Octobre 2009 - VII Congrès de l`Association Mondiale de

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Octobre 2009 - VII Congrès de l`Association Mondiale de
Numero 4 - Octobre 2009 – Association Mondiale de
Psychanalyse
PAPERS
Bulletin Electronique du Comité d'Action de
l'École-Une Version 2009-2010
Versione italiana
Sommario
Hebe Tizio
Litorali
Lucia D’Angelo
Di maschere, posticci e sembianti
Bernard Lecoeur
Maschere di parvenza
Ana Lucia Lutterbach Holck
La fantasia femminile e il sembiante
Marie-Hélène Roch
Dal litorale, in psicoanalisi
1
Litorali
Il prossimo Congresso della AMP mette al lavoro il bordo di cui si sostiene la pratica analitica,
giacché “Sembianti e sinthomo”, disegnando il litorale dell'eterogeneo -litorale dell'antinomia
senso/reale- ci chiama a dare conto del modo in cui il discorso analitico tratta il reale. Si tratta
senza dubbio di una fruttifera difficoltà, visto che la strada che le scuole della AMP tracciano
già verso il Congresso, é scandita di lavori: Giornate - attuate nelle Journèe e Vanguardias - e
numerose attività tra le quali la serie dei Papers, di cui questo é il suo quarto numero.
La polifonia di questo numero risulta da diverse voci: Marie-Hélène Roch ci offre una lettura del
testo Lituraterre, tramite la quale presenta un'analisi del litorale nella psicoanalisi ; Ana Lucia
Lutterbach Holck esplora, a partire dalla sua esperienza della passe, femminilità e sembiante;
Lucía D’Angelo abborda le maschere, i postici e i sembianti dal lato della posizione femminile,
mentre Bernard Lecoeur sceglie di analizzare le maschere del sembiante a partire dalla
differenza tra discorso isterico e discorso della scienza.
Tutti e quattro i testi si avvicinano con diverse modalità a quel bordo che a sua volta segna una
relazione di esclusione. In effetti, é ciò che Lacan indica nel Seminario su Il sinthomo quando si
riferisce ad un “godimento opaco che esclude il senso”, il ché implica condurre sino alle estreme
conseguenze la impossibile scrittura del rapporto sessuale. Dai litorali ai nodi, si tratta di un reale
fuori senso.
Come indicato da Jacques Alain Miller, é da questa prospettiva che la psicoanalisi si presenta
come una pratica del non-rapporto che mira alla produzione del singolare. Chi nell'esperienza si
compromette, si avvicina al trattamento inaugurale che per lui ha avuto quell'impossibile.
Si tratta di un reale che genera il suo proprio disconoscimento, da lì l'analisi e la passe, la scuola,
i testi ... modi di operare che mettono in evidenza il tentativo di fare, con quel movimento
forclusivo, risorse in grado di produrre un sapere fare di approssimazione, un bordo di sapere
dunque, prodotto dall'esplorazione stessa dei litorali...
Hebe Tizio
Traduzione di Laura Rizzo
2
Di maschere, posticci e sembianti
Lucia D'Angelo
È un fatto che tutta la ricerca retroattiva nell'insegnamento di Lacan sul termine di sembiante
rinvia alla definizione del fallo che lo rende il sembiante per eccellenza nella commedia tra i
sessi. Vediamo gli antecedenti di questa formulazione.
Secondo Lacan, ne La significazione del fallo, il fallo come significante dà la ragione del
desiderio e, attenendosi alla funzione, contrassegna le strutture cui sono sottomessi i rapporti fra i
sessi: "[...] questi rapporti ruoteranno intorno a un essere e a un avere che, poiché si riferiscono a
un significante, il fallo, producono un effetto contrastante, d'un lato quello di dare realtà al
soggetto in questo significante, dall'altro di irrealizzare le relazioni da significare".1
Per l'interesse della nostra riflessione, tratteniamo la nostra attenzione sul fatto che il termine
semblante in castigliano, tra le sue molteplici declinazioni, definisce l'apparenza, il sembrare o
l'aspetto delle cose sul quale ci formiamo il concetto di esse.2
Nel suo corso Della natura dei sembianti,3 J.-A. Miller sottolinea la presenza di questo termine,
sembrare, negli Scritti di Lacan: è per "[...] l'intervento di un sembrare che si sostituisce all'avere,
d'un lato per proteggerlo, dall'altro per mascherarne la mancanza, e il cui effetto è di proiettare
interamente le manifestazioni ideali o tipiche del comportamento di ciascuno dei sessi fino al
limite dell'atto della copulazione, nella commedia".4
Per Lacan la relazione del soggetto con il fallo, sebbene si stabilisca al di là della differenza
anatomica dei sessi, mette la donna in una situazione particolarmente spinosa. Per essere il fallo,
cioè il significante del desiderio dell'Altro, la donna deve rigettare una parte essenziale della
femminilità, tutti i suoi attributi, nella mascherata.
