pROJECTrING #07 - Parliamo Di Videogiochi

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pROJECTrING #07 - Parliamo Di Videogiochi
pROJECTrING
GESTALT 2.0
rUBRICHE
mE nINTENDO
tESORI sEPOLTI
Valkyrie Profile
pEOPLE
Ron Gilbert
!sPOILER!
Final Fantasy XII
iL dAVIDE
Il Davide Sette
fRAMES
Il Videogioco è idrofobo?
Il gioco del giudizio
Apodiasi del filodasto
iNDEPTH
VERSUS. Legend of
Zelda: The Wind Waker
.28
.30
0
.34
.37
.40
.00
.03
.04
.06
.00
Rygar
.08
.00
.14
.15
Zelda Oracle of Ages/
Seasons
Time Splitters 2
Radiant Silvergun
Cannon Spike
Eye Toy: Play
Xenosaga
.16
.17
.19
.22
.23
.25
rECENSIONI
Silent Hill 3
aGOSTO2003
GESTALT 2.0_________________________________
[Cover Story]
::sOMMARIO::
Il crepuscolo degli dei
_____________________ #07
Ring non va
mai a dormire
se prima non
ha almeno cercato di demolire un mito. In
questo caso
l’ultimo Zelda.
Riuscirà Satorman, il supereroe di voi giovani, a contr obattere alle accuse del malvagio
Evil Cryu e dei suoi alleati matusa
e governi? La risposta a p agina 8.
Percezione variabile.
Il VG è anche questo.
Propagatosi come germe inarrestabile, il VG
si è imposto all’attenzione dei mass media
come un costoso, ricercato, complesso e asocializzante spreco di tempo. Sappiamo che è
così, ma facciamo spallucce.
Gli studi, un tempo, hanno dimostrato come
la prassi videoludica comprometta in concreto
la nostra comprensione del reale, frastornando
l’utente con possibilità impossibili, confondenLa cover è di
done i valori effettivi, amplificando e disto rFrancesco Bicci
cendo i messaggi. E rende pure ciechi, come
le seghe.
Gli studi, oggi, dimostrano che il videogioco concorre allo sviluppo accelerato di certi percorsi mentali laterali/latenti, favorisce l’associazione di idee e
aumenta la rapidità delle reazioni agli stimoli visivi. Roba da mandare a farsi
fottere le distanze di sicurezza in auto.
Gli studi, un giorno, dimostreranno che il VG è un musica numerica, una
pratica da pederasti coprofagi e che é anche la reincarnazione di Hitler.
Gli studi sono un po’ stronzate.
Il VG è indubbiamente un’occasione molteplice nella quale intervengono
numerosi fattori, ognuno capace di variare la resa finale dell’opera: un g ameplay deficitario porta inevitabilmente ad un cattiva lettura del testo ludico
con susseguente scazzo dell’utente. Ci sono opere con altissime componenti
espressive, in grado di stimolarti a livello intellettuale, emotivo o estetico. Il
VG, nel momento in cui ne raccogli gli input, diventa anche un riflesso del
Contesto Esterno, del Maestro di Giochi e del Giocatore; un GTA non nasce
per caso, non senza una precisa collocazione socio-culturale, una solida base
di sana repressione morale e violenza sopita. Ahhh, che bello spaccar teste!
Scrive l’amico Ruffino:
“Dovete sapere che l'atteggiamento tenuto dalle scimmie nel risolvere un problema,
come quello di raggiungere una banana troppo lontana, è drammaticamente simile a
quello di un videogiocatore di fronte ad un dilemma in stile Zelda/Monkey Island.
Si può dunque dire, parafrasando Kohler, che le scimmie/i videogiocatori percepiscono
una Forma "imperfetta" in cui gli elementi che ne compongono la struttura sono sep arati tra loro e solo attraverso una sorta di illuminazione, un'eureka che Kohler chiama
I nsight, si ha la percezione della Forma "buona" (cioè “integra”) e si capisce d'un colpo
la soluzione al problema.”
Ebbene sì, il VG è l’anello mancante fra Uomo e Scimmia. L’avresti mai
detto?
Visione d’insieme, si chiama. Ma l’amico continua:
“Ecco un breve parallelismo tra il comportamento delle scimmie e quello dei videogiocatori:
1) Appena la scimmia vede la banana, cerca di raggiungerla allungando
il braccio. Non ci arriva, ma non ci può credere, non si dà pace. E qui è come di fronte
ad un tipico enigma videoludico, all'inizio si prova con le maniere più ovvie e se non
funzionano si ritenta anche se già si è visto che non funziona.
2) La scimmia, dopo essersi slogata un braccio, si incazza e morde i ferri della gabbia. Proprio come in uno Zelda, in cui si prendono a spadate gli ostacoli, pur sapendo
che non servirà.
3) La scimmia fa finta che non gliene frega più niente, tipo "la volpe e l'uva". Si allontana, neanche guarda più la banana. Proprio come di fronte ad un enigma che non
riusciamo a risolvere tendiamo a lasciar perdere, a farci un giro, ad uscire e rientrare
dalla stanza.
4) Insight! La scimmia riconsidera gli elementi della struttura problemica sotto una
luce inusuale: le casse possono essere usate come gradini, il bastone come prolungamento del braccio. E qui non c'è bisogno di illustrare gli infiniti collegamenti con gli enigmi di molti VG...
La Natura riflette il videogioco. O forse è il contrario. E adesso te ne stai lí,
un po’ perplesso, tu che sei un Primate Tecnoludico e ti chiedi cosa diavolo
voglia significare questo articolo.
Sono solo pezzi, caro mio. La Visione D’Insieme è compito tuo cosí come
nel VG spetta al lettore l’interpretazione del testo ludico.
Aspettiamo dunque l’Insight…
Nel frattempo, una vicendevole spulciata non sarebbe un’idea cattiva.
Nemesis Divina
:FRAMES:
Ring#07
iL vIDEOGIOCO è iDROFOBO? _______________________
[L’acqua come tomba del gameplay]
di Cristiano Bonora
È quasi un teorema.
Il videogioco se la cava benone finché
relega l’acqua a un ruolo decorativo (Onimusha 2).
Il videogioco resiste finché galleggia
in superficie, meglio se a bordo di qualche roboante veicolo a motore (Wave
Race).
Ma quando c’è da immergersi nelle
gelide acque digitali, il v ideogioco affo nda. Inesorabilmente.
Perché qualsiasi gameplay pare s ubire
una picchiata di godibilità ogni qualvolta
il contesto di gioco presenti una situazione subacquea?
_______________Ecco
Defender of the Future
the
Dolphin
In particolare il secondo e il terzo epis odio della serie, nelle sezioni sommerse,
soffrono le problematiche espresse nei
punti 1 e 4.
Il naturalistico adventure di Sega si emancipa dai difetti evidenziati nei punti
2 e 3, pagando dazio però per quelli d escritti nei punti 4 e 1.
2 – Per ragioni di realismo i movimenti
dell’alter ego vengono di norma rallentati e/o ostacolati, a simulare la resistenza opposta d all’acqua all’incedere del personaggio controllato. Questo
provoca un abbas samento del ritmo di
gioco, molto spesso a danno del p otenziale ricreativo del gameplay.
3 – Immergere nell’acqua un s istema di
gioco concepito per “l’asciutto” comporta generalmente la completa riconsiderazione delle sue meccaniche,
spesso con esiti non soddisfacenti. Il
caso simbolo è dato da Devil May
Cry, il cui livello subacqueo ne stravolge il sistema di gioco, proponendo
una visuale in prima persona e un
ventaglio di a tt a c c hi effettuabili assai
ridimensionato.
4 – L’ambientazione subacquea i mpone
scelte cromatiche limitate. Le s ezioni
sommerse propongono nella maggior
parte dei casi videate circ oscritte a
varie sfumature di blu, verde e grigio,
caratterizzando eventualmente l’immagine con effetti di blur o distorsione. Nel più delle volte il risultato è v isivamente stancante, estetic amente
noioso. Esplorare microcosmi digitali
ancorati sulle stesse tinte è stucchevole a prescindere dalle potenzialità
del gameplay che in essi si esprime.
Richiamando alla mente i videogiochi
subacquei o con sezioni subac quee più
recenti e/o conosciuti è possibile riscontrare in ciascuno di essi uno o più di
questi problemi :
________Zelda: the Ocarina of Time
________________Kingdom Hearts
Risposta in quattro tempi:
1 – Nei sistemi di gioco in 3D free roaming le sezioni subacquee consentono
totale libertà di movimento lungo i tre
assi cartesiani. Ciò espone il gameplay
al rischio di dispersività. Discriminante
diventa il fattore level design, assai
raramente all’altezza della situazione.
I noltre l’implementazione di una regia
virtuale non ottimale può esasperare il
rischio dispersività, aggiungendo un
ulteriore fattore di disorientamento.
___________________Tomb Raider
Ebbene sì, anche Zelda è idrorepellente.
Il lentissimo dungeon sommerso costituisce la sezione meno appagante dell’
intero Ocarina of Time (punti 2 e 4).
Nel mondo di Atlantica l’RPG nato dalla
collaborazione Square- Disney soffre di
quanto espresso nei punti 1 e 4.
~ L’eccezione ~
___________Super Mario Sunshine
______________Metal Gear Solid 2:
Sons of Liberty
La sezione per raggiungere il laboratorio
di Emma non brilla per godibilità del
gameplay (punto 3). Se solo Kojima avesse fatto in tempo ad includere gli
squali da lui paventati nel corso di
un’intervista forse le cose sarebbero a ndate meglio.
È poi interessante ricordare che Kojima aveva inizialmente previsto una fase
di gioco in cui Snake fuggiva dal Tanker
mentre l’acqua ne invadeva le strutture
(vedi foto). Una volta ultimata tale s equenza, Kojima ritenne che, per quanto
spettacolare, non fosse affatto divertente, e non la incluse nel gioco finale.
__________________Metroid Prime
Anche il capolavoro Retro Studios mostra il fianco al punto 2, quando la res istenza dell’acqua infastidisce l’azione di
salto, decretando la ripetizione di lunghe
fasi di risalita (almeno finché non si o ttiene la Tuta Gravità).
________________________Primal
Nei mondi di Aquis e Aetha il d is c u s s o
titolo di Studio Cambridge risulta inficiato da tutte le problematiche descritte nei
punti 1, 2, 3 e 4.
3
Alla luce delle considerazioni sopra esposte risulta del tutto comprens ibile la
scelta operata da Miyamoto in Super
Mario Sunshine – il gioco dell’acqua
per eccellenza – nel quale le sezioni i nteramente subac quee sono ridotte al
minimo, a favore di più stuzzicanti livelli
a pelo d’acqua, in cui l’elemento l iquido
costituisce uno strumento del g ameplay
o coinvolge una porzione del level design, ma mai la sua totalità.
In definitiva, bagnarsi in un videogioco non è mai stato bello come nei panni
di Super Mario, non per niente un idraul i c o.
[Ring è] Indepth!
«[La telecamera virtuale] all'inizio
la consideravo oscena. Imbarazzante davvero. Poi ho capito che la
telecamera in Super Mario Sunshine non c'è, perlomeno quella
automatica. Bisogna fare tutto da
soli, anche la regia, fa parte del
gioco.»
«Come no. Stavo proprio pensando
che la mancanza di cose da fare in
Primal fosse strumentale al senso
di oblio che gli Oltremondi devono
rappresentare.»
Botta e risposta tra Cristiano Bonora e Nemesis Divina.
Live from Ring forum!
:FRAMES:
Ring#07
iL gIOCO dEL gIUDIZIO____________________________
[Il videogioco come medium meritocratico]
di Cristiano Bonora
“Vaffanculo agli Action Replay, ai Game Shark e a tutti quei dildo
videoludici che servono a fottere la CPU. Se non si hanno le palle per
giocare, meglio guardare la TV. È lì per quello...”
Max Marino
Chi se lo merita va avanti. Level
up. Loading next stage.
Chi non se lo merita ricomincia
da capo. Game Over. Press start
button to try again.
Chi sa fa. Chi fa va avanti.
Il videogioco non lo i mbrogli. Non
puoi andare avanti facendo finta di
aver capito.
Il videogioco non è un l ibro. Puoi
terminare la lettura della Divina
Commedia senza aver colto il senso
di uno solo delle migliaia di versi di
cui si compone. Ma in Super Mario
Sunshine se non sai padroneggiare l’innaffiaggeggio non ottieni
neppure una shine. Perché non te
la meriti quella stellina dorata, luminosa e sorridente.
Il videogioco non è la scuola
dell’obbligo. Il videogioco non promuove tutti.
Il videogioco non sente ragioni
né giustificazioni: non c’è influenza,
giornata storta o compleanno che
tenga.
Chi sa fa. Chi fa va avanti.
Il videogioco ti mette alla prova.
Il testo videoludico non si lascia leggere senza che il suo lettore
dimostri di sapere (fare) qualcosa.
municazione dei messaggi del VG
(di cui anche la narrazione è responsabile), dipende dalla spontanea dedizione del giocatore. I contenuti del videogioco non sono i mmediati, alla mercé del giocatore/
lettore. Esigono dei requisiti (ma si
badi, non dei pre-requisiti). La difficoltà del videogioco è la difficoltà di
ottenere questi requisiti. E ottenere
questi requisiti è parte intima del
videogioco e del videogiocare.
In Crazy Taxi la natura meritocratica
del videogioco si esplicita nella valutazione che si riceve al termine della partita. Essere valutati class S driver è davvero una bella soddisfazione.
Senza difficoltà non c'è sfida.
Senza sfida non c'è videogioco. La
difficoltà, come l'interazione, è una
delle cifre d istintive del videogioco.
È forse questo un limite del videogioco e del suo potenziale mediatico? Affatto, è una garanzia:
•
Garanzia per il videogioco:
Il gioco si lascia giocare solo da coloro per cui è stato pensato. C oloro
che se lo meritano.
Ikaruga: bello e impossibile. Il gioco
più stylish e difficile al mondo è il titolo
prediletto della redazione di Ring.
L’acquisizione di una competenza
specifica come requisito per la lettura di un testo non è necessariamente una prerogativa del videogioco. Tutti i testi specialistici sono
incomprensibili ai non addetti. A
differenza di questi, però, il videogioco fornisce tutti gli strumenti
necessari al suo completamento.
Il videogioco non è un cruciverba. Non è un quiz televisivo. Il videogioco contiene in se stesso tutte
le informazioni necessarie alla sua
risoluzione.
Tuttavia, tale risoluzione, la quale si accompagna alla completa co-
•
Garanzia per il giocatore:
Solo chi vuole davvero giocare tutto il gioco lo giocherà fino in fondo.
Gli altri saranno cautelati dal rischio
di annoiarsi con un gioco che non li
appassiona o non possono comprendere.
•
Garanzia per la storia che il
videogioco racconta:
La storia si lascia leggere solo da
coloro per cui è stata pensata. C oloro che se la meritano.
•
Garanzia per il lettore della
storia:
Solo chi vuole davvero conoscere
tutta la storia ne leggerà la fine. Gli
altri saranno cautelati dal r ischio di
annoiarsi con una narrazione che
4
non li appassiona o non possono
comprendere.
Inoltre il racconto ludico 1, che
si compone di tutte le azioni compiute dal giocatore per portare al
termine un gioco, si scrive giocando. E non può essere letto se non
nel momento in cui è scritto dal
giocatore. Sarebbe pertanto impossibile che un giocatore immeritevole fruisse di un racconto ludico
meritevole, giacché non sarebbe in
grado di scriverlo.
Il game designer, autore del videogioco (ovvero del testo videoludico, non del racconto), stabilisce un livello di difficoltà per definire i requisiti minimi di dignità del
racconto ludico che il giocatore
scriverà giocando. Perlomeno di
quel racconto ludico che si concluderà con il finale del gioco, cioè
quel racconto ludico la cui conclusione coincide con la conclusione
del testo videoludico.
Quello della dignità del racconto
ludico è un aspetto spesso sottovalutato. Di che valore è il racconto ludico di un action game terminabile semplicemente premendo i
pulsanti di fuoco a casaccio ( Devil
May Cry 2)?
Assai più sofisticato, sorprendente e avvincente è il racconto ludico di un action game che impone al
giocatore/scrittore/lettore acrobazie
e numeri circensi ( Devil May Cry);
pena il non completamento del gioco. Pena l’interruzione della stesura
del racconto ludico e della lettura
di entrambi il racconto e il testo
videoludico. Ma si badi: non della
stesura del testo videoludico, già
scritto e compiuto nella propria
strutturale apertura a infiniti racconti, e che si vieta a una completa lettura nel momento in cui questa non è accompagnata dalla stesura di un racconto ludico sufficientemente degno.
Infatti, scrivere un racconto ludico indegno significa non sfruttare
a dovere le possibilità offerte dal
testo videoludico. Significa giocare male. Sprecando il videogioco,
oltre che il proprio tempo. Per cui è
giusto che il gioco si opponga al
suo stesso spreco, difendendosi a
colpi di game over.
:FRAMES:
Pikmin contraddice parzialmente la natura meritocratica del videogioco. Per
terminare l’avventura, infatti, non è indispensabile recuperare tutti i pezzi dell’astronave del Capitano Olimar. Tuttavia,
qualora il giocatore ci riesca, sarà premiato con un finale migliore.
Scrivere un racconto ludico degno presuppone l’acquisizione di
una certa comprensione del testo
videoludico: del suo sistema di
controllo, del suo gameplay in g enerale.
Il game designer decide il l ivello
di comprensione necessario per
leggere l'ultima pagina del suo t esto. Un potere apparentemente t irannico, esclusivista, e ppur logico e
legittimo. Dopotutto, che senso avrebbe per un letterato leggere un
manuale di 500 pagine di fisica
quantistica? Non ne capirebbe nulla, farebbe bene a fermarsi a pagina 10. Parallelamente, che cosa
capirebbe vostra madre assistendo
a una sessione di gioco a Final
Fantasy X? Non ne capirebbe nulla, perché non possiede le competenze necessarie. Esattamente c ome il letterato alle prese con le teorie subatomiche.
Solo chi si dedica al gioco, acquisendo coscienza del testo videoludico, può effettivamente capire
ciò che compare sul video.
Forza del videogioco è anche
quella di essere allo stesso tempo
testo e manuale di se stesso. Giocando si fruisce del gioco (divertendosi, scoprendo una storia, ecc.)
e al contempo si impara a giocare
meglio (memorizzando i pattern
secondo cui si presentano gli avversari, scoprendo le v arie funzioni
delle armi, ecc.).
Al contrario, non si può fruire r ealmente di un manuale di fisica
quantistica senza previo possesso
delle specifiche nozioni della materia.
Assai diverso è il d iscorso circa i
contenuti extra-ludici del VG
moderno, soprattutto per quanto
concerne la materia narrativa. La
piena comprensione di questi tratti
del testo videoludico, se di spessore, abbisogna della stessa preparazione culturale che si renderebbe
Ring#07
necessaria per decifrare i contenuti
di un romanzo, di un film o di
un’opera teatrale. Una preparazione che il videogioco non può e non
vuole fornire.
Ciononostante, il game designer
può stabilire che uno specifico contenuto extra-ludico (il filmato finale del gioco, ad esempio) merita
di essere decifrato solo da chi ha
saputo acquisire una certa competenza ludica.
Esistono poi innumerevoli casi in
cui la dimostrazione di una certa
competenza ludica è premiata
con dei contenuti ludici aggiuntivi
(Sega Rally ), e rari casi in cui la
dimostrazione di una certa competenza extra-ludica è premiata con
un contenuto extra-ludico particolare (Silent Hill 2).
Grande VG è quello con r ichieste
altissime in termini di difficoltà, ma
che al tempo stesso sa sempre fornire al giocatore gli str umenti e gli
stimoli per andare avanti, senza
frustrazione. Fino alla degustazione
del meritato finale, giusta ricompensa per la scrittura di un superbo
racconto ludico.
Tuttavia...
In una società in cui tutti vogliono guadagnare, ma non necessariamente lavorando...
In una società in cui tutti esigono
il diritto di iscriversi all'università
ma nessuno sente il dovere di laurearsi, perlomeno in tempi dignitosi...
In una società in cui tutti vogliono vincere, ma possibilmente senza
sudare...
In una società come questa, la
natura intrinsecamente meritocratica del videogioco dà fastidio.
L'acquisto di una copia del gioco
(poco importa se originale o pirata)
è considerato un merito già sufficiente per viverlo tutto d'un fiato,
senza intoppi.
Eppure a noi piace pensare a un
videogioco, giudice supremo e i mparziale, che resiste alle raccomandazioni, alle agevolazioni, alle
“buone parole”. Un giudice, un po’
maestro e un po’ papà, che ti premia quando meriti di essere premiato, e ti condanna (ma solo al
game over. Press start button to
try again) quando meriti di essere
condannato.
E non c’è legittimo sospetto che
tenga. Perché il VG, il buon VG, ha
sempre ragione, è sempre giusto,
ed è incorruttibile.
Per il figlio del politico più influente d'Italia, terminare Ikaruga
non è più facile che per il figlio di
un muratore di Pavia.
Tra dieci anni il figlio del politico
avrà assicurati una professione
redditizia, una macchina da sogno,
donne a profusione e tutte le console del pianeta ammassate in un
angolo della sua reggia. Ma sprofondato nell'indolenza dei suoi vizi
rimarrà tutta la vita senza sapere
come finisce Ikaruga. Fallito.
Fuori dalla finestra del suo ufficio, al decimo piano di un palazzo
in Piazza del Duomo a Milano, un
giorno farà capolino un lavavetri
pavese, appeso a un paio di carrucole cigolanti, con le mani screpolate, i jeans rattoppati e una Fiat Uno
di seconda mano parcheggiata a
due chilometri di distanza.
Il lavavetri fischietta, sicuro del
suo nulla. E della perfect play a Ikaruga che dieci anni prima lo ha
fatto grande.
_____________________Nota
[1] Cfr. IVAN FULCO, Lo zero ludico
– Decostruzione del videogioco e
fondamenti della pulsione ludica,
saggio
raccolto
in:
MATTEO
BITTANTI (a cura di), Per una cultura dei videogames - Teorie e
prassi del videogiocare, Unicopli,
Milano, 2002 (recensito su Ring
#4).
[Ring è] Pragmatica
Per assistere al (solo?) finale pos itivo di
Silent Hill 2 è necessario dimostrare di
aver compreso e interpretato adeguat amente i suoi conten uti extra-ludici .
Indipendentemente dall’abilità dimostrata con il pad, il gioco premia la deduzione anticipata di ciò che la storia svelerà
solo in seguito. I giocatori che colgono
sin dal principio l'inconsistenza del personaggio di Maria, frutto dell’immaginazione corrotta di James, ne eviteranno la
compagnia, preservando la coscienza del
protagonista dalla completa dissoluzione.
5
«Prendere in considerazione (un
gioco) non significa comprarlo, s ignifica che la prossima volta che
vado in negozio prendo in mano la
scatola, me la guardo e, accarezzandomi il pizzetto, dico: umh. Poi
faccio "quanto costa?" al negoziante indaffarato, mi fingo interessato
e lo ripongo. Questo è prendere in
considerazione.»
Paolo Jumpman Ruffino, in risposta a chi aveva biasimato il suo
proposito di prendere in considerazione l’acquisto di P.N.03.
:FRAMES:
Ring#07
aPODIASI dEL fILODASTO_____________________________
[L’intervispa]
di Amano76
Ring intervista Ugo Magelli,
psicologo italiano che in
questi giorni pubblica il suo
libro: Apodiasi del filodasto, un parere assennato
sul medium videoludico,
frutto di dieci anni di sedute, interviste, e documentazione.
Ring: Buongiorno.
Ugo Magelli: Buongiorno. (sorride
scocciato)
Lo studio di Magelli trabocca di facsimili di opere d'arte (L'urlo di
Munch, Guernica di Picasso, Monnalisa di Da Vinci) e di un odore di
tabacco che impregna tutti i divani.
Quando la segretaria ci lascia entrare, l'atipico psicologo resta dietro la sua scrivania, senza scomodarsi. L'atteggiamento è quello
classico di chi non vede l'ora di aprire bocca e cerca a tutti i costi di
dissimulare la sua ansia.
Ring: Bene, direi di cominciare s ubito, gli argomenti sono tanti.
UG: Come ti pare, figliolo.
E' solo allora che Magelli, con un
gesto teatrale, sfila un sigaro da un
cassetto della scrivania e lo accende pigramente.
Ring: Come nasce "Apodiasi del
filodasto"?
UG: Il motivo ufficiale è che volevo
addentrarmi in un mondo sconosciuto, troppo spesso oggetto di
sguardi denigratori e critiche precostituite, preso di mira da politici alla
ricerca di un capro espiatorio o da
associazioni sconosciute, che hanno
una gran voglia di finire sui giornali
per farsi un nome e ricevere fondi.
Ring: E il motivo non ufficiale?
UG: Nessuno ha mai scritto niente
del genere. In una gara senza a vversari arrivi primo comunque, e a
me servono soldi. Anzi, guarda:
(raccoglie una lette ra aperta, abbandonata sulla scrivania, e ci m ostra il mittente) questa me l'ha
spedita Costanzo. Venerdì prossimo
sarò l'ospite di punta. Non sarebbe
mai successo se avessi scritto qualcosa su un argomento serio.
Ring: Accidenti. Una dichiarazione
un po’ fuori dalle righe; non le
scoccia se la pubblichiamo?
UG: Che mi frega, non se la incula
nessuno la vostra rivista (sorride
compiaciuto della sua malvagità).
Ring: (tossisco) Er, Dunque... ci dica, secondo quali
nodi si articolano le sue t esi?
UG: Mah, il mio obiettivo è
stato quello di mettere in
piazza le vicende di alcuni
casi umani, miei pazienti
con turbe tutt'altro che sorvolabili nate proprio a forza
forza di passare il tempo con PlayStation (da lui pronunciato: plaistescion) eccetera. Dalle trascrizioni delle loro sedute è partito tutto il
resto: ho frequentato vari newsgroup, chat, mailing list, e sono
riuscito ad intervistare molti altri
ragazzi.
Ring: Sorprendente. Come è riuscito a farli "aprire" con tanta spontaneità?
UG: Mi sono finto una donna
MUHAHAHAHAHA (si toglie il sigaro
di bocca e sghignazza a crepapelle,
ridendo verso l'alto) ahh (si pulisce
una lacrimuccia) certo che ce ne
sono di fessi in giro...
Ring: Una volta ottenuto il materiale, secondo quali criteri lo ha o rganizzato?
UG: Dehihihoho, ho creato uno
schema di insiemi in cui raggruppare le casistiche. Alla fine ho elaborato 6 tipologie di videogiocatore,
secondo altrettante manie/fobie
legate al medium.
Ring: Ce le vuole dire?
UG: Sei ansioso di scoprire la tua?
Eheheheh (gongola) scusami figliolo, oggi sono di buonumore. Allora... sì, ecco: la prima tipologia è
quella del videogiocatore sta ndard. Generalmente una persona
isolata, che non potendo trovare
sfogo nella sua fantasia, perché
non ne ha, cerca rifugio in quella
degli altri. Ovviamente è l'insieme
più nutrito. Di regola il videogiocatore standard non è solo appassionato di videogiochi ma anche di
cartoni animati, fumetti, cinema,
insomma tutti quei mezzi di comunicazione immediati e dal registro
linguistico elementare. Si tratta di
individui che hanno un età compresa tra i 12 e i 25 anni, raggiunti i
quali o si suicidano o si sposano il
mostro del quartiere.
Ring: Una visione abbastanza spietata
UG: La vita è spietata, figliolo, noi
6
possiamo solo affrontarla al n ostro
meglio... ecco, per esempio se fossi
stato da Costanzo adesso ci sarebbe stato l'applauso, eh sì (annota la
frase su un taccuino). C omunque.
La seconda tipologia è il videogiocatore di cro-magnon. Ho soprannominato così tutti i fissati di
retrogaming... sai cos'è il retrogaming? (mi guarda interrogativo,
puntandomi contro il sigaro fumante)
Ring: Certo che lo so, sennò che...
UG: Dehihihoho, scusa ragazzo, mi
sto divertendo troppo (finisce di
ridere e si rimette il sigaro in bocca). Dicevo. Il videogiocatore di
cro-magnon. Il videogiocatore di
cro-magnon è di solito ultratrentenne, con attività estemporanea
(giornalaio, proprietario di un negozio di elettronica, strozzino) e
portatore di tutta una serie di
traumi infantili: violenza domestica,
complesso di edipo, povertà, cose
così.
Ring: Mi scusi, ma i traumi infantili
di solito vengono rimossi...
UG: Figliolo (mi indica di nuovo col
sigaro, minaccioso) chi è lo psicologo in questa stanza? Ascolta, io non
mi metto a fare paragoni tra Metal
Gear Solid 1 e 2, tu non venirmi a
dire come si reagisce ai traumi i nfantili.
Ring: Mi perdoni, errore mio.
UM: Fa niente, è dagli errori che si
impara... (segna di nuovo la frase
sul taccuino) torniamo alle tipologie. Lo scopo del videogiocatore di
cro-magnon è quello di rievocare il
disagio degli anni di infanzia in m odo da collocarlo nell'attualità: in
sostanza esorcizza i suoi traumi
consumando, oggi, una pratica che
in passato era stata una via di f uga
ai suoi problemi. Si prende una
rivincita minimizzando i giochi di un
tempo, poiché non deve più pagarli
un centesimo e può batterli con un
paio di salvataggi, affermando
quindi la sua maturità e il suo successo come adulto.
Ring: Quindi il retrogaming non
sarebbe un atto tributario ma un
atto di disprezzo?
UM: Esattamente. Il videogiocatore
di cro-magnon odia i videogiochi, e
tutto quello che vi è collegato. Ecco
perché poi se la prende con i veri
amanti di questo medium: perché
:FRAMES:
rappresentano l'incarnazione di
quello che lui era e ripudia.
La terza tipologia è il videogiocatore Solange. Coloro che, sistematicamente, giocano titoli con
personaggi femminili come protagonisti. Tomb Raider è uno degli
esempi più limpidi, in questo senso.
Spesso sono persone appassionate
di picchiaduro, perché il genere
permette loro di identificarsi con
l'altro sesso senza per questo calarsi in attività esplicite (ricamo,
pulizie domestiche, pompini) ma
anzi inappellabilmente maschili, e
quindi consolando quanto sufficiente la loro tensione all'identificazione
con la donna, evitando di renderla
manifesta a loro stessi e agli altri.
Ring: ...non ci avevo mai pensato...
UM: Stacci attento, ragazzo, è pieno così di gente del genere.
La quarta tipologia è quella del
videogiocatore Jekill. In questa
categoria rientrano tutti gli appassionati di giochi di ruolo, che sono,
sostanzialmente, degli schizofrenici.
A differenza di tutte le altre tipologie, il videogiocatore Jekill consuma
un solo prodotto alla volta, e non si
dà pace finché non lo finisce: sega
la scuola, dà buca alla fidanzata
(nel raro caso ne abbia una), non
mangia, non dorme, e se si concede pause, è solo per una breve e
insoddisfacente masturbazione. Il
gioco di ruolo, in sé, è molto più
pericoloso di un Resident Evil
qualsiasi: perché l'utente viene c alato in un contesto consolatorio,
ideato apposta per essere oltrepassato senza difficoltà, dove lui è l'eroe e la salvezza del mondo dipende da quante ore di tempo passerà
a consumare combattimenti casuali. Capisci il paradosso? Più un soggetto è un nerd, e si chiude dentro
casa a level-uppare i suoi alter-ego
invece di uscire a trombare, maggiore sarà il merito ricevuto nell'ambito del gioco. In sostanza finisce col sacrificare la sua vita effettiva, per la gloria di quella fittizia.
