Le stanze dispari - Sillabe, casa editrice

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Le stanze dispari - Sillabe, casa editrice
Petraia
Le stanze dispari
Alessandra Griffo
Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
Polo Museale Regionale della Toscana
Villa medicea della Petraia
Restauri
Daniele Angellotto; Paolo Belluzzo; Simone Beneforti; Silvia Bensi; CER, dipartimento di
Restauro della Scuola Edile di Firenze, con il coordinamento di Simone Beneforti; Lucia Biondi;
Sabrina Biondi (Laboratorio di restauro dell’ex Polo Museale Fiorentino); Francesca Brogi;
Serena Cappelli; Sabrina Cassi; Elisabetta Codognato; Veronica Collina; Decoart Srl; Alberto
Dimuccio; Faesulae Srl; Aviv Fürst; Maria Cristina Gigli con la direzione di Laura Speranza
(Opificio delle Pietre Dure di Firenze); Marina Ginanni (Laboratorio di restauro dell’ex Polo
Museale Fiorentino); Rossella Lari; L’Atelier s.n.c. di B. Borgognoni, L. Cioppi, A. Matteuzzi;
Antonia Lauricella; Natalia Materassi; Tania Matteoli; Luigi Mecocci; Opera Laboratori Fiorentini
– Civita Group; Andrea Palmieri; Ugo Pancani; Picta di Miriam Fiocca; Sandra Pucci; Nathalie
Ravanel; Relart di Roberto Buda; Nicola Salvioli; Blanca Spreafico; Lisa Venerosi Pesciolini;
Marina Vincenti; Mary Yanagishita
Le stanze dispari
Nuovi allestimenti e restauri a Petraia
Movimentazioni e allestimenti
Arternativa Fine Art, Firenze; Coop. Express, Firenze; Opera Laboratori Fiorentini – Civita Group
Referenze fotografiche
Gabinetto Fotografico dell’Ex Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze;
Laboratorio Fotografico dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze;
Laboratorio del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi: foto Roberto Palermo;
Antonio Quattrone, Firenze;
Foto Giusti Claudio, Firenze;
Paolo Tosi, Firenze;
Rabatti & Domingie Photography Snc, Firenze
ISBN 978-88-8347-865-9
© 2015 Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo
Polo Museale Regionale della Toscana
© 2015 s i l l a b e s.r.l.
Livorno
www.sillabe.it
direzione editoriale: Maddalena Paola Winspeare
progetto grafico: Susanna Coseschi
redazione: Ethel Santacroce
stampato presso Media Print, Livorno
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p. 6 - Veduta dell’interno del Belvedere
sillabe
7 Presentazione Stefano Casciu
Le stanze dispari sono dedicate a quanti hanno lavorato o semplicemente dimostrato
interesse in questi anni per la Villa della Petraia e il Giardino di Castello.
Penso al personale degli uffici e dei musei dell’allora Polo Museale Fiorentino – e per
la collaborazione davvero quotidiana desidero almeno citare Mauro Linari, Andrea
Bellandi, Paolo Galeotti, Laura
Pellegrini e Luigi Leo con Gabriella Mancini e gli addetti
alla vigilanza –, ma mi riferisco anche alle numerose maestranze esterne, così come ai
colleghi e agli amici con i quali lo scambio di idee è stato prezioso fino alla fase, meno
operativa, di scrittura.
Alcuni sono nominati qui e nelle prossime pagine. Altri sanno che il contributo offerto,
spesso dietro le quinte, è stato
non meno essenziale perché si riuscissero a realizzare i
progetti illustrati in questa pubblicazione.
A tutti, nell’impossibilità di ricordarli singolarmente, va il mio ringraziamento.
A.G.
