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Commentary, 31 agosto 2015
PECHINO E TOKYO, UN DESTINO INCROCIATO
GIULIA POMPILI
N
©ISPI2015
on è soltanto una questione di numeri e listini,
di matematica e azzardi finanziari. Il crollo
della borsa cinese è uno shock globale che rischia di essere distorto dalla lente monocromatica
dell'Occidente. A determinare i rapporti internazionali, in
Asia, non sono soltanto le borse e l'interdipendenza
economica tra i Paesi, specialmente quelli più industrializzati e aperti alla globalizzazione. Sono i fantasmi del
passato, le ombre lunghe della Seconda guerra mondiale
e del dopoguerra a svolgere un ruolo chiave tra i vari attori dello scenario del Pacifico, in particolare Cina,
Giappone, Corea del Sud.
La crisi dell'economia cinese non poteva arrivare in
momento più complicato. Quest'anno cade il settantesimo anniversario dalla fine della Seconda guerra mondiale, con la resa del Giappone e la liberazione di molti
paesi occupati dall'esercito imperiale di Tokyo. Le celebrazioni, come sempre accade nei luoghi dove il passato
è l'identità stessa di una nazione, sono cariche di significati propagandistici e messaggi inespressi. La parata militare del 3 settembre prossimo a Pechino sarà un momento cruciale: essere tra gli ospiti d'onore equivale a
scegliere da che parte stare. Per spiegare le conseguenze
geopolitiche della crisi cinese nell'area del Pacifico, è
necessario ricordare la turbolenta storia delle relazioni tra
i due attori principali dell'area.
Il 14 agosto scorso il premier giapponese Shinzo Abe ha
pronunciato il tradizionale discorsosulla resa di Tokyo.
Ha iniziato da lontano, ricostruendo il rapporto con le
colonie asiatiche degli stati occidentali durante il XIX
secolo, e poi la Grande Guerra, la crisi e l'isolamento, di
nuovo una guerra mondiale. Le bombe atomiche. Da
settant'anni, a ogni anniversario, Pechino e Seul chiedono
al Giappone le scuse formali per i crimini commessi durante la guerra. Ma Shinzo Abe quest'anno ha voluto
mettere un punto: non si può chiedere alle generazioni
future, che non hanno niente a che fare con quel periodo
della storia, di scusarsi per sempre, per crimini che non
hanno commesso. Cina e Corea del Sud hanno reagito
con prevedibile indignazione, un idem sentire che si ripercuote anche sulla stabilità della regione. Subito dopo
l'armistizio del 1953 la Corea del Sud divenne de facto un
protettorato americano (tanto che le basi militari statunitensi si spingono fin dentro la capitale, Seul). Alla Cina
Giulia Pompili, giornalista de Il Foglio
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Le opinioni espresse sono strettamente personali e non riflettono necessariamente le posizioni dell’ISPI.
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venne dato il ruolo di cane da guardia della Corea del
Nord, uno dei paesi più inaccessibili (e imprevedibili) del
mondo. Ma negli ultimi anni stiamo assistendo a un
riavvicinamento tra Pechino e Seul in chiave anti giapponese.
normalizzazione (1970) fino all'inizio del Ventunesimo
secolo, il rapporto del Giappone con la Cina è stato guidato più dalle eredità del passato e dalla necessità di una
riconciliazione del Dopoguerra che dalle logiche della
geopolitica». E infatti parte della riconciliazione passò
attraverso lo stretto legame economico tra i due paesi.
Nel 2013 il boicottaggio sostenuto implicitamente dal
governo di Pechino nei confronti delle aziende giapponesi diede un duro colpo all'economia traballante di Tokyo. Due anni prima la Cina aveva superato il Giappone
ed era diventata la più grande economia del mondo dopo
l'America. Nell'ultimo numero della Nikkei Asian Review - il settimanale giapponese che fa parte del gruppo
editoriale che ha acquistato il Financial Times - l'economista Yoichi Takita scrive che «di fronte alla crisi cinese è essenziale la cooperazione internazionale». Il 20%
dell'export giapponese è diretto in Cina. Apertura. Riconciliazione. Interessi comuni. Business. Politica. Stabilità. Dietro ognuna di queste parole si celano le ragioni
per cui la classe dirigente di Tokyo ricorda a Pechino che
per decenni gli aiuti economici nipponici alla Cina contribuirono all'apertura del paese al mercato globale. Gli
interessi legano inesorabilmente il destino di Pechino e
Tokyo, è meglio per tutti che i fantasmi riposino in pace.
©ISPI2015
Possono eventi di settant'anni fa influenzare ancora la
politica e l'economia di un'intera regione? Nel dicembre
del 2013 la crisi per le isole contese chiamate Senkaku
dal Giappone e Diaoyu dalla Cina riempiva telegiornali e
quotidiani, iniziata dalla provocazione di un peschereccio
cinese contro la Guardia costiera giapponese. Per mandare un messaggio chiaro alla Cina, Shinzo Abe andò di
persona a visitare il controverso santuario scintoista
Yasukuni di Tokyo, come aveva fatto il suo mentore politico, Junichiro Koizumi, nel 2001. Lo Yasukuni, il
santuario dedicato alle vittime della guerra, ma che ospita
anche le anime di 14 criminali di guerra giapponesi, nel
corso degli anni è divenuto il simbolo dei numerosi interessi domestici giapponesi che influenzano il complicato rapporto del paese con la Cina - spiega nel saggio Intimate Rivals. Japanese domestic politics and a
rising China Sheila A. Smith, Senior Fellow di Studi
giapponesi al Council on Foreign Relations: «Dalla
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