(scuote lentamente la testa e alza
gli occhi al cielo). Disfunzionalissimo....
Ring: Mi scusi, ma allora quelli che
praticano gioco di ruolo dal vivo?
UM: Dovrebbero prendergli impronte e dna, perché sono personalità violente a un passo dal collasso
completo. Non è ancora successo
nulla di drammatico, ma è solo
questione di tempo; già vedo i titoli
dei giornali: quindicenne uccide la
nonna con un ascia di plastica e
dichiara "era un troll, aveva rubato
il mio scudo +4".
Ring: Sono rimaste ancora alcune
Ring#07
categorie, mi sembra...
UM: Senza fretta, ragazzo. Ora a rriviamo ai miei preferiti. Il videogiocatore Sandokan e il videogiocatore Lebowski.
Ring: Prego?
UM: Sotto la denominazione di v ideogiocatore Sandokan rientra tutta la fascia di utenza che acquista
materiale copiato. È un fenomeno
consumistico molto interessante:
quasi tutti gli altri beni superflui
che sono oggetto delle attenzioni
giovanili, come il motorino, le scarpe, o le magliette griffate, vengono
preferiti in base alla marca, quindi
sostanzialmente alla qualità. Nel
caso dei videogiochi invece, è la
quantità a contare: è più importante avere una miriade di ciofeche, da
abbandonare dopo qualche giornata
per passare alla "novità" successiva, che possedere meno titoli ma
acquistati con più sacrificio. Le loro
case sono veri e propri forzieri:
possono nascondere tesori inestimabili, ma loro, piuttosto che consumarli, preferiscono accumularli,
come ogni sacrosanto pirata.
A quel punto vengono beccati
dalla finanza, e guardacaso, si fanno venire una crisi di c oscienza e si
convertono. Così si reiventano nerd
mandando lettere disperate alle r iviste di videogiochi, facendo pubblica ammenda con la speranza di
venire consolati per gli errori commessi. In un certo senso sono come quei ladri del cazzo che dopo
averti rubato il portafogli, ti spediscono a casa la patente e la carta
d'identità.
Ring: Mentre la tipologia Lewboski?
UM: La peggiore. Si identifica con
quella categoria di casi che più dei
giochi stessi ne ama l'idea. Sono
persone che consumano dosi enormi di preview e news, costruendo
castelli immaginari sui titoli che più
attendono. Quando poi li comprano,
hanno un eiaculazione spontanea al
contatto con la plastica del package, sniffando febbricitanti la carta
patinata dei manuali che si ossida.
A questo punto tornano a casa,
provano il gioco, e ci passano tutta
la giornata. Scorsa una settimana
non si ricordano più neanche di averlo acquistato perché è in procinto di uscire l'ennesimo titolo che
promette mari e monti (finendo per
dimostrarsi invece puntualmente
piatto come una cartina geografica), e così preferiscono concentrarsi su quello, immaginando chissà
quali esperienze liberatorie. Tutti i
recensori di videogiochi rientrano in
questa categoria: caricano di significato le loro esperienze quando un
7
medium come questo, giovane di
appena vent'anni o giù di lì, ancora
non è in grado di reggere il confronto con le loro aspirazioni, e a llora anche roba c ome quel Renz là.
Ring: Rez...?
UG: ...sì, quello là... dicevo, anche
roba come Rez diventa un concentrato di genio e stile. Il bello è che
loro stessi si rendono conto dei limiti della loro passione, e quando
fanno critica bocciano qualsiasi c osa, incontentabili come dei satiri.
Almeno ai satiri interessava roba
più stimolante...
Ring: Quindi, dopo dieci anni di
studi, la fulminante conclusione a
cui è giunto è che noi videgiocatori
saremmo comunque una massa di
fessi?
UG: Beh, se vogliamo metterla in
termini nudi e crudi....
Ring: Adesso basta! Lei è un insulto per la categoria che rappresento,
e per la categoria che lei rappresenta.
UG: Figliolo, se è questo quello che
pensi non hai mai conosciuto uno
psicologo in vita tua...
E mentre il ciccione pronuncia sarcastico i suoi ennesimi caustici insulti, col sigaro ormai spento ancora incastrato a ll'angolo della bocca,
infilo la porta d'ingresso ed esco da
dove sono arrivato.
Non sono affatto turbato. Sono
fiero di quello che sono. Mi piacciono i videogiochi, e non mi sento per
nulla infantile. Certo, ho paura del
buio, adoro le caramelle, detesto
mangiare carote, e la mia ragazza
forse non sarà bellissima, ma mi
capisce.
Non mi vergogno di nulla, tant'è
che appena salgo in metropolitana,
sfilo dal marsupio il mio gba e comincio a giocare, incurante degli
sguardi pieni di dissenso intorno
me.
D'un tratto mi accorgo di una
biondona discinta che mi fissa. Le
lancio un sorrise complice, e poi
faccio il sostenuto continuando a
impegnarmi su Castelvaniglia. C ome immaginavo, lei mi si avvicina.
Il mio inestimabile fascino ha colpito ancora. E io sarei un nerd?
MUHAHAHAHA...un attimo, cos'è
quella peluria sopra il labbro? e c os'è quel bozzo in mezzo alle gambe?
Dedicato a tutti i compagni videogiocatoristi. El pueblo unido, yamas sera vencido para el intelinghencia artificial.
:INDEPTH:
Ring#07
wIND wAKER VS bALL bREAKER_________________________
[VERSUS: The Legend of Zelda: The Wind Waker]
Red Corner: Sator Arepo
Blue Corner: Cristiano Bonora
La serie di The Legend of Zelda è uno di quei granitici franchise della storia dei videogiochi che è sempre riuscito a mettere tutti d'accordo circa la qualità dei suoi episodi. The Wind Waker contravviene questa consuetudine presentandosi come il prodotto più controverso e discusso dell'intera produzione Nintendo per GameCube.
All'angolo rosso il difensore, il paladino di Hyrule, il Wind Waker.
All'angolo blu l'accusa, il Ganondorf della situazione, il Ball Breaker.
Nota di Sator: Nel mio angolo del ring ho sempre chiamato il protagonista della serie con il nome “Popippo”, in quanto è così che l’ho
sempre rinominato nei vari Zelda. Fanculo: siete voi che dovete adattarvi a me. Non viceversa.
Round 1. Il Mare
_____________________Sailing Emotion Type Z
E il naufragar m’è noia in questo mare...______
Il Pubblico Ministero, qui a fianco, tenterà di darvi a b ere una teoria secondo la quale il mare di Zelda: The
Wind Waker è una noia mortale.
Bella forza. È mare. E il mare è noioso. C’è anche
scritto nella formula H2O, tra una stanghetta e l’altra,
che è noioso. Pensate alle regate della Coppa America:
secondo voi è un caso che vengano sempre trasmesse
a notte fonda?
Ma perché il mare è noioso? Perché è vasto, perché è
sempre uguale, quale che sia la latitudine o la stagione.
In Ocarina of Time Nintendo si è potuta permettere di
realizzare un Hyrule Field delle dimensioni di un salottino perché ciò non guastava alla sospensione dell’incredulità. Ma con il mare è diverso. Con il mare devi
garantire una distanza minima tra un’isola e l’altra, in
modo che, stando su una, le altre siano forme scure
all’orizzonte. Altrimenti la sensazione è quella di essere
dentro ad una tinozza.
Il bello è l’esplorazione. Il bello è navigare, intravedere la silhouette di un’isola, aprire la mappa, rendersi
conto che si tratta di un luogo che non abbiamo ancora
esplorato, inforcare la bacchetta, orientare il vento in
quella direzione – oppure perché no? andarci di bolina –
e mentre ci avviciniamo alla destinazione, ricordarsi che
nel quadrante accanto c’è un tesoro da recuperare,
quindi cosa costa una deviazioncina? Con questo atteggiamento, possiamo proseguire per il nostro peregrinare marino dimenticandoci completamente della main
quest (se non fosse per il Re Drakar, che non smette di
rompere i coglioni al riguardo). E se, insensibili questi
occhi all’esterno mondo, non avremo voglia di pescar
tesori o bischereggiar pel mar? Vorrà dire che, mentre
Popippo veleggia per la sua d estinazione, noi potremo
comodamente consultare il televideo. Questa è una feature che quel ronzino di Epona non permetteva.
Ma è appunto avendo il pallino dell’esploratore che si
riesce a trarre il meglio da uno Zelda, e Wind Waker
non fa eccezione. Le cose da fare, infatti, sono tante. La
mappa è composta da quarantove settori. In ogni settore c’è un’isola/atollo/arcipelago da v isitare, nonché un
pesce-cartografo da scovare. (Trattasi di un personaggio cardine: essenziale per il completamento della
mappa, prodigo di consigli utili anche per la main quest
e più simpaticamente antipatico di un leghista.) Ogni
isola contiene come minimo un minigame o un puzzle
da risolvere per ricevere un premio; oppure qualche
personaggio con cui interagire per il prosieguo d i una
subquest. Poi, disseminate per il mondo, ci sono sei di
tutto: sei sottomarini, sei seppie giganti, sei negozi di
Terry, sei piattaforme dei pirati, sei bordelli galleggianti. Trovarli può essere un gioco nel gioco. Trovare le
mappe che ne indicano l ’ubicazione riesce invece a conferire una bella sensazione di graduale conoscenza dei
luoghi.
Della serie: Deh sono troppo un capitano Ahab!
“In Zelda: The Wind Waker il regno di Hyrule è sommerso
dalle acque. Il mare è l’autentica rivoluzione rispetto ai precedenti capitoli della serie. Laddove riproponendo scenari
sulla terra ferma non sarebbe stato possibile creare un epis odio realmente innovativo, lo stravolgimento dell’ambientazione di gioco ha permesso a Nintendo di dare vita a situazioni
ludiche senza precedenti nella storia del v ideogioco. Link,
novello Poseidone, è padrone del mare, oltre che del vento.
Grazie ai poteri a lui conferiti dalla Bacchetta del Vento, può
generare vortici d’acqua in cui risuc chiare gli avversari; può
innalzare spaventosi cavalloni per raggiungere le vette degli
scogli più alti e ripidi; imponendo la bacchetta sul mare può
squarciarne la superficie alla maniera del Mosè della Bibbia,
per esplorare il fondale e lasciare a secco i mostri marini;
Link può ammaestrare i delfini e saltargli in groppa: s orv olando scogli, impegnando cunicoli subacquei ed esplorando
anfratti oceanici inaccessibili con un comune mezzo di navigazione. Il mare, questo concerto di onde in cel- shading governato da un Link direttore d’orchestra, è lo spettacolo più
maestoso e poetico che un videogioco mi abbia mai offerto.”
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Questo è ciò che sognavo quando venni a sapere
che il mondo di TWW sarebbe consistito in un’immensa distesa marina punteggiata di isole e arcipelaghi. Purtroppo, però...
Navigo da giorni in questo mare posticcio. Un enorme lenzuolo azzurro, piatto come una sogliola. Un
mare in coma, che si rianima di tanto in tanto per
sbuffare sulla chiglia della mia barca qualche onda
timidissima, da non impensierire neanche la mia rotta. Un mare pigro e stanco. Grande, obeso. Quasi una
penitenza cui sottostare ogni volta che si rende n ecessario il trasferimento da un’isola all’altra: traversate lunghe minuti, con il pad appoggiato per terra e il
mento addormentato sorretto da una mano in cancrena.
Ma come? - Esclamerà qualcuno – il mare pullula di
cose da fare!
Certo, ci sono centinaia di tesori da scovare...
Operazione che potrebbe dispensare qualche diletto, perlomeno se non fosse resa insensata dal fatto
che ogni tesoro segnala la propria posizione innalzando un fascio di luce dal punto ove è necessario posizionarsi per recuperarlo. Perché rovinare il g usto della
ricerca a mezzo mappa con un simile espediente? Ma
soprattutto, perché così tanti tesori tutti uguali? Che
barba. Passi per quelli che custodiscono pezzi della
Triforza, ma gli altri contengono solo rupie, che il gioco dispensa in abbondanza, e cuori, di cui il gioco è
ancor più colpevolmente prodigo. In altre parole, chi
ce lo fa fare di improvvisarci tombaroli marini a tempo perso?
Certo, ci sono decine di scogli da esplorare...
Appunto, scogli, non isole: trattasi di frammenti di
level design scandagliabili nel giro di pochi secondi,
molti dei quali anche piuttosto divertenti, ma minati
da due fattori.
:INDEPTH:
Ring#07
Certo, a lungo andare tutte queste deviazioni dalla
retta via cominciano a diventare noiosette, ma nessuno
obbliga il giocatore a coprirle tutte, così come la presenza del vortice-trasporto non obbliga ad estenuanti
traversate. Il gioco, per essere apprezzato, non necessita di essere completato al 100%, e comunque, se in
passato avete avuto la depravazione di allevare un chochobo d’oro, non siete certo nella posizione di protestare. Ah ah.
No perché Internet è un brulicare di proteste, molte
delle quali indirizzate alle scarse dimensioni della maggior parte delle isole: grandi quanto gli isolotti deserti
presenti nelle vignette umoristiche. Ma che cosa pretendevano, lor signori? Quarantanove terreferme ognuna con l’area della foresta dei Kokiri?
Chiaramente non c’è mai limite al meglio, ma è v eramente così scarsa l’offerta di Wind Waker in fatto di
terra calpestabile? Tutt’altro: il gioco garantisce infatti
alcune location splendide, e se non vastissime, quantomeno ottimamente allestite e ricche di c ose da fare.
L’esempio più fulgido è l’isola Taura: semplicemente la
miglior Kakariko Village mai apparsa in uno Zelda, con
alcune subquest geniali, come quella del fotoreporter,
l’asta, l’accensione del faro, il nascondino…
Stupendo quest’ultimo, anche per il grado di personalizzazione che offre. Mentre i bambini credono, n ascondendosi, di avermi fregato, costringendomi ad estenuanti ricerche per l’isola, io, più furbo di una capra,
mi metto una pera in testa e divento gabbiano. Una r apida svolazzata e… toh!… eccone uno!… toh… toh…
toh… eccoli tutti! A quel punto ridivento Popippo e li
stano a colpo sicuro. Spassoso!
Primo: si concludono con l’ottenimento di un tesoro
inutile come tutti (again, ma chi ce lo fa fare?).
Secondo: da contorno di quello che dovrebbe essere il gioco vero, ambiscono a incarnare la fetta più
grande dell’offerta ludica di questo Zelda, tradendo
però la propria natura di riempitivo. Perché in un oceano finto, piatto e in coma, qualcosa bisognava pur
metterci.
E così gli chef del ristorante Nintendo hanno disseminato questa zuppa di mare con dozzine di bauli,
isolotti, piattaforme di pirati, sottomarini e sub-quest.
Ma cenare a stuzzichini è stucchevole, non c’è bisogno di scomodare un sommelier per avvedersene.
Infine, se n’è parlato molto in ICC, il mondo di
TWW manca di coesione. È una scacchiera composta
di pezze di mare quadrato, ciascuna con all’interno
un’isola. Al di là della scarsa credibilità del paritetico
criterio secondo cui ad ogni area è stato distribuito un
isolotto più “n” riempitivi (tesori, piattaforme, sottomarini, ecc.), infastidisce la modalità secondo cui s ono gestiti gli spostamenti da un quadrato all’altro.
Non in maniera fluida, sfruttando un logico streaming
da DVD, bensì caricando un blocco per volta. Ne consegue che il motore di gioco trasforma automaticamente in opache sagome 2D le isole a vista che non
rientrano nel blocco in cui ci si trova. “Adesso lo frego”, penso io. Prendo il cannocchiale, lo punto all’orizzonte, ingrandisco al massimo e che cosa vedo?
L’isola dove sono diretto? Nope: una gigantesca s agoma bidimensionale. Ma allora, se il cannocchiale in
questo mondo non serve, si può sapere per che cosa
lo adoperava la sorellina di Link? (...)
Round 2. Il Vento
__________________Blowing in the Wind Waker
Uno scomodissimo timone_________________
Più che Takt of Wind, questo episodio avrebbe dovuto
chiamarsi Leaf of Wind. Il motivo è semplice: la bacchetta ha una sola melodia “in topic”, e per il resto si
comporta come un’ocarina-bis. È invece la foglia regalataci dal tolkieniano albero Deku ad attuare la maggior
parte delle interazioni tra Poppipo e gli starnuti di Eolo.
La melodia del vento, inutilizzabile negli spazi chiusi dei
dungeon, viene adoperata nella maggior parte dei casi
quando siamo in barca, per gli spostamenti, ma qui ha
più una funzione estetica che di gameplay, ed è comprensibile il tedio di ripetere l’operazione tutte le volte
che l’occasione lo richiede. Per fortuna esistono usi i nteressanti negli esterni, ad esempio per la risoluzione di
alcuni enigmi, e soprattutto in cooperazione con la f oglia Deku…
Arcipelago dei boschi. Mi affaccio su una terrazza
rialzata che guarda verso il mare. Uso lo stick C per d are un’occhiata intorno e, sulla destra, noto uno scoglio
con sopra della vegetazione e… qualcuno. Inforco il
cannocchiale – il gadget più stupendamente inutile del
gioco – e osservo meglio. C’è un tipo, un turista sembrerebbe, vicino ad una botola ermeticamente chiusa.
Mi inumidisco il dito. Il vento non mi è favorevole.
Prendo la bacchetta ed eseguo la melodia del vento,
orientandolo verso lo scoglio. A quel punto mi lancio
con la foglia deku, raggiungo il pezzo di roccia, risolvo
un puzzle, apro la botola e… tadà! La Galleria Minite ndo! (Ad essere sinceri la Galleria Minitendo è noiosissima da completare, ma volete mettere il gusto di averla
trovata?) Come già scritto, è la foglia Deku il gadget più
caratteristico di questo episodio. La si usa come paracadute per planare, quindi per superare budelli insidiosi, ma anche per esplorare le isole alla ricerca di segreti. La si usa come ventaglio per azionare interruttori ad
elica, come mezzo di propulsione e, soprattutto, la si
usa nei combattimenti.
La bacchetta del vento è utilissima. Anche troppo.
Quando si è in mare è un continuo estrarla per eseguire la melodia del vento o del tifone. Una persecuzione. Eseguita una prima volta la melodia, sarebbe
stato sufficiente deputare lo stick C al controllo della
direzione del vento, così che il ritmo di gioco non v enisse spezzato ogni volta che si fosse r esa necessaria
una virata. E invece ci si ritrova a dirigere il traffico
dei venti alla maniera frustrante di un vigile urbano,
più che di un direttore d’orchestra...
Ma tutto questo vento, in fin dei conti, che risvolti
ludici procura? Pochissimi. Si rende utile per velocizzare i viaggi in mare e qualora ci siano da coprire delle distanze in volo appesi alla foglia. Tutto qui? Tutto
qui. Link è padrone del vento, ma con esso non può
spegnere fiamme, sradicare alberi per creare ponti,
spazzare via gli avversari o plasmare la superficie
marina come suggerito nel paragrafo precedente.
In definitiva, l’impressione è quella che il contributo
ludico della Takt of Wind sia ben inferiore a quanto
era lecito aspettarsi. Una bella idea, sfruttata quasi
per nulla.
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:INDEPTH:
Ring#07
Round 3. Il Sistema di Combattimento
___________________________Zelda Reloaded
Eroi per caso____________________________
I combattimenti, in Wind Waker, sono un’opera d’alta
ingegneria…
Isola dei mostri. Ho perduto la spada e, novello Snake, mi aggiro in punta di piedi per l’arsenal gear della
situazione. Mentre volteggio aggrappato ad una corda
penso: testiamo il sistema, e lascio la presa. Cado s opra ad un tavolo apparecchiato, piatti e bicchieri ondeggiano verosimilmente, alcuni cadono per terra i nfrangendosi. Il rumore non è sufficiente ad allertare le
guardie, ma da una specie di pentolone escono dei miniblin: mostri in miniatura muniti di forcone che mi si
parano innanzi gridando “Nenè, Nenè!”. Scappando dalla morsa di questi ministronzi, ricordo una regola fondamentale dei videogiochi: i mostri non salgono le scale
a pioli. Salgo su una scala a pioli e mi metto in salvo su
un livello rialzato della stanza. Mentr e sto ancora guardando al piano di sotto con le mani sul pacco, in segno
di derisione, i miniblin procedono a saltelli sulla scala e
mi circondano. Nenè, nenè, nenè.
L’impressione che si ha nei combattimenti è quella di
trovarsi in un sistema completamente stabile. Un sistema in cui ogni azione provoca una reazione appositamente studiata. È come se i game designer avessero
costruito una tabella. Sulle righe hanno posto ogni tipologia di nemico, sulle colonne i vari gadget che P opippo
trova nel corso dell’avventura; quindi hanno riempito
ogni casella che si viene a creare pensando alla reazione più opportuna che un determinato mostro deve avere a contatto con un determinato gadget…
Sull’isola Primula, andate per la salita che conduce al
ponte sospeso. Verrete attaccati da un gruppo di miniblin. Selezionate la foglia deku e lanciate una ventata. I
piccoli mostriciattoli verranno spazzati via e non li v edrete più ritornare. Perché? Sono caduti dalla rupe e
sono morti al contatto con l’acqua. Toh, basta rdi.
Ma potete essere ancor più sadici. Buttate a terra una
manciata di bacche e i miniblin dimenticheranno di a ttaccarvi, gettandosi invece su questi frutti, litigandoseli.
A questo punto sorridete, selezionate una bomba e adagiatela in mezzo alla mischia, poi allontanatevi e,
prima che arrivi la deflagrazione, immortalate il tutto
con una bella foto.
Gli scontri coinvolgono spesso grandi quantità di nemici, con buona varietà di razze contemporaneamente
presenti e senza che la scena subisca rallentamenti di
sorta. I cattivi, dopo aver individuato l’eroe del vento,
gli si fanno contro con manovre di accerchiamento. P opippo può adoperare le armi che i mostri più evoluti l asceranno cadere. Questi, disarmati, si faranno avanti
con colpi di kung-fu oppure setacceranno i l terreno in
cerca di una nuova arma. Non necessariamente la l oro:
i darknut – soldati con spadone e armatura pesante –
possono ad esempio adoperare le lance dei moblin.
Ancora. I nemici, se per errore si colpiscono a vicenda, si tolgono energia: aspetto che può essere adoperato a fini strategici. Ancora. L’ambiente reagisce verosimilmente ai colpi inferti da Popippo e dai mostri. Se il
fendente di un darknut colpisce una colonna, questa si
spaccherà, cadendo di lato e travolgendo chiunque si
trovi in traiettoria. Ancora. Nelle aree silvestri è possibile intrappolare un nemico gettandolo in una macchia di
arbusti. Questi, disperato, non riuscirà a districarsi, aspettando coi lacrimoni che lo degniate di attenzione,
magari con una bella bomba pacificatrice. E non perdetevi la scena del pirata aggrappato all’orlo di un precipizio. Rotfl.
La telecamera manuale, che in un gioco frenetico
come Super Mario Sunshine risultava spesso scomoda da gestire, si adatta splendidamente ai ritmi di Zelda, tanto che non si sa come abbiamo fatto fino ad ora
senza.
Il sistema di combattimento di TWW: versatile, i mmediato,
coinvolgente. Grande.
Ma compromesso da un livello di difficoltà che ne ridimensiona drammaticamente il potenziale ricreativo.
Esaminiamo il mini- dungeon sull'isola Primula cui si accede
sollevando il t estone di pietra: una sequenza di 10-15 stanze
di soli combattimenti. Mostri tutti d iversi, un sacco di armi a
disposizione: sulla base di questi due elementi si poteva dar
vita a d ieci stanze di combattimenti furibondi/tecnici/appaganti. Il Paradiso dell’action RPG gamer con le palle girate.
E invece no. Basta agitare la spada a casaccio per uccidere
tutti.
Gli avversari sono dei sacchi da riempire di botte, e il fatto
che per abbattere molti di loro basti un colpo rende gli scontri
di una leggerezza deprimente.
Si vedano i due nemici ordinari più agguerriti: i demoni
porcellosi e cavalieri in armatura. Per avere la meglio sui
primi è sufficiente stordirli con il boomerang in qualsiasi momento per poi massacrarli di spadate, per i secondi basta
rimanere immobili aspettando il segnale per il colpo speciale.
Avete capito bene: IM- M O - B I - LI. Pazzesco. Attendiamo per
anni uno Zelda di nuova generazione e Nintendo ci propina
un sistema di combattimento in cui per uccidere gli a vversari
più tosti bisogna starsene fermi e pigiare un bottone quando
ce lo dice la CPU...
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Ora, immaginate lo stesso demone di cui s opra che schiva
il boomerang, carica Link, si protegge con la lancia, e carica
ancora. Con Link che deve schivare le cariche, stordire il suino quando rimane scoperto d opo un assalto andato a vuoto,
e quindi entrare di spada. S arebbe un altro gioco. Se non ci
fossero così tante armi a disposizione, se il sistema di combattimento non fosse così bello, si potrebbe anche sorv olare
sulla scarsa importanza attribuita alle battaglie, ma così è
uno spreco, c'è poco da fare.
La demenza degli avversari è poi accompagnata da una d isponibilità di energia sconsiderata. Dev’essere andato storto
qualcosa durante la fase di testing. Come se all’ultimo minuto
le alte sfere Nintendo avessero imposto un livello di difficoltà
idiot- proof come risposta alle critiche ricevute da Super Mario Sunshine, da molti additato come difficile ai limiti della
frustrazione.
Basta poco per accorgersi che qualcosa non funziona nel
sistema di ripristino dell’energia al termine di ogni scontro.
Situazione di battaglia ordinaria: combatto senza eccessivo
impegno, prima di capitolare il mio avversario mi colpisce 3
volte, mi toglie 3 quarti di cuore, e da morto mi regala 3 cuori interi. I conti non tornano...
È infine negli scontri con i boss che TWW sembra prendersi in giro da solo, facendosi del male ai limiti del masochismo,
annichilendo tutto ciò che di buono è in grado di p roporre. Se
è vero che alcuni boss non eguagliano gli straordinari livelli di
ispirazione di quelli di Ocarina of Time, è altresì vero che
alcuni di questi offrono uno spettacolo maestoso e dei pattern
di risoluzione accattivanti, come il gigantesco crostaceo
dell’Isola del Drago o il vermone del Tempio della Terra. Ma
lo sproposito di cuori a disposizione del giocatore (più eventuali fatine in bottiglia) ci restituisce queste creature impotenti, condannate a venire abbattute al primo tentativo, giocandosi così ogni chance di lasciare il proprio segno nella storia del boss- design. Ma soprattutto, la sensazione è quella di
sentirsi derubati: derubati di quella soddisfazione i mpagabile,
che solo i videogiochi sanno regalare, che si riceve al termine
di una vittoriosa, sudatissima battaglia contro un gran boss.
Questo Zelda è più diseducativo di un Grand Theft Auto: perché in TWW si vince senza merito. Bambini non giocateci, la
vita non è così.
:INDEPTH:
Ring#07
Round 4. Puzzle & Dungeon
____________________________Poes’n’Moblins
Briciole dello Zelda che fu _________________
La serie di Zelda, da un regime di otto labirinti per gioco garantiti fino ad Ocarina of Time, è scesa ai quattro – invero cazzuti – di Majora’s Mask ed ai cinque
bicchieri d’acqua di Wind Waker. Le cose sono due. O i
ridotti tempi di sviluppo hanno costretto gli autori a tagliare parte del girato, oppure è presente in Miyamoto,
Anouma e company la volontà di dungeon-decentrare la
serie, spostando l’azione maggiormente sulla superficie.
Questo – proteste dei fanboy a parte – potrebbe servire
a rendere assai più vario il gameplay, a nche in ottica di
produzioni future, ma senza comunque stravolgerlo.
Come Majora prima di lui, Wind Waker rifugge parzialmente dalla struttura di gioco: mappa-dungeongadget-boss dei lavori precedenti, garantendo situazioni
nuove come la sezione di tactical espionage action
sull’isola dei mostri. Ma anche i dungeon veri e propri
introducono novità. Ne segnaliamo tre.
Cinque dungeon. Pochi. Ma buoni? Nì.
Il primo, lineare come un ferro da calza, si riduce a
poco più che a un esercizio di stile. Con effetti di f umo e fuliggine che avvolgono maestose colonne di
fuoco cel-shaded. Ma i puzzle sono scontati, i combattimenti ridicoli. Spettacolare il boss. Il migliore dell’intero gioco.
Ottimo il secondo dungeon. Zelda allo stato puro.
Il sapore è ocariniano, ma la foglia emancipa il tutto
dal rischio di déjà vu. Boss anonimo per quanto visivamente appagante.
Ordinario il terzo dungeon. Sorprendentemente
grezzo sotto il profilo tecnico. Raffazzonato.
Il quarto e il quinto sotterraneo sono opere di s apiente citazionismo. Si dosano bene gli ingredienti e
si miscela un ottimo cocktail a base di Ico e OOT. Ma
il gioco sta per finire, e dello Zelda del futuro non vi
è ancora traccia. È tempo di rassegnarsi.
Farciscono il tutto enigmi all’insegna dello sbilanciamento. Demenziale e illogico quello della parola
d’ordine per accedere alla nave dei pirati dall'isola
Taura (la password è palese da subito, ma non funziona finché non ci viene suggerita da un PNG). S eguono puzzle più ragionati, come quello nel Tempio
della Terra che costringe all’uso simultaneo di scarponi e arpione. Poco dopo, però, ricompaiono gli enigmi
telefonati, proposti insieme alla loro ste ssa soluzione,
come quello dei quattro bersagli da colpire con il b oomerang nella torre di Ganondorf.
TWW è un prodotto incoerente, sbilanciato, che
tutt'a un tratto ti spiega come camminare quando f ino a un minuto prima ti chiedeva di correre. E senza
neanche la giustificazione di aver tentato di proporre
qualcosa di nuovo, di ardito. TWW soffre del complesso di Trapattoni. Propone un sistema d i gioco assodato, tradizionale, diluito nei tempi al limite dell'anacronistico, e questa mancanza di coraggio alla fine la paga tutta.
Addirittura alcuni puzzle si spingono oltre il limite
del nonsense. Come quello della nave fantasma.
[SPOILER] Per accedervi è necessario recuperare la
mappa in cui vengono illustrate le zone in cui appare.
E se io sono riuscito a trovare la nave per conto mio?
Di certo non mi salta in mente di lasciarla lì per cercare dall'altra parte del regno una mappa che mi
spiega come ritrovarla. Nel frattempo le provi tutte.
Tenti di abbatterla a cannonate, di dar fuoco alla vela
nel momento in cui questa compare, di spegnere tutti
i fuochi fatui di cui si circonda [/SPOILER]. E intanto
le ore passano, dato che tra un tentativo e l'altro è
necessario lasciar passare dei giorni di gioco, cosa
che si traduce nell'abuso della Sonata in Dì No tturno.
TWW riesce ad essere facile e frustrante allo stesso
tempo. Un record.
La prima è la possibilità di raccogliere le armi perdute
dai nemici. Queste, oltre ad essere utilizzabili nelle sessioni di combattimento, si prestano a funzioni di puzzlesolving, anche grazie alla possibilità di lancio delle stesse concessa dal tasto A.
La seconda novità è garantita dall’ingresso nel sistema di un’ottima riproduzione della fisica delle corde.
Popippo salta, si aggrappa tarzianamente ad un lampadario e poi via su un altro, fino alla piattaforma successiva. L’introduzione del rampino, uno dei primi gadget
concessi dal gioco, consente evoluzioni molto più varie
del semplice hookshot – che comunque ritroveremo
verso la fine – grazie alla possibilità di orientare il personaggio, di farlo penzolare e di fargli risalire/ridiscendere la corda.