9 Le stanze dispari
Ovvero alcuni nuovi di tanti possibili, infiniti allestimenti
21 I Nuovi allestimenti
23 Le sale delle Lunette
33 L’esotico a corte
41 A proposito di paesaggi. Un breve itinerario
51 L’anticappella
55 Son et lumière
63 Un primo passo per la musealizzazione della Fontana Grande
75 I RESTAURI
77 Le manutenzioni e i restauri
120 Elenco degli interventi
125 Bibliografia
127 Planimetrie
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Chi ha frequentato a lungo, come Alessandra Griffo, ma anche come chi scrive, per studio, per lavoro
e – perché no? – per piacere, le carte d’archivio ed in particolare gli inventari e i giornali di Guardaroba riferiti alla gestione quotidiana e stagionale delle residenze fiorentine medicee, poi lorenesi ed
infine sabaude, sa bene che nessuna di queste carte – sia pure precisamente datate e dettagliate
negli elenchi e nelle descrizioni – può ritenersi una fotografia del tutto attendibile e definitiva degli
ambienti descritti. I movimenti e i mutamenti di opere d’arte, arredi, tappezzerie, mobili, dipinti,
sculture, orologi, tappeti e tanto altro era continuo, legato alla aleatorietà o alla stagionalità dei soggiorni dei vari duchi, granduchi, principi, principesse, re, regine e cardinali, che vi passavano periodi
di volta in volta lunghi o brevi. Ma vi erano anche altre esigenze di collocare in queste residenze beni
e arredi per motivi che oggi ci sfuggono, o ancora era in atto la volontà autonoma dei guardaroba,
figure importantissime per capire la vita delle ville, veri e propri “padroni di casa”, capaci di anticipare, conoscendole perfettamente, le necessità temporanee e le esigenze dei loro padroni, ma che
a volte si prendevano delle libertà. Così accadde ad esempio quando l’Elettrice Palatina Anna Maria
Luisa de’ Medici decise di trasferirsi per la prima volta, seguita poi da periodi sempre più lunghi,
nella Villa della Quiete, vicina alla Petraia, sede della Congregazione delle Montalve. Il Guardaroba
di Pitti, pensando di fare bene, inviò subito alla Quiete mobili ed altri arredi artistici che però l’Elettrice, non ritenendoli adatti all’intento di assorto ritiro spirituale che voleva perseguire nei suoi
soggiorni devoti alla Quiete, fece immediatamente rimandare indietro nel palazzo di città.
Alessandra Griffo, in questo volume che è un resoconto appassionato e conclusivo del lavoro da
lei portato avanti negli anni della sua direzione della Villa della Petraia (e nel momento del passaggio di questa responsabilità, oggi affidata a Marco Mozzo), spiega molto bene quali sono stati
gli intenti della sua azione intelligente e raffinata e della sua gestione museale, e quali spazi di
libertà si sia consapevolmente presa, pur partendo doverosamente dalla documentazione primaria che è quella dell’inventario sabaudo della Villa risalente al 1911.
E le siamo grati di essersi presa qualche libertà, forzando forse un assioma che ha guidato molti
colleghi, me compreso, nel riallestimento di ambienti storici di Palazzo Pitti e delle ville medicee,
ovvero quello di ritenere vincolante per il ripristino museografico di questi ambienti, l’inventario
del 1911, l’ultimo prima della definitiva musealizzazione delle residenze già granducali. Così facendo, ha potuto restituire ai bellissimi ambienti della Petraia una maggiore armonia, una scioltezza che prevede anche richiami tematici tra gli arredi, od ordinamenti basati su specifici generi
pittorici (ad esempio i paesaggi), o anche sulla cronologia delle opere, fattori non sempre previsti
nelle elencazioni topografiche degli inventari. Ed in tal modo, ad esempio, è stato possibile trovare la soluzione per l’esposizione al pubblico della serie delle Lunette dello Utens, che non sono
mai state a Petraia ma che oggi vi sono inserite perfettamente e senza traumi.
Il volume è splendidamente illustrato da fotografie di vari autori ma che restituiscono in maniera
coerente e armonica la bellezza degli spazi e degli arredi della Villa, certamente improntati ad un
gusto ottocentesco, specificamente sabaudo, ma ricchissimi di rimandi alle epoche precedenti,
soprattutto alla lunga stagione medicea.
C’è molto altro in questo volume: si parla dei tanti restauri fatti, di esotismo, del ticchettio degli
orologi, e delle ipotesi di allestimento degli elementi originali della fontana di Ercole e Anteo,
proveniente da Castello, tema che ha appassionato tutti i direttori e gli architetti che si sono succeduti alla Petraia e che ancora oggi rimane irrisolto.