La femminilità trova il suo rifugio in questa maschera grazie alla Verdrängung inerente al
marchio fallico del desiderio, ciò ha la curiosa conseguenza di fare sì che la parata virile appaia
femminile.5
A partire da questi riferimenti degli Scritti di Lacan, J.-A. Miller sostiene che l'intervento di un
sembrare che sostituisce l'avere, suppone già l'introduzione del sembiante nel rapporto tra i sessi.
E propone che la distinzione tra l'amore e il desiderio, con cui prosegue la riflessione di Lacan,
supponga che il sembrare può scriversi come l'essere.
Tale distinzione si fonda sul fatto che l'amore non mette in questione l'essere ma l'avere. E mette
in rilievo l'amore come il dono di ciò che non si ha. In questo senso l'amare appartiene alla
posizione femminile.6
Da questa prospettiva, della significazione del fallo sul sembrare che sostituisce l'avere, si
distribuiscono le posizioni del soggetto sulla sessualità in una bipartizione: nel proteggere l'avere
(gli uomini), o nel mascherare la mancanza ad avere (le donne). All'orizzonte di questa
partizione il significante del fallo si erige come unico nella distribuzione tra i sessi nelle
elaborazioni lacaniane successive.
Ma nell'interesse della nostra riflessione si può argomentare, con J.-A. Miller, che il sembrare
che sostituisce l'avere suppone un antecedente del fallo come sembiante.
Prendiamo, per esempio, dei riferimenti nel Seminario XI,7 dove Lacan si confronta, tra altre
questioni, con tutta la prospettiva della Fenomenologia della percezione.
3
Lacan prende come riferimento il mimetismo e cita il termine di sembiante per sottolineare che
questo fenomeno interviene tanto nell'unione sessuale quanto nella lotta a morte: "L'essere vi si
decompone, in modo sensazionale, tra il suo essere e il suo sembiante, tra sé e la tigre di carta
che offre da vedere".8
Tuttavia il soggetto umano, il soggetto del desiderio che è l'essenza dell'uomo, a differenza
dell'animale, non è interamente preso da questa cattura immaginaria. Sa orientarsi in essa. Nella
misura in cui isola la funzione dello schermo e ci gioca.
Secondo Lacan l'uomo sa giocare con la maschera, con il travestimento, con l'impostura, con il
richiamo, e può fare la mediazione del velo, dello schermo - aggiungiamo del sembiante - per
includersi nel quadro del rapporto tra i sessi.
Ne I quattro concetti fondamentali... prendiamo anche un altro riferimento riguardo al soggetto
della certezza tra Freud e Cartesio, dal quale estraiamo un'altra formula lacaniana sul tema che ci
interessa: "[...] quel qualcosa che è da preservare può anche essere quel qualcosa che deve
mostrarsi - giacché, in ogni caso, ciò che si mostra non si mostra che sotto una Verkleidung, un
travestimento e posticcio anche, che può tenere male".9
Il fallo serve da velo a ciò che si nasconde dietro, la castrazione.
Anche la maschera è un sembiante poiché nasconde il niente.
Secondo Miller conviene seguire questa argomentazione poiché la funzione della maschera nella
donna è un'interpretazione più autentica della posizione femminile della donna con il posticcio.
Il termine postizo in castigliano è definito come un'aggiunta, una contraffazione che rimpiazza
artificialmente qualche cosa di naturale. Finto o sovrapposto.
La cosa interessante di questo termine è che, secondo J.-A. Miller, esso giustifica,
nell'insegnamento di Lacan, una teoria dei posticci e la sua relazione con i sembianti. Nella
misura in cui il posticcio, come aggiunta di una parte del corpo, occupa il posto di qualcosa che
non c'è, il posticcio risponde alla mancanza ad avere.10
Per discutere la teoria dei posticci Miller parte da un riferimento di Lacan degli Scritti: "Tale la
donna dietro il suo velo: l'assenza del pene la rende fallo, oggetto del desiderio. Provate ad
evocare questa assenza in modo più preciso, facendole portare un grazioso posticcio sotto un
travestimento da ballo, e ne avrete, o meglio ella ne avrà, da raccontarne: l'effetto è garantito al
100%, come ben sappiamo da uomini senza ambagi".11
Per giustificare la teoria del posticcio è necessario chiarire che è una categoria legata all'esistenza
del posto. L'oggetto posticcio rimpiazza ciò che manca lì dove manca.
Tuttavia la sua importanza, a differenza dell'oggetto protesi, è che assicura l'immagine la cui
funzione è quella di sembiante.12 Nella misura in cui il posticcio designa un emblema al di là
dell'immagine. Mentre la maschera fa credere che nasconde il niente, il posticcio non è fatto per
far credere che si ha.
Pertanto Lacan indica negli Scritti che il desiderio sessuale si coniuga in modo essenziale con
l'avere, la minaccia o la nostalgia della mancanza ad avere; la minaccia dell'avere riguarda
fondamentalmente l'uomo.13 L'uomo così deve proteggere il suo avere.