La terza novità risiede n ell’interazione coi due Saggi
che troveremo nel corso dell’avventura. Se in Ocarina
la principessa Ruto, stronza, si faceva solo prendere in
collo e, alla bisogna, depositare su opportuni interruttori, in Wind Waker i due personaggi che ci faranno da
spalla, oltre ad avere differenti abilità di volo, possono
anche cedere i comandi al giocatore tramite un’opportuna melodia. Una possibilità, questa, che spalanca la
porta a nuove tipologie di puzzle, e che, a onor del v ero, avrebbe potuto essere usata in tutti e cinque i dungeon, in modo da imprimersi come caratteristica fondamentale del gioco.
Certo, questi ultimi due aspetti possono dare a pensare che gli sviluppatori abbiano attinto a piene mani
da Ico, ma l’accusa non sussiste: Ico è praticamente
uno spin-off di Ocarina of Time…
Round 5. La Grafica
_________________________Zelda Revolutions
Molto rumore per nulla____________________
Rivoluzione! Dopo Jet Set Radio – che ce lo eravamo
giocato in nove – dopo Automodellista – che fa cagare – e dopo una serie di giochi dalla grafica solamente
ibrida, arriva con Wind Waker il toon-shading in tutto
il suo potenziale. E le lande geometriche e slavate degli
altri titoli diventano qui cartone animato. Puro. Fluido.
Interattivo. In continuo movimento.
Quanto parlare si è fatto di questo benedetto celshading? Ebbene, la scelta grafica impiegata in TWW
si è rivelata azzeccata, evocativa ed efficace. Nessuno
qui oserà sostenere il contrario. Questo, però, non
significa che sotto il profilo estetico TWW abbia soddisfatto le aspettative.
Innanzitutto la risoluzione: la solita risoluzione media interlacciata impiegata anche in SMS, che durante
11
:INDEPTH:
Ring#07
Wind Waker sdogana presso il grande pubblico una
nuova concezione di resa cosmetica, dando il via a infinite possibilità di sperimentazione.
I personaggi sono vivi. Popippo vanta una serie ineguagliabile di espressioni facciali: dall’esilarante volto
attapirato per la scarsa energia, agli occhi sbarrati à la
Ratman, all’espressione d eterminata durante gli scontri
con i boss. In paragone, i coprotagonisti si rivelano i nvece belli da vedere ma piuttosto statici (con l’eccezione di quelli più importanti, come Dazel e Ganon, che
però è il personaggio dalla caratterizzazione meno riuscita: dov’è il nasone?). Ma sono i mostri a contendere
la statuetta al protagonista, producendosi in smorfie da
perfetti caratteristi che, oltre a renderli oltremodo simpatici, prolungano i combattimenti, con il giocatore che
tergiversa per ammirare il repertorio mimico del nemico. E magari per scattare qualche foto.
Qui si va oltre al mero machismo dei chip grafici. Qui
si esplorano i territori della sensibilità artistica, del
videogioco d’autore.
i movimenti di macchina orizzontali affligge l’immagine con fastidiosissime zigrinature lungo i bordi di tutti
gli oggetti.
Secondo: l’effetto di blur. Assolutamente i nvadente
sui televisori 100Hz (ma non solo) che ne esasperano
la resa, coinvolge una porzione di schermo esagerata
e non conferisce di certo pulizia all’immagine. Era
proprio indispensabile?
Ma soprattutto, cel-shading significa look cartoonesco, non minimalismo grafico estremo. La povertà
delle texture e la nudità di certi ambienti (la Torre
degli Spiriti su tutti) lasciano l’amaro in bocca. Si p oteva utilizzare la medesima soluzione grafica o ffrendo
uno spettacolo di ben altra pompa.
Infine la tanto decantata espressività di Link. Arrabbiato, felice, tranquillo, a bocca aperta: una manciata di buffe espressioni à la South Park, ma nulla di
sconvolgente. Per di più, per valorizzare le animazioni
facciali, rispetto a OOT la telecamera virtuale è stata
modificata: ora non si posiziona più a utomaticamente
alle spalle di Link qualora questo i nverta la direzione
di marcia. Così non sappiamo più dove stiamo andando, ma in compenso possiamo g odere degli occhioni
mobili e della frangetta svolazzante del nostro piccolo
eroe...
Round 6. L’atmosfera
________________________The Incredible Tide
Magia, poesia, epica...____________________
Sono in mare aperto. È notte. Ho appena ripescato un
tesoro e sono reduce da uno spensierato vagabondaggio per i mari del sud, alla ricerca di qualche fatina e
dei suoi regali. Cerco di orientarmi; per farlo non è necessaria la mappa, né la bussola: bastano le stelle. Il
cielo notturno ha tutte le costellazioni lì dove dovrebbero essere, facendomi sentire meno videogiocatore e più
un personaggio di Hemingway.
Vedo una luce all’orizzonte, a nord. Che diavolo è? Ah
già! È il faro dell’isola Taura, che d opo tanti affanni sono riuscito ad accendere. Mi prende il desiderio di andare a salutare il commerciante Tefregu e, perché no, di
partecipare ad un’asta, per vedere se riesco a trovare
un bel pezzo di cuore.
Oriento il vento verso Nord, isso la vela e, c on unico
sottofondo lo scricchiolio del legno, navigo. Passano pochi istanti e un jingle importato da Ocarina annuncia
che sta per arrivare l’alba. Il sole si alza luminoso all’orizzonte, portando con sé una bellissima melodia. Mi
avvicino all’isola. I gabbiani mi vengono incontro e iniziano a seguirmi. Il mare è una tavola. Lascio la barca
in un’insenatura vicino alla spiaggia e mi appresto a f are un giro in città. Tefregu non ha voglia di chiacchierare: sospetta che qualcuno nottetempo sottragga soldi
dalla sua cassaforte. Decido di indagare sul fatto. Ma,
non c’è fretta: prima passo dal fotografo a vedere se ha
qualche bello scatto da vendermi…
TWW è poesia, TWW è magia, TWW è epica.
Palle.
Per chi nel cuore serba scolpita l’epopea di OOT, non è a rduo constatare come a questo Zelda manchino proprio la p oesia, la magia e l’epica.
Poesia: OOT era fatto di momenti memorabili. Il mio preferito: quando Link in una notte imperlata di fate luminose si
accinge a l asciare il bosco dei Kokiri. Su di un ponte sospeso
incontra l’amica di infanzia Saria, che al chiaro di luna gli
consegna un’ocarina...
TWW: Link approda all’isola del Drago, R e Drakar - la barca parlante - tiene in bocca qualcosa e pretende di rifilarcelo.
Ma che schifo. Che cos’è? Un osso? Seppelliscilo da qualche
parte. Come? È la leggendaria bacchetta per domare i venti?
E sarebbe questo il modo di consegnarmela? Non sono mai
stato così p oco emozionato in vita mia.
Magia: ricordate l’incanto di scoprirsi improvvis amente
adulti in OOT? Ricordate lo stupore nel reincontrare il puledro
Epona fattosi ormai destriero? R icordate la fuga dal ranch?
Epona prendeva velocità, spiccava un balzo e superava la
staccionata del ranch atterrando in mezzo alla piana di Hyrule. Frenava la corsa, si alzava sulle zampe posteriori e nitriva
gagliardo. Libertà!
TWW: sopravvissuto a un naufragio, Link riprende conoscenza. Si trova davanti una cialtrona di barca parlante che
non fa altro che sbadigliare. E da dove è saltata fuori? Sarebbe questo il modo di introdurre il compagno di viaggio di Link
per la sua nuova avventura?
Epica. Non c’è respiro in questo Zelda. Non infonde il senso di appartenere a una grande storia. Non ci si sente mai
eroi, complice anche il livello di difficoltà cazz- market. OOT
raccontava una storia epica più grande di colui che era chiamato a compierla. Per questo per completare la sua missione
Link era costretto a farsi adulto prima del tempo.
TWW: questo Link under- 12 armato di foglia fa tanta t enerezza, ma non accende l’animo del giocatore al senso
dell’impresa, della battaglia vera. La storia non è malvagia, è
a tratti rivelatrice, ma non pompa mai adrenalina, non info nde il senso assoluto della lotta eterna tra il bene e il male,
non incurva le spalle del giocatore con il peso di una responsabilità che lo emoziona. Io voglio salvare il mondo, ma tutto
congiura per convincermi che farei meglio a fotografare piccioncini sull’Isola Taura o collezionare collanine...
(Gli artwork di questo articolo sono di Chiara Belvisi)
12
:INDEPTH:
Ring#07
Round 7. Tradizione VS Modernità
_________________Such an easy game to play?
Da eroe del tempo a prigioniero del passato___
Il peggior Zelda di sempre. Ecco come parte della critica, dopo
l’entusiasmo iniziale, ha descritto Wind Waker, fondamentalmente per la mancanza di sfida di cui soffrirebbe l’impianto di
gioco. Dall’altro angolo del ring, qualcuno picchierà forte su
questi tasti, ma riassumiamo qui gli elementi che fanno di
Wind Waker un gioco fac ile…
Facciamo un passo indietro. Dimenticate Zelda. Ripercorriamo le tappe della produzione Nintendo per GameCube a partire dal day one.
I Kinder Sorpresa. Se nei precedenti Zelda i nemici alla l oro morte lasciavano, quando andava bene, un item da raccogliere, in Wind Waker gli avversari più massicci, crepando,
cagano un ovetto che se infranto garantisce una manna di regali. Per Popippo, raccogliere questi pacchi dono dell’Onu equivale ad una fermata ai box, cosa che non rende certo impossibili i combattimenti, anche considerando che quindici/venti contenitori di cuoricini, insieme a quattro fatine opportunamente
imbottigliate, sono la cosa più vicina ad un cheat mode da
Action Replay che si sia mai visto in un videogame.
Il medaglione-cellulare. Spesso quando Popippo indugia
sul da farsi, magari ritornando parzialmente sui propri passi
perché non ha le idee chiare… Drin! Suona questo medaglione e
una voce all’altro capo della linea dice: “Telecom Italia: fai questo, questo e quest’altro”. P eggio di una fidanzata possessiva.
I movimenti di macchina. Quando non ci si mette il telefonino, è la telecamera stessa a suggerire pesantemente cosa
fare, andando ad inquadrare la porzione di scenario che ci servirà per risolvere l’enigma, togliendo di fatto il gusto dell’esplorazione.
La tradizione. Sì, anche la tradizione non aiuta: che tensione potrà mai arrecare un boss, per quanto minaccioso, quando
sappiamo già da prima di incontrarlo che per ucciderlo dovremo
utilizzare il gadget trovato nel medesimo dungeon? Ecco che la
a volte ottusa fedeltà con il passato, tipica di Nintendo, si rivela
un passo falso. E i cubi, per carità, basta coi cubi da spingere e
da t irare. Non se ne può più!
Ma nonostante tutto ciò, forum e newsgroup di ogni dove
traboccano di richieste di aiuto da parte di giocatori che non
trovano il c ordardo dell’isola Taura, che non sanno dove sono
gli stivali di piombo, che ad un certo punto non capiscono più
che cosa fare. Questo nonostante le telefonate della Telecom e
il cineoperatore di gamefaqs.
Allora tutto si rimette in discussione, e Wind Waker non diventa più un gioco facile: diventa un prodotto dedicato alle
grandi masse, pensato per tutti quei videogiocatori che non
hanno giocato a Popippo’s Awakening e che credono che
l’idea dei due universi paralleli sia farina del sacco di Soul Reaver.
Non si tratta pertanto di errori in fase di progettazione, bensì
di una precisa scelta che ha l’obiettivo di far entrare quante più
persone possibili nella terra di Hyrule. Protestare per quella
che, oltre ad essere una scelta legittima, è anche altamente
comprensibile, fa assomigliare pericolosamente colui che protesta al negoziante di fumetti dei Simpson , che indossando la sua
t- shirt: “Worst Episode Ever” è pronto a vomitare rabbia su i nternet ogni volta che i suoi idoli non producono esattamente ciò
che egli si aspetta. Ciò che, come premio per anni di insana
fedeltà, gli è dovuto.
Wind Waker è un gioco per tutti: dai giocatori hardcore, che
vivranno venti ore di grande avventura, sebbene un po’ facile,
ai casual gamer, che scopriranno con questo titolo un mondo
totalmente nuovo, il Nintendo way of gaming, e se ne innamoreranno.
Sotto questo punto di vista, Wind Waker è un capolavoro.
Capolavoro perché non sbaglia praticamente niente. Capolavoro
per la forte idea visiva che reca con sé. Capolavoro perché è un
videogioco d’autore che, a differenza di un Ikaruga, si lascia
fruire meravigliosamente anche dalle grandi masse. Esattamente come i film di Kubrick.
I miei rispetti,
13
Luigi’s Mansion. L’alba di un nuovo giorno. Un a ntipasto,
un gustoso divertissement, una breve anticipazione delle
possibilità ludiche che il neonato cubetto e N intendo ci avrebbero potuto offrire in futuro: la mansion è davvero interattiva. È possibile scuotere, spalancare, risucchiare qualsiasi elemento 3D dell’arredamento. Ripensando a qualsiasi Onimusha o Resident Evil, in cui gli scenari sono intoccabili e i
pochi oggetti interagibili luccicano per distinguersi dal fondale, il salto in avanti è notevole. In più il gameplay ci mostra
come le soluzioni grafiche offerte dalla nuova generazione di
console possono spalancare nuove possibilità ludiche. Gli e ffetti d i illuminazione sono parte integrante del gioco. Spengo
la luce, accendo la luce in faccia al fantasma e lo risuc chio.
Cool.
Pikmin. Nulla di sensazionale sotto il profilo del gameplay.
“Il Lemmings dei poveri” l’ha definito qualche maligno. Pikmin non sconvolge, ripropone in chiave Nintendo meccaniche soft da RTS e puzzle game. È comunque un mix inedito
dal s apore esotico.
Super Mario Sunshine. Molto più che un Super Mario
64 con l’innaffiatoio. Il level design è la sintesi della storia del
platform game tridimensionale. Mondi compatti, affatto d ispersivi, zeppi di cose da fare, disegnati secondo una morfologia irregolare che ne moltiplica il fascino e la credibilità. Il
Fludd rinverdisce il concetto di interazione mariesca con il
videomondo. Chiusa la parentesi picchiaduristica di SM64, in
cui si sgominavano i nemici a calci e pugni, questa sorta di
pistolone ad acqua fluidifica le fasi di combattimento così c ome quelle di deambulazione. Da SM64 è progresso autentico.
Metroid Prime. Il culmine della produzione Nintendo su
GameCube. Un capolavoro del passato reinventato nel presente. Meccaniche 2D riproposte in 3D senza colpo ferire. Il
first person shooter rinasce first person adventure. Level d esign da urlo, sistema di controllo innovativo, boss-design bello da impazzire. Samus Aran sbanca il Third Place.
The Legend of Zelda: The Wind Waker. Benritrovati.
Zelda il supremo, Zelda killer app a ncor prima di uscire.
Macché. Mi sarebbe piaciuto riempire le righe che s eguono
con qualcosa di simile al paragrafo con cui ha esordito questo
articolo. Ma la verità è un’altra. Questo non è Zelda elevato
al Third Place. Quanto ha di buono lo eredita da OOT. Lo copincolla, più che eredita. TWW è l’unica produzione Nintendo
per GameCube che non muove un solo passo verso il futuro,
o meglio, verso il presente. Perché citazionismo, cel-shading
e una foglia da usare come paracadute non fanno di TWW un
gioco moderno. Da questo Zelda ci si aspettava interattività
come non mai. Speravamo di governare le maree, di incendiare alberi e di congelare l aghi a colpi di frecce magiche, di
colpire una mensola con il boomerang per farla crollare in
testa a un nemico, di dare fuoco alle chiappe di un avvers ario
dalla distanza e di vederlo scorrazzare agitando il panico trai
suoi commilitoni.
L’essenzialità del nuovo stile grafico poteva dare il via libera a un’interattività senza precedenti, e invece ci ritroviamo
ancora in ambienti ignudi e intoccabili c ome gli interni della
Torre degli Spiriti, a negoziare combattimenti continuando a
pigiare un solo tasto, a esaltarci quando una tenda prende
fuoco colpita da una freccia.
“L'uomo che non conosce la storia è schiavo delle mode. La
conoscenza della tradizione è l'unica via per il progresso”, c i
istruisce l’anziano dell’isola Primula.
Di tradizione questo Zelda ne ha da vendere. Ma il progresso dov’è?
I miei dispetti,
:RECENSIONI:
Ring#07
mORE oF tHE s(H)AME________________________________
[Silent Hill 3]
di Darknessheir
.:scHEda:.
gENERE
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
Survival
Horror
Konami
Interno
PS2
2003
1
PAL
In sostanza, il survival horror è un g enere videoludico
che si serve della tensione
per colmare le lacune di un
gameplay decisamente b asico. Quindi,
per creare un survival horror almeno in
grado di “funzionare”, è necessario puntare anzitutto a spaventare ed angosciare l’utente.
_________________________Yang
Oltre ad alcuni enigmi veramente complessi, sono presenti fasi in cui è sufficiente combinare gli unici oggetti chiave
disponibili nell’inventario.
Sono cani veri o semplici statue in cer amica? Ecco cosa si intende per “angoscia
opprimente e continuata”…
Al pari del nostro caro James Sunderland, nel corso dell’avventura Heather si
troverà a dover saltare in diversi pozzi
per proseguire.
Tensione, spavento, angoscia. In questi
campi Silent Hill 3 si destreggia con
somma perizia. La protagonista Heather,
e insieme a lei l’utente, vagano placidi in
un ameno centro commerciale. Il tempo
scorre inesorabile, e inesorabilmente si
accavallano enigmi, perlustrazioni e rapide consultazioni alla mappa. Fino al
momento in cui davanti ai nostri occhi si
staglia una porta maledetta, varcata la
quale la tranquillità della routine quotidiana viene scalzata da una decadenza
ottundente. Ruggine e sangue rappreso
adornano le pareti dei negozi, una putredine indefinita ammanta il lastrico;
avvolgente, l’oscurità scende d’improvviso a mistificare i contorni delle cose. Ed
opporle la tenue luce della torcia in d otazione ad Heather serve soltanto ad
acuire lo sgomento. Irradiato, ogni singolo oggetto allunga un’ombra inquietante sulle pareti, sui pavimenti, sugli
altri elementi del fondale. Grottesche
creature oltremondane brulicano in ogni
dove, mandando lamenti bizzarri, aggirandosi convulsamente nel tentativo di
lambire Heather. E insieme a lei,
l’utente.
Silent Hill 3 è insomma un vero capolavoro di tensione emotiva; un’esperienza disturbante come poche, che nel
giocatore instilla una angoscia opprimente e continuata. Il titolo Konami non
punta a sorprendere infrangendo la calma di una situazione apparentemente
sicura con un’inattesa incursione mostruosa. Preferisce tormentare l’utente,
allestendo sotto i suoi occhi situazioni
orrorifiche e grottesche, spesso innocue.
In un qualunque Resident Evil è possibile mettere mano al fucile e brutalizzare
il mostro che ci ha fatto saltare dalla
sedia; fine del pericolo, fine della tensione. In Silent Hill 3… U n rapido esempio: nel centro commerciale, ci si trova
di fronte ad una toilette occupata. Esaminandola Heather bussa alla porta, ed
in risposta qualcuno, dall’altra parte,
busserà a sua volta. Ma non aprirà. A c cingendosi ad abbandonare la toilette un
rumore invita a tornare indietro. Una
serratura sbloccata. La porta è aperta,
finalmente, ma non c’è nessuno: solamente un WC colmo di sangue. E questo
è solo uno degli innumerevoli espedienti
terrificanti dis seminati nell’avventura.
Avvicinandosi all’epilogo i casi di questo
tipo si faranno sempre più numerosi ed
agghiaccianti, enfatizzando al massimo
la follia perversa che domina ogni scenario.
A coronare ottimamente il lavoro degli
sceneggiatori concorre un eccellente
comparto audiovisivo. Siano in versione
normale o “diabolica”, le ambientazioni
14
vantano un livello di dettaglio elevatis simo e delle texture ricche e definite. I
modelli poligonali di mostri e personaggi
sono solidi e squisitamente curati; i mpossibile poi non lodare l’eccellente realizzazione ed animazione dei volti degli
attori virtuali.
Dal punto di vista sonoro il buon Akira
Yamaoka torna a commentare le fasi ingame con la sua caratteristica tregenda
di rumori e percussioni; per l’accompagnamento delle scene non interattive
sono stati scelti motivi dalle sonorità
blues e classic rock, avulsi dalle piacevoli
contaminazioni elettroniche sperimentate in Silent Hill 2.
__________________________Yin
Finora abbiamo dibattuto su un prodotto
apparentemente ottimo. Eppure Silent
Hill 3 non è esente d a difetti, anzi. C ome detto in precedenza, il survival
horror è un genere videoludico che si
serve della tensione per colmare le lac une di un gameplay d ecisamente basico.
Certamente è giusto concentrarsi sull’a spetto emotivo di un titolo di tale categoria; ma è comunque deplorevole trascurare completamente il game design.
La sola tensione infatti non è sufficiente
a sottrarre il giocatore alla monotonia;
dall’inizio alla fine della avventura le
ambientazioni si prestano ad essere esplorate senza offrire nessuno spunto
atto a spezzare l’inarrestabile sopraggiungere della noia. Sono presenti un
paio di enigmi originali, ma per il resto
soltanto macchinali tragitti dal punto A al
punto B, e ridicoli slalom tra mostri tremendi tanto per l’aspetto quanto per la
goffaggine. A costituire la più grave
mancanza di Silent Hill 3, comunque, è
una trama banalissima e per niente articolata. Il plot ricalca quello del primo
Silent Hill (di cui questo successore
chiarisce alcuni retroscena), le sottotrame sono poche e superficiali, la narrazione è lineare e scontata. Un disastro.
________L’armonia del disequilibrio
Ovviamente i difetti sopra elencati risulterebbero lievemente smussati per coloro che non hanno mai mes so piede nella
diabolica città di Silent Hill; è però i mpossibile risparmiare una vergognosa C
all’ultimo nato in casa Konami. Perché
ciò che rende questa saga, o meglio, ciò
che ha reso i primi due capitoli di questa
saga meravigliosi ed ineguagliabili, è il
felice connubio tra atmosfere spiazzanti
e trame inestricabili, di fronte al quale i
difetti del gameplay potevano essere
perdonati. Silent Hill 3 puzza invece di
“more of the same”, di prodotto pensato
per accontentare anche le fasce d’utenza
meno esigenti, incapaci di gustare le
raffinatezze narrative dei predecessori.
Non abbiamo mai biasimato i designer Konami per aver c urato l’a -spetto
narrativo/emotivo a discapito di quello
ludico. Riteniamo sia equo farlo quando
a mancare è la cura verso gli elementi
distintivi di uno dei suoi franchise più
affascinanti.
:RECENSIONI:
Ring#07
cONOSCI tE sTESSO__________________________________
[Rygar the Legendary Adventure]
di DarknessHeir
.:scHEda:.
gENERE
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
Action
Tecmo
Interno
PS2
2003
1
PAL
Il Dual Shock 2 contempla
b e n dodici tasti (inclusi
select e start), una croce
direzionale, e due levette
analogiche. Questo lo sappiamo tutti. E suppongo che anche i
programmatori Tec mo ne siano al corrente. Ciò che non riesco a capire, è il
motivo per cui non abbiano sfruttato
maggiormente questa cornuc opia di puls anti.
irrinunciabile per un action game di ultima generazione. In particolare, si lamenta tale assenza nei confronti con i
boss. Al posto di schivare con agili balzi
laterali, Rygar non può far altro che
correre (o al limite scivolare, ma ne parleremo più avanti) goffamente per lo
schermo, attendendo l’occasione giusta
per iniziare una controffensiva: una pratica decisamente poco gradevole a v edersi, e di certo fuori luogo in un titolo
d’azione dotato di grandi a mbizioni.
________________________Non è
_________È, ma resta inconoscibile
Agganciando il Diskarmor ad apposite
sfere gialle, Rygar può super are baratri
in perfetto Tarzan Style
Il Labirynthos Palace, ambientazione
ispirata ai celebri palazzi di Creta. Lo
stile Minoico è stato ricreato in maniera
eccellente
La principessa Harmonia denota una
preoccupante somiglianza con Britney
Spears…
E’ stata una bella idea riesumare un
classico del 1986; ad essere ripescato
non è stato un nome dal forte richiamo,
bensì un gioco perfetto per essere sottoposto a un’opera di aggiornamento. Poiché il protagonista di quel vec chissimo
Rygar dispensava morte e distruzione
tramite uno strumento che i suoi colleghi, oggi come allora, gli invidiano.
Il Diskarmor. Uno scudo agganciato
ad una catena, da maneggiare come uno
yo- yo. Un’arma potenzialmente in grado
di spalancare situazioni belliche originali
ed inusitate nella scena degli action g ame per PS2. E che Tecmo ha implementato egregiamente.
Il protagonista del presente Rygar:
The Legendary Adventure d i s pone di
tre differenti Diskarmor. Hades, per a tt a c c are i nemici dalla media distanza con
rapidi affondi; Heavenly, per domare
gruppi di avversari con lenti attacchi dalla traiettoria semi circolare; Sea, da preferire nei corpo a corpo. Tre a rmi quasi
identiche nell’aspetto ma differenti
nell’essenza, ognuna d otata di decine di
combo distinte (a volte culminanti in
mosse speciali quali tornado o colonne di
fuoco) ed in grado di richiamare una
creatura mitologica la cui funzione è a ssimilabile alle smart bomb degli shoot’em up vecchio stile. Certo, dei pattern
di attacco più elaborati per i nemici non
avrebbero guastato, ma alla luce della
grande varietà di tecniche atte a sterminarli, chiudere un occhio è lecito.
Imperdonabile è invece l’assenza di
un tasto per mirare i nemici. Il Dual
Shock 2 è dotato di una croce direzionale, due levette e dodici t asti. Era tanto
difficile deputare uno di questi alla funzione di lock?
Inutile aggiungere che le ripercussioni
di questa mancanza interessano pesantemente il valore ricreativo del titolo in
oggetto. Il ritmo dei combattimenti risulta frammentato: i colpi vanno indirizzati
manualmente, per cui è necessario mirare con cura prima di ritrovarsi a fendere
l’aria. Capita spesso di iniziare una
combo per poi accorgersi di non essere
perfe ttamente allineati con l’avversario,
e di conseguenza vedere gli ultimi attacchi della sequenza andare inesorabilmente a vuoto.
È da notare inoltre la totale assenza di
manovre evasive, feature a s solutamente
15
Eppure le premesse per un capolavoro,
in questo nuovo Rygar, abbondano.
L’eccellente grafica attinge alla mitologia greca per riprodurre in maniera
commovente un mondo ricco di scorci
evocativi, ottimamente commentato da
sublimi melodie sinfoniche e popolato da
minotauri, centauri, sfingi e demoni di
ogni genere.
Allietato da tanta grazia il giocatore si
aggira tra ambientazioni d iscretamente
estese ed articolate, la cui esplorazione
è subordinata al reperimento di determinate abilità. Una volta acquisita la possibilità di scivolare, per esempio, s aranno
accessibili tutti quei varchi che ad un
primo esame erano risultati troppo a ngusti: analogo discorso riguardo ai blocchi da spostare a suon di tackle, o agli
interruttori da premere tramite poderosi
pestoni aerei. Spesso questi ostacoli c us todiscono remunerative aree segrete,
provviste di item di supporto e c ura, o
più raramente una delle numerose pietre
da alloggiare sui D iskarmor per ottenere
gli effetti più disparati (come recuperare
energia, o potenziare i pestoni di cui s opra). Incentivata è altresì la distruzione
di ogni elemento interattivo del fondale:
frantumando colonne, statue e rocce, è
possibile ottenere punti esperienza –
normalmente rilasciati da ogni nemico
abbattuto - da investire in upgrade per i
propri Diskarmor.
_______________È conoscibile ma
inspiegabile, intrasmissibile
Insomma, non si può che consigliare
cautela ai potenziali acquirenti di Rygar:
The Legendary Advent ure. Non si
tratta certamente di un titolo mediocre,
ma pur sempre afflitto da difetti che potrebbero fare rimpiangere un acquisto a
prezzo pieno. I programmatori Tecmo
eventualmente impegnati in un sequel
sono pertanto invitati a prestare maggiore attenzione nella pianific azione d el
game design, o in alternativa ad appendersi per il collo (c ome esortava a fare il
buon Timone “Misantropo” Ateniese,
tanto per rimanere in ambito classic o )
ad una rigogliosa pianta di fico.
Con tanti saluti a Parmenide, Zenone e
Gorgia.
:RECENSIONI:
Ring#07
qUEL cHE iL mARE nON pUO’ dIRE_______________________
[Zelda Oracle Of Ages & Zelda Oracle Of Season]
di Gatsu
.:scHEda:.
gENERE
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
Action RPG
Nintendo
Capcom
GBC
2001
1
PAL
Uno dei principali difetti
accreditati a Zelda The
Wind Waker è la mancanza del concetto di “molteplicità”, elemento presente
in quasi tutti i suoi predec e s s ori. Mi
s p i e g o meglio: in Zelda Link To The
Past ci era concessa l’esplorazione del
mondo normale e di un Dark World
specchiato, in Ocarina Of Time Link
poteva viaggiare nel tempo e la sua età
influiva in maniera sostanziale nelle azioni eseguibili dal gioc atore, in Mask Of
Majora l’uso delle maschere era fondamentale per risolvere gli enigmi: ogni
trasformazione prevedeva che il nostro
eroe assumesse particolari poteri e capacità. In Wind Waker non c’è nulla di
tutto questo: Link può c omandare i venti
ma ciò, al di là degli spostamenti via
mare, influisce in maniera molto meno
incisiva sul gameplay rispetto a quanto
avveniva negli episodi della saga summenzionati. Non c’è nessun “mondo doppio”, nulla che ci consenta di modificare
sostanzialmente le capacità di Link (item
e s c lusi, ovviamente, ma questa è una
caratteristica chiave della serie). A meno
di non voler includere in questa categor i a anche Il Canto Del Burattino, che,
c onverrete con me, è decisamente meno
effic ace, più macchinoso e più l imitante
delle feature citate prima.
Ad ogni modo, non siamo qui per d iscutere della struttura di WW, ma per
parlare di quella, geniale, di altri due titoli della saga passati un po’ troppo inosservati a causa della console a cui
sono destinati, il Game Boy Color. Signore e signori, sono qui per presentarvi
Zelda Oracle Of Ages & Zelda Oracle
Of Season, due titoli che:
a) Rispettano pienamente la tradizione
della “molteplicità”, al contrario di
WW;
b) Sono molto più lunghi e impegnativi
dell’ultimo episodio di Zelda;
c) Introducono nella saga un geniale
meccanismo di scambio dati che è
probabilmente servito come base per
quello, estremamente complesso, di
Animal Crossing…
_______________Una
non l’avete vista mai
Capcom
così
Sul come abbia fatto Capcom a mettere
le mani sugli Zelda portatili (ricordo che
Capcom ha curato anche l’ottima c onversione di Link To The Past per GBA)
c’è poco da ipotizzare: le esclusive di
Resident Evil 0 e 4 devono essere c ostate a Nintendo un bel po’ di promesse.
La cosa stupefacente è come Capcom,
nota per il suo spiccato gusto per il ric iclaggio infinito di t itoli e meccaniche, sia
riuscita ad adattare PERFETTAMENTE il
suo team allo spirito della saga e a confezionare due titoli che, fossero usciti su
Gamecube, avrebbero presto fatto dimenticare i fasti di Ocarina Of Time .