Non resta quindi che ringraziare Alessandra Griffo per il lavoro svolto, che proseguirà certamente
con altrettanta passione e con ottimi risultati nel Giardino di Boboli. Raccogliamo la sua sfida di
mantenere viva e sempre rinnovata, nella Villa della Petraia, la ricerca del delicato equilibrio tra filologia museale e piacevolezza dell’allestimento, per restituire al pubblico lo spirito pulsante e vitale
di una dimora elegante e raffinata, da sempre prediletta dalle dinastie che hanno regnato a Firenze.
Stefano Casciu
Direttore del Polo Museale della Toscana
Le stanze dispari
Ovvero alcuni nuovi di tanti possibili, infiniti allestimenti
A conclusione di una serie di nuovi allestimenti a
Petraia cercavo un aggettivo che suggerisse il senso di
un lavoro fatto, ma non esaurito, suscettibile cioè di
sviluppi e modifiche. Non per una implicita ammissione di imperfezione, quanto piuttosto nell’ipotesi
o nell’auspicio di un quid di nuovo da includere, un
rilancio rispetto a un risultato pari, senza resto. Volevo
un termine allusivo, se si può dire, a un +1.
Ragionando intorno a questo tema ho visitato una
mostra romana dedicata alla scienza dei numeri1 e
lì ho trovato la soluzione, arricchita di impreviste
suggestioni e implicazioni.
Si spiegano così le parole del titolo, ispirato a un
paradosso matematico tale per cui, posto che in un
albergo si presentino avventori in un afflusso continuo, si dimostra possibile riceverli sempre e tutti
semplicemente trasferendoli negli alloggi con numero
doppio rispetto a quelli già assegnati. Secondo questo
schema, le persone è stabilito passino dalla camera 1
alla 2, dalla 2 alla 4, dalla 3 alla 6 e così via, con la
conseguenza che a rimanere libere, senza eccezione,
sono quelle dispari; e poiché i numeri dispari sono
infiniti, nelle stanze dispari, infinite per proprietà transitiva, diviene facile accogliere i nuovi infiniti clienti.
La Petraia non è il Grand Hotel di David Hilbert2,
teorico di questa inapplicabile astrazione, e nonostante
la consistenza dei vani in cui si articola sia cospicua,
la loro quantità è almeno catastalmente limitata. Al
contrario senza fine sono le possibili combinazioni tra
ambienti e occupanti; e con questo non mi riferisco
alle persone, ai flussi turistici, reali o auspicati, né ai
membri delle dinastie medicea, lorenese e sabauda,
Fig. 1 - Prospettiva tra Sala dei Giochi e Sala da Pranzo al primo piano
uniti all’insieme dei loro ospiti, cortigiani e servitori.
Rifletto invece sulla corrispondenza tra spazi e arredi,
associabili in una serie X di varianti che, lasciando
l’aritmetica ai professori ma continuando metaforicamente a giocarci, possono definirsi tendenti all’infinito
se solo si moltiplicano le stanze per le funzioni assolte
nel corso dei secoli e il valore ottenuto per i dipinti,
le sculture, i mobili e gli accessori che vi trovarono,
vi trovano e vi troveranno posto.
D’altra parte se perfino i siti monumentali più spogli
sono modificabili per effetto di una nuova illuminazione o il suggerimento di un percorso differente e se
le sale delle maggiori gallerie vengono rielaborate per
quanto concerne l’esposizione di una scelta circoscritta
di opere, dissociandole dalla loro decennale, talvolta
centenaria collocazione museale, questa appare una
opzione in linea di principio tanto più realizzabile in
residenze storiche che contengono molteplici arredi e di
tipologie tanto diverse. Luoghi d’arte e testimonianze
concrete dell’arte dell’abitare, dove lo spostamento o
l’introduzione anche di un solo elemento che lì è stato
o, entro certi limiti di ragionevolezza critica, sarebbe
potuto essere, consente di creare una rete di rimandi
tra oggetti concreti, architetture e presenze impalpabili
quali l’aura del tempo o l’eco della vita, culturalmente
rilevante o meno, che sappiamo vi si è vissuta.
