IL ROSPO E LA FARFALLA (da Racconti nel vecchio giardino)

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IL ROSPO E LA FARFALLA (da Racconti nel vecchio giardino)
Cascina Macondo
Centro Nazionale per la Promozione della Lettura Creativa ad Alta Voce e Poetica Haiku
Borgata Madonna della Rovere, 4 - 10020 Riva Presso Chieri - Torino - Italy
[email protected] - www.cascinamacondo.com
IL ROSPO E LA FARFALLA
(da Racconti nel vecchio giardino)
di Silvia Perugia
Cascina Macondo - Scritturalia, domenica 18 novembre 2012
Nel vecchio giardino, l’antica fontana era ricoperta da un velluto di erba brunastro
e nella poca acqua della sua vasca marmorea galleggiavano alcune foglie
rinsecchite per il lungo inverno.
Si trovava in quel luogo da centinaia di anni, il suo marmo non era più bianco e
aveva la testa e le braccia usurate dal tempo. La statua era stata testimone di molte
storie accadute nel giardino e ai piccoli animali, che chiamavano la fontana Dea
per il suo aspetto di donna, piaceva ascoltarle.
Era il primo, tiepido sole di marzo, la comunità degli animali del giardino,
malgrado si avvertisse un odore di primavera, non aveva il coraggio di uscire dalle
tane per il sinistro suono che, rimbombante, non prometteva nulla di buono e
spaventava molto: “Tic tac, tic tac.”
Un topolino “Snif, snif” annusando l’aria dalla piccola crepa nel muro di cinta
dove era la sua casa, si fece coraggio e uscì.
Si avvicinò all’enorme cosa che faceva tutto quel rumore “Tic tac, tic tac.” Il
piccolo roditore fece un balzo indietro: quel mostro era molto pericoloso!
“Non aver paura, è soltanto un vecchio orologio a pendolo. Qualcuno lo ha gettato
qui.” disse la fontana al topolino.
“Davvero? A cosa serve?” chiese il roditore.
“Segna il trascorrere del tempo, gli umani non ne possono fare a meno per vivere.
Il vostro tempo è la natura, con le sue stagioni; i suoi colori e i suoi odori sono
una guida per il vostro istinto e questo permette la conservazione della specie. A
questo proposito mi viene in mente una storia accaduta tanto tempo fa.” disse Dea
e raccontò:
In uno stagno, al di là del muro, una farfalla si dibatteva, prigioniera di un retino
da pesca, cercando invano di liberarsi. Un rospo, saltando qua e là, andò a sbattere
con le sue zampe sul manico del retino che si alzò da terra e permise alla farfalla
di volare via.
“Grazie! Grazie!” disse la farfalla al rospo, che non si era nemmeno reso conto
della sua eroica impresa.
“Come mai sei finita là dentro?” chiese il verde animale.
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“Stavo volando insieme ad alcune mie sorelle quando, improvvisamente, qualcosa
mi ha imprigionato e non sono più riuscita a liberarmi.” rispose la farfalla, che si
mise a svolazzare attorno al rospo come se fosse un profumato fiore.
“Vivi qui? Come mai?” chiese il leggiadro animale al rospo.
“Ci sono nato e anche mio padre e mio nonno, e ancora prima il loro nonno, tutti
siamo nati e vissuti nello stagno, l’acqua ci serve per vivere.”
I due animali, così diversi fra loro, trascorsero il tempo raccontandosi dei loro
passati: la farfalla venne a sapere che i figli dei rospi si chiamano girini e quando
nascono sono quasi invisibili nell’acqua dello stagno. Il rospo mai avrebbe
immaginato che un animale strisciante come il bruco si chiudesse in un bozzolo
per poi diventare una farfalla e volare. Quanto avrebbe voluto farlo anche lui! Dal
basso e umido della sua esistenza questo, ne era consapevole, era solo un sogno
irrealizzabile! La farfalla, certa di aver trovato un amico, confidò al rospo che
l’ammirava per la sua mole e che avrebbe voluto essere grossa e potente come lui
per potersi difendere dai suoi nemici.
La giornata trascorreva lieta: mentre la farfalla gli svolazzava attorno disegnando
nell’aria cuori impalpabili, il rospo saltellava da una parte all’altra dello stagno,
cercando di trasformare le sue goffe movenze in un armonioso balletto.
Era quasi il tramonto, la farfalla e il rospo capirono di amarsi.
I due si salutarono e, non volendo rinunciare al loro amore, decisero di vedersi
presso lo stagno il giorno dopo; nel frattempo, avrebbero informato le famiglie sul
desiderio di stare insieme e di sposarsi.
Successe il finimondo! Tutto il mondo delle farfalle si scandalizzò: una farfalla
che sposa un rospo?
Non era mai successo! Era dal giorno della Creazione che due differenti specie
non potevano generare una discendenza! Non era mai successo! La farfalla,
avvilita da tutti quei rimproveri, stava rintanata in un angolino buio, riflettendo se
rinunciare o no al suo grande amore.
Anche il rospo aveva comunicato ai suoi parenti la decisione di voler sposare la
farfalla.
I più piccoli, suoi fratelli, contenti che un così bel animale come la farfalla
entrasse a far parte della famiglia, iniziarono a gracidare in coro. I vecchi, saggi
rospi li zittirono sdegnati. Come facevano a non capire che non era possibile che
un rospo sposasse una farfalla di natura molto diversa da loro? No, non era
possibile quell’unione! Sentenza definitiva che il rospo non si sentiva di accettare,
anche se, in cuor suo, sapeva che era giusta.
Un vecchio detto umano dice: “La notte porta consiglio”, ma non lo portò ai due
innamorati.
La mattina dopo, la farfalla e il rospo si incontrarono allo stagno e decisero che
non si sarebbero lasciati, ma fuggiti e amati per tutta la vita.
Cercarono un luogo dove rifugiarsi. La luna piena illuminava la notte quando
arrivarono nel giardino. L’alto muro di recinzione, i fiori splendidi e l’acqua della
fontana provvidero ai loro bisogni, nascondendoli al mondo esterno.
Il tempo scorreva “Tic tac, tic tac”, la farfalla volava da un fiore all’altro e il rospo
si beava della fresca e pulita acqua che sgorgava incessantemente dalla fontana.
“Tic tac, tic tac”, trascorse la primavera e l’estate.
Al piccolo e verde animale la Natura aveva donato più stagioni da vivere e per lui
fu doloroso vedere la farfalla morente, con le ali di un colore indefinibile
racchiuse attorno al corpicino, rifugiarsi fra le sue zampe per donargli l’ultimo
respiro.
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La farfalla, fra le foglie ingiallite, fu portata via dal primo vento d’Autunno e,
mentre volteggiava leggera nell’aria, al rospo sembrò di vederla ancora volare.
Il rospo non andò via dal giardino, visse con il ricordo della sua amata farfalla,
fino a quando, dopo aver vissuto tutte le sue stagioni, il sonno della morte lo
colse.
Fine
Cascina Macondo
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