Credetemi, tutto quello che troverete in
OOS e OOA è “pure fucking Zelda’s style”, dagli enigmi presenti nei dungeon
alle subquest che Link dovrà portare a
termine.
16
Diversi per ambientazione e indirizzo
stilistico (OOS è ambientato a Holodrum
ed è più improntato sull’azione, OOA è
ambientato a Labrynna e propone enigmi più ostici e meno smazzuolamenti), i
due titoli compongono un unico grande
puzzle, con continui riferimenti al titolo
che in quel momento non state giocando
e ai titoli passati della saga. Chiariamo,
sia OOA che OOS possono es sere giocati in maniera del tutto indipendente, ma
non è questa la loro vera natura, come
andremo a scoprire fra poco parlando
del singolare sistema di collegamento
dei due titoli.
___________Two is meglio che one
Fra le principali novità introdotte d ai due
titoli, c’è la possibilità per Link di indossare vari anelli (ognuno dotato di un
potere particolare, ovviamente) e quella
di upgradare i suoi item per un massimo
di 3 livelli. Sia OOS che OOA presentano
una certa selezione di anelli, che possono es s ere importati nell’altro episodio in
qualsiasi momento, tramite un ingegnoso sistema si password, e così pure gli
item. L’idea geniale consiste nel fatto
che, giocando all’episodio non ancora
completato, ci verranno fornite delle
password da inserire nel titolo finito, che
apriranno nuove subquest o consentiranno di upgradare altri item. E così via,
in un reciproco scambio di informazioni
che rendono di fatto OOA e OOS due fra
i più longevi titoli della saga in assoluto.
Come se non bastasse, l’aver completato
uno dei due titoli influisce anche sugli
eventi
principali
che
ac cadranno
nell’altro: nel nostro peregrinare non
sarà raro ritrovare personaggi e situazioni già note. Lo stesso “true final
boss”, Ganon, si può affrontare solo portando a termine entrambi i titoli (in caso
contrario combatterete contro un finto
boss finale, ma anche in questo caso la
narrazione della storia, seppur incompleta, è garantita).
__________________Lungo e duro
Solo per darvi un’idea, una guida in txt
tipica per OOA (il più impegnativo dei
due) si aggira intorno alle 100 pagine
scritte in piccolo. 100 pagine per un titolo dedicato al GBC sono una quantità
spropositata, e vi assicuro che gran parte di quel testo riguarda la pura soluzione del gioco, non divagazioni sugli item
o consigli su come pettinarvi (se vi state
chiedendo se ho utilizzato la guida per
terminare il gioco la risposta è: “Si, in
più di qualche punto non sapevo come
diavolo fare”). La difficoltà degli enigmi
(particolarmente quella di OOA , ma a nche quelli di OOS sono molto g ustosi) ha
ben poco da invidiare a quella dei fratelli
3D, così come la quantità di subquest
che si pos sono affrontare anche grazie al
sistema di “scambio item” illustrato prima. In definitiva, con una spesa che nel
peggiore dei casi si aggirerà sui 70- 8 0
euro, rischiate di portarvi a casa due dei
migliori episodi di Zelda mai apparsi su
questa terra. Con buona pace di Wind
Waker e del suo maledetto mare in cel
s hading.
:RECENSIONI:
Ring#07
rADICALI lIBERI_____________________________________
[Time Splitters 2]
di Federico Res
.:scHEda:.
gENERE
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
FPS
Eidos
Free Radicals
Multi
2003
1-4
PAL
Da che mondo è mondo, il modo più efficace di far fuori uno zombie è spappolargli il cranio con un colpo ben assestato. Gli zombie di TS2 però ne sono coscienti, e sono soliti scartare di lato o
abbassarsi all’improvviso nel tentativo di
evitare l’emicrania…
Time Splitters 2 viene
da un drappello di coder uscenti da R areWare, gli stessi responsabili del primo Time Splitters [PS2
e PC] e degli immortali Goldeneye
e Perfect Dark [1997 e 2000,
N64]. Lungi dal voler stoltamente
sfruttare l’eredità dei pachidermici
antenati, e spinta da volontà di rivalsa per le critiche mosse al primo
TS, questa nuova opera di Free Radical ruota intorno a quattro punti
cardine: [1] l’entusiastico scavalcamento dei limiti del prequel (in
primis uno Story Mode ridicolmente
incisivo); [2] l’edificazione di un
multiplayer allo stato dell’arte; [3]
l’im-plementazione di una sezione
Arcade pericolosamente adrenalinica; e [4], last but not least, la presenza di un editor di mappe tanto
esaltante quanto prodigo di opportunità. Una quantità di carne al
fuoco da indigestione…
__________Da Quantum Leap a
Blade Runner
L’aspetto caricaturale del chara design
contribuisce ad elevare TS2 dalla piattezza media delle prod uzioni occidentali.
Alcuni personaggi, come la donzella in
foto o il Gobbo di Notre Dame, sono
davvero i mpagabili…
L’uso delle armi gemelle (che si estende
a pistole e fucili) permette una potenza
di fuoco e una vel ocità di sparo doppie.
Un modo facile e rapido per ridurre gli
avversari all’impotenza, e per vederli
ballare al ritmo dei vostri otturatori...
Il difetto principale del prequel, si
diceva, sta senz’altro nella povertà
dello Story Mode, che riduce il gioco ad un multiplayer privo di grossi
sbocchi ricreativi per un player solitario. Per questo seguito i Radicali
Liberi hanno usato l’astuzia: una
serie di dieci livelli – sufficientemente vasti e articolati – e una
profusione di obiettivi primari/secondari da portare a compimento
per ottenere l’accesso ai livelli successivi. Free Radical si m ostra però
insofferente alla cinematografia imperante presso tanti esimi esponenti del genere (FPS), e preferisce
rifarsi a un modello narrativo ben
esemplificato dal telefilm Quantum
Leap1: i dieci livelli sono ministorie
autoconclusive, e si adagiano in
una griglia di comando come gli
stage di un gioco ‘old style’. Manca
perciò una coerenza di fondo, la
coesione di un solido plot narrativo
che si faccia latore del giusto coinvolgimento emotivo – spezzato dai
continui rimbalzi verso la griglia dei
livelli – e della giusta sospensione
d’incredulità, concessa in pillole
dall’azione spesso blanda.
Per contro, s’impone una verve
iconografica di grande stile, e un
design scaltro e attento: TS2 propone una splendida carrellata di
epoche e ambientazioni, dalla Notre
Dame di Victor Hugo (provvista di
17
un goliardico Gobbo) ad una NeoTokyo sospesa tra Ghost in the
Shell e Blade Runner, con tanto di
soundtrack ricamato sull’opera di
Vangelis; dalle sfumature rosse del
Far West di Eastwood e Leone f ino
ai laboratori segreti di un emulo di
James Bond baffuto e playboy ( Ciclotrone). Senza tralasciare celebranti incursioni nelle fantascienza
cinematografica degli anni cinquanta (Ritorno al Pianeta X), strizzate
d’occhio a Indiana Jones (Rovine
Azteche) e sparatorie a colpi di
Tommy in un’affascinante Chicago
degli anni ‘30… manca, si è detto,
un solido canovaccio che leghi insieme il tutto, ma a ciò sopperisce
in parte il coinvolgente mix di narrazione e gameplay: la trama si dipana determinando gli obiettivi che
al giocatore è r ichiesto completare
(cfr didascalia) e le meccaniche di
gioco rispondono ad uno schema
eclettico che sa reinventarsi ad ogni
obiettivo che pone. Ripartito in tre
livelli di difficoltà 2, che ne determinano la complessità della mappa e
degli obiettivi, oltre che il numero e
la prestanza dei bot, lo Story Mode
di TS2 è uno scoppiettante concentrato di game design che gocciola
frenesia da tutti i pori…
Esaltante per l’incalzante e v ariegata sequela di obiettivi, che
vanno dall’uccisione di particolari
nemici (Big Tony nella Chicago anni
’30; un enorme demone in Notre
Dame; un ammasso di lame e pistoni nella Fabbrica dei Robot), al
dis/innesco di congegni quali reattori atomici e ordigni esplosivi;
Coinvolgente per i tratti di un
level design sorprendentemente
ispirato (NeoTokyo 2019, Fabbrica
dei Robot e Ritorno al Pianeta X gli
episodi migliori);
Stimolante per un’inclinazione
alla scorrettezza del tutto peculiare: TS2 lesina al limite sugli upgrade energetici, stringe il giocatore in
pattern scanditi da rigidissimi intervalli di tempo e concede sempre e
solo un misero checkpoint anche
nei livelli più articolati. Si è spesso
costretti ad una serie d’azioni che,
se non accuratamente ponderate ,
comportano un immediato fallimento della missione: il minimo errore
durante l’infiltrazione nella base
degli hacker ( NeoTokyo); la minima
esitazione nel processo di neutralizzazione di una serie di congegni
esplosivi (Ciclotrone). TS2 è una
concatenazione di meccaniche priva
di punti morti e costringe ad
:RECENSIONI:
un’azione tesa e frenetica, che invoca ferrea determinazione e sudore sulla fronte. E questa è l’ode che
Free Radical canta al videogioco.
L’ode ad una sfida che mai emana il
puzzo della frustrazione ma che
penetra a fondo nell’attitudine estrema di ogni hardcore gamer a ssetato di “roba buona”. L’ode ad
una massiccia produzione di adrenalina nel sangue, l’ode ad un miracoloso bilanciamento tra elucubrazioni tattiche e fasi di shooting
furioso (magari ai comandi di una
delle tante torrette difensive conquistabili). TS2 è ode al gameplay
prima che alla narrazione. Lo si nota nella cura maniacale riservata
all’esercito dei bot (che dimostra un
IA intraprendente, capace di orchestrare cacce all’uomo, imboscate e
fuochi incrociati), nella fantasiosa
varietà dell’armamentario (balestre
e lanciarazzi, mine teleguidate e
fucili al plasma, pistole laser e fucili
a pompa…). E lo si nota soprattutto
nelle altre modalità che Free Radical ha confezionato…
Ad integrare l’esaltante Story
Mode – non più inutile orpello di un
party game – si avvicendano la
modalità Arcade e l’esagerato Multiplayer Mode. L’Arcade infradicia il
giocatore con un diluvio di modalità
e varianti da lasciar basiti: due s ezioni principali, la prima divisa in
tre tornei (Principianti, Onorari ed
Elite) dove lo scopo è collezionare
medaglie di oro/argento/bronzo; la
seconda – dotata di un selettore di
frenesia3 – concepita come un raccoglitore di prove da sbloccare tr a-
Ring#07
mite l’accumulo delle medaglie in
palio nei tornei. Entrambe le sezioni
vantano una varietà di prove apparentemente infinita: Deathmach in
singolo e a squadre; Cattura la
Borsa (sic); Riduzione (dove, in base ad una classifica stilata sul numero d’uccisioni, i concorrenti subiscono un ridimensionamento inversamente proporzionale alla loro
posizione, che si riflette sull’agilità,
la resistenza e la forza); Vampiro
(con la barra d’energia che si consuma rapidamente e deve essere
reintegrata da assassinii multipli),
Ladro (dove è necessario collezionare le monete rilasciate dai cadaveri) e decine e decine di varianti.
Dal canto suo il Multiplayer si conferma il migliore fin’ora implementato in un FPS, riprendendo più o
meno tutte le varianti dell’Arcade in
un quadruplo spleet screen solo
sporadicamente intaccato da fugaci
cali di frame rate . Bellissima la modalità cooperativa, che, grazie alle
strategie di copertura adottabili,
alle torrette e alle sentinelle mobili
aggiunge alla cooperazione un
ingrediente fresco e saporito.
Infine, ogni modalità (sia Arcade
sia Multiplayer) concede un’ampia
personalizzazione che riguarda
decine di parametri diversi, come
punti da ottenere, limiti di tempo,
numero di bot, location…
Cosa manca ancora all’appello?
[1] Una modalità Sfida, dove è
possibile sollazzarsi con atti di distruzione sistematica di finestre e
vetrate o fare incetta di banane nei
panni di una scimmia (!); [2] un
potente editor imbottito di opzioni e
variabili, che permette la pianificazione di obiettivi più o meno complessi, la scelta della tipologia di
bot, di armi, perfino la modifica di
ogni singola fonte di luce; [3] Una
grafica fluida e stilosa (che viaggia
a 60 fps assolutamente costa nti); e
[4] una longevità ostentatamente
infinita.
Burp.
_____________________Note
[1] Quantum Leap (in italiano: In
viaggio nel tempo) raccontava le
vicende di Samuel Beckett, perduto
in un interminabile viaggio nel passato. Beckett saltava di epoca in
epoca risvegliandosi nei panni di
individui sempre diversi, e finiva
per dover risolvere i loro problemi
prima che i propri. Esattamente ciò
che avviene in TS2.
[2] Il livello Easy è davvero ignobile
e non merita l’attenzione di nessun
giocatore che si rispetti. Il nostro
consiglio è di buttarsi a capofitto
sul Normal, o sull’Hard, sempre che
conosciate una nutrita schiera di
santi cui appellarvi nella fasi più
toste…
[3] Il ‘selettore di frenesia’ (che
permette la scelta tra Blando, No rmale e Frenetico) determina il numero di bot presenti nella mappa di
gioco, e quindi la furia dell’azione…
>> STOP & GO! >>
[10 secondi al box]
Videogiocatori: quelli che ...
Quelli che hanno salvato decine
di principesse ma vorrebbero liberarsi della propria fidanzata perché
preferisce fare sesso piuttosto che
videogiocare.
Quelli che vanno al cinema a vedere i film di Mortal Kombat, Street
Fighter e simili solo per poter dire:
“Col videogioco non c’azzecca una
mazza”.
Quelli che in giardino ci vanno armati, perché qualcosa di molto
grosso può sempre nascondersi
nell’erba.
Quelli che al posto del confetto
Phalqui utilizzano le riviste di videogiochi mainstream
Quelli che passano più tempo con
le sub-quest demenziali piuttosto
che con il gioco vero e proprio.
Quelli che nella vasca da bagno si
immergono perché potrebbe esserci un passaggio segreto.
Quelli che mangiano solo quando
stanno per morire.
Quelli che in spiaggia si congratulano con il bagnino per come è
stata riprodotta l’acqua.
Quelli che, tifosi dell’Inter, dopo il
5 maggio 2002 hanno tentato
inutilmente di ricominciare tutto
dalla partita precedente.
18
Quelli che nessun oggetto è
davvero inutile, anche i canditi
nel panettone, se ce li mettono,
prima o poi potranno servire a
qualche cosa..
Quelli che non sono pacifisti,
perché la pace ha senso solo al
termine dell’ultimo livello, e deve durare, al massimo, fino
all’inizio del sequel.
Quelli che X accelera, quadrato
frena, ma Dio benedica il cerchio...
Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa
:RECENSIONI:
Ring#07
lAMPI nEL cIELO, sIBILA lA lAMA rADIANTE________________
[Radiant Silvergun]
di Emalord
.:scHEda:.
gENERE
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
Shooter RPG
ESP
Treasure
Saturn
1998
1
Jap
A chi si chiede perché
Radiant Silvergun sia
giudicato dalla quasi
unanimità della popolazione videoludica come LO shooter
per console, e quindi il più bello di
sempre, Ring si impegna a dare
una risposta. Operazione tutt'altro
che semplice, a dire il vero. Quello
degli shoot'em up è stato fino alla
precedente generazione di console
uno dei generi più gettonati, ed è
quindi naturale che la quantità di
titoli sul mercato sia prossima all'infinito. Se il mondo dei videogames fosse un'autostrada le cui corsie ne rappresentassero i generi,
quella degli shooter sarebbe perennemente intasata di traffico. La
maggior parte delle autovetture che
la percorrono potrebbero sembrarvi
vecchie e da rottamare, certo, ma il
loro motore, ve lo g arantiamo, funziona ancora perfettamente, r egalando emozioni, divertimento ed
adrenalina sconosciuti a molte auto
nuove di fabbrica.
Trovare in un pagliaio d'aghi un
ago più bello degli altri, rischia di
essere un'impresa ardua, perfino
inutile, ma noi ci proveremo, basandoci su pochi ma essenziali punti di riferimento.
Il primo di questi è che lo shooting è un genere colpevole. Colpevole di 5 crimini1 , 5 "vizi congeniti" che, con il passare del tempo, lo
hanno allontanato dalle luci della
ribalta. Radiant Silvergun è uno
dei pochissimi prodotti che esce
impunito da questo sporco affare,
ed essere nominato il best shooter
ever è forse il premio legittimo, per
un prodotto che è una rara c ombinazione di grafica, sonoro, profondità di gameplay, spirito innovativo
e contemporanea fedeltà ai crismi
del suo genere.
I 5 crimini che ci accingiamo ad
elencare erano impercettibili per chi
si godeva le prime generazioni di
sparatutto. Le macchine su cui giravano, Commodore 64, Amiga,
Nes e Master System, erano tecnologicamente limitate e già la sola
compresenza di sprite, azione e
musica poteva considerarsi un puro
miracolo di programmazione.
All'inizio degli anni '90, all'apice
della sfida tra Megadrive e Super
Nintendo, con la presenza ingombrante di PC Engine, gli shoot'em
up raggiunsero il loro culmine evolutivo, regalando prodotti tecnica-
19
mente eccellenti [scrolling fluidissimo, parallasse a go-go, colonne
sonore adrenaliniche] e dal gameplay calibrato, con controlli impeccabili ed una vasta scelta di armi
realmente incidente sull'avanzamento nel gioco. Erano i tempi di
Thunderforce III e IV, di Musha
Aleste , ma anche degli Axelay e
dei demenziali Pop'n'Twinbee e
Parodius, perché gli shooter sanno
anche sorridere, nella loro basta rdaggine di fondo.
Poi arrivarono loro, i 32 bit, con
un gran carico di attese da parte
dell'utenza.
Una macchina più potente doveva significare giochi più belli, doveva sfruttare, come già era successo
per le generazioni precedenti, tutte
le proprie pote nzialità hardware.
Piegate alla regola del "poligono
per forza", le console a 32 bit hanno passato tre anni di purgatorio
prima di trovare un'equilibrata fusione tra un game design fedele
alla tradizione degli shooter e d una
grafica che reggesse l'impatto con
un mercato affamato di textures e
poligoni.
Ci troviamo in un momento della
Storia del Videogioco in cui, da una
parte, i limiti storici del genere
sembrano decretare l'incompatibilità tra lo shooter e l'evoluzione del
divertimento elettronico, dall'altra,
Einhänder, R-TYPE Delta e Radiant Silvergun si fanno avanti
per dimostrare che, se adeguatamente reinventato, lo shooter è un
genere privo di scadenza.
Tra questi, RS su tutti viene indicato dal popolo dei videoplayer c ome il titolo in grado di ribadire il
valore della categoria, proprio in
virtù di quelle sue caratteristiche
che riescono ad elevarlo al di sopra
dei difetti riconosciuti del genere
cui appartiene, limiti che ci accingiamo ad elencare sotto forma di
"accusa", dai quali il titolo Treasure, datato 1998 e convertito da
coin-op, strilla la sua estraneità.
__________1 Natura Reiterativa
L'accusa: La struttura classica dello shooter è fondata sulla progressione lineare, con due cliché strutturali.
Primo: Il gioco inizia dal primo l ivello, e si indirizza verso la fine
passando attraverso scenari di difficoltà crescente presidiati da Boss di
metà e fine livello.
:RECENSIONI:
Secondo: la distruzione della
propria nave significa spesso ricominciare il livello da una sezione
precedente.
Di questi, è soprattutto il primo
ad infastidire i giocatori odierni,
portando tutti a non-appassionati
alla noia di ripetere forzatamente i
primi livelli per poter arrivare alla
fine, o di perdere vite anche in livelli ormai famigliari che non dovrebbero più costituire un pericolo
per l'avanzamento.
Negli shooter non esistono salvataggi, è nella loro stessa natura,
ma questo rischia di portare ad un
veloce disaffezione da parte di tutti
gli utenti occasionali.
La difesa: Radiant Silvergun riconferma la componente della progressione lineare, ma questa è l'unica attinenza con i cliché del genere. Grazie all'introduzione del
sistema di "esperienza progressiva"
proprio della versione creata appositamente per Sega Saturn, ogni
volta che il gioco ricomincia, le armi
mantengono il "livello di esperienza" acquisito con le partite precedenti [debitamente salvato nella
memoria interna della console], r isultando sempre più veloci e devastanti. Grazie a questo fattore, tipico degli RPG, è virtualmente impossibile non progredire nel gioco,
visto che i primi Boss possono e ssere spazzati via in una frazione di
secondo dopo solo qualche ora di
gioco.
Inoltre, ogni partita è differente
dalla precedente, proprio perché
con l'esperienza e la sicurezza m aturata dal giocatore, si passerà da
una fase di pura azione blastatoria,
selvaggia, auto-difensiva, ad una
fase più critica, ragionata, alla ricerca del "perfect play" e del punteggio più alto. Cosa che permetterà una più rapida evoluzione del
proprio arsenale, grazie al sistema
delle "chain" di cui parleremo più
avanti. Tutto questo porta ad un
unico ma importantissimo risultato:
l'utente non corre mai il rischio di
stancarsi od annoiarsi, visto il continuo rinnovarsi, diversificarsi e
prolungarsi dell'esperienza.
_____________2 Azione Basica
L'accusa: Mentre tutti gli altri generi [Platform /RPG /Sportivi] hanno nel corso degli anni sviluppato
trame, eventi ed azioni che hanno
approfondito, variegato, ritmato il
gioco stesso, limitando ai minimi
storici la ripetitività delle azioni tipiche del genere [si pensi solo alla
profondità raggiunta dalle simulazioni calcistiche], l'azione dello
shoot'em up si è irrigidita su tre
Ring#07
sole azioni di base: sparare contro
gli avversari, evitare i loro colpi e
potenziarsi progressivamente. Davvero troppo poco per un genere c osì importante.
La difesa: Radiant Silvergun
mantiene le caratteristiche proprie
del suo genere, ma le espande su
più piani di gameplay.
Sparare contro gli avversari non
significa premere forsennatamente
il pulsante di fuoco. No. Far fuoco
sul nemico presuppone innanzitutto
scegliere una delle armi di cui dispone il Silvergun.
Ognuno dei sei pulsanti del joypad Saturn è adibito ad un'arma
precipua, il che significa poter scegliere fra sei armi diverse, s ette se
si conta anche la lama laser al cui
uso è preposto il tasto posteriore R,
che debitamente caricata funge anche da devastante, schermoilluminante smart bomb.
Ogni singola arma, dal laser a r icerca a utomatica, al comune vulcan
anteriore, ai missili laterali, fino alle
3 varianti deposte sui pulsanti
X,Y,Z, ha più di un valore accessorio. Ognuno dei venticinque incazzatissimi Boss che vi troverete ad
affrontare necessita di un diverso
approccio, che tradotto in soldoni
significa diverso arsenale di fuoco.
Fuoco a cui rispondono sia i Boss
che le comuni navi da battaglia
sparse lungo i l ivelli, fuoco che non
da mai l'impressione di essere scaricato a caso, che non sembra mai
inevitabile.
Evitare i colpi avversari, grazie
allo splendido gameplay forgiato da
Treasure, diventa un'arte. Ogni
singolo colpo nemico offre sempre
una luce, uno spiraglio, una via di
fuga. È meraviglioso tr ovarsi in un
inferno di fuoco, con un colpo ad un
pixel dall'ala destra, un altro colpo
che scivola lungo la fiancata sinistra, mentre il nostro vulcan esplode la raffica risolutiva verso quella
fastidiosissima nave madre.
Potenziarsi progressivamente rifugge invece la classica regola dell'item da raccogliere. Le armi vengono evolute fino alla 33a potenza
tramite l'abbattimento delle navi
avversarie, che si dividono in tre
classi di colore: giallo, rosso, blu,
affrontabili in due modi differenti.
Abbattere selettivamente solo
navi di un colore, porterà ad un
aumento esponenziale del punte ggio e della potenza dell'arma che si
sta usando in quel momento.
Abbattere le navi secondo una
precisa sequenza cromatica [che
sta a voi scoprire] porterà invece
ad ottenere bonus denominati
"secret", che si alternano ad altri
bonus nascosti nello scenario, sempre e comunque alla ricerca della
20
partita perfetta, all'insegna della
massima varietà e stimolazione
possibile.
____3 Sistema di armi punitivo
L'accusa: Nella maggior parte dei
casi, perdere una vita nel bel mezzo di un livello significa perdere tutti i potenziamenti ottenuti, con l'enorme frustrazione di ritrovarsi m ilitarmente castrati ed in preda a
furiose folate avversarie.
Pochi sono i giochi talmente equilibrati da permettere una sfida dignitosa anche in presenza della d otazione di base, ma gli stessi possono
anche
essere
paradossalmente tacciati, sotto
quest'aspetto, di "scarsa competitività", o troppa facilità che dir si v oglia.
La difesa: Radiant Silvergun, in
questo caso, stravolge completamente l'essenza ludica. Non esistono "livelli", n
i nanzitutto. Tutto il
gioco è un unico, lunghissimo livello, caratterizzato da macrosequenze di scenari che si alternano su
schermo, interrotte da brevi sequenze narrative, cui accenneremo
in seguito per esaltarne la splendida regia.
In tutto possiamo distinguere circa cinque fasi di gioco, ma all'interno di ognuna si susseguono diverse
ambientazioni, interrotte ogni due
minuti circa da un enorme, coriaceo
Boss.
Essere colpiti, in pratica, si riduce
alla sola perdita di una vita sul
totale.
Perché quello che conta è che l'azione/attenzione/esaltazione non
venga mai interrotta.
______4 Innovazione Nebulosa
L'accusa: Gli shoot'em up sono un
genere storicamente bidimensionale. Le innovazioni innestate nel g enere dagli albori [console | computer a 8 e 16 Bit, fine anni '80] fino
al punto di massimo splendore
[console a 16 bit, inizio | metà anni
'90] sono fortemente strutturali,
realmente incidenti sul gameplay,
ma poco "visibili" ai non adepti.
L'introduzione del 3D, di fatto, non
ha costituito la rivoluzione "globale"
che ci si poteva aspettare, risultando talvolta in una certa perdita di
intuitività, altre volte perfino in un
impoverimento del valore iconografico [si pensi alla pessima resa iconografica di Thunderforce V [Technosoft 1998] rispetto ai suoi meravigliosi predecessori].
In altre parole, lo shooter, agli
occhi di un utente distratto, è riu-
:RECENSIONI:
scito a stento a rinnovarsi pur attraversando diverse generazioni di
hardware.
La difesa: il grande merito di Radiant Silvergun è quello di mantenere la giocabilità e l'immediatezza dei vecchi shooter conformemente agli standard del proprio
tempo. Stiamo parlando del 1998,
anno in cui sono usciti anche i già
menzionati R-Type Delta e Einhänder. Due splendidi shooter a nch'essi, nessun dubbio, più prestanti tecnicamente, ma purtroppo
complici in più occasioni dei 5 crimini sotto osservazione, e quindi
meno meritevoli del t itolo Treasure
ad opinione di chi scrive.
Ma andiamo con ordine.
RS è innovazione grafica: L'ibrido
bitmap/poligoni utilizzato dal titolo
Treasure risulta vincente su più
piani, brillando per creatività, innovazione e sapiente sfruttamento [e
conoscenza] di pregi e limiti dell'hardware Sega.
Il motore grafico di Saturn, generalmente poco avvezzo ad una perfetta gestione di mondi 3D-only, ne
è uscito con lode, garantendo un'azione quasi sempre fluidissima
[siano benedetti i rallentamenti nei
momenti più concitati].
La grafica bitmap dei fondali,
splendidamente definita, ne ha
permesso lo zoom, la deformazione
e la rotazione, garantendo un festival di lampi, esplosioni, distorsioni,
rotazioni, che accompagna l'utente
per tutta la durata del gioco.
L'uso di meccaniche 2D, con Boss
e particolari dei fondali in 3D, è riuscito a far convivere il perfetto controllo tipico dei titoli bidimensionali
con la spettacolarità e fluidità dei
Boss poligonali, ognuno con un
comportamento ben distinto.
Uno spettacolo di gameplay nello
spettacolo delle coreografie.
RS è innovazione concettuale: il
gioco è l'apoteosi della filosofia del
"warning- no refuge!!" che anticipa
l'arrivo di ogni Boss. Mentre in tutti
gli shooter a 16bit il Boss rappresentava l'ultimo ostacolo da oltr epassare, in RS il Boss è la costante
di gioco, tanto che in pratica si può
definire questo prodotto una continua sequenza di enormi ammassi
d'acciaio animato.
Le astronavi gregarie sembrano
servire solo al potenziamento del
Radiant e a scaldare l'ambiente,
per arrivare preparati allo scontro
cruciale. E al successivo. E a quello
dopo. Per 25 e più volte.
RS è innovazione stilistica: L'introduzione di fasi narrative e di
spettacolari sequenze in r eal-time,
nonché di un'eccellente regia durante tutti gli scontri coi Boss, garantisce al prodotto Treasure un
Ring#07
fattore innovazione assolutamente
limpido e immediatamente percettibile, rifiutando, per l'ennesima
volta, l'accusa rivolta.
Il supporto CD ha permesso di r ifinire un'esperienza di gioco già di
per sé esaltante, dotandola di una
splendida introduzione in stile anime, di una colonna sonora maestosa e di sequenze narrative che per
lo stile ricordano un altro famoso
titolo Treasure: Sin and Punishment.
_______5 Effetto assimilazione
L'accusa: Per apprezzare uno shooter bisogna "immergersi" nell'azione, mantenendo sempre altissima la concentr azione e la soglia
dell'attenzione. Condizione non f acile a sopportarsi, e che tende a
scoraggiare ulteriormente l'utenza
già fiaccata dai punti già precedentemente elencati.
La difesa: Radiant Silvergun si
adegua a questa regola, ma come
avrete già intuito lo fa a modo suo.
Il gioco di Treasure non è un gioco
facile, e necessita di attenzione ed
applicazione. Ma ciò che lo rende
un titolo vincente è la netta, spiccata sensazione che tutti gli sforzi saranno premiati, che il gioco sia in
perfetto equilibrio tra difficoltà e
possibilità di sfondare le linee avversarie, tra bastardaggine compressa e generosità nell'elargire
emozioni ad ogni pixel che si percorre. Portare a termine il gioco
non è impresa per tutti, ma gli stimoli non mancano mai, per chi a rdisce di gettarsi nell'impresa.
A chi si chiede perché Radiant
Silvergun sia giudicato dalla quasi
unanimità della popolazione videoludica come LO shooter per console, e quindi il più bello di sempre,
Ring ha dato una risposta. Anche
se probabilmente è solo una delle
tante possibili.
Di certo il titolo Treasure è uno
dei pochi che ha saputo trovare una
propria strada, una propria via, una
soluzione per emanciparsi dai 5
crimini degli shooter e brillare sempre e comunque di una luce propria, personale, geniale e diverte nte pur nel rispetto delle regole non
scritte del genere.
Prima di chiudere richiamo la vostra attenzione e vi chiedo:ma esistono davvero questi 5 fantomatici crimini? Ci sono
altri titoli che aggirano questi limiti intrinseci degli shooter? Il nostro Forum
aspetta la v ostra versione dei fatti.
[1] cfr. Ivan Fulco, I crimini dello
shoot'em up, Super Console n.92
(maggio 2002)
21
>> STOP & GO! >>
[10 secondi al box]
Viva il videogioco b a stardo.
Viva l'ibridazione giocoXcinema.
