Il maledetto Sessantotto

Transcript

Il maledetto Sessantotto
05_03_Editoriale
14-06-2008
15:44
Pagina 3
Critica Sociale 5/2008
I due Sessantotto
OVEST NON FU CONFLITTO TRA REPRESSIONE E LIBERTÀ, MA TRA LEGALITÀ E SEDIZIONE
Il maledetto Sessantotto
Stefania Craxi
l ’68 è duro a morire. I suoi veleni si sono diffusi come un
cancro nel corpo della società e faticano a uscirne fuori. Eppure bisognerà venirne a capo; se non si riuscirà ad annullare
quei veleni è inutile illudersi: l’Italia non rialzerà la testa, la ripresa non ci sarà, potremo tranquillamente accantonare l’idea di una nuova Italia operosa e ordinata assisa accanto alle
grandi potenze del mondo.
Sarà opportuno ricordare le innovazioni con cui i sessantottini di Francia, e poi d’Italia e di tutto il mondo, intendevano rimediare alla noia di una trentennale stagione di benessere e di piena occupazione.
Il ’68 ha innalzato la bandiera della libertà spingendola oltre ogni principio, fino a sconfinare nell’anarchia. Ha fatto dell’autorità e della gerarchia i suoi nemici principali; dei doveri
il libro delle dimenticanze, dei diritti il programma della vita.
Il dramma del ’68 è quello di essere stato fatto proprio dai
sindacati, dall’immancabile Partito Comunista ed anche, con
poche eccezioni, dalla classe degli intellettuali, con i suoi venerati guru come Jean-Paul Sartre, dando luogo a un movimento che ha investito ogni categoria sociale e si è radicato anche all’interno delle famiglie.
Raymond Aaron, uno dei pochi intellettuali che si oppone
alla marea montante, è appena tornato dall’America. Sollecitato dal filosofo Alexandre Kojève che definisce “ruissellement
de conneric”, un fiume di scempiaggini, le teorie del ’68, Aaron cerca di impedire a partiti, sindacati e intellettuali di cavalcare il movimento. Il conflitto, spiega su “Le Figaro”, non è
tra potere e libertà, tra repressione e giustizia sociale, ma tra
la legalità delle istituzioni democratiche e la sedizione fomentata dal partito comunista. Aaron non è ascoltato. Nel libro
“La rivoluzione introvabile”, spiega tutta la sua delusione: “Come comportarsi in un paese nel quale gloriosi intellettuali si
limitano ad ammirare la distruzione senza concepire un ordi-
I
ne capace di rimpiazzare quello
che si vuole abbattere ? … L’intellighentia più raffinata guardava i film di Godard, leggeva senza capirli gli scritti di Lacan, si
fidava ciecamente della scientificità di Althusser e si richiamava allo strutturalismo di LeviStrauss. Curiosamente, taluni di
questi intellettuali d’avanguardia pretendevano di essere scientifici in etnologia o in economia
e maoisti nell’azione.
Durante il maggio, la scientificità è svanita; in compenso
il culto dell’azione e della rivoluzione culturale è fiorito sotto diverse forme: Sartre e la “Ragion dialettica”, il gruppo in fusione e la folla rivoluzionaria
hanno preso la loro rivincita sulle strutture”.
Ad Aron rispose in malo modo non solo Sartre, che lo accusò di ripetere la vecchia lezione liberale e propose di inibirgli l’insegnamento, ma anche il tuttora venerato Francois Furet che cercò di demolire la tesi di Aron del movimento studentesco manipolato dalle forze rivoluzionarie. La proposta
di Sartre di sbarrare ad Aaron l’insegnamento era tutt’altro che
una minaccia verbale perché in quel momento erano gli studenti a farla da padrone nelle Università. Erano gli studenti che
partecipavano alle nomine degli insegnanti, gli studenti che
facevano gli esami e, in accordo col personale amministrativo, eleggevano gli stessi rappresentanti degli insegnanti.
Ma vediamo le conseguenze della rivoluzione anarchicolibertaria del ’68 sui vari gangli della società. Della scuola già
ho detto e ci tornerò ancora; poi le fabbriche, gli uffici, la giustizia, la famiglia, avvertendo che quasi tutto che si dice per l’una categoria vale anche per le altre.
Nelle fabbriche il ’68 ha portato la follia della crescita zero, l’orario lavorativo di 35 ore, la sindacalizzazione totale del
lavoro. Conseguenze inevitabili: calo delle produttività, impoverimento generale del paese dove la crescita demografica,
l’immigrazione e i nuovi consumi generati dalle scoperte scientifiche richiedono ogni anno nuove disponibilità.
Negli uffici, il ’68 ha portato il crollo dell’autorità, dell’ordine, della gerarchia, l’impunità di chiunque non faccia il suo
dovere. La grande tradizione amministrativa salva la Francia,
ma in Italia il disservizio del pubblico impiego è all’ordine del
giorno.
Nel sistema giustizia le teorie del maggio francese hanno
rafforzato e dato la vittoria alla parte bassa della magistratura
che si batteva contro qualsiasi ordine gerarchico degli uffici.