Nel rispetto della facies storica venuta delineandosi
al momento della riapertura al pubblico della villa,
basata sull’autorità dell’ultimo inventario stilato nel
1911, e ancora oggi valido per stabilire la natura dei
beni assegnati e la loro consistenza3, quelli odierni
della Petraia si propongono quindi come alcuni dei
tanti possibili, perfino infiniti, allestimenti, in una
visione caleidoscopica o stratificata del patrimonio
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LE STANZE DISPARI
materiale, e potremmo dire immateriale del museo, che
nella disposizione definita comprendono l’allusione
al passato e le potenzialità del futuro. Del resto quel
documento di riferimento, redatto in previsione del
passaggio della villa dalla disponibilità dei Savoia al
demanio statale, registrava in dettaglio quale fosse il
suo aspetto generale in date vicine sì alle ultime trasformazioni apportatevi da Vittorio Emanuele II e dai
suoi eredi, ma in una fase in cui in realtà, da vari anni,
questi avevano cessato di frequentarla. Fin da subito
perciò quell’inventario non è apparso significativo né
vincolante per la sistemazione di quasi tutti i dipinti
e di numerosi soprammobili, alla scadenza dell’11
concentrati in pochi vani, immagazzinati in aree di
deposito e nei sotterranei. Altro margine per una
personale interpretazione degli allestimenti da parte
dei direttori del museo che si sono succeduti è dipeso
dall’esclusione dal percorso di visita monumentale
delle sale destinate ai custodi, alla caffetteria e più
genericamente a locali di servizio, con la conseguente
necessità di ridistribuire altrove i beni lì segnalati.
È stato comprensibilmente affermato che stante la
forte connotazione ottocentesca raggiunta dalla villa
al tempo di Firenze Capitale, fosse astorico tentare
qualunque ricostruzione degli spazi in chiave medicea.
Non credo di sbagliare se ipotizzo che alla base di questa affermazione vi fosse l’applicazione di un rigoroso
punto di vista critico ma anche l’influenza di fattori
estranei alla riflessione teorica, come la resistenza a
riportare in periferia beni che, per ragioni di sicurezza
o per un processo centripeto avviato addirittura in
fase lorenese, erano stati convogliati verso i musei
e i depositi cittadini; movimento invertitosi negli
ultimi decenni, perché si è avvertita l’opportunità,
contraria, di ridare consistenza ad un patrimonio
culturale diffuso e diversamente distribuito. Non
escludo neppure che quel giudizio, che implicava
una difficile conciliabilità tra eredità sabaude e opere
di periodi precedenti, possa essersi affievolito per un
graduale mutamento del gusto estetico; il tempo, si
dice, sfuma e ammorbidisce i contrasti; la cultura
ottocentesca ha goduto di una piena riabilitazione e
la contaminazione tra epoche poste finalmente sullo
LE STANZE DISPARI
stesso piano in una scala ipotetica di valori è divenuta
sempre più accettabile.
D’altronde se la “montatura”4 degli appartamenti fu
progettata per l’arrivo di Vittorio Emanuele nel 1860,
l’inventario dell’11 permette di appurare che non vi
furono portati dipinti del XIX secolo, riconducendosi
piuttosto, tutti quelli presenti, al patrimonio dei Medici e dei primi Lorena. Lo stesso può dirsi per i nuovi
arrivi registrabili nel Novecento. Così è ad esempio
per le tele seicentesche con soggetti tratti dall’Ariosto
e dal Tasso giunte a Petraia nel 1929 ed esposte nella
Sala dei Giochi. Provenienti dal Casino Mediceo,
quando quell’edificio venne adibito a sede della Corte
d’Appello, costituiscono un risarcimento, ignoriamo
se consapevole o no, a un precedente trasferimento
nei depositi delle Gallerie dei quadri di analogo soggetto collezionati da Don Lorenzo secondo il noto
inventario del 16495. Alla committenza di Cosimo I
e dei suoi eredi risalgono inoltre i bronzi e i marmi
dei giardini di Petraia e di Castello, ritirati dall’esposizione all’aperto, visti i problemi conservativi, e ben
inseriti, almeno per quanto riguarda i due principali
bronzi cinquecenteschi, ovvero la Fiorenza e l’Ercole
e Anteo, negli spazi interni della villa6.