Perché il VG con scheletro narrativo si regge in posizione eretta.
Perché il film con tessuti giocabili cammina a testa alta.
Ludus e fabula. Gioco e narrazione. Possono anche rimanere separati. L'integrazione non
è un imperativo categorico. È
un'auspicabilissima alternativa
evolutiva. Ma nel frattempo a ttendo febbrile Metal Gear S olid 3.
Il segreto è l'equilibrio. Cutscene e gameplay. In affiatata
staffetta. Senza che l'uno pesi
mai sull'altro. Senza che il gameplay pianga ragioni per l'azione che in esso si dipana.
Senza che la cut-scene prevarichi sul gioco estraniando il giocatore dagli eventi narrati.
Uccidere Sephiroth sapendo di
salvare il mondo è più emozionante di quanto lo sarebbe un
combattimento con le medesime meccaniche e la stessa difficoltà contro il portinaio di casa
Strife.
Di converso, la morte di Aeris
non scotterebbe tanto se non
avessimo giocato tanto insieme
a lei: evocando Ifrit, curando il
party, negoziando pedanti incontri casuali.
Il gioco è più esaltante se conduce al conseguimento di una
risoluzione narrativa. C'è poco
da fare: se c'è in ballo il destino
dell'umanità mi impegno di più
che durante un'amichevole contro il Giappone a PES2.
Per contro, una storia che abbisogna dell'intervento decisivo
del giocatore sarà da questi
sentita con maggior partecipazione rispetto a quella proposta
attraverso uno spettacolo non
interattivo. È su questo punto
che fanno leva i tie-in: rivivere
dall'interno storie che ci hanno
emozionato al cinema.
Viva l'ibridazione giocoXcinema.
Viva il videogioco b a stardo.
Cristiano Bonora
:RECENSIONI:
Ring#07
sTYLISH cLONING____________________________________
[Cannon Spike]
di Emalord
.:scHEda:.
gENERE
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
Shooter
Capcom
Psykio
Dreamcast
2000
1-2
Usa
All'alba del 2000, anno
simbolo di radicali innovazioni & cambiamenti, icona del progresso & del vecchio lasciato dietro
le spalle, una sorniona C apcom si
rende conto che è da parecchio
tempo che nessuna softco ripropone il concept di Robotron [Williams, 1982] e Smash Tv [Williams, 1990] sugli schermi di casa.
Partendo con il piglio di proporre
qualcosa di originale per i più giovani adepti del videogaming, e
sfruttando allo stesso tempo un
concetto già rodato dall'alba dei
tempi ludici, la softco di Street
Fighter manda un'email a Psikyo
con l'ordine di rimpinguare la softeca per Dreamcast con un prodotto
sulla falsariga dei due simulatori di
sterminio di massa sopracitati,
simboli del gioco frenetico, mononeuronico, assolutamente disimpegnato.
All'alba del 2000, portale d'accesso ad un futuro radioso e pieno
di novità, Capcom raschia dal fondo
della botte riproponendo un modo
di giocare vecchio di vent'anni, d imostrando se non altro che le più
recenti tecniche di clonazione ludica
funzionano perfettamente.
Perché a volte il futuro è l'anticamera della preistoria, qualsiasi
cosa voglia dire.
Consci del fatto che l'utenza a
128bit era ormai navigata e vogliosa di novità, consapevoli che le icone videoludiche sono come una cesta da picnic per le formiche, i programmatori di Psikyo decidono
intelligentemente di sfruttare i mille
franchise di Capcom per aggiungere
sale ed aromi ad una minestra p otenzialmente insipida. Ecco quindi
comparire nella rosa dei personaggi
selezionabili una ultrasexy Cammy
dalla saga di Street Fighter, Charlie da Street Fighter Alpha, un
corazzatissimo Arthur da Ghosts'n
Goblins, la cappuccettorossica B.B.
Hood da Darkstalkers ed infine
Megaman dall'omonimo, azzurrocromato franchise.
Riuscirà la presenza di queste
superstar ad alzare le quotazioni di
un prodotto scarno nel concept e
nel gameplay ad alto rischio di b analità su più livelli di lettura? Continuate a seguirci.
Cannon Spike è l'essenzialità
ludica. Dieci arene ben differenziate, popolate da una masnada di
22
malintenzionati da abbattere, a loro
volta capitanati da un semi-boss
che invero non brilla quasi mai per
carisma. Falcidiata la colonna infame compare il Boss vero e proprio,
ultimo baluardo a proteggere l'arena successiva, adorato da schiere
di donne urlanti in quanto, almeno
lui, dotato di un seppur minimo carisma.
Tutti i tasti del joypad Dreamcast
sono sfruttati per diverse soluzioni
di attacco: arma da fuoco primaria
[a raffica], arma da fuoco secondaria [più potente ma più lenta nella
ricarica], colpo a breve distanza
rapido [per evitare il pressing avversario a corto raggio], colpo a
breve distanza potente [che però
lascia completamente scoperti d urante il caricamento]. Anche i grilletti posteriori non sfuggono allo
sfruttamento: quello di sinistra attiva la smart bomb, mentre quello
di destra targetta un avversario, in
modo da non perderlo di mira durante le evoluzioni che dovrete
compiere per sfuggire alle raffiche
avversarie. Il che ci porta al commento finale.
Cannon Spike riesce ad essere
un prodotto piacevole, a dimostr azione che Psikyo ha giocato al m eglio le sue carte.
Il gioco restituisce in maniera
adeguata la frenesia dei suoi illustri
predecessori mentre l'uso di sei
pulsanti del joypad Dreamcast irrobustisce un gameplay altrimenti
ridotto all'osso, visto che gregari,
sub-boss e boss vanno affrontati in
maniera diversa l'uno dall'altro.
In totale sono presenti solo 10 l ivelli, e quindi stiamo parlando di
un'esperienza di gioco abbastanza
limitata nel tempo, ma la difficoltà
è ben calibrata, e finirlo ai livelli più
alti porterà via parecchio del vostro
tempo.
In definitiva quello di Psikyo è un
prodotto onesto, attraente nella
sua cosmesi, con textures e colori
impeccabili come da brand Dreamcast. L'ingaggio di alcune popolari
icone capcomiane si è a conti fatti
rivelata un'idea vincente, in quanto
foriera di un appeal altrimenti precluso a un titolo dello spessore di
Cannon Spike.
Tutto ciò mi riporta alla mente un
vecchio detto, che parafrasato suona più o meno così:
tira più un pixel di Cammy che
un carro di buoi
A buon intenditor…
:RECENSIONI:
Ring#07
iO, iO. aDESSO tOCCA a mE!!
_____________
[Eye Toy: PLAY]
di Nemesis Divina
.:scHEda:.
gENERE
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
_______L’Antipasto del Futuro
Party Game
Scee
Scee
PS2
2003
1-4
Pal
La camera prodotta da
Logitech mantiene un
design in perfetta sintonia con PS2, piccola
e robusta può essere
posizionata praticamen
te ovunque. È possibile reg olarne l’orientamento e la messa a fuoco.
Vestirsi da idiot i non è indispensabile ma
certamente aiuta. Come specificato nello
spassoso video introduttivo/didattico di
Eye Toy, conviene disporre di uno spazio
generoso specie se si vogliono mettere
in pratica tecniche avanzate. Importanti
le condizioni di luce, meglio munirsi di
una piantana facile da spostare.
PS2 e Eye Toy. Un’accopiata esteticamente (e ludicamente) vincente. Le
schermate di selezione sono ovviamente
user friendly, la modalità profilo permette di selezionare un nome e attribuirgli
tre nostre foto (felice, buffa e triste) che
accompagneranno i nostri risultati durante le sfide.
Da più di un anno si
erano aperte le chiacchiere sull’ennesima,
pretesa, rivoluzione del
mondo dei VG. Non p ochi bollarono
il progetto come l’ennesima fanfaronata dei PR Sony, lamentando a
priori le scarse applicazioni che una
simile tecnologia avrebbe avuto su
PS2. Il progetto Eye Toy si è messo in disparte dai proclami sensazionalistici ed ha continuato a crescere negli studi europei di SCEE
concretizzandosi in Usa prima e in
Europa, ora.
“Ha il potenziale per essere massmarket. Tutti sanno come usarla,
è USB, basta collegarla, penso sia
questa la differenza principale fra
avere Eye Toy su PS2 piuttosto che
su PC” dice Ron Festejo, producer
del progetto. Ed i numeri per diventare un oggetto di largo consumo ci sono tutti. L’esperienza Eye
Toy si compone semplicemente di
una web cam (prodotta da Logitech) abbinata ad un software di
rilevazione di movimento; cadono
dunque le barriere archite ttoniche
per i non addetti ai giochi, si inserisce il cavo e si è pronti a giocare.
La maggior parte dei mini giochi
disponibili (in numero di 12) sono
basati su semplici logiche ludiche
da innescare mediante il proprio
movimento, la camera proietta la
nostra immagine su schermo addizionandole gli elementi grafici con
cui interagire. Ogni gioco detta r egole basilari e di solito ampiamente
intuitive: ‘colpire’ è la cosa che vi
viene richiesta più di sovente, sia
che si tratti di stendere un pugile
robotico, sia di rispondere ad un’orda di combattenti o di fantasmi o di
topastri insolenti.
D’altra parte la condizione che
regola le possibilità di gioco è una
sola: il movimento. La camera rileva infatti solo i nostri spostamenti,
stare fermi significa confondersi
nello sfondo inanimato e perdere
uno dei tre tentativi a nostra disposizione. Tenendo bene a mente
questa necessità invalicabile (sebbene le prime tech demo della c amera si basassero sul riconoscimento cromatico…), il team di sviluppo ha saputo elaborare alcuni
giochi di discreto spessore ricreativo. Spicca indubbiamente Mirror Time, in cui è richiesto di colpire dei
bersagli specifici posti agli angoli
dello schermo, nel frattempo il programma si occupa di dividere l’im-
23
magine in quattro porzioni e di rimescolarle, in tal modo il bersaglio
in basso a destra potrebbe dover
essere colpito alzando il braccio s inistro in alto. Molto meno semplice
di come potrebbe sembrare. Quello
che probabilmente più si avvicina
ad una reale opera videoludica è
Rocket Rumble, riproposizione di
Fantavision in cui dobbiamo accoppiare i fuochi artificiali del medesimo colore ed innescarne poi la d etonazione (cercando di realizzare
più combo possibile). Per il resto i
mini giochi risultano ancora un p oco limitati in varietà ed in particolare quelli basati sul ritmo paiono o ltremodo sottosfruttati (vedendo
l’ottima resa ludica che invece hanno tutti gli altri Rhythm Games).
_____Il Cuore del D ivertimento
Con una grafica caratterizzata ma
certamente povera, una serie di
giochi semplici e limitati, cosa resta? Un mondo di impagabile idiozia! Eye Toy:PLAY si gioca fuori
dallo schermo ma non solo per la
necessità fisica di compiere nella
realtà le azioni dell’interazione digitale, Eye Toy:PLAY è un gioco di
società ad alto tasso ilare. Se in
singolo Eye Toy brucia brevemente
ogni sua carta, in gruppo (quanto
più numeroso) offre un divertimento assoluto sia in virtù della componente competitiva sia per lo
spettacolo offerto a chi guarda da
chi gioca. Semplicemente irresistibile vedere un vostro amico gesticolare nell’aria, contorcersi per colpire un angolo dello schermo, sbuffare di fatica nei giochi più impegnativi e magari concedersi qualche
uscita stylish perché se Eye Toy
impone il movimento, nessuno detta il modo in cui dobbiamo muoverci; ecco dunque che si palleggia
con la testa, ma anche di tacco o si
va in rovesciata sul divano, ecco
che si colpiscono i ninja con i pugni, ma anche con coltelli, nunchaku e calci, ecco che il pugile robotico viene raggiunto da montanti, ma
anche da gomitate e testate. Quello
che ne risulta è uno spettacolo p ositivamente ridicolo che si rinnova
ad ogni nuovo turno di gioco e che
si potenzia al massimo quando un
ignaro parente si cimenta nell’azione di gioco. Eye Toy è tanto semplice quanto coinvolgente e traduce
perfettamente il termine videogioco, spremendone al massimo la
funzione ludo-ricreativa e riempien-
:RECENSIONI:
do il salotto di sguardi divertiti e
magliette sudate.
___________________Gotcha!
Il prodotto SCEE giunge inaspettato
e forse in un periodo sfortunato per
le vendite, specie per un a rticolo di
cui troppo poco s’è parlato di recente. Semplicemente geniale nella
intuizione e sul campo, Eye Toy
soffre comunque di qualche lieve
costrittura. In primis la natura ancora limitata dei giochi che, forse,
potrebbero avvantaggiarsi di meccaniche più profonde ed avvincenti
(come Rocket Rumble dimostra e ssere possibile). Qualche dubbio anche circa la sempre nota reticenza
Ring#07
del pubblico, in ambito console, ad
acquistare periferiche este rne, ma
in questo caso Eye Toy:PLAY si
pone sugli scaffali con un prezzo di
listino (59,90€) inferiore alla str agrande maggioranza degli altri prodotti, offrendo un disco di 12 giochi
e una web cam con potenziali applicazioni in sede on-line e sui futuri giochi (SCEE e non). Purtroppo
Eye Toy arriva con un certo ritardo
sui tempi e pare improbabile un
massiccio appoggio delle terze parti
anche se ci auguriamo di vedere
presto un PLAY 2, possibilmente a
prezzo ridotto.
Quello che resta impossibile n egare è l’effettiva freschezza intr odotta da questa periferica nel mondo del VG, nessuna rivoluzione ma
certamente un’interessante evoluzione che anche se non generasse
una prole massiccia, continuerebbe
a meritare uno sguardo interessato
da parte nostra. Eye Toy:PLAY è
un’occasione imperdibile per divertirsi con gli amici, per farsi un’allegra sudata, per testare i nostri riflessi (a livello rigorosamente Hard)
e per diffondere maggiormente l’idea del videogaming a chi proprio
non ne vuol sapere d’imbracciare il
joypad. Certamente l’innovazione
tecnologica dell’anno, certamente il
gioco dell’estate e certamente
l’idea regalo del natale (prendete
nota). Fortemente consigliato a
chiunque abbia la possibilità di giocare in compagnia.
>> STOP & GO! >>
[10 secondi al box]
Donne e Videogiochi: i perchè no.
Racing Games:
1)
2)
3)
Quasi mai ci sono gli specchietti retrovisori, come farebbero a truccarsi?
Si sentono a disagio con il cambio automatico: loro amano far spegnere la macchina in continuazione.
Piuttosto che guidare, preferirebbero sedersi al fianco di un pilota gestito dall’IA.
RPG:
1)
2)
3)
A causa del loro folle amore per il pettegolezzo, faticherebbero ad uscire da ogni paese senza prima aver
interrogato ogni abitante del posto ed essersi fermate a prendere un caffè con ciascuno di questi.
Non sopporterebbero di finire un’avventura senza cambiarsi almeno una volta d’abito.
Non sarebbero in grado di resistere dalla tentazione di fare shopping in uno qualsiasi dei negozi presenti
nel mondo. Perciò comincerebbero a fare combattimenti con l’unico scopo di guadagnare denaro da spendere in oggetti inutili ai fini dell’avventura.
Picchiaduro:
1)
2)
3)
Passerebbero tutto il tempo a domandarsi: ma non si sarà fatto male?
Sono troppo abituate a mandare un uomo a fare a botte al posto loro.
Sarebbero troppo preoccupate di sporcarsi in un uno dei livelli ambientati nel fango o in spiaggia.
Sportivi:
1)
2)
3)
Odiano qualsiasi tipo di sport che appare in televisione, anche simulato, per il semplice fatto che a noi piace.
Del calcio stanno ancora cercando di capire il “fuorigioco”.
Perché nelle statistiche dei giocatori si dimenticano sempre di segnalare fattori importantissimi come d imensioni del pene e numero di carte di credito.
Action Adventure:
1)
2)
3)
Sono abituate alle loro borsette, non possono comprendere il numero di oggetti limitato nell’inventario.
Troppa azione... sono appena uscite dal parrucchiere.
Sono terrorizzate da una zanzara, figurarsi di un gocciolante rettile di dimensioni umane o di un cane lebbroso (soprattutto cane) che non ha alcuna intenzione di farsi un bagnetto.
Simulatori di pseudo\vita (Sim-X, GTA, ecc.):
1)
2)
3)
Sono terrorizzate dalle infrazioni stradali, nessuno le convincerebbe a passare con il rosso.
Sono troppo abituate a porsi obiettivi precisi e tempi fissati anche quando vanno in b agno, impazzirebbero
nella libertà di uno qualsiasi dei GTA.
Immaginate come sarebbe una sim-città creata da una donna: solo villini, nessuna fabbrica e tanti, tanti,
tanti negozi.
Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa
24
:RUBRICHE:
Ring#07
xENONCISIAMO_____________________________________
[Xenosaga]
di Amano 76
È il 4215, ci sono astronavi e robot dappertutto, e questa ancora porta gli occhiali?
Un lettore di Famitsu riguardo la miopia della protagonista
Fragilità, il tuo nome è donna
Albed, poco prima di infilare una mano nello stomaco di Momo e rovistarci
dentro. La scena è stata eliminata/camuffata nella versione americana
.:scHEda:.
gENERE
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
JRPG
Namco
Reduci di Square
PS2
2002
1
Jap
L'RPG nipponico è ormai diventato la parodia di se stesso.
I personaggi hanno
guadagnato dimensioni realistiche
ma presentano dettagli pacchiani,
muovendo i loro passi in ambienti
sempre meno vasti e sempre più
concentrati nelle solite, abusate locazioni: il genere tende agli antipodi del punto di partenza, quando
Cloud era stilizzato come un pokemon, le world map erano ta lmente
estese da rendere l'esplorazione un
gioco a sé, e l'ingresso in nuove
città significava aprire le porte di
un piccolo mondo.
Purtroppo col successo di Final
Fantasy VIII, che nonostante sia
considerato da ogni essere vivente
un’emerita puttanata risulta al
tempo stesso un block-buster da
milioni di copie, il gioco di ruolo ha
attraversato un ponte pericolante
che è definitivamente andato in
pezzi al suo passaggio, un ponte
che teneva unite ma distanti "l'isola
felice" degli RPG e la "terra di nessuno" dei titoli nati nell’era PlayStation. Con l'ottavo capitolo della s aga di Square, un po’ tutti, pubblico
e dirigenti delle software house, si
sono improvvisamente accorti di
una nuova soluzione per interpretare il genere: accorciando i tempi
dell'avventura, aggiungendo filmati
a non finire (soprattutto nella prima
parte del gioco), e sterilizzando i
sistemi di combattimento da qualsiasi parvenza di complessità. Prodotti più "veloci" (da consumare,
ma soprattutto da realizzare) più
appariscenti (per non deludere
quello che potremmo definire "il
pubblico delle preview") e più trendy (per accaparrare i favori di un
pubblico femminile, nipponico, in
costante aumento).
Fortunatamente l'onda anomala
prodotta da Final Fantasy VIII ha
scavalcato la produzione a 32-bit e
si è abbattuta su quella a 128, ma
se è vero che questo ha dato la
possibilità di ritagliarsi un proprio
spazio a titoli come Chrono Cross,
Valkyrie Profile, Final Fantasy
IX e Persona 2 , è anche vero che
su PlayStation 2, Dreamcast, Ga-
25
mecube e X-box, a conti fatti non
esiste nulla di lontanamente avvicinabile ad un gioco di ruolo memorabile1.
_____Tra monoliti ci si intende
Negli ultimi due anni sembrano e sserci ovunque reduci di Square.
Esce Hoshigami: ci sono reduci
di Square. Esce Magical Vacation:
ci sono reduci di Square. Esce Xenosaga: ci sono reduci di Square.
Se dovessi giudicare dall'ultimo
Final Fantasy (X) direi che se ne
sono andate tutte le menti migliori;
se dovessi giudicare dai titoli di
questi famigerati reduci, direi l'esatto opposto. La verità sta nel
mezzo? Sì, ma nel mezzo di che?
Qui non si capisce più un accidente.
Com’è possibile che gli autori di
Xenogears e Xenosaga siano gli
stessi? Le differenze tra i due titoli
sono da mani nei capelli!
Da un lato abbiamo un prodotto
dall'innegabile spessore testuale,
con un sistema di gioco coinvolgente e un'ambientazione macroscopica; dall'altro un prodotto confuso,
con una strategia di combattimento
inutilmente complicata, e una world
map più piccola di quella vista in
Zone of the Enders (per giunta,
sob, con meno locazioni). Perché?
Perché?!
La risposta è una sola e basta osservare i filmati d'intermezzo a rivelarla: tutto è stato speso nella
necessità di raccontare una storia,
attraverso un doppiaggio, un motore grafico senza sbavature e una
colonna sonora impeccabile, composta da un ispirato Yasunori Mitsuda e performata nientemeno che
dall'Orchestra Filarmonica di Londra. Se questo fa onore a T etsuya
Takahashi, per aver creduto nella
sua opera fino al punto di cercare
un altro produttore che gliela lasciasse gestire come voleva, rinunciando così a tutto il lavoro svolto
fino a quel momento, è anche legittimo rivendicare la trascuratezza
che hanno subito gli aspetti immediatamente ludici di Xenosaga.
:RUBRICHE:
____________Xeno ex machina
Il gioco di Monolith Software permette di avere il controllo assoluto
circa le statistiche dei personaggi,
permette di schierare i membri del
party secondo la soluzione che si
preferisce; inoltre l'impiego degli
Agws (i mech della storia) offre un
buon livello di profondità. La libertà
concessa sarebbe di proporzioni
disarmanti, se non fosse che i protagonisti si radunano solo verso la
metà del gioco, mentre in tutto il
corso della prima parte non si fa
altro che comandarne due o tre alla
volta, per sequenze anche abbastanza lunghe.
Ad aggravare la situazione si presenta inoltre il sistema di boost,
cioè la possibilità di anticipare il
proprio turno d'attacco una volta
accumulata la barra associata:
mentre il giocatore necessita di un
certo periodo di tempo per effettuarlo, gli avversari gestiti dalla cpu
possono disporne a proprio piacimento senza l imite di sorta. Forse il
proposito degli autori era quello di
inserire una variabile di casualità
negli scontri, per smorzare le probabilità che l'utente si lasci languire
da un sistema di combattimento
meramente improntato sulla pianificazione (e quindi prevedibile,
scontato e noioso); tuttavia l'effetto
di ritorno di quest’aggiunta risulta
in battaglie con i boss che s’inaspriscono da un momento all'altro,
concludendosi con il più irritante
dei game-over. È vero che, grazie a
questa caratteristica, affrontare avversari di secondo piano in Xenosaga rappresenta una sfida sempre
vivace, ma l'impossibilità di gestire
l'esito di uno scontro, magari prolungato per venti minuti e più (nonostante le proprie capacità), apre
le porte al regno della frustrazione.
Ring#07
vità avevano già debuttato ma in
condizioni acerbe. Un altro ormai
classico paradigma negativo raggiunto dall'attuale generazione di
RPG: quello di intensificare lo spessore di aspetti satellitari, come i
mini-giochi, appunto, o come i
filmati cinematografici, che finisce
così per decurtare l’attenzione dei
programmatori dagli elementi salienti e caratteristici del genere.
Se le battaglie in tempo reale e il
gioco di carte fossero stati un corollario ad un titolo con tutti i crismi,
allora benvenuti, ma nel caso di
Xenosaga siamo di fronte all'ennesimo esempio di una produzione
che tenta di offrire ogni genere di
intrattenimento e alla fine non riesce a brillare in nessuno di essi.
Potrà sembrare un giudizio rigido,
ma è un fatto che gli RPG di oggi
soffrano di anoressia ludica: in Final Fantasy X non è possibile disporre di una world map, tuttavia
mille sforzi sono stati profusi nell'elaborare quella merda del blitzball;
in Breath of Fire V l'avventura
può essere compiuta più di una volta, ma c'è un solo dungeon/ambientazione (complimenti!) e tutto
si conclude in una decina di ore; in
Persona 3 e Wild Arms 3, non
potendo usufruire di somme ingenti
per la creazione di un motore poligonale come si deve, si è optato
per camuffare ogni poligono con
quintali di cel shading, col risultato
che scenari e fondali risultano di
uno squallore indegno di un 128bit. Se c'è un genere che più di tutti
ci ha rimesso con il passaggio alla
nuova generazione di console,
quello è l'RPG: le software house
non riescono più a trovare un compromesso tra costi di produzione e
profondità di gioco, e questo per
colpa dei tanto idolatrati&fottuti
motori poligonali che richiedono la
partecipazione di decine di persone,
succhiando il denaro che spetterebbe a staff di sceneggiatori più folti,
ad un numero maggiore di betatester ed a registi capaci di dare
l'anima pur di esaudire le proprie
visioni.
_______Le dimensioni contano,
specie se sono tre
_________Paradossi meccanici
Il risultato è che si finisce con l'affogare i dispiaceri in mini-giochi
come il simulatore di combattimento tra mech e il card game, che n onostante la loro risma di appendici
risultano oltremodo riusciti ed elaborati. Palliativi, distrazioni, eppure
ben più consistenti di quelli visti in
Xenogears, dove entrambe le atti-
Vedi... quest'attività è piena di
stronzi poco realisti, che da giovani
pensavano che il loro culo sarebbe
invecchiato come il vino. Se vuol
dire che diventa aceto, è così. Se
vuol dire che migliora con l'età, non
è così.
Marcellus Wallace circa il pugilato
Che poi, quale sarà mai la natura
ammaliante del 3d, ancora è inco-
26
gnito.
Il dettaglio? La profondità? L'imponenza? Muhahaha, certo. Può
darsi. Ma non giova trascurare due
fattori: il primo è che i motori poligonali sono come il vino (e come il
culo dei pugili), il secondo è che i
costi richiesti per compilarli sono
maggiori di quelli necessari per i
motori bidimensionali, con la diretta conseguenza di una caduta libera degli aspetti decorativi.
La prima considerazione è fragile,
verissimo. Xenosaga apparirà sicuramente stagionato all'utenza
europea e americana, destinata ad
averne visione a quasi un anno di
distanza dall'edizione giapponese,
eppure il demerito va assegnato
alla sfaticata distribuzione occidentale e non alla squadra di programmatori Monolith. Tuttavia la
non-contemporaneità delle pubblicazioni da una nazione alle altre
non è che il preludio alla sorte degli
RPG a 128-bit, la cui estetica è destinata ad essere erosa dal frenetico avvicendamento delle conquiste
tecnologiche, ben più sensibili di
quelle legate al 2d. Così mentre
titoli come Valkyrie Profile, Grandia, Xenogears, Chrono Cross,
Tales of Eternia, o il dimenticato
Saga Frontier 2 reggono ancora
oggi, Final Fantasy X, Wild Arms
3, Dark Cloud, Star Ocean 3 sono già ridicoli a ridosso delle loro
uscite, e lo scorrere del tempo non
fa che scandire il conto alla rovescia della loro qualità visiva. Gli esempi come Grandia 2 sono rari: il
secondo capitolo della saga di G ame Arts non può certo vantare
l'impatto visivo di taluni scenari
scorsi nelle avventure di Tidus e
compagnia, ma i suoi autori sono
stati capaci di trovare un soddisfacente compromesso tra le dimensioni delle architetture e la molteplicità degli arredamenti. Ancora
oggi, le case dei villaggi presenti in
G2 sanno raccontare l'identità e le
abitudini dei loro occupanti, come
anche i dungeon che coste llano
l'avventura hanno mantenuto intatto il loro fascino grazie a piante
brevi ma ricche di trabocchetti e
scorciatoie. Uno smacco ancor più
grande poi sono i fondali di Xenogears che, per quanto tridimensionali e destinati ad una piattaforma
della generazione precedente, non
hanno perso un solo indice del loro
fascino: i mille vicoli nella città di
Nisan o il credibile sfacelo dei m alandati bassifondi di Kislev; o ancora l'immensa, aliena, futuristica ma
credibile astronave di Shevat, mettono a tacere il gusto architettonico
del 99% degli RPG odierni.
E certo Xenosaga non è soccorso dal fatto che per l'intera durata
dello svolgimento non si veda una
:RUBRICHE:
sola ambientazione capace di offrire
dimensioni ottundenti.
____Nietzsche rilegge la bibbia
D'altronde esiste anche una logica
ben precisa dietro la claustrofobica
minutezza di navi spaziali e porti di
sosta. Come già annunciato in precedenza, Takahashi ha confluito
ogni maestranza a sua disposizione
nella riuscita di quello che in tutta
probabilità è l'unico elemento valido del suo operato: le sequenze
cinematografiche.
Svolto da un motore grafico privo
d’imperfezioni (raffinato da chissà
quante puntigliose revisioni) l'intreccio di Xenosaga è un concentrato di grandi momenti narrativi,
frutto di una sceneggiatura esemplare, di una regia professionale e
di una colonna sonora che ha una
capacità quasi chimica nel far venire la pelle d'oca. D'accordo, si dice
altrettanto di chissà quanti titoli,
ma anche l’ultimo arrivato è in grado di fare una scena con un paio di
campi e controcampi, inquadrando
prima chi parla, poi chi gli risponde,
poi il paesaggio, poi di nuovo chi
parla. Girare una scena significa
reinterpretare "il vedere" in modo
originale, o comunque personale,
non puntare la camera contro un
obiettivo e fargli dire qualcosa.
A differenza di tanti registi improvvisati3, Takahashi sa gestire
tutto. La mimica dei "suoi" attori è
naturale e credibile, le reazioni dei
volti sono impercettibili ma espressive, non ci sono rallenty ogni due
minuti e i momenti d’azione sono
restituiti con dinamismo ma non
per questo risultano confusi. Inoltre
la simbiosi con i brani orchestrali
che accompagnano la narrazione
rivela, più clamorosamente di qualsiasi altro elemento, il coinvolgimento e la cura con cui l'autore ha
elaborato le sue "parole".
E non è il solo linguaggio cinematografico ad essere ben riuscito:
anche il contenuto di Xenosaga
presenta un lodevole registro di temi e situazioni crude, ciniche, formidabili nel ricreare una coerente
visione etica della natura umana.
Merito forse delle contaminazioni
nitzscheane, che non vengono meramente catalogate allo scopo di
compiere un esotico atto di presenza, ma anzi si integrano con i diversi soggetti che già avevano preso corpo nel "precedente" Xenogears, e che organizzati attraverso
le teorie del filosofo tedesco conquistano un rinnovato vigore. Un
esempio palese in questo senso è
dato dall'atteggiamento servile della protagonista, che si sente con-
Ring#07
tenta perché uno dei personaggi
maschili le ha perentoriamente ordinato di cucinare, mentre non dedica di una sola occhiata il suo assistente, invaghito di lei ma "servo
della gleba". Rielaborato poi un a ltro tema, quello della maternità:
mentre nel lavoro prodotto da
Square la donna rappresentava l'elemento principe della creazione, in
Xenosaga una donna (robot, ma
pur sempre dall'aspetto femminile)
è invece l'arma tecnologica più s ofisticata esistente, provvista di un
laser per la distruzione di massa
che ospita proprio nel grembo. I
contenuti si sono incupiti, e forse
non incontreranno il gusto di tutto il
pubblico, ma il fascino guadagnato
in termini di drammaticità è impagabile.
Purtroppo, non tutti i nodi narrativi vengono al pettine (altri sei capitoli sembrano di là a venire, ma
l'ultimo fesso che ha provato a dirigere un RPG a puntate, tale Yu S uzuki, adesso va in giro a mendicare
grana per concludere il suo faraonico progetto) escludendo pertanto la
possibilità che lo spettatore colga
significati e messaggi di senso compiuto dalla vicenda.
