nostra vita, c’è un’altra verità, una di cui abbiamo in parte sensazione e che potremmo un giorno
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Will Eno - Introduzione
conoscere, ma che anche allora probabilmente non sapremo esprimere chiaramente. Ci sono un mistero e
un infinito e una inconoscibilità quasi bellissima. La
bellezza e la necessità di quest’opera sono date dal fatto
che semplifica tutto questo, lo presenta in modo talmente delicato e regolare, che ci consente di vedere il
miracolo accecante della vita, la vita di ogni giorno, la
vita normale e regolare che state vivendo, ora. In questo secondo, in questo millennio, voi, seduti su una
sedia o sull’autobus, mentre state leggendo un libro,
bevendo una limonata.
Benvenuti a Our Town. Thornton Wilder conosceva l’italiano, studiò e scrisse a Roma, e viaggiò molto
nella campagna italiana. Sono sicuro che è molto felice
di sapere, mentre guarda in giù, o guarda in su, che lo
state andando a trovare. Vi prego di mettervi comodi,
chiedete, se avete bisogno di qualcosa, e state quanto a
lungo volete.
New York, NY
20 febbraio 2015
Traduzione di Beatrice Basso
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Thornton Wilder
La piccola città
Personaggi
(in ordine di apparizione)
Direttore di scena
Dottor Gibbs
Joe Crowell
Howie Newsome
Signora Gibbs
Signora Webb
George Gibbs
Willy Webb
Emily Webb
Professor Willard
Signor Webb
Un donna in galleria
Un uomo in platea
Una donna in un palco
Simon Stimson
Signora Soames
Si Crowell
Tre giocatori di baseball
Sam Craig
Joe Stoddard
N.B. Il termine Stage Manager che nelle precedenti traduzioni
italiane della Piccola Città era stato reso con “Regista”, è qui tradotto con “Direttore di scena”, versione che l’autore ritiene più
aderente all’espressione originale inglese. (N.d.T.)
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Ad Alexander Woollcott
di Castelton Township,
Rutland County, Vermont
Atto primo
Niente sipario. Niente scena. Il pubblico, arrivando,
vede il palcoscenico vuoto, in penombra. Poi il Direttore
di scena col cappello in testa e la pipa in bocca, entra e
comincia a disporre una tavola avanti a sinistra; un’altra tavola e altre tre seggiole avanti a destra; e una panca all’angolo di quella che sarà la casa Webb, a sinistra.
“Sinistra” e “destra” s’intendono dal punto di vista
dell’attore rivolto al pubblico.
Quando le luci della sala cominciano ad abbassarsi, il
Direttore di scena ha finito di allestire la scena; e appoggiato al pilastro di destra del proscenio osserva gli
ultimi spettatori che arrivano e prendono posto.
Quando la sala è completamente al buio, comincia a
parlare:
Direttore di scena Questa commedia s’intitola “La
piccola città”. È stata scritta da Thornton Wilder;
prodotta e diretta da A… (o: prodotta da A…; diretta da B…). Gli interpreti sono: la signorina C…; la
signorina D…; la signorina E…; e il signor F…; il signor G…; il signor H…; e parecchi altri. La piccola
città è Grover’s Corners, nel New Hampshire subito
a nord della frontiera col Massachusetts. Latitudine
42 gradi, 40 minuti; longitudine 70 gradi, 37 minuti. Nel Primo Atto, si rappresenta una giornata della nostra piccola città. Il giorno è il 7 maggio 1901.
L’ora, giusto prima dell’alba. (Un gallo canta.) Il cielo sta cominciando a schiarire, laggiù a est, dietro
la nostra montagna. La stella del mattino si mette a
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Thornton Wilder
brillare di più, proprio quando sta per andarsene…
Non trovate? (Resta un istante a guardare, poi va verso
il fondo.) Bene, adesso vi spiego un momento com’è
situata la nostra piccola città. Qui in fondo… (cioè:
parallelamente al muro di fondo) abbiamo la strada
principale: la Main Street; i binari della ferrovia corrono in questo senso. Il Quartiere Polacco è oltre i
binari, dove abita anche qualche famiglia di indiani
Canuck. (Indica a sinistra.)
Lì c’è la Chiesa Congregazionista, e la Presbiteriana
è giusto di fronte.
La Metodista e l’Unitaria sono là.
La Battista è più in basso, vicino al fiume.
La Chiesa Cattolica è dall’altra parte dei binari.
Ed ecco lì il Municipio e l’Ufficio Postale, riuniti
nello stesso edificio, con la prigione nel seminterrato. Bryan, una volta, ha tenuto un discorso proprio
da quei gradini.
Poi c’è una fila di negozi, con davanti i montatoi
e i pali per legarci i cavalli. Di automobili, non se
ne vedranno ancora per cinque anni, press’a poco…
Il primo ad averne una sarà il signor Cartwright, il
proprietario della nostra banca, che vive nella grande
casa bianca sulla collina…
Questo è il negozio di commestibili, e qui c’è l’emporio del signor Morgan. Una volta o l’altra durante
la giornata, in questi due negozi ci capita praticamente tutta la città.
La Scuola Elementare è laggiù, e quella Media ancora un po’ più avanti. La mattina alle otto e tre quarti, a mezzogiorno e alle tre del pomeriggio, le urla
e gli schiamazzi da quei cortili si possono sentire in
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LA PICCOLA CITTà
tutta la città. (S’avvicina alla tavola e alle seggiole di
destra.) Qui abbiamo la casa del nostro medico, il
dottor Gibbs. Questa è la porta sul retro. (Due graticci ad arco, coperti di rampicanti e di fiori, vengono
spinti fuori: uno accanto a ciascun pilastro di proscenio.) Ecco qui un po’ di scenario, per quelli che pensano che uno scenario ci vuole. Questo è l’orto della
signora Gibbs. Granturco… piselli… fagioli… roselline… reseda… e anche parecchie erbacce, bisogna dire. (Traversa la scena.) Il nostro giornale, “La
Sentinella di Grover’s Corners”, per il momento non
esce ancora che due volte alla settimana… e questa,
ecco, è la casa del direttore, il signor Webb.
E questo è l’orto della signora Webb.
È come quello della signora Gibbs, solo che c’è anche una quantità di girasoli. (Guarda in su, rivolto
al centro.) Proprio qui in mezzo c’è un bell’albero di
noce. (Torna al suo posto al pilastro di destra del proscenio, e resta un momento in silenzio, guardando il
pubblico.) Bella cittadina, direi. No? Una bella cittadina tranquilla.
A quanto se ne sa, non vi è mai accaduto niente di
speciale.
Nel cimitero, là in collina, le prime lapidi – quelle
del 1670 o 1680, diciamo – sono già dei Grover, dei
Cartwright, dei Gibbs, degli Hersey… gli stessi nomi che trovate ancora adesso da queste parti.
Bene, come dicevo, è quasi l’alba.
Le sole luci accese in città sono quelle d’una casetta
dall’altra parte dei binari, dove una donna polacca
ha appena avuto due gemelli, un lume in casa di Joe
Crowell, dove Joe junior si sta alzando per andare a
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