Tutti i magistrati sono uguali, vecchi e giovani, bravi e somari, attivi e fannulloni e rispondono solo alla legge. Ormai so-
3
05_03_Editoriale
14-06-2008
15:44
Pagina 4
4 I due Sessantotto
no una casta che, accampando ad ogni momento il pretesto dell’indipendenza della magistratura, difende a denti stretti i propri privilegi. Che la giustizia sia in stato comatoso, il più forte freno agli investimenti esteri, interessa a tutti tranne che ai
magistrati. L’esempio di Napoli, con i magistrati compatti a
difendere le proprie prerogative anche contro l’emergenza rifiuti che ha oscurato l’immagine dell’Italia in tutto il mondo
civile, è più che eloquente e getta un’ombra sul senso di responsabilità di tutta la
magistratura.
Per quanto riguarda le
famiglie credo che ogni
parola sia superflua perché non c’è coppia di genitori che non abbia sperimentato la difficoltà di
educare e governare la
propria prole. Il ’68 ha introdotto il giovanilismo,
il giovane che con la semplice nascita acquisisce
una massa di diritti e nessun dovere. Il guaio è che
la teoria, assurda e sballata, ha influenzato, è stata
fatta propria dai genitori
che si sono così privati dei
più elementari strumenti
educativi. I genitori sono
diventati una specie di
“body guard” dei propri figli, coprendone ogni vizio
o capriccio. Hanno rotto
la solidarietà con i professori, subiscono passivamente il degrado educativo. Punire è un dolore non solo per il punito ma anche per chi
è costretto a infliggere la punizione. Il mondo è andato avanti così fino alla rivoluzione del ’68. I genitori devono convincersi che o ripristinano il concetto di autorità o i loro guai non
finiranno mai.
Sulla scuola lascio parlare il Presidente Sarkozy che proprio
della scuola ha fatto il motivo principale della sua “rupture”.
Il ragionamento di Sarkozy è ineccepibile. La scuola, dice,
è il luogo principe dell’emancipazione sociale. E’ lì che il figlio
della banlieu, studiando e imparando, può raggiungere e superare il figlio della buona borghesia che ha frequentato svogliatamente una scuola di livello. E aggiunge, guardiamo alle
conseguenze: il figlio del borghese alla fine se la caverà sempre ma il figlio dei poveri che ha conseguito un titolo di studio sapendo poco o niente è condannato alla disoccupazione
e al radicamento nel degrado della banlieu.
Ecco, lo studio, l’insegnamento. Come è possibile, si chiede il Presidente di Francia, che un dodicenne di cinquant’anni fa sapeva leggere, scrivere e far di conto e oggi, con la scuola dell’obbligo fino a sedici anni, incontriamo semianalfabeti
che fanno errori d’ortografia e tirano fuori la calcolatrice per
fare un’addizione? E arriva a prendersela con Lionel Jospin che
Critica Sociale 5/2008
nel 1989, essendo Ministro dell’Istruzione, ha abolito il sistema sillabico di apprendimento a leggere e scrivere per adottare il sistema intuitivo, la capacità di indovinare la parola seguente per rendere più svelta la lettura e creando ignoranza.
La trasmissione del sapere, ha detto Sarkozy in uno degli
innumerevoli discorsi dedicati all’argomento, è la via maestra
per realizzare la democrazia e riattivare la mobilità sociale,
l’unico modo per integrare i diseredati costretti a vivere nei
ghetti, un mezzo per costruire la cittadinanza reale. E ancora: “Finita la gerarchia, rifiutati i valori, è
scomparsa anche la gerarchia della conoscenza. Se
tutto è cultura, se il disegno di un bambino vale
quanto quello di Michelangelo, se per gli stessi
ispettori scolastici ormai
non c’è più alcuna differenza, in termini di pedagogia dell’apprendimento, tra l’esercitarsi sull’Antigone di Sofocle o sulle
avventure di Harry Potter,
se la lettura di un articolo
di giornale può sostituire
quella di Madame Bovary
perché a nulla serve la cultura e il romanzo dell’ottocento a chi vuole solo
cavarsela nella vita, allora diventa inutile qualsiasi sforzo”.
Potrei continuare, perché sul tema scuola Sarkozy è una valanga. Vuole che si torni a studiare sul serio, rivalutando i metodi di un tempo, selezionando chi può far strada negli studi e chi no, restituendo valore ai titoli di studio, mandando a casa gli svogliati e gli incapaci. Sarkozy lamenta che
in Francia superino la maturità l’80 per cento degli studenti.
In Italia siamo al 97 per cento!
E’ tempo di parlare di noi. Berlusconi ha saputo cogliere al
volo due opportunità che gli si sono offerte: i rifiuti di Napoli e il problema sicurezza. Ha potuto così mollare uno schiaffone al ’68 senza che da noi si alzasse una protesta. Le proteste sono venute da fuori, da una Europa certamente tutt’altro
che monda dai veleni del ’68. Poca roba. Più pesante, anche se
velleitaria, la protesta dei magistrati forti della loro pretesa indipendenza. Il ministro Alfano ha risposto a tono. E’ certo, però, che se si non interviene con riforme profonde e sensate sulla scuola e sulla giustizia il vantaggio acquisito da Berlusconi
svanirà presto e questa non è la volontà degli italiani. Stefania Craxi