[3] Non a caso, molti titoli con sequenze filmate tra le più riuscite,
sono frutto di veri e propri registi
prestati al mondo del videogioco,
come quelle di Code Veronica,
Shadow Tower 3 e la sequenza
introduttiva del primo Onimusha.
:Sentite scuse:
In seguito alle proteste di molti
appassionati tolkieniani, che
non hanno gradito la recensione a Il Signore degli Anelli:
Le Due Torri, proposta nel
precedente numero di Ring e
ritenuta “troppo poco rispettosa del testo di riferimento”,
riportiamo qui di seguito la
bottom line dell’articolo con le
variazioni così fortissimamente
richieste:
S v o l t o d a u n : motore gr
afico
r
p ivo
d’imperfezi
oni r
( affinato da chissà
quante
u
p ntigliose
re-
visioni) l'intreccio di
__________Un domani migliore
Ennesimo castello di carte nell'ambito della produzione di giochi di
ruolo per 128-bit, Xenosaga non è
in grado di reggere il confronto
nemmeno con lo squallido Final
Fantasy X, qualunque aspetto si
scelga di assumere come m etro di
paragone. L'unico fattore che eleva
il prodotto Monolith al di sopra della
valanga di produzioni analoghe è la
maestria e la potenza delle sequenze cinematografiche: ma a questo
punto, non era forse meglio che il
caro Takahashi si fosse dedicato
direttamente alla regia di un film o
di un cartone, piuttosto che lasciare
il compito di stacco pubblicitario al
sistema di combattimento e all'esplorazione?
Voglio la testa di quest'uomo.
X e n o s a g a è un concentrato di grandi momenti na
rrativi, frutto di una
sceneggiatura esemplar
e, di una regia r
p ofessionale e di una colonna
sonora che ha una
___________________NN o te
[1] il r
p odotto o
M nolith al
di sopra della valanga di
r
p oduzioni analoghe è la
:Notizia Flash:
_____________________Note
[1] Chi sta sbarrando gli occhi farebbe bene a comprare una cosa
chiamata PlayStation e giocare un
qualsiasi RPG a scelta tra quelli di
Square. Tranne Racing Lagoon,
d'accordo. E Chocobo Dungeon,
d'accordo. E…
[2] Autore delle splendide colonne
sonore di Xenogears e Chrono
Cross.
27
La rivista giapponese Famitsu
ha recentemente commissionato un sondaggio per conoscere
quali fossero i giochi “most
wanted” dall’utenza nipponica
per ogni console.
Tra i risultati, doveroso segnalare quelli della piattaforma
Xbox, dove, per la prima volta
nella storia dei sondaggi, hanno vinto i “non sa/non risponde”.
:RUBRICHE:
Ring#07
iL cREPUSCOLO dEGLI dEI_____________________________
[Me Nintendo #7]
di Gatsu
"Nintendo ha ufficializzato i risultati economici per l'anno fiscale che si è chiuso lo scorso 31 marzo, che ha visto una discesa nei guadagni della società
pari al 36,8%. La prima ragione di questo calo negli introiti del gruppo è il
GameCube, piattaforma che continua a faticare sul lato hardware e software
rispetto alle previsioni. Inoltre, le azioni della casa di Kyoto hanno v isto un
ulteriore deprezzamento (-12%) dopo l'annuncio della PSP, la PlayStation
portatile che arriverà alla fine del prossimo anno. Investitori e analisti rite ngono che questa macchina rappresenti una seria minaccia all'attuale dominio
del settore portatile, e alla salute dei conti Nintendo […]."
Da Nextgame
Nella scorsa puntata ho parlato di
un fenomeno trasversale al mondo
dei videogiochi, quello dei “bonus
disc” e dei ben più appetibili “bonus
games”. In una delle citazioni iniziali affermavo che di Nintendo avremo avuto modo di parlare molto
più approfonditamente dopo lo
svolgimento dell’E3 2003. Orbene,
la fiera di Los Angeles è venuta e
passata ed è tempo di tirare le
somme…
_________Analisi Del Problema
Non ci sono (purtroppo?) molti
dubbi sul trionfatore dell’E3. La notizia bomba di PSP ha colto praticamente tutti alla sprovvista ed ha
catalizzato l’attenzione sugli stand
Sony. Sono quasi certo che la prima ad essere stata presa in contropiede sia stata Nintendo stessa, che
certo poteva immaginarsi una mossa del genere da parte di Sony, ma
non in questi termini e con questi
tempi. PSP inoltre promette molto
più di quello che può offrire attualmente un GBA: se da un lato questo sposta la console Sony su
un’altra fascia di prezzo, consentendo teoricamente la pacifica convivenza di ambedue le macchine,
dall’altro si palesa come l’ennesimo
tentativo di “cambiare le carte in
tavola”. L’aggiunta di feature distanti dal semplice gioco si è rivelata vincente nel caso di PS2, quindi
perché non dovrebbe funzionare di
nuovo1?
Tra l’altro la tendenza odierna dei
telefonini (quella di incorporare un
sacco di funzioni più o meno utili)
potrebbe rendere PSP estremamente attraente agli occhi delle
nuove generazioni: una Playstation
portatile capace di riprodurre musica (come alcuni modelli di cellulari), fungere da palmare (come alcuni modelli di cellulari) e Dio solo
sa cos’altro, puzza tremendamente
da oggetto trendy. Certo, anche il
GBA SP è parecchio b ello da vede-
re, ma appare evidente che fra i
due contendenti PSP ne uscirà
quasi certamente vincitore (a meno
di poderosi ed improbabili passi falsi, come un prezzo inaccettabile2 o
un design totalmente fallimentare).
Oltre alla cronica mancanza di
notizie bomba dal fronte Nintendo,
questo E3 ha registrato, da parte
della grande N, la presentazione di
una serie di giochi “tutti belli ma
speravamo meglio”. Con l’esclusione di Metal Gear Solid: Twin
Snakes, Final Fantasy Chrystal
Chronicles e Resident E vil 4 (tre
probabili assi nella manica, comunque), la selezione Nintendo è stata
piuttosto desolante: pochi secondi
di filmato per annunciare il seguito
di Metroid Prime (lode, lode ai
Retro Studios!) e poi una valanga
di giochi già ampiamente annunciati e/o conosciuti. Certo, titoli come
F-Zero o il nuovo Mario Kart fanno sempre estr emamente piacere
ma questo ormai non basta più per
essere competitivi su un mercato
aggressivo come quello dei videogiochi. Lodevole l’essersi assicurati
l’esclusiva di Phantasy Star Online 3, un titolo comunque di nicchia
e poco rilevante per una console
come il Gamecube che sembra preoccuparsi assai poco del gioco in
rete. Sony del canto suo si può fregiare di un notevolissimo Metal
Gear Solid 3: Snake Eaters (puro
spettacolo, come era lecito aspettarsi), il supporto incondizionato di
Square/Enix (intenzionata a portare
Dragon Quest VIII in occidente),
Jak II, Ratchet And Clank:
Going Commando, Gran Turismo 4, Winning Eleven 7 … senza
dimenticare le interessanti iniziative
volte all’online, come Socom e Resident Evil Outbreak.
28
Anche dal punto di vista della l ineup Sony sembra in vantaggio r ispetto a Nintendo: d’altra parte è
un dato di fatto, su Gamecube non
c’è un gioco di corse che sia uno,
Winning Eleven è uscito solo in
giappone e di RPG se ne vedono
meno che su PS2 (bisogna dirlo,
per gli appassionati di RPG in possesso di una PS2 PAL la s ituazione
è ugualmente desolante…).
Nemesis Divina, nei suoi sproloqui quotidiani sul forum, affermava
che la prossima console casalinga
di Nintendo sarà probabilmente
l’ultima. Toccandomi saporitamente
i genitali, mi chiedo se questa previsione non sia fin troppo realistica…
_______________Svolgimento
Dicevano di non avere paura nemmeno di PS2, perchè era "un lettore
DVD e la fascia di prezzo sarebbe
stata lontana da quella del GameCube"
Nemesis Divina, noto agente
Sony, dal forum di Ring
Il fatto è che si devono scrollare di
dosso questa verniciata di bambinosità che hanno, se vogliono sopravvivere. La butto li: il successore del cubo deve essere una sorta
di piattaforma suppliziante ultrastylish progettata da Giger. E basta
Mario, Zelda, Pokemon (o perlomeno non puntare solo su quello). R oba nuova. Roba cattiva. Roba cool.
Metroid IMHO è l'unica serie che si
è rinnovata di brutto con Metroid
Prime, provate a dire che Samus
non è stylish.
Me medesimo commentando la
notizia tratta da Nextgame, dal
forum di Ring
Kirby Air Ride non è la risposta a
Gran Turismo 4. Non so come
facciano in Nintendo per non rendersene conto. E nemmeno il nuovo
Mario Kart è una valida alternativa
al gioco di Yamauchi e soci. Qual-
:RUBRICHE:
cuno potrebbe dire “ma sono palesemente titoli per un’utenza diversa”. Verissimo, ma questo non equivarrebbe quindi ad ammettere
che la maggior parte dei giochi Nintendo sono rivolti ad un pubblico
giovane? Badate, so benissimo che
Mario Kart è godibilissimo per
un’utenza che varia dai 6 ai 90 a nni, ma la domanda fondamentale è:
“come viene percepito Mario Kart
dal casual gamer?”.
Ring#05
creare anche due-tre icone adatte
ad un’utenza cresciuta a fumetti di
Spawn, film dei Wachowski e libri di
Palaniuk?
_______________Conclusione?
The Wind Waker è IMHO l'episodio meno riuscito e più mass
market oriented della saga (non
inganni la veste grafica). Una delusione quasi insopportabile.
Federico Res, dal F orum di Ring
Mi sembra lampante che nel
mercato odierno (facciamo pure
nella società odierna, va) “apparire
bene” è nettamente più importante
di “contenere qualcosa di interessante”. A questa regola non scappano nemmeno i videogiochi. E io
non sto chiedendo a Nintendo di
fare videogiochi vuoti e scintillanti,
ma di fare v ideogiochi PIENI e scintillanti. Diceva il colonnello Campbell in MGS2: “Sii buono con le
altre persone, ma fa a pezzi la concorrenza”. La frase si potrebbe adattare a Nintendo con: “Offri qualcosa di interessante ai tuoi utenti,
ma fa a pezzi la concorrenza”.
Come dicevo nella citazione dal
forum, il vero problema di Nintendo
è quest’aura di “mocciosità” di cui
continua ad ammantarsi. Non basta
avere due o tre franchise adulti per
mettersi a posto la coscienza: su
PS2 e Xbox i titoli rivolti ai giovani
(o comunque appetibili anche ai
bambini) sono decisamente pochi.
Per quanto mi riguarda, gli unici
decisivi passi avanti fatti da Nintendo come software house verso
un pubblico adulto sono stati il discreto Eternal Darkness e l’eccellente Metroid Prime. Samus è l’unica icona Nintendo che è stata a ttualizzata e resa stylish, cattiva,
potente, moderna… eppure il contenuto di Metroid Prime è
tutt’altro che povero3. Chiaro che
sarebbe impossibile, per Nintendo,
rendere stylish Mario a meno di non
snaturarlo completamente. Non è
assolutamente questo che voglio.
Ma si può ripartire da altre icone
(Zelda, ad esempio, la prima versione per Gamecube, estremamente dark e adulta aveva scaldato gli
animi…sarebbe il caso di r iprenderla
in mano, con il benestare di Miy amoto o senza) ed aggiungerne
ALTRE. Cristo, tolti i Pokemon nuovi
di Pokemon Ruby & Shappire ci
rimangono solo i Pikmin! Possibile
che Nintendo non sia in grado di
Peggior Zelda di sempre, ma comunque uno dei migliori titoli dell'anno.
Paolo Ruffino, rispondendo a
Res
Vorrei chiarire un concetto. Io non
vorrei che tutto questo succedesse,
o almeno non del tutto. A me il
modo di intendere i videogiochi di
Nintendo è sempre piaciuto, e come ho già spiegato in una vecchia
puntata di Me Nintendo non sono
nemmeno un fan della violenza a
tutti i costi. Ma tutto questo è necessario. Dicevo altrove che piuttosto che vedere Nintendo fare la fine
di Sega, sono dispostissimo ad a ccettarne la mutazione. Ma Nintendo
oltre a mostrare una certa riottosità
all’aggiornamento sta anche perdendo dei colpi: sia Super Mario
Sunshine che Zelda Wind Waker
(sviscerato approfonditamente in
questo stesso numero di Ring)
hanno lasciato con l’amaro in bocca
più di qualcuno. Perché sono facili |
difficili | frustranti | sbilanciati.
Nell’affannosa rincorsa del mercato
è venuta a mancare una delle componenti fondamentali di Nintendo:
la cura del più piccolo particolare. E
poco conta se comunque SMS è il
miglior platform disponibile per le
console di nuova g enerazione e se
ZWW è puro spettacolo visivo: Nintendo deve sempre fare i conti con
il suo fin troppo glorioso passato e
con un futuro che non promette
niente di buono. Il successore del
Gamecube sarà davvero l’ultima
console casalinga di Nintendo? Tocchiamoci insieme, Amen.
_____________________Note
[1] Nintendo stessa sembra aver
ammesso i suoi errori ed ha dichiarato che le sue future console combatteranno ad “armi pari” con quelle della concorrenza. C’è poco da
29
fare, nel mercato dei videogiochi gli
ideali sono fatti per essere calpestati.
[2] Fino a che punto un prezzo sia
“inaccettabile” è argomento da
trattare con le pinze. Conosco ragazzini che riescono a farsi comprare tranquillamente cellulari da 4 99
euro, quindi perché non d ovrebbero
riuscire a farsi comprare una PSP,
se il costo dovesse essere circa
quello?
[3] Per inciso, credo che qualitativamente Metroid Prime sia per il
Gamecube quello che Mario 64 o
Zelda OOT hanno rappresentato
per il N64.
:Anticipazione:
Nelle ultime settimane la mailbox redazionale è stata letteralmente sommersa di e-mail
tramite cui centinaia di lettori
hanno espresso il loro dissenso
per la scala di valutazione adottata da Ring, ritenuta eccessivamente vaga e inefficace
nel restituire un'idea precisa
del valore dei giochi recensiti.
Per esaudire le richieste dell'esigente pubblico di Ring, a
partire dal prossimo numero
l'ormai obsoleto "A/B/C" sarà
sostituito da un ventaglio di
giudizi che consentirà valutazioni più puntuali: i voti in milionesimi.
Per coloro che si stessero
ancora domandando quale dei
due giochi sia il migliore tra
SOS: The Final Escape e
Tenchu: The Wrath of Demon, entrambi valutati "B" in
Ring#6, ci teniamo a precisare che secondo il nuovo metro
di giudizio i due titoli sarebbero
stati valutati rispettivamente
878.556
e
833.932
su
1.000.000.
[Ring è] Bizzarro amarcord
«Una cosa strana, le musiche riciclate da Zelda: The Ocarina of
Time mi danno una sens azione
fastidiosa, è come se mi ricordassero cose spiacevoli. È strano perché
OOT mi era piaciuto molto e in
quel periodo la mia vita non aveva
nulla di tragico cui rimandare. Credo sia colpa del N64, è una mac china che detestavo.»
Nemesis Divina, a proposito dei
tradizionali motivetti della serie
Zelda riproposti anche in The
Wind Waker.
:TESORI SEPOLTI:
Ring#07
vALCHIRIE iN pRIMA lINEA_____________________________
[Valkyrie Profile]
di Amano76
.:scHEda:.
gENERE
eTICHETTA
sVILUPPATORE
sISTEMA
aNNO
gIOCATORI
vERSIONE
Gioco di
Ruolazione
Enix
Tri-Ace
PS2-1
1999 l’anno
della scimmia
Uno per forza
Per samurai e
geishe
Vincitore di una quantità macroscopica di premi, pascolo di registi c ome Quentin Tarantino e Mimi Leder,
trampolino di lancio dell'ormai affermatissimo Giorgio Cluunei, Emergency Room, il cui titolo italiano
è meglio si perda nella zona negativa, è il serial televisivo creato da
Michael Crichton che raccoglie l'eredità di M.A.S.H. e la mette a frutto arrivando dove nessun telefilm
era mai arrivato. Ma che c'entra
con l'epico gioco di ruolo prodotto
da Enix?
:GANOSSA:
Vecchio ma ancora ambizioso, vecchio ma ancora in piene forze, vecchio ma ancora avido di conoscenza, l'attempato guerriero dall'armatura rossa è il personaggio che più
di tutti dà corpo alla determinazione umana nello sconfiggere la morte, anche ad un passo dalla fine.
Esperto tanto di esoterismo quanto
di vita militare, non per niente tenta di esaudire i propri scopi sia con
la forza che con le arti mistiche.
___________Sturm und Drang
Competere con la saga di Final
Fantasy significa affrontare una
sfida che economicamente e creativamente scoraggia molte software
house nipponiche.
Alcune accettano lo stato delle
cose e si cimentano nella produzione di titoli senza troppe pretese,
facendo leva sull'apporto di charac-
ter design appariscenti e trendy
(gran parte del materiale Atlus),
altre aggirano gli esempi di Square
e tentano vie traverse, perdendosi
nella mischia (Enix, Media Factory,
Gust, Hudson Soft). Tri-Ace ha tentato per anni di rivaleggiare i successi di Sakaguchi e compagni,
proponendo u n modello che non ha
conosciuto sostanziali variazioni nel
corso del tempo: da Tales of
Phantasia, passando per Star Ocean 1 e 2, fino a Valkyrie Profile, Masaki Norimoto (concept designer) e Yoshiharu Gotanda (regista) hanno battuto a lungo il tasto
del doppiaggio, degli incontri non
casuali, di un sistema di combattimento che fosse dinamico e il meno
"turnato" possibile, e di un cast di
personaggi non predefinito ma da
completare a proprio piacimento.
Affermare che ci siano riusciti solo con l'rpg dedicato alle gesta di
valchirie ed einherjer1 è forse eccessivo, tuttavia non si può negare
che con la sua ultima opera su
PsOne Tri-Ace sia finalmente riuscita a trovare una taratura ottimale
dei propri strumenti concettuali.
Come hanno fatto? Semplice, hanno riciclato i punti di forza della serie televisiva di Crichton.
Ambientato nella sezione di pronto soccorso di un ospedale pubblico, il telefilm ideato dal prolifico
scrittore propone una narrazione
frammentaria senza capo né coda,
dove la trama non viene costruita
congiungendo una sequenza sull'altra ma anzi rimanendo incompleta,
inconclusa, non finita. I personaggi
ritagliano equamente i loro spazi
senza momenti di protagonismo,
con la telecamera che di volta il
volta segue un dottore diverso o un
paziente diverso: i malati arrivano,
mettono in scena la loro vicenda
(incidente, stupro, sparatoria, cancro in fase terminale) e poi si allontanano dal palco, lasciando il pubblico senza una conclusione effettiva alle loro vicende e quindi senza
un "messaggio" di fondo. La narrazione trae la sua forza dagli spunti
che dissemina, e il suo fascino dal
non risolverli secondo un interpretazione univoca (salvifica, ottimistica, pessimista). È un coro dove ognuno va per i fatti suoi, eppure,
strano ma vero, ben riuscito, in cui
a stonare sono soltanto le interpretazioni dei doppiatori italiani (degne
del peggior film hongkonghese).
Su questo stesso ricambio continuo di punti di vista e situazioni si
30
basa il labirintico intreccio di Valkyrie Profile, in cui le storie dei
singoli protagonisti sono più importanti (e toccanti) di quella principale.
:JEYHAL:
È uno dei personaggi più validi dal
punto di vista strategico ma è a nche uno dei più buzzurri: arruolata nell'esercito di Claire Mont Fe rnand sotto falsa identità, a causa
di un esplicito regolamento che
vieta l'ingresso alle donne nel
corpo militare, è stata probabilmente portata ad assumere maniere sempre più androgine col
passare del tempo. Le sue scatenate urla durante i combattimenti,
e i suoi tormenti interiori (dovuti
ai "mezzi" con cui si è garantita
l'ingresso nell'esercito, e dato che
è una donna dovreste dedurre
quali) la rendono il personaggio
femminile molto intenso.
___________Illudere di Ludere
Final Fantasy, con la sua interminabile popolarità, ha messo in piedi
un recinto invalicabile delimitato da
quattro staccionate, in cui, sostanzialmente, pascolano un po’ tutti gli
RPG nipponici. Nello specifico si
tratta, e vado a elencare, di 1) la
memoria (identità) del protagonista
da recuperare 2) l'ordine costituito
da sovvertire 3) l'amore vero da
scoprire 4) avversari da affrontare
casualmente e a turni. Queste attempate barricate Valkyrie Profile
le ha scavalcate tutte, sullo slancio
della quantità disarmante di personaggi raccolti nel cast, che hanno
consentito di creare una trama più
complessa e un sistema di combattimento più flessibile di quanto visto in passato.
Anzitutto il giocatore sa perfettamente chi è la protagonista della
storia: una donna che si fa chiama-
:TESORI SEPOLTI:
re Valchiria, identica sotto ogni aspetto alla piccola Platina suicidatasi nel prologo dell'avventura. Già in
questo esiste una cesura abissale
rispetto ai tipici titoli di ruolo, perché (scandalo!) si impersona una
figura femminile e non una maschile; se fate un attimo mente locale e
provate a pensare quando è stata
l'ultima volta che avete giocato un
RPG con protagonista una donna, vi
accorgerete di trovare riscontri z ero2. Inoltre l'identità di Platina costituisce un mistero esclusivamente
per lei, non per lo spettatore. Come
sia arrivata a diventare una valchiria non ha niente a che vedere con
lo scopo del gioco, che ci si può g odere senza dover necessariamente
ricostruire il passato del personaggio principale, limitandosi a spassarsela reclutando guerrieri morti,
addestrandoli a combattere, e spedendoli nel Valhalla per infoltire l'esercito di Odino.
E qui si arriva ad un ennesima
caratteristica insolita: mentre nel
RPG-tipo gli eroi devono affrontare
uno status quo dittatoriale mantenuto da un qualche potere ecclesiastico, politico, o militare, finendo
perennemente col fare i fuorilegge
per metà del gioco, nell'opera di
Gotanda i protagonisti compiono
l'azione esattamente opposta, cioè
favoriscono l'ordine costituito con
tutte le loro forze. Invece di contrapporsi alla realtà in cui hanno
vissuto (bellica, disperata, violenta)
i personaggi "scelgono" di correre
in aiuto di una potenza divina che
non solo non è in grado di porre
alcun rimedio alla natura tragica
dell'esistenza umana, ma è oltr etutto incapace di mantenere il dominio del suo regno senza appoggiarsi a creature inferiori. I fanatici
della mitologia nordica storceranno
il naso, vomiteranno improperi, e
malediranno i musi gialli che si s ono inventati un'interpretazione così
distorta dei loro idoli; chi invece
possiede un po’ di elasticità mentale si accorgerà di quanto attiguo sia
il contesto teologico di Valkyrie
Profile a quello shintoista, dove gli
dei sono antropomorfi nell'aspetto
quanto nel comportamento.
L'ambientazione che viene riprodotta è pertanto più "nipponica" di
quanto non appaia in superficie, e
come tale viene gestita dagli autori
con dimestichezza e cognizione,
risultando in una rilettura del fantasy occidentale più elegante di
quelle viste in tanti altri giochi di
ruolo provenienti dalla patr ia del
sushi.
Ring#07
:GREY:
Uno dei personaggi esteticamente
più cupi (quindi più cool, per chi
ama questo genere di coattate)
Grey è un guerriero tutto m uscoli e
niente cervello. Dannato a una vita
eterna, e tormentato dal ricordo
della donna che si è sacrificata per
farlo risorgere, soffre di una caratterizzazione alquanto anomala: pur
distinto dall'aspetto enigmatico e
dalla notevole forza fisica, nella
versione nipponica il suo doppiatore
ha un difetto di pronuncia piuttosto
marcato che lo rende incredibilmente ridicolo. Tra le frasi più g ustose: "la mia fpada è cofì rapida,
che neffuno può vederla".
______Life is a beach, and than
you dive
Il prodotto di Tri-Ace ed Emergency
Room sono inoltre accomunati da
un altro aspetto: il tema della morte. A dire la verità si tratta dell'effettiva croce e delizia del gioco.
Le anime degli einherjer vengono
reclutate dopo che Valchiria ha percepito le loro essenze e ne ha ripercorso, frammentariamente, le gesta
che li hanno portati al decesso. Tali
sequenze di evocazione, intessute
di un motore grafico bidimensionale
e ricamate da un doppiaggio esemplare (parlo ovviamente di quello
giappo-giallo), sono commentate
da una melodia struggente che
mette in sintonia con il tenore
drammatico dei racconti, e dimostrano un valore contenutistico indubbio: i temi trattati sono tanti e
le morti spaziano dal ridicolo
(Lawry che affoga come un imbecille senza aver mai combattuto una
sola volta) all'epico (Lucio che si
sacrifica per dare tempo di fuggire
ai compagni), con eroi che hanno
perso la retta via (Jun, Grey, Ganossa) e altri che non l’hanno mai
percorsa (Badluck, Geraldo, Jeyhal).
I racconti si svolgono con estr ema credibilità, narrati da una sceneggiatura che non concede preferenze a nessuno. La stessa scelta di
una protagonista femminile è il s egnale che al giocatore non è richiesta un'identificazione diretta, ma è
invece invitato a mantenere una
sorta di distacco imparziale da personaggi che vengono mostrati eroici quanto tragici nelle loro contraddizioni. Come nel c aso di Shuo, che
poco prima di morire, riflettendo sul
suo passato, dichiara: "sognavo di
difendere le persone, e invece non
ho fatto altro che ucciderle".
Così, mentre gli dei del gioco non
mostrano mai esitazione o dubbio,
e rispecchiano il mondo in cui vivo-
31
no (segnato dalla predestinazione),
gli einherjer riconoscono le conseguenze delle loro azioni e spesso
disprezzano ciò che sono diventati:
una bella differenza con il resto degli RPG nipponici, esponenti eccellenti compresi, dove il racconto è
incentrato sul passaggio all'età adulta e in cui gli errori commessi
non sono altro che passi inevitabili
lungo il cammino verso la maturità.
In Valkyrie Profile il tema è il
significato della vita, non lo scopo,
e le proposte sono tante quante i
personaggi del gioco.
Quest'indeterminazione
potrà
sembrare una scappatoia di comodo per non affrontare nessun argomento in particolare, ma in realtà
risponde ad un preciso criterio etico, che restituisce un mondo in cui
a essere esaltata è la dignità dei
singoli individui a dispetto della
rassegnata adesione a valori universali.
:SHUO:
Può mancare un s amurai del cazzo
in un gioco giapponese? Che te lo
dico a fare, sentenzierebbe quello
spione di Donnie Brasco. Il caso di
Shuo è emblematico per quanto
riguarda gli strafalcioni in fase di
produzione, dato che il suo ritratto
durante le sequenze narrate e il
suo corrispettivo sprite in-game
presentano due elmi differenti: il
primo con uno sperone acuminato,
l'altro con una caratteristica mezzaluna alla Zambot 3. Praticamente
inutile nei combattimenti contro i
boss, è invece il personaggio più
versatile nelle battaglie con gli a vversari secondari; non per niente
viene concesso al giocatore solo in
prossimità della conclusione dell'avventura.
____________Terra di nessuno
Eppure, per quanto lodevoli siano
contenuto e costruzione delle sequenze non interattive, il grosso
problema è che esse costituiscono
l'unico momento di caratterizzazione dei personaggi, destinati a rimanere tali e quali per il resto del
gioco senza evolvere mai.
È vero che con il frenetico avvicendamento di nuovi membri e delle loro storie la noia resta un peri-
:TESORI SEPOLTI:
colo improbabile, tuttavia è amareggiante constatare quanto sia inutile riportare i personaggi nei
luoghi dove sono morti, o dove
hanno vissuto, senza che nulla a ccada, e come inspiegabilmente a lcuni di loro riescano a combattere
fianco a fianco senza scambiarsi
due parole, nonostante un passato
di amicizia o di ostilità. Le città presenti sulla mappa sono inoltre popolate da tre persone in croce, e
farvi ingresso comporta un inutile
dispendio di tempo: niente informazioni pratiche o strategiche da
racimolare, niente oggetti segreti
da scoprire (salvo un paio di tr ascurabilissime eccezioni), niente
negozi in cui rifornirsi. Un vero peccato, in particolare ai danni dei
suggestivi fondali bidimensionali,
che avrebbero meritato di essere
valorizzati per il loro c aratteristico
gusto architettonico e per il grado
maniacale di dettaglio.
Gli ambienti pulsano di una vita
che sembra averli appena abbandonati, ma se da un lato questo enfatizza il sapore lugubre e disperato
delle vicende, dall'altro rende palese come molti traguardi ambiti dal
concept design del gioco non siano
stati possibili da raggiungere di fatto. Non per niente anche la fase di
ascensione3 è molto asciutta, tanto
che i dialoghi presenti durante queste pause narrative risultano del
tutto inconsistenti, nonostante l'estrema varietà nella caratterizzazione grafica e comportamentale
degli dei asgardiani, che appaiono
solo in questo frangente di gioco; il
che lascia intuire come una loro
partecipazione più diretta sia stata
sacrificata durante il corso della
produzione. I tagli più drastici sono
stati comunque commessi ai danni
del plot: è probabile che gli spettatori più attenti riscontreranno incongruenze e buchi narrativi in più
di un occasione, e questo perché il
cast originale è stato dimezzato
una volta che il sistema di combattimento ha raggiunto la sua forma
definitiva4, dato che secondo gli autori un numero eccessivo di partecipanti avrebbe reso sovrapponibili
le caratteristiche degli einherjer e
avrebbe inutilmente confuso gli utenti.
Fortunatamente, quello che è
stato sacrificato, non lo è stato invano.
:LAWRY:
Il membro del cast più ridicolo in assoluto, Lawry è leccaculo, insicuro, e rovinosamente maldestro. Inspiegabilmente
le circostanze della sua tragicomica morte vengono lasciate in sospeso durante
la rispettiva sequenza di evoc azione, e
vengono rivelate solo nel caso il giocatore sia in grado di recuperare l'oggetto
segreto che lo riguarda.
Ring#07
_____Ma i vichingi ce l'avevano
il bisturi?
In Valkyrie non esiste il denaro:
tutta l'oggettistica viene materializzata attraverso un globo dai poteri
sovrannaturali. Esatto, come in Sfera di, indovinate un pò, Michael Crichton.
Le armi più temibili e gli equipaggiamenti più vantaggiosi, inoltre, si spezzano con grande facilità.
Pochi i personaggi che possono
compiere magie, mentre il recupero
di punti ferita non avviene tramite
incantesimi di cura ma attraverso
abilità individuali che si attivano
automaticamente, secondo percentuali variabili.
Come in qualsiasi altro gioco di
ruolo, tutto cambia e tutto è sempre uguale.
Eppure esiste un solco divisorio
ancor più profondo di quello, blando, costituito da peculiari nomenclature di opzioni e oggettistica. Nel
capolavoro di Gotanda, infatti, le
battaglie sono gestite attraverso
confronti diretti in cui ogni personaggio viene associato ad uno dei
quattro tasti standard del dual
shock, dimodoché possano essere
utilizzati secondo la tempistica che
si preferisce. Questo perché mentre
la fazione avversaria, o l'avversario
singolo, non ha la possibilità di concatenare gli attacchi, il giocatore
può invece eseguirli nell'ordine e
con il ritmo che ritiene più opportuno.