Per certi versi alcuni dei nuovi allestimenti qui descritti
costituiscono un contributo a questo mutamento
d’indirizzo, valorizzando anche in ambienti differenti
dal cortile e dalle cappelle, luoghi da sempre deputati
al riconoscimento dell’identità medicea perché decorati nel XVI e XVII secolo, opere riferibili all’origine
granducale della villa (fig. 3). L’arrivo nel 2012 delle
quattordici lunette attribuite a Giusto Utens ha infatti
posto l’accento su questa appartenenza ed eredità, e
non solo per il soggetto e il loro evidente collegamento
con l’epoca di Ferdinando I, committente della serie
(fig. 2). Presentarle in tre sale del piano terreno ha
comportato infatti l’ulteriore necessità, prima di tutto
pratica, di trovare una diversa collocazione a dipinti
di grandi dimensioni connessi al collezionismo di
Cosimo III, del “Gran Principe” Ferdinando e forse
di Don Lorenzo7; una circostanza che li ha resi più
visibili, variando significativamente la percezione di
una serie di ambienti, in particolare della Sala della
Musica (fig .4), di quella Neoclassica (fig. 5) e delle
cosiddette Sale Verdi (figg. 6, 7), provocando spostamenti aggiuntivi evidenziati nelle varie sezioni di
questo catalogo. Accanto a questa cospicua ‘nuova
accessione’ il riordino dei depositi ha permesso di
estrarre altri pezzi del Sei e del Settecento, di restaurarli e disporli nel circuito di visita.
Non si è tuttavia voluto tradire l’immagine ottocentesca della villa che conta oltre a oggetti di rilievo,
specialmente gli orologi, veri capolavori dell’arte dell’ebanisteria. Per la natura dei beni conservati questo è
avvenuto attraverso minime modifiche; dettagli che
certo è eccessivo definire nuovi allestimenti ma che
credo abbiano comunque inciso nel mutare il quadro
d’insieme. A guidarle non è stato il capriccio, bensì il
desiderio di suggerire nessi, talvolta solo suggestioni,
in una proposta museografica definibile di semplice
arredamento che del resto non possiamo escludere
si fosse verificato in qualche momento nel tempo
sapendo come gli inventari cristallizzino la realtà dei
luoghi con scadenze di anni se non addirittura decenni.
Tra questi ricordo lo spostamento di un calamaio e di
alari neo-egizi, che rispetto alla posizione precedente
meglio corrispondono agli arredi della Sala Gialla disegnati agli inizi dell’Ottocento da Lorenzo Nottolini
e ispirati all’antico Egitto (fig. 8); quello di porcellane
di soggetto galante e settecentesco prelevati dalla
mensola del camino della Sala Blu e posati a riflettersi
nello specchio di una toilette del vicino boudoir dove
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sono raccolti i ritratti a pastello di dame fiorentine
del XVIII secolo (figg. 9, 10); o quello della lucerna
di forma ovaleggiante, perciò poggiata sul piano ovale
dello scrittoio coevo nella Sala Verde Antica, firmato
da Jean-Baptiste Youf, la cui palese derivazione dai
modelli di Percier e Fontaine acquista maggiore eco
anche in affinità con il lampadario bronzeo pendente
dal soffitto (figg. 11, 12, 115-118).
Inoltre a breve, e a conclusione di un complessivo
intervento di manutenzione e restauro, il cosiddetto
Studio del Re, in realtà anticamera degli appartamenti
privati sabaudi che potrebbero opportunamente accogliere una serie lorenese di stampe e opere su carta
con inventario Petraia ma conservate nel Deposito
degli Occhi di Palazzo Pitti, sarà di nuovo accessibile
nell’ambito delle celebrazioni dei 150 anni di Firenze
Capitale.
La presente pubblicazione è stata pensata con le caratteristiche di un diario di lavoro, per dare conto di
queste e altre trasformazioni e dei restauri condotti
negli ultimi anni. Nelle intenzioni doveva proporsi
quale tappa intermedia, in vista della realizzazione
di una guida della villa. Oggi, andando in stampa a
pochi giorni da un avvicendamento alla direzione del
museo, quanto compare in queste pagine suona invece
come un rapporto di fine mandato e un passaggio
di consegne; in attesa che eventualmente in futuro
siano realizzati altri nuovi di tanti possibili, infiniti
allestimenti.