E opportuno nel titolo di Tri-Ace
vuole dire scientifico, vuol dire precisione chirurgica; come quella del
Dr. Benton. Gli approcci possibili si
piegano a qualsiasi necessità o g usto, e offrono una quantità esorbitante di finezze, pregi nascosti,
sfaccettature, che ad elencarle i ndividualmente questa recensione si
tramuterebbe in una interminabile
guida strategica. Semplificando a
grandi linee, si possono suddividere
gli stili di combattimento in 3 categorie: 1) un metodo per ricevere il
più ampio numero di punti esperienza, cioè eseguendo delle juggle
2) uno per risolvere velocemente le
battaglie più ardue, cioè colpendo
un avversario quando è stramazzato al suolo 3) uno per cimentarsi in
punteggi da record e approfondire i
pregi e i difetti di ciascun personaggio.
Gli attacchi seguono infatti una
specifica meccanica vettoriale5, e a
seconda dei criteri con cui vengono
coordinati possono cambiare profondamente gli esiti degli scontri.
Sperimentare diventa quindi imperativo, e si possono perdere letteralmente ore a tentare di mette re a
segno combo da decine di colpi, o
escogitare interminabili juggle che
32
restituiscano un poderoso compenso in termini di punti esperienza.
Nel frattempo i personaggi gridano,
sbraitano, si lamentano dal dolore,
urlano minacce agli avversari, e
annunciano ad alta voce i loro colpi
più potenti, commentando ogni azione che compiono sul campo di
battaglia con battute, improperi, o
esclamazioni di trionfo.
A conti fatti l'unica vera e propria
sbavatura in ambito sonoro è frutto
del soundtrack di Motoi Sakuraba,
riconoscibilmente debitore dell'epoca sedicibittiana, elaborato a suon
di agitati brani da tastiera elettronica e schitarrate metallare che ricreano un atmosfera musicale ben
poco affine alle situazioni e ai luoghi presenti nell'avventura. Ovviamente non tutta la colonna sonora
merita la bocciatura, saltuariamente compare qualche brano accattivante o azzeccato, ma ritmi più pacati e solenni avrebbero contribuito
ad una simbiosi ulteriormente spiccata con l'azione su schermo.
:LUCIO:
Il personaggio più riuscito di tutti,
che brilla sotto ogni aspetto. Incontestabilmente proficuo nel combattimento, dotato di una super tra le
più incisive dal punto di vista coreografico, è anche l'effettivo protagonista della vicenda assieme a
Platina. È su di lui infatti che è costruito il cosiddetto percorso B6,
durante il quale i misteri che avvolgono le vere inte nzioni di Odino, il
rapporto tra Valchiria e Brahms, e il
ruolo di Loki (che negli altri due
percorsi resta quasi sempre in disparte) vengono dettagliatamente
rivelati. A lui sono legate le sequenze più affascinanti e toccanti
del gioco.
___________I cancelli del cielo
Non c'è dubbio che il doppiaggio sia
tra i migliori mai visti in un RPG, e
che renda l'atmosfera dei combattimenti degna di un vero picchiaduro; tuttavia, dato il sovraccarico di
input che si genera durante le azioni di gruppo, non sono rari i momenti in cui il motore grafico rallenta vistosamente, e in questi casi
:TESORI SEPOLTI:
può anche capitare che venga pregiudicata la coordinazione del giocatore. Non si tratta di un particolare trascurabile: la sopravvivenza
dei personaggi viene costantemente messa a dura prova dalla rosa di
avversari a guardia dei vari dungeon, e spesso annientare la fazione
nemica prima che essa reagisca è
vitale.
Affrontare l 'avventura senza l'ausilio di un manuale è improponibile.
Troppi sono i sistemi escogitati per
raggirare le ordinarie rassegne di
menù e regolamenti presenti in
tanti altri RPG, e se le meccaniche
vettoriali degli attacchi possono anche essere acquisite c on una pratica costante, tanto la conversione di
punti-materia in oggettistica quanto
la sofisticazione delle statistiche
individuali dei personaggi necessitano ben più che un introduzione.
Persino il livello di difficoltà Easy
può schierare avversari coriacei in
grado di annientare il party del giocatore in un soffio, o presentare
boss impenetrabili a qualsiasi aggressione, mentre sbloccare il finale
principale richiederà la soddisfazione di condizioni assurde, impossibili
da dedurre senza una voluminosa
dose di indizi.
Valkyrie Profile non è un gioco
facile; eppure se da un lato si viene
sottoposti all'umiliazione di ricorrere al disonorevole uso di una guida,
dall'altro l'acquisizione della strategia che ordina ogni specifico aspetto del combattimento e del potenziamento dei personaggi viene ripagata con l'ingresso alle vere e
proprie porte del paradiso: il labirintico e inespugnabile Seraphic
Gate, un sotterraneo di quattro piani colmo di avversari assetati di
sangue, trabocchetti, e nuove tipologie di mostri che nel gioco principale non sono presenti. Alla luce
del sofisticato sistema di combattimento, questa opzione assume una
validità autonoma: mentre durante
il corso dell'avventura ci si è dovuti
arrangiare tra la necessità di mandare eroi ad Asgard e allo stesso
tempo ricorrere all'utilizzo dei personaggi appena acquisiti, in modo
da beneficiare delle loro vantaggiose statistiche, nel Seraphic Gate è
possibile dare fondo ai propri gusti
tanto in fatto di strategia quanto di
organizzazione del party. Questo
perché ogni membro del cast è p otenzialmente in grado di affrontare
ogni varietà di avversario, e quindi
l'attenta valutazione delle sue statistiche e un’oculata scelta delle abilità automatiche da assegnargli
permetteranno combinazioni di
qualsiasi tipo. In questo dungeon
alternativo è inoltre possibile recuperare tutti i personaggi segreti,
Ring#07
che altrimenti possono essere riscossi solo in modalità Hard, allo
scopo di garantirsi alleati eccellenti
per avere la meglio sul temibile
boss, Iseria Queen, c he per essere
battuto necessita di capacità superiori a quelle con cui il cast si ritr overà alla conclusione dell'avventura
principale.
Chiunque sia animato da un sano
spirito competitivo troverà in questa opzione pane per i suoi denti,
senza contare che la mancanza di
punti di salvataggio per tutto il percorso comporterà in più di un caso
di "ripartire dal via" anche per i
praticanti più consumati. Chi ha
apprezzato il Chrysler Building di
Parasite Eve e i tunnel dell'Iron
Maiden nell'amato/odiato Vagrant
Story, ne sarà entusiasta.
combattimento innovativo e frenetico, perfetto per chi è convinto di
non riuscire più a rintracciare un
RPG capace di fargli scontare ogni
trionfo.
E adesso ditemi: è forse un caso
che Crichton abbia scritto pure Il
13° guerriero?
:BADLUCK:
[3] Gli interludi che separano uno
dall'altro i capitoli in cui è stata
suddivisa l'avventura.
_____________________Note
[1] Pronuncia: ainheriar; i guerrieri
caduti in battaglia cui veniva concesso l'ingresso nel Valhalla, per
andare a formare l'esercito che Odino avrebbe guidato contro Surt e
la sua stirpe.
[2] Non provateci neanche a fare i
saccentoni: Xenosaga è uscito dopo.
[4] Inizialmente i suoi autori avevano intenzione di creare uno strategico a turni.
Sboccato, cinico, scarcastico e
sprezzante, Badluck è il classico
mercenario indurito da una vita di
battaglie e scorribande. Non per
niente a causa dell'assuefazione
con cui accetta gli incarichi offerti
senza mai porsi interrogativi di sorta, finisce con l'essere complice del
decesso di un altro personaggio. La
sua presa di coscienza in punto di
morte è uno dei tanti must-see del
gioco.
Spassosi i suoi commenti durante
gli scontri, tra cui meritano di essere ricordati: "sei così brutto che mi
fai passare la voglia di fumare" e
"fammi un piacere: crepa".
[5] Gli attacchi sono direzionati
verso il basso, di fronte, o verso
l'alto, quindi per combinare adeguatamente ogni combo è necessario prestabilire una sequenza di
colpi che non si annullino a vicenda. Se ad esempio un personaggio
colpisce un avversario alle gambe,
e questi crolla in terra, tutti i colpi
alti andranno puntualmente a vuoto, interrompendo così la concatenazione.
[6] Il gioco può essere intrapreso
secondo tre diversi percorsi: l'A,
che consiste nel disattendere le richieste di Odino finendo così col
doverne affrontare il castigo, il B,
che permette di cogliere tutti i retroscena della storia, e il C, che
consente di completare l'avventura
senza troppe difficoltà.
________Battezzati dal sudore
Valkyrie Profile offre diversi momenti di estrema difficoltà.
Imparerete a temere i Bloody
Dragon; degusterete a suon di amari bocconi la scalata attraverso
le piattaforme sospese del Castello
Celeste; conierete nuove beste mmie per maledire le Mandragola. Se
non avete un’ulcera, questo gioco
ve la farà venire. Adatto a chi vuole
assaporarne il racconto grazie alla
sua durata relativamente ridotta
(una trentina di ore al massimo),
adatto a chi cerca un sistema di
33
[Ring è] Ansia di evoluzione
«Di combattimenti credo di averne fatti tre, tutti gli altri
mostri li ho evitati. Non è possibile, pare il gioco di Alberto
Tomba.»
Il Pupazzo Gnawd , in merito
a una delle falle più grossolane
del marcescente gameplay dello stanchissimo Silent Hill 3.
:RUBRICHE:
Ring#07
uNA mATITA a lOS aNGELES___________________________
[PEOPLE: Ron Gilbert]
di Sator Arepo
Mario è appostato sotto ad
una piattaforma sulla quale
transita una tartaruga. Mario
salta, andando a deformare
la piattaforma: azione che
provoca il ribaltamento del
lento animale. Qualora non
venga rapidamente calciata
via dall’idraulico già falegname, la tartaruga abbandona il guscio, lo capovolge e vi
rientra. Durante questa operazione
la tartaruga appare vestita con mutande e canotta bianca.
Risate del videogiocatore.
Il Videogame h a imparato in fretta a svincolarsi dagli asettici ambienti spaziali degli esordi, proponendo scenari e personaggi forti di
un grande umorismo visivo – pensiamo a Tapper, pensiamo a Burger Time… – ma è con Ron Gilbert
che il genere Commedia, nel Videogame, ha compiuto una significativa evoluzione, acquisendo nuova
consapevolezza di sé.
Viene quindi spontaneo pensare
a Ron Gilbert come ad un visionario, una mente nuova con il progetto di traghettare un intero genere
in un medium tutto da scoprire. La
realtà, come spesso accade, lava
via gran parte di quell’alone di Mito
che gli appassionati amano credere
di intravedere…
«Mi piace la commedia – dichiara
Ron in un’intervista a Gamespot – e
amo scrivere cose divertenti, perciò
è sempre stato per me un modo
naturale di esprimermi. Comunque
si è anche trattato di una scelta
ponderata. È molto difficile infatti
realizzare un’avventura mantenendo un tono serio. I giocatori si arrabbiano ad esempio quando si ritrovano in un mondo in cui c’è una
sola matita. Supponiamo di essere
a Los Angeles e di non riuscire a
risolvere un enigma perché è necessaria una matita che si trova a
New York e che non abbiamo raccolto quando eravamo a New York.
Ecco, è stupido pensare che non
esistano matite a Los Angeles, ma
in molte avventure è così che le
cose sembrano funzionare. Usando
l’umorismo, riesci a fare di una d ebolezza un vantaggio. Puoi usare
idee folli per risolvere i puzzle, e
quando la situazione diventa insostenibile, nessuno protesta. Se i
videogiocatori ridono, sono molto
meno propensi a lamentarsi e a d ire: “ma che diamine sta succedendo?”»
Ecco quindi che l’introduzione nel Videogioco di un
aspetto fondamentale come
l’umorismo scaturito dal
dialogo non è figlia di una
precisa scelta artistica, ma
è servita soprattutto per
ovviare agli i ntrinseci limiti
di concept del genere Adventure.
Ma fermiamoci un attimo.
Siamo appesi ad una corda e t eniamo con una mano una pesante
cassa del tesoro. Il Governatore
Marley ci raggiunge e ci chiede di
raccontare la storia dall’inizio…
______________La Golden Age
Al College, un giovane e relativ amente magro Ron Gilbert, invece di
intontirsi di birra e rubare mutandine da donna come facevano gli
studenti dell’epoca, programmava il
suo C64 realizzando un software
che dotava la macchinetta Commodore di alcune capacità di multitasking, studiate appositamente per
applicazioni grafiche.
Questo software, chiamato Graphics Basic, varrà a Gilbert un posto alla HESware, dove realizzerà
alcune conversioni di giochi da Sala
per Commodore 64. Un’esperienza
breve, perché dopo pochi mesi farà
ingresso alla Lucasfilm Games con
l’incarico iniziale di convertire,
sempre per C64, i maggiori hit della casa usciti su Atari 800.
Dopo fiumi di brainstorming con
Gary Winnick, una delle migliori
menti della Lucas di quel tempo,
iniziò a delinearsi il progetto di un
adventure game. Stava nascendo
Maniac Ma nsion.
Gilbert aveva giocato alle avventure della Infocom, come Zork,
ma non le aveva granché apprezzate. Per due motivi. Prima di tutto
c’era troppo testo d a leggere, rendendo l’esperienza di gioco poco
immediata e gradevole. Altro problema era l’immissione dei comandi, che avveniva tramite digitazione
per mezzo della tastiera. Il testo
immesso doveva poi essere inte rpretato da un parser di stringhe
che, per quanto evoluto, tendeva
spesso a non capire le inte nzioni
del giocatore. Quindi la sensazione
era quella di dover lottare con questo interprete, prima che con il gioco stesso.
È da queste considerazioni che
nasce lo SCUMM (Script Creation
34
Utility for Maniac Mansion): nessuna tastiera, un puntatore, oggetti
graficamente visibili su schermo,
un set ridottissimo di verbi tra cui
scegliere.
Questo approccio richiedeva però
una sostanziale revisione del gameplay. Se nelle classiche avventure testuali avevamo solo gli oggetti
necessari alla risoluzione del gioco
e la difficoltà consisteva nel trovare
i verbi giusti da associare ai nomi
giusti, questo non poteva essere
ripetuto con lo SCUMM. Il ridotto
numero di azioni eseguibili infatti
avrebbe consentito al giocatore di
provare con facilità tutte le possibili
permutazioni fino a risolvere l’enigma, senza averlo risolto veramente. Gilbert ovvia a questo difetto
inserendo nel gioco molti più oggetti di quelli necessari e molte più
porzioni di scenario con cui interagire. Quindi, mentre prima si poteva dire “apri cassetto” per aprire il
cassetto giusto, adesso non basta
più, e bisogna cercare, tra tutti i
cassetti, quello che contenga l’oggetto che ci serve.
Ma le novità di Maniac Mansion
non finiscono qui: abbiamo tre personaggi da selezionare all’inizio del
gioco, ognuno con la propria personalità che permetterà strategie risolutive diverse a seconda del team
a disposizione. Moti di giubilo anche
per gli enigmi, complessi ma mai
senza una logica ben studiata, e
che richiedevano spesso approcci
laterali per la loro risoluzione.
“You’ll be hooked up to my machine getting your pretty brains sucked up!”, dice
il malvagio Dottor Fred alla povera San dy.
“Help, Help!” grida Sandy quando il dottore lascia la stanza e, spostandosi, rivela una mappa con la sezione del maniero. Da questa possiamo vedere che l’ac qua della piscina è usata per raffreddare
il reattore della mini-centrale nucleare
sotterranea. Quindi è radioattiva. Quindi
può dar luogo a mutazioni. Forse è arrivato il tempo di innaffiare quella dannata pianta carnivora…
:RUBRICHE:
__Io sono la gomma, tu la colla
Dopo il successo di Maniac Ma nsion, altri autori alla Lucas presero
in prestito lo SCUMM per realizzare
le loro avventure. Tra queste, segnaliamo Zack McKraken and the
Alien Mindbenders, divertente e
surreale gioco di David Fox che pesca a piene mani dallo stile Gilbertiano, e Loom, un’opera più originale ed evocativa basata sulla m usica in tempi pre-ocariniani.
A Ron invece venne assegnato il
compito di trarre un’avventura da
Indiana Jones e l’Ultima Crociata :
compito stimolante, ma che limiterà di molto il suo estro, costretto
com’era a rimanere nei ranghi dello
script del film.
Ma è già tempo di scimmie. Ancor prima di Indy, Gilbert aveva
iniziato a concepire quella che avrebbe dovuto essere la sua personale Trilogia. Il suo Guerre Stellari.
L’ambientazione piratesca venne
scelta da Gilbert in seguito ad una
vacanza a Disneyland culminata
con un giro sull’attrazione: Pirates
of the Caribbean Ride (di recente
divenuta anche un film con un
sensazionale Johnny Depp).
Curiosa anche la genesi del nome
del protagonista. Non avendo alcuna idea di come chiamare il personaggio, Gilbert aveva nominato i
file contenenti le immagini dello
stesso con un generico e temporaneo: guy. Ora, a quei tempi i file
grafici avevano estensione: .brush.
guy.brush, quindi.
Di gran lunga migliore di un ipotetico Guygif, o Guybmp. Eh eh.
Scritto insieme a Tim Shafter,
The Secret of Monkey Island
rappresenta uno dei punti di massima espressione dell’elemento comicità in un videogioco, nonché un
raro esempio di enigmi originali,
brillanti e ottimamente calibrati.
Sopra a tutto svettano i dialoghi
che, oltre a possedere una verve
umoristica degna di un Woody Allen
(i duetti con Stan, con quel suo isterico gesticolare, rimarranno nella storia dei videogiochi), davano
origine anche ad alcuni puzzle m emorabili, come il duello a suon di
insulti contro il Maestro di Spade o
l’estenuante contrattare con Stan
per l’acquisto del galeone.
“Sembra che su quest’isola siano sempre
le 22:00.” Ancora una volta un limite
tecnico diventa l’occasione per una gag.
Geniale.
Ring#07
Dopo aver curato anche il secondo degno episodio della saga, colpo
di scena: Ron Gilbert a bbandona la
Lucas!
Verranno fatte molte ipotesi sulla
origine di questa decisione: soldi,
voglia di cambiamento, follia…
Fatto sta che la terza avventura
di Tiziospazzola, già scritta da Gilbert, non vedrà mai la luce, rimpiazzata da due dimentichevoli s equel apocrifi. E si può forse ricondurre alla volontà di abbandonare
Lucas anche la decisione di inserire
in Monkey 2 quel finale… quel
finale un po’ così… quel finale un
po’ di merda, per dirla tutta.
Gilbert comunque manterrà buoni rapporti con la software house
dello Skywalker Ranch; tant’è che
gli verrà consentito di portare via
con sé il codice alla base dello
SCUMM, a patto però che le sue
successive versioni possano essere
utilizzate anche dai designer della
Lucasfilm che ne facciano richiesta.
È per questo motivo che Gilbert
continua a comparire nei credit dei
prodotti successivi alla diaspora,
come Day of the Tentacle o Full
Throttle.
_________Balocchi per bambini
Abbandonata la strada vecchia, Ron
Gilbert e la sua compagna Shelley
Day imboccano quella nuova creando Humongous Entertainment:
una software house specializzata in
giochi per bambini. Ron ritiene che
il genere Adventure sia destinato
ad una rapida morte e che l’unico
modo per prolungarne la vita sia di
proporlo, con le dovute modifiche,
a coloro che sarebbero maggiormente in grado di apprezzarlo se ne
avessero le possibilità: i cuccioli
d’uomo.
Esce Putt-Putt Joins the Parade.
«Quando giochi a Putt-Putt,
sembra quasi di giocare a Monkey
Island – dice Ron Gilbert. – Ho usato le medesime te orie.»
I primi due episodi di Putt-Putt,
pur vantando una calorosa accoglienza da parte della stampa specializzata, non riscuotono un grande successo di vendita, piazzando
circa diecimila copie cadauno. Ma
Ron è convinto di avere scelto la
strada giusta e che l’approccio sia il
migliore, e ritiene che lo scarso
successo sia da attribuirsi principalmente al fatto che Humongous è
ancora una realtà piccola.
I fatti finiranno per dare almeno
parzialmente ragione a Ron. Lettere
di genitori entusiasti precedono un
generale aumento di vendite che
faranno diventare Humongous la
terza più importante software
35
house del settore, dando vita a
nuove serie che però manterranno
l’Adventure come genere di riferimento.
Cerchio esterno, da sinistra in senso or ario: Putt-Putt, Freddi Fish, Spyfox e Pajama Sam. Nel cerchio interno il pesce
verde si chiama Luther. Ignoro l’identità
del cagnolino.
__________________L’allievo
Ma i pupazzetti pacioccosi non saranno le uniche produzioni che Gilbert curerà dentro Humongous.
Nel 1995 Shelly Day conosce
Chris Taylor: giovane game designer che lavora per Electronic Arts,
senza però sentirsi veramente a ppagato, in quanto non stava facendo l’unica cosa che avrebbe voluto
fare: un gioco di strategia in real
time.
Sapendo che il marito è un grande fan di Command & Conque r,
Shelley mette i due nella stessa
stanza ed osserva la nascita di un
amore.
Chris lascia la EA per entrare in
Humongous dove, con Ron Gilbert
come producer, inizia a concretizzare il progetto a cui pensava da
quando aveva quattordici anni: Total Annihilation, un RTS con grafica poligonale. Certo, non si tratta
di un genere di gioco che suonerebbe bene nella line-up di una software house che vede tra gli esponenti di spicco un pesce giallo di
nome Freddi. Così da una costola di
Humongous nasce Cavedog Entertainment.
Uscito nel 1997, Total Annihilation è un successo di critica e pubblico. Tutto sembra andare per il
meglio per Cavedog. Comunità di
appassionati nascono in tutto il
mondo. Vengono rilasciate patch.
Escono mods curati dai fan ste ssi.
In definitiva, Total Annihilation si
avvia a diventare un franchise c apace di generare vergognose montagne di dollari.
Ma sul più bello, colpo di scenabis: Chris Taylor lascia Cavedog e
fonda una software house tutta
sua: la Gas Powered Games!
:RUBRICHE:
Ring#07
calumet della pace e proclama p arole di gratitudine per Gilbert. D ecide inoltre di non entrare in diretta
concorrenza con Cavedog, cimentandosi in un genere diverso:
l’action RPG. Nel 1999 esce Dungeon Siege: un clone di Diablo
con qualche elemento in più di strategia e un unico mondo poligonale
caricato in streaming.
Chris Taylor in un
artwork di Gamespy
________Tradimento e Calvario
I vicini di casa raccontano di grida
furenti e improperi blasfemi uscire
dagli uffici di Humongous. Ron Gilbert, forte della sicurezza economica che avrebbe garantito la serie
Total Annihilation, aveva venduto
la software house a GT Interactive,
pur rimanendone il leader. In questo modo il creatore di Weird Ed
avrebbe potuto utilizzare il cash
ottenuto dalla vendita per ingrandire in breve tempo la società; ma
l’abbandono del giovane padawan
comprometterà quasi totalmente gli
obiettivi di Gilbert, lasciandolo a
gestire una compagnia non più di
sua proprietà, e quindi non più indipendente...
«La prima cosa che devi capire
quando vendi una compagnia –
confida Gilbert sempre a Gamespot
– è che la stai vendendo a qualcun
altro. Questi potrebbe voler far fare
alla compagnia cose che sono nel
suo interesse, ma non necessariamente nel tuo. Vendendo Humongous, non ho considerato un eventualità simile. […] Così ho imparato
che devi distaccarti emozionalmente dalla tua compagnia prima di
vendere. Una volta venduta, appartiene a loro. Devi seguire la loro
visione. E non significa che la loro
visione sia peggiore, ma solo che
può essere differente dalla tua. […]
La compagnia che ti acquista può
dirti che le cose rimarranno le stesse, e possono anche essere sinceri,
ma il fatto è che le due realtà si
scontreranno ad un certo punto. La
compagnia più grande è un’entità
che deve fare di tutto per sopravvivere e crescere, e i suoi obiettivi
possono andare contro agli obiettivi
originariamente prefissati.»
Arrivano tempi duri. Il team responsabile di Total Annihilation,
nonostante la dipartita di Chris T aylor, continua a lavorare alla serie
producendo lo spin-off Total Annihilation: Kingdoms, ambientato
in un mondo fantasy e che non riscuote il successo sperato.
Chris Taylor, dallo scranno più alto di Gas Powered Games, fuma il
Nel mentre in casa Gilbert, a
fronte di una produzione per bambini che continua nel suo piccolo a
funzionare, si deve registrare una
crisi del settore per adulti. Cavedog
è infatti un cimitero di progetti interessanti sulla carta ma che non a rrivano allo svezzamento. Progetti
tra i quali svetta il chiacchieratissimo Good and Evil, che nessuno
mai giocherà. Fallimenti che faranno pronunciare a Ron Gilbert le s eguenti parole: «Non tentare mai di
progettare un gioco e dirigere una
compagnia nello stesso tempo. È
un grosso errore.»
È il momento della disillusione.
Gilbert non è più innamorato dei
videogiochi, o quantomeno non dei
giochi odierni, né dei videogiocatori
odierni che non siano under 12.
Dopo la chiusura della fallimentare Cavedog, i coniugi Gilbert decidono di abbandonare la consolidata
Humongous che, dopo l’acquisto di
GT Interactive da parte del colosso
Infogrames, entra a far parte del
canale di vendita Atari Kids.
Ron Gilbert ce l’ha un po’ con
tutti.
Ce l’ha con i designer di oggi...
«Sono molto deluso quando vedo
che molti nuovi game designer non
hanno giocato ai tantissimi videogiochi creati negli anni ’80. Ci sarebbe così tanto da imparare. Non
avevamo la grafica che c’è o ggi, ma
avevamo il gameplay. Eravamo c ostretti ad avere il gameplay. Ora
invece è tutta cosmesi tecnologica.»
Ce l’ha con i giochi di oggi...
«Un altro grosso problema è la
mancanza di creatività nei giochi di
oggi. Un sacco di gente se la prende con i publisher, ma non io. Non
sono solo i publisher a voler creare
l’ennesimo clone di Quake o di
Diablo (frecciatina a Chris Taylor).
Ho incontrato un sacco di sviluppatori che vogliono realizzare un clone di Diablo (ouch!). C’è proprio
una mancanza di interesse nello
spingere un po’ più in là i confini.
(parole grosse per uno che ha prodotto un clone di Command &
Conquer e che figura negli special
thanks di Diablo stesso...)
36
Ce l’ha con i videogiocatori di o ggi...
«È dura fare in modo che le nuove idee vengano accettate nel mercato odierno. È uno dei motivi che
mi hanno spinto a fare giochi per
bambini. Con il software per bambini hai l’opportunità di parlare con
persone completamente prive di
preconcetti. Gli hard-core gamers
invece pur essendo molto pochi ti
tartasseranno finché non produrrai
esattamente ciò che loro vogliono,
o peggio, ciò che loro credono di
volere. E possono farlo con la completa anonimità fornita da Internet.
Non devono nemmeno provare coi
fatti ciò che sostengono e, sfortunatamente, in molti li ascoltano. Se
non esci fuori con un gioco che solletichi le corde di questo sparuto
gruppo di persone, sei tagliato fuori.»
Ce l’ha con Internet...
«Il problema maggiore che noto
con Internet applicato nei giochi è
che sta diventando un’ulteriore d istrazione dal creare buoni videogiochi. I designer sono ossessionati
dal fare in modo che il loro prodotto
sfrutti Internet, anche se non è la
cosa migliore per quel particolare
gioco.»
Siamo arrivati ai giorni nostri.
Lasciamo il buon Ron al bancone
dello Scumm Bar a scolarsi l’ultima
bottiglia di grog, mentre dice “governo ladro” al pirata vicino di sgabello.
Augurandogli buona fortuna per
la sua prossima avventura – e sperando che lo sia in tutti i sensi –
promettiamo di seguire e riportare
senza preconcetti ogni notizia più
recente che lo riguarderà, nonché
di giocare a Putt-Putt, Freddi
Fish & company per scrivere poi un
dettagliato resoconto.
Ma ora si è fatto tardi, sono già
le 22:00 su quest’isola e... attenti!
C’è una scimmia a tre teste dietro
di voi!
[Ring è] Politically Correct
«Guarda in effetti anche a me
Ikaruga fa leggermente schifo
(non per il gioco in sé, ma perché è uno sparatutto; l'unica
cosa che detesto più degli sparatutto sono i francesi).»
Amano76
:RUBRICHE:
Ring#07
nON c’È II sENZA XII__________________________________
[!SPOILER! – Final Fantasy XII]
di Cristiano Bonora
Nonostante lo sviluppo di Final
Fantasy XII si trovi ormai a uno
stadio molto avanzato, tutto il materiale informativo sinora diffuso da
Squaresoft-Enix si riduce a un paio
di illustrazioni, peraltro non proprio
significative. In vista dell’imminente uscita di Final Fantasy Crystal
Chronicles (8 agosto), nessuna
informazione più precisa sul dodicesimo episodio della serie principale è ancora stata divulgata, in
modo da evitare effetti di cannibalismo all’interno del medesimo
franchise.
Ma Ring sa, prima di tutti.
In un locale ibrido al confine tra
la Tokyo bene e un quartieraccio
underground ci siamo trovati al t avolo con Yasumi Matsuno (già
producer e director di Vagrant
Story), l'uomo a capo del cosiddetto “progetto XII”, che sotto gli effetti suasori di ottimi sigari e pessimo rum ha vuotato il sacco al nostro informatore, spalancando i
cancelli di un mondo inedito e
sconvolgente, degno teatro di un
Final Fantasy di prossima generazione...
_______Il Pianeta dei Chocobo
“Nel mondo in cui è ambientato
FFXII non vi è traccia di essere
umani. A Cyxius sono i chocobo la
specie dominante”. È con questa
rivelazione che Matsuno esordisce
ai microfoni di Ring. “Le ragioni
per cui abbiamo scelto di dedicare
un intero capitolo della saga ai
chocobo sono essenzialmente due”
– prosegue Matsuno – “la prima è
che, come tutti gli appassionati
della serie, anche noi amiamo i
chocobo, pertanto ci è parsa una
splendida idea omaggiare uno dei
simboli della saga costruendo intorno ad esso un nuovo incredibile
universo. La seconda ragione è che
gli animali antropomorfi si prestano
a veicolare messaggi con un’intensità superiore rispetto ai personaggi umani. La storia del leone Simba
ci è stata di grande ispirazione, c osì come alcuni lungometraggi Disney, ma anche La fattoria degli
animali dell’inglese George Orwell.
Quel libro esemplifica splendidamente l’efficacia scenica degli animali “umanizzati”, soprattutto
quando si vuole descrivere una regressione dell’uomo allo stato ani-
male. Non è stato facile mettere
d’accordo l’intero team su una scelta così ardita, ma siamo sicuri che i
fan della saga ne saranno entusiasti.”
Inizialmente orientato verso uno stile
illustrativo piuttosto classico (a sinistra),
il character designer Akihiko Yoshida ha
poi abbracciato un'iconografia più eterea
e meno fumet tosa (a destra), ispirata
all'opera del pittore tedesco Martin E.
Philipp (Zwickau 1887 - 1978). Non ostante l'evidente continuità stilistica con
l'opera di Yoshitaka Amano, per questo
dodicesimo capitolo non è prevista alcuna partecipazione del noto illustratore
giapponese.
_________Dodicesima fantasia
tra natura e tecnologia
“La saga di Final Fantasy ha
sempre abbinato ambientazioni naturalistiche a elementi hi-tech.
Questa volta, però, non abbiamo
voluto creare vistose opposizioni
tra ciò che è natura e ciò che è
tecnologia (estrae da una borsa un
plico di illustrazioni - ndR). In
FFXII la natura stessa è spontaneamente meccanica, cibernetica,
evoluta. Paradossalmente, quindi,
è *naturale* la sofisticatissima tecnologia che se ne avvale.
I campi risplenderanno al chiaro
di luna brillando di luce propria,
che i fiori emettono trasformando
in elettricità le risorse del suolo. I
boschi del mondo di Cyxius sono
rumorosi come fucine medievali,
perché è attraverso giganteschi
meccanismi di radici che gli alberi
ricavano l’energia per innalzarsi
fino al cielo.
Di converso, la tecnologia usufruita dalle varie razze di chocobo
riconverte elementi naturali per
scopi architettonici, bellici, ecc. I
Gohan forgiano a rmature ricavate
da una lega metallica dalle straordinarie proprietà magnetiche: non
appena una lastra si spezza, i due
frammenti si caricano positivamente e negativamente producendo
37
una potente attrazione che li ricompatta.
Tuttavia, l’effetto non sarà quello
di un mondo sintetico, artificiale,
quanto quello di una natura cosciente, intelligente, industriosa.
Solo da un’osservazione ravvicinata
delle piante si potranno constatare
i circuiti elettrici che attraversano
le foglie, gli steli e i fiori; solo da
un’attenta ispezione delle rocce si
potrà coglierne la ragionata composizione geometrica. Ci siamo
molto impegnati affinché il mondo
di FFXII apparisse stupefacente, e
mai finto o costruito. Tutto questo,
naturalmente, è stato possibile solo
dopo essere riusciti a far g estire a
PS2 texture ad altissima definizione.”
Il render del cuore di un fiore notturno.
Gli stami paiono di metallo, i pistilli di
fibra ottica.
______“D’amore, di morte e di
altre sciocchezze”
“Abbiamo discusso a lungo sul fatto
di inserire o meno una storia d’amore. Il problema e rano i chocobo.
Rappresentare scene d’amore tra
chocobo produrrebbe un effetto
discutibile. Un bacio dato con il
becco o un abbraccio ad ali spiegate non sarebbero credibili. Alla fine
abbiamo pensato di raccontare
comunque delle storie d’amore, ma
del tutto differenti da quelle viste
ad esempio nell’ottavo o nel decimo capitolo. L’amore si esprimerà
attraverso gesti, parole e azioni
che gli innamorati si rivolgono indirettamente.
Quando il Gohan Buldok non può
evitare la morte dell’amata Ilioc, di
razza Nimmit, il giorno successivo
si presenterà in battaglia con i c olori e l’armatura dei Nimmit, e da
quel momento combatterà utilizzando solo tecniche che appartenevano a Ilioc.
Il tema dominante di FFXII è la
guerra. Abbiamo creato delle situazioni in cui su uno sfondo così
cruento i protagonisti trovano il
modo di stagliare comportamenti di
profonda umanità.
:RUBRICHE:
Siamo convinti di aver dato vita
a storie d’amore molto più autentiche e delicate che in passato pur
senza r icorrere ai cliché tipici della
materia amorosa. Inoltre l’amore è
stato utile anche a esemplificare
una delle due tensioni contrapposte
che animano il mondo di FFXII,
quella disgregante e quella riconciliante: la prima responsabile della
deriva dei continenti e della diaspora dei popoli, l’altra attiva nell’intrecciare legami che preservino Cyxius dalla completa dissoluzione.”
_____________JRPG levels up
Il sistema di gioco e di combattimento di FFXII può considerarsi
sostanzialmente ultimato. Tra le
innovazioni promesse da Matsuno
spicca la rilevanza ludica dell’ambiente in cui si svolgono gli scontri:
pendii, terreni particolari (paludosi,
ghiacciati, sabbiosi) e conformazione degli scenari influiranno notevolmente sull’esito delle battaglie.
Non sarà uno scherzo affrontare
una creatura volante con i piedi
invischiati in una spessa fanghiglia,
con la velocità e la destrezza del
party dimezzate. Al contrario, sorprendere il nemico da un’altura
comporterà il vantaggio di un indisturbato primo attacco magico o
con armi a lunga gittata.
I combattimenti avranno luogo
esattamente nello stesso scenario
in cui si conducono le esplorazioni,
al contrario di quanto a vveniva nei
primi dieci capitoli della serie, in
cui il party veniva “teletrasportato”
in un’area apposita ogni volta che
si presentava un incontro casuale.
Ciò contribuirà alla credibilità e alla
varietà delle battaglie, ora molto
meno suscettibili al rischio di ripetitività. Inoltre la scelta del percorso
da seguire per raggiungere la meta
di un’esplorazione acquisirà importanza strategica, dal momento che
affrontare le stesse creature in circostanze ambientali distinte può
tradursi in battaglie completamente diverse.
Interrogato sulla questione random encounters, Matsuno ci ha rivelato che anche sotto questo aspetto la dodicesima fantasia proporrà interessanti novità. “Gli
incontri casuali sono un elemento
tipico degli RPG giapponesi” –
spiega Matsuno – “è solo in America e in Europa che questo sistema
riceve delle critiche da parte della
stampa e dell’utenza. Tuttavia per
il dodicesimo capitolo abbiamo v oluto cambiare qualcosa rispetto al
passato, anche perché ormai la s aga di Final Fantasy è popolare
tanto in Occidente quanto in Oriente, e ci è sembrato giusto venire
Ring#07
incontro ai gusti dei giocatori occidentali.” Detto questo Matsuno ci
illustra come nei dungeon e in tutte
le fasi esplorative gli incontri non
saranno casuali, e soprattutto saranno molto meno frequenti rispetto al passato. “Inutile annoiare il
giocatore con decine di combattimenti identici” - ha aggiunto “molto meglio proporre meno scontri, ma più impegnativi e diversificati, alternati a intense sezioni di
esplorazione. A questo proposito
abbiamo molto lavorato sul design
dei sotterranei, dei boschi, delle
paludi e delle città”.
Gli incontri casuali comunque
non sono scomparsi. In molte zone
della mappa saranno ancora presenti: “Abbiamo ritenuto di dover
lasciare la possibilità di evolvere le
caratteristiche del party indipendentemente dal prosieguo dell’avventura”. Infatti per ragioni narrative e di coerenza del mondo di
Cyxius, non è stata implementata
nessuna routine di respawn all’interno dei dungeon. Pertanto, in assenza di aree con incontri c asuali,
una volta eliminate tutte le creature presenti in un sotterraneo non
sarebbe stato possibile evolv ere il
proprio party se non proseguendo
nella storia. “Abbiamo pensato che
gli affezionati della saga non avrebbero gradito un sistema di crescita così rigido. Inoltre, per ovviare a uno sviluppo di gioco troppo
lineare, abbiamo inserito numerose
sub-quest che svelano sorprendenti
retroscena sul passato dei protagonisti, così che giocatori si sentano maggiormente stimolati a completarle.”
__________Welcome to Cyxius
È solo uno schizzo d isegnato da Matsuno
su un foglio di carta, ma è quanto basta
per definire la geografia del suggestivo
mondo di FFXII. La morfologia dei continenti appare tutt’altro che casuale alla
luce delle rivelazioni di Matsuno circa la
specie dom inante su Cyxius.
Cyxius è costituito da tre blocchi
continentali originariamente uniti:
Tergiulia, Estallea e Atsalea, popolati da tre distinte razze di choco-
38
bo: i Nimmit, gli Aemarth e i Gohan.
I Nimmit occupano la parte meridionale di Tergiulia, il continente
più vasto. A causa della morfologia
montagnosa della parte settentrionale, la razza Nimmit non può a ccedervi, perché la conformazione
dei loro arti inferiori non gli consente di muoversi su superfici
rocciose.
Gli Aemarth occupano le terre
emerse di Estallea, un enorme
arcipelago a est di Tergiulia. Rispetto ai Nimmit gli Aemarth si caratterizzano per un aspetto più anfibio, con zampe palmate grazie
alle quali possono correre sull’acqua per brevi distanze.
Infine i Gohan abitano le lande
vulcaniche di Atsalea, a ovest di
Tergiulia. È una razza molto forte,
con zampe possenti che fanno di
loro abili scalatori. Atsalea si è s eparata da Tergiulia in tempi remoti,
e i Nimmit raccontano leggende sui
Gohan, dubitando al tempo stesso
della loro esistenza.
_______Storia di popoli, storia
di chocobo
Ogni Final Fantasy racconta innanzitutto la storia di un gruppo di
amici. Tuttavia la stessa storia
giunge sempre a coinvolgere l’intera popolazione del mondo in cui è
ambientato il gioco.
“Con FFXII abbiamo voluto raccontare una storia di popoli, prima
che di singoli individui. Dopodiché
abbiamo scritto per ciascun protagonista una storia personale che
riflettesse quella del suo popolo.” Il
giocatore si troverà a controllare
chocobo appartenenti a ciascuna
delle tre razze di Cyxius, vivendo le
storie di differenti individui e di differenti popoli da prospettive distinte.
L’avventura comincia a Tergiulia,
con i Nimmit divisi in due fazioni da
dieci anni impegnate in una sanguinosa guerra civile. Non si fa
menzione delle ragioni alla base del
conflitto, perché volevamo che i
giocatori ricevessero l’impressione
di una guerra insensata, come riteniamo che lo siano la maggior parte delle guerre reali. Successiv amente l’intero mondo di Cyxius a ssisterà al confronto delle tre razze
di chocobo, questa volta sulla base
di ragioni esposte. Le stesse ragioni saranno però sottoposte a sostanziali riconsiderazioni a seconda
della prospettiva da cui verranno
enunciate. Aemarth, Gohan e Nimmit appariranno tutti nel giusto, e
solo nel finale realizzeranno di aver
riprodotto su scala planetaria l’insensatezza del conflitto iniziale tra
:RUBRICHE:
le due fazioni Nimmit. I personaggi
che la storia consacrerà c ome eroi
sono proprio quelli che sapranno
avvedersi di questa insensatezza.
Ogni Final Fantasy sviluppa a modo
suo il tema della libertà: in FFXII
libertà è consapevolezza.
______I due volti della guerra:
Epica e Armageddon
La storia di FFXII entra nel vivo
quando una delle due fazioni Nimmit (quella che vive nella parte ovest del continente) entra in possesso dell’evocazione Leviatano,
che intende utilizzare per sopraffare definitivamente la fazione opposta. Il Leviatano genera un maremoto nelle acque che separano Estallea da Tergiulia, inondando la
parte est di Tergiulia e provocando
al tempo stesso l’emersione di a lcune appendici occidentali dell’arcipelago di Estallea. Questo permette agli Aemarth di raggiungere
Tergiulia spostandosi rapidamente
da un’isola all’altra. Ripetute incomprensioni diplomatiche fomentate ad arte dai maligni di entrambe le parti faranno sì che i Nimmit
interpretino l’arrivo degli Aemarth
come un’invasione. Gli Aemarth, da
parte loro, sono in cerca di una
nuova terra in cui insediarsi per
fuggire dai terribili cataclismi che
affliggono Estallea, e non accetteranno l’espulsione.
È l’inizio di una nuova guerra.
I Nimmit, superata la loro div isione interna per fare fronte al
“nemico” comune, si coalizzano
contro gli Aemarth, comunque militarmente superiori. Nella disperazione di una guerra che sembra
persa - soprattutto a causa della
decimazione subita dalla popolazione durante i dieci anni di guerra
civile - i Nimmit ripongono le loro
speranze nell’antica leggenda dei
Gohan, un tempo garanti supremi
dell’ordine dell’intero Cyxius.
Quattro Nimmit partono quindi
alla volta delle montagne di Tergiulia alla ricerca di Ifrit, la creatura
mitica a cui la leggenda attribuisce
il potere di riunire le terre vulcaniche di Atsalea a Tergiulia, consentendo il ritorno dei Gohan nel continente.
“Viaggiare attraverso le montagne è un’impresa praticamente i mpossibile per un Nimmit” ci tiene a
precisare Matsuno, “è in questa
fase dall’avventura che abbiamo
voluto dare la rappresentazione più
imperiosa della natura tecnologica
del mondo di Cyxius. La terra si
vuole opporre ai continui tentativi
delle razze di chocobo di f omentare
la guerra in atto, pertanto le montagne osteggeranno il cammino dei
Ring#07
quattro Nimmit spostandosi durante la notte, vanificando così i tentativi dei chocobo di aggirare i monti
più impervi.”
Miracolosamente i quattro riusciranno comunque a raggiungere il
tempio di Ifrit e a evocarlo. La creatura del fuoco si calerà nelle profondità della terra provocando violenti terremoti, nonché prolungate
eruzioni nel complesso vulcanico di
Atsalea. Il fiume di lava così formatosi si depositerà sul fondo del m are che separa Tergiulia da Atsalea,
fino a riemergere ricongiungendo i
due continenti.
Un altro render impieg ato come concept
art: uno dei crateri che punteggiano il
complesso vulcanico di Atsalea. La conformazione del cratere, per quanto naturale e realistica, sembra obbedire a
precise regole matemat iche, come se si
trattas se di un frattale.
I Gohan, però, si rifiuteranno di
intervenire in un conflitto che giudicano n
i sensato. Un gruppo di
giovani Gohan, però, sensibili al
richiamo di un continente a loro
ignoto, chiederanno ai quattro a vventurieri Nimmit di condurli fino a
Tergiulia, offrendosi come cavalcature per riportarli a casa rapidamente attraverso le montagne. La
loro cattura da parte degli Aemarth
nel corso di un’imboscata motiverà
l’entrata in guerra della razza dei
Gohan al fianco dei Nimmit.
“L’arrivo dei Gohan a Tergiulia è
una delle sequenza più epiche di
tutto il gioco” - ci confida Matsuno,
visibilmente eccitato - “I Nimmit
incalzati dagli Aemarth sono stati
costretti ad arretrare fino alla città
di Bibir, situata ai piedi dell’estrema propaggine meridionale della
catena montuosa di Tergiulia. A nche la caduta di quest’ultima roccaforte sembra imminente, ma ecco
che in cima ai monti che incorniciano la città compaiono i vessilli
dell’esercito di Gohan. Abbiamo
realizzato una sequenza di cinque
minuti in CG in cui migliaia di Gohan si lanciano giù per le montagne respingendo l’avanzata degli
Aemarth. Per realizzare questo filmato ci siamo ispirati alla battaglia
finale del secondo film de Il Signore degli Anelli, ma siamo convinti di
essere riusciti a realizzare qualcosa
di ancor più stupefacente. Merito
del fascino dei chocobo: vederli
muovere a centinaia in perfetta
sincronia mentre il vento ne scuote
39
il piumaggio è uno spettacolo sensazionale.”
In alto, il drammatico attacco dei cav alieri di chocobo Al bhed a Sin in FFX. Qui
sopra la carica condotta da Gandalf il
Bianco presso il Fosso di Rohan nel film
Il Signore degli Anelli - Le Due Torri. A
detta di Matsuno, in FFXII assisteremo
a un FMV che unirà il fascino della prima
sequenza all’impatto epico del la seconda.
Matsuno si è poi dimostrato restio a svelarci i particolari della
conclusione della storia, sotto la
nostra pressione si è però convinto
ad anticiparci un’altra emozionante
sequenza, in cui i Gohan evocano
Shiva per congelare le acque che
gli Aemarth percorrono per spostarsi da Estallea a Tergiulia, provocando l’isolamento dei loro avanposti nel continente.
Se del finale di gioco nulla ci è
stato anticipato, Matsuno si è comunque azzardato a esporci il significato che con esso lui e il suo
team intendono veicolare. “La storia di FFXII ha uno sviluppo a spirale: quella che inizialmente si presenta come una contenuta guerra
civile assumerà via via proporzioni
planetarie, fino a che tutte e tre le
razze non capiranno di avere un
nuovo nemico comune, e si troveranno a decidere se coalizzarsi contro questo nuovo nemico o cercare
una soluzione alternativa alla guerra totale, che rischierebbe di provocare la completa d istruzione del
mondo di Cyxius. “Credo che il f inale del gioco renda giustizia alla
bellezza di Cyxius e sveli maestosamente ai giocatori l’inaspettata
soluzione alla catastrofe” conclude
Matsuno visibilmente soddisfatto.
L’ora è piccola. Il mattino incalza. Il sonno e il tasso alcolico dilagano. Il nostro informatore accompagna al suo taxi un barcollante
Matsuno, che si congeda bisbigliando al nostro uomo un’ultima,
preziosissima informazione: il gioco
uscirà in Giappone venerdì 12
dicembre 2003. 12/12/03.
Sarà il Final Friday XII.
:RUBRICHE:
Ring#07
dAVIDE zERO fROM oUTER sPACE_______________________ì
[Il Davide Videoludico SETTE]
di Nemesis Divina
C’era una volta che il Davide praticamente l’hanno abdotto…
«Cosa volete da me?»
«Vogliamo informazioni, Numero Zero. Informazioni.»
«Io non sono un numero… io sono il Davide Videludicooooaaaahhhh!!!!»
Il Davide si svegliò tachicardicheggiante. La notte era madida, la sua
fronte umida, le coperte fradice. Sbarrò gli occhi fissando un buio severo,
impietoso, cupo e anche un poco stronzo.
Un incubo.
Mandò una mano in perlustrazione, alla cerca della Silvia dormiente
per trarre sollievo dall’amata presenza; ma nulla trovò e anzi la mano
brandì il vuoto oltre i confini del talamo. Ora che ci faceva caso, sentiva
un materasso duro sotto di sé, ben diverso da quello che era solito usare
per l’espletamento dei bisogni notturni. Il Davide s’alzò e si scoperse ignudo sentendo il barbagallo sballonzolare fra le cosce, oscenamente ritratto in vergognose pieghe epidermiche. I piedi nudi, scandalosamente
poco curati, posarono su un pavimento freddo e liscio. A tentoni brancolava nel nero quando una luce irruppe maestosa, accecante, rivelatoria,
fulgida, splendente e anche un poco scassapalle. Gli ci volle un attimo, al
Davide, per abituarvicisi. Una volta abituatovicisi, udette uno scalpiccio
lesto ma deciso. Solo ora si o sservava atto rno e vedeva pareti fatte di
specchi riflettere la sua figura triste e muta, solitaria e mesta, afflitta e
sperduta, sola e angosciata. Una delle vetrate sibilò sollevandosi e l asciando intravedere un pertugio; emerse allora una figura ignota che dai
movimenti lasciava intendere come non ci si sarebbe potuti appellare ad
essa senza timore e reverenza. Una tipica figura alta, bassina e con il
naso. Vestito in un completo dal taglio elegante ma ricavato da un lattex
blu elettrico, quantomeno bislacco e anche un poco fetish. Il volto del visitatore appariva enigmatico con quegli occhi canuti, le labbra castane,
gli zigomi sfuggenti, il naso alto, la fronte profonda ed il mento adunco.
In pratica sembrava Alain Delon appena uscito da sotto i cingoli di un
Caterpillar.
«Welcome to the Third Place, Mr. Davide» appellò. «Se non le spiace
potrebbe coprire le orrende vergogne che mette in mostra cingendo il
suo flaccido ventre con quello stuoino di morbida vigogna che vede laggiù?» proruppe il misterioso.
Il Davide, vagamente offeso ma comunque timorato, si coprì le orrende vergogne che metteva in mostra cingendo il suo flaccido ventre con
uno stuoino di morbida vigogna che vedeva laggiù. Ricondotto ad umano
sembiante, il Davide osò chiedere chi essi fossero, cos’essi volessero da
lui e cos’egli potesse dar loro.
«Non si preoccupi Mr. Davide. Si fidi di me e non opponga resistenza.
Mi chiamo Adolf Gandhi e sarò il suo cicerone. Mi segua, abbiamo grandi
progetti per lei. Lei è una persona mooolto speciale.» così dicendo si
mosse con passi ampi verso il pertugio, invitando il Davide a seguirlo. Fu
un viaggio silenzioso durante il quale attraversarono corridoi d’un bianco
irreale, con pareti vuote e solcate solo da segnaletiche dai nessi indiscernibili e pittate di rosso. Il pavimento scorreva incurante sotto i loro passi
e solo dopo minuti incronometrabili giunsero alla loro, sconvolgente, destinazione.
«Ecco, ammiri Mr. Davide: Il Nido…» disse lasciando tre subdoli puntini
di sospensione alla fine della frase.
Il corridoio terminava su un balcone poco spazioso dove solo due persone potevano sostare. Un vaso di garofani appeso al parapetto. Al di
sotto mostravasi un’area titanica dai confini indefinibili, discendente per
chilometri ed estendentesi grossomodo per un parsec o due. Il balconcino brontolò e prese a discendere pigro lungo la propria verticale. Giunti
che furono in prossimità del fondo, egli vide: tutti disseminati sulla s uperficie metallica ed illuminata da luci al neon bianche, fredde e pure un
poco svogliate, trovavansi centimilionaie di banchetti tutti con un omuncolo sedutovicisi, gobbo su un minuscolo schermo innanzi.
«Chi… chi sono… loro?» domandò titubante il Davide.
«Beta Tester» rispondette laconico il cianotico virgilio, ponendo alla fine della frase un’inflessione subdola e vibrante che indicava come a ulteriori richieste avrebbe risposto frantumando i malleoli al nostro eroe.
Il silenzio perdurò, dunque.
40
:RUBRICHE:
Ring#07
Il ballatoio sbuffò stizzito e si arrestò con un leggero scossone sul fondo della sua c orsa. La ringhiera si aperse e i due s’incamminarono fra i
banchetti. Il Davide poteva vedere questi omuncoli ricurvi con gli occhietti vacui fissi sullo schermo. L’indagine davidiana dardeggiava
d’intorno registrando visi e volti e musi e facce. Sedevano curvi su uno
sgabellino regolabile (tutti regolati troppo alti, da cui la postura gibbosa…), le gambe ciondolavano molli, quasi atrofizzate. Tutti tenevano lo
sguardo fisso sullo schermo che lumineggiava i volti con multicromi aloni. Ora poteva vedere da v icino questi individui, erano costretti ai banchetti da solide cinghie, i polsi inanellati al tavolo con le mani che stringevano… joypad!! Non v’era dubbio, ce n’erano di tutti i tipi, quelli in uso
ad oggi e quelli del passato, più altri sconosciuti e dalla fattura avveniristica. Davide notava sottili cavi penetrare negli avambracci degli omuncoli e altri uscire dalla base della n uca per innestarsi nel video innanzi a
loro. Successe per un secondo solta nto; uno dei gobbi si voltò e parve
per un attimo fissare il Davide. Scorgendone i tratti, il nostro sentì lo
scroto farsi piccolo piccolo: aveva la fronte bombata e i capelli scompigliati, come chi non li pettina da quarantadue giorni, le guance flaccide
disposte su più strati, labbra sbilenche e lucide di u n sottile strato di saliva e gli occhi… occhi persi nel nulla, con una sola vaga scintilla
d’intelligenza, annegata in un mare di imbelle ignoranza.
Una specie di Buttiglione, però con la scintilla.
Davide continuava a seguire la sua imperscrutabile guida e intanto occhieggiava gli schermi dei beta tester. Erano indiscutibilmente videogiochi, quelli i cui frame muovevano i f osfori dei visori. Giochi di tutti i tipi.
«Sono tutte nostre produzioni» irruppe l’accompagnatore, pur senza
tuttavia voltarsi.
Davide sussultò. Come poteva essere possibile?! Vedeva giochi di tutte
le case possibili ed immaginabili, non v'era un comune denominatore o
almeno egli non lo scorgeva.
Gandhi si arrestò e il Davide per poco non gli cozzava contro. Poi,
sempre dando la schiena al nostro, alzò un braccio ed estroflesse l’indice.
Il Davide trascorse cinque minuti buoni nell’osservare il dito, poi guardò
dove indicava. Stupefacimento! L’inconfondibile logo della EA campeggiava solido e fiammeggiante sopra le loro teste mentre una musica celestiale irrompeva fra le ampissime pareti.
«Non… non è possibile!! Questi non sono giochi all’altezza della EA!»
sillabò incautamente.
«ANATEMA!!» il signor Gandhi si voltò funesto in volto «Mai più… mai
più oserai pronunciare invano il sacro dittongo. Per quanto tu ci sia prezioso, non tollereremo altre mancanze di rispetto!!» poi, richetatosi «EA
è un livello di percezione superiore, parto di menti a ltissime. Tutto quello
che giochi, lo giochi per nostro volere.»
Il Davide esterrepì.
«EA non è un semplice marchio, noi siamo una voce totale, elevatasi
nel sussurro della cospirazione ed oggi finalmente esposta alla venerazione delle genti! Osserva, tutti i giochi che vedi sono frutto del nostro
mestiere…»
Davide guardava gli schermi che ritraevano numerosissimi titoli che, a
quanto ne sapeva (e lui ne sapeva... a quanto ne sapeva), non erano
certo di casa EA. Videogiochi che nessun uomo avrebbe mai voluto vedere, ET per Atari 2600 alle porte di Tannoiser, ma anche Silent Hill 3, Zelda TWW, GT3, Super Mario Sunshine, Heart of Darkness, Great Giana Sister, Primal, Munch’s Oddyssey, Cruisin’ USA e molti altri.
«Non devi stupefarti, questi sono tutti nostri lavori. Non noti il sublime
marchio EA nell’inconsistenza di Zelda TWW? La cura della ripetizione in
GT3? Il sublime contrappasso di un gameplay logoro e anticherrimo in
SH3? La piaga di Army Men, le tette di Lara e le altre tonnellate di monnezza che siamo riusciti a vendere? A milioni di copie. A milioni di fessi
MUAHAHHAHAHAHAH»
«Herr Gandhi! » eruppe un inserviente, giunto di soppiatto, con un camice arancione e la faccia al contrario. « Scusi se interrompo il suo rimarchevole delirio; il B eta Tester che si è risvegliato l’altra settimana.. non
siamo riusciti a recuperarlo… è morto.»
Lo sguardo del Davide si fece inquieto e l’ano gli si contrasse involontariamente. Era dunque quella la ragione per cui era lì? Avrebbe dovuto
sostituire il Beta Tester defunto? Una vita di giochi immondi, intollerabili
sequel, minestroni riscaldati e add-on e spin-off e tie-in lo attendevano?
FIFA lo attendeva?!?!?! Lo scroto quasi disparve.
«Non temere. Tu sei qualcosa di superiore, Numero Zero.» Trasalì, il
Davide, all’udire della rotonda cifra che ricordava di un incubo forse d ivenuto realtà. «Sarai il primo esponente d i una nuova razza di acquirenti
dal potenziale infinito MUAHAHAHHA in te abbiamo ritrovato la sciorda
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:RUBRICHE:
Ring#07
genetica di tutti i più degenerati utenti di videoludismo MUAHAHAHA sei
il culmine della degenerazione consumistica tecnoludica MUAHAHAHA il
link diretto fra il portafogli e i nostri conti svizzeri MUAHAHAHA.»
Il Davide esterreppì ancor di più. Come potevano dire ciò? Cosa poteva
essere vero? Lui… lui non era così!!!
«Come potete dire ciò? Come può essere vero? Io… io non sono c osì!!!»
«MUAHAHAHA non devi temere. Lascia che il destino si compia, che
tutto fluisca. Il Grande Disegno sta per compiersi. Le pedine sono sul
campo e l’ultima partita è iniziata. Durerà a lungo ma con te e i tuoi figli
noi vinceremo. Non vedi come tutto s’incastra alla perfezione? I l 3DO,
l’uscita di Zelda per CDI, la line up del Saturn, John Holmes, il fallimento
di DreamCast, i 4Mega di VRAM di PS2, il Cubo che non è cubico e l’Xbox
che non ha la proboscide!!! Mira, Numero Zero!! Tra poco l’online gaming
serpeggerà nel mondo delle console e allora EAO (Electronic Arts Online)
sarà un essere vivo e portentoso, nostro invincibile Sigfrido!» All’udire di
un così infame trittongo, il duo zebedeico del Davide si sganciò lesto e,
discendendo lungo il pantalone, prese il largo. Qualcuno racconta d’aver
veduto Evaristo in quel di Foggia, ha aperto una pescheria. Di Ernesto
più nulla s’è saputo, ma forse ha cambiato sesso ed ora è un Grande
Labbro.
«Questo è il Nido. Qui raccogliamo dati per la creazione del Cliente
Perfetto. Qui pulsa ed espande N.E.R.D. il progetto per il Peggioramento
della Razza Utente!!! MWAHAHAHAHA!» ed esplose una risata inmalignita, rispetto alle altre, dalla vu doppia.
«NO! Io non sono così. Io non sono un pecorone, non sono un mass
gamer, non acquisto all’Auchan, non copio i giochi e non compro Tomb
Raider. Sono early adopter, sono hardore gamer, retrogioco, colleziono
giochi (che non gioco mai), compro titoli che ho solo sentito nominare
che però dicono che sono belli (e poi sono in giapponese e non ci capisco
mai niente), scrivo alle riviste nella posta (che così sono fico), prendo i
giochi appena usciti (e li faccio finire agli amici), spendo grosse cifre per
prodotti (immondi), scrivo r ecensioni su siti (del piffero per farmi passare
le promo), compro dodici riviste al mese (che dicono tutte assieme la
metà delle cose che leggo un mese prima su Internet, cose che sono
centoventi volte più di quelle che mi interesserebbe conoscere), non esco
la domenica pomeriggio (e nemmeno il sabato sera) per finire Final Fantasy Ennesimo, compro le guide e rigioco al 100% e frequento i Forum
(sono qualcuno solo on the net), comprerò il network adapter (e finalmente qualcuno mi conoscerà e rispetterà il mio nome). PS3 sarà una rivoluzione, Xbox 2 è un PC ultrapompato e Nintendo fa i giochi per beneficenza…»
Esausto, ingobbito e perlato di sudore il Davide vide le labbra di Herr
Gandhi arricciarsi in un ghigno sardonico, perfido.
«Và… e moltiplicati.»
[Outro]
Spalancò gli occhi. Il Davide.
Le ghiandole sudoripare avevano innaffiato il magliettone da notte, con
stampigliato sopra il logo di FF8 (frutto di una special edition pagata una
cifra inverosimile…). Con la mano setacciò le coperte e incontrò una natica dura e scolpita che subito attribuì al prestante Mimmo. Sentiva un respirare sommesso e quieto. Solo per poco si chiese cosa ci facesse
l’atletico Mimmo fra lui e la moglie, ma l’inquietudine della visita morfeica era troppa per perdersi in quisquilie. Infilò le pattine che se no la Silvia gli rompe il culo e scivolò verso The Mighty Buco di Merda. Scostò la
porta a soffietto e accese la luce. La scansia propendeva pericolosamente
in avanti ma custodiva ancora un cumulo di piattaforme più o meno vecchie. Scaffali esponevano una selezione finissima dei migliori titoli di tutti
i tempi. Per un attimo un dubbio atroce lo investì. Aperse un cassetto e
ivi occhieggiò. Avrebbe mai potuto lui esser parte di un ipotetico
N.E.R.D.? Certamente no, che sciocchezza. Come avrebbe potuto, lui. Lui
che aveva fatto del VG la sua vita, che tutto s apeva di ogni titolo, casa,
autore o editore. Come avrebbe, ad esempio, potuto tradire il sommo
giochino del calcio per quella squallida imitazione tutta scena e niente
sostanza di FIFA della EA? No, non avrebbe mai potuto. Guardò nel cassetto e sorrise tranquillo.
Accanto all’edizione USA e JAP, a quella Limited, a quella da gioco,
quella da multiplayer e il back-up, c’era l’ultima edizione incellophanata
(per dovere di collezione) del supremo giuoco del calcio.
This Is Football.
[continua]
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