Per la donna ci sono solo due soluzioni per questo non avere: o acquisirlo o farsi essere. Essere il
fallo, farsi desiderabile con la sua mascherata o averlo attraverso un uomo.
La soluzione della donna con posticcio, che si aggiunge ciò che le manca benché segretamente le
venga dall'uomo, smentisce la posizione di essere quella che non ha per far credere che il
posticcio sia autentico. Il posticcio che non si dichiara maschera del niente.
Per la soluzione della femminilità, maschera e posticcio non sono le due facce di una stessa
moneta.
La donna lacaniana è quella che gioca con l'uso dei sembianti per trovare la soluzione della
femminilità dal lato della castrazione. Non è la donna con posticcio che cerca la soluzione dal
lato dell'avere e che ha paura della castrazione, soprattutto della propria.14
4
Di maschere, posticci e sembianti gli uomini non sono esclusi nella commedia dei sessi.
Ma questa è un'altra storia... che continuerà.
Traduzione di Grazia D'Arino
Lacan J., “La significazione del fallo”, in Scritti, Einaudi, Torino 1974, vol. 2, p. 691.
Bassols M., “Algunas observaciones acerca del semblante”, in Papers 2, Comité de Acciòn de la Escuela Una.
3
Miller J.-A., “Della natura dei sembianti”, in La Psicoanalisi, n. 15, Astrolabio, Roma 1987, p.172.
4
Lacan J., “La significazione del fallo”, in Scritti, op. cit., p. 691.
5
Ibidem, p. 693.
6 Miller J.-A., “Della natura dei sembianti”, in La Psicoanalisi, n. 15, op. cit., p.181.
7
Lacan J., Il Seminario, Libro XI, I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964), Einaudi, Torino 1979.
8 Ibidem, p. 105.
9
Ibidem, p. 36.
10 Miller J.-A., “Della natura dei sembianti”, in La Psicoanalisi, n. 15, op. cit., p. 173.
11
Lacan J., “Sovversione del soggetto e dialettica del desiderio nell’inconscio freudiano”, in Scritti, Einaudi, Torino
1974, vol. 2, p. 829.
12
Miller J.-A., “Della natura dei sembianti”, in La Psicoanalisi, n. 16, Astrolabio, Roma 1987, p. 148.
13
Lacan J., “La significazione del fallo”, in Scritti, op. cit., p. 691.
14
Miller J.-A., “Della natura dei sembianti”, in La Psicoanalisi, n. 16, op. cit., p. 155.
1
2
Maschere di parvenza
Bernard Lecoeur
Cercando di precisare ciò che ne è della dimensione dell’immaginario, Lacan, per non
confonderlo, si riferisce sovente alla parvenza. Secondariamente ha dato più esempi di cui uno
legato al fenomeno di percezione. Alla fine del suo Seminario Le psicosi, interroga il posto da
dare all’illusione che produce l’apparizione di un arcobaleno. Quest’ultimo, precisa, come tale
non è immaginario. E’ qualcosa generato dal reale e raggiunge lo statuto di parvenza solo in virtù
del significante. In un periodo successivo del suo insegnamento avanzerà una formulazione più
generale secondo la quale il discorso scientifico trova il reale in quanto dipende dalla funzione di
parvenza (1).
Questa presentazione dell’incidenza della parvenza per la scienza non è da limitare ad una
questione di metodo. Un altro aspetto l’accompagna, ugualmente importante, riguarda i rapporti
che il discorso della scienza instaura tra il soggetto e la parvenza. E’ questo accostamento che è
qui esaminato.
5
Fabbricare un soggetto
La scienza fa portare la parvenza sul soggetto, è questa una condizione di produzione del suo
sapere (2), ci dice Lacan. Per quanto paradossale ciò può apparire, il discorso della scienza deve
legare le sue premesse alle sorti di un soggetto. Perché sovraccaricarsi di un tale fardello se ciò
non è per premunirsi contro il ritorno di una presenza divina, troppo ingombrante nel campo
della causa ? L’apparizione di un simile fantasma ridurrebbe tutto lo sforzo di formalizzazione.
Con questa semplice osservazione un’opposizione si evidenzia, secondo la quale la posta in
gioco della scienza è di costruire una parvenza del soggetto, in quanto operatore della ricerca,
mentre la psicoanalisi fonda la sua azione su un agente che ha di mira a farsi parvenza d’oggetto.
In Radiofonia Lacan riprende questa questione dello statuto del soggetto considerato a partire dal
discorso della scienza. A che cosa può apparentarsi un tale discorso ? Prende “i suoi slanci dal
discorso dell’isterica”, egli ci dice, e ciò implica di non essere completamente estraneo ad una
certa divisione, dove confinano le sue origini.
Come qualificare un tale soggetto ? Contrariamente alle idee ricevute, il suo abito non è in niente
quello della certezza. Lontano da essere questo monolite murato nel sapere, si avvicina piuttosto
a quello del dubbio, di un soggetto ridotto al pensiero del suo dubbio. E’ per questa via metodica
della parvenza applicata al pensiero, che si ottiene il cogito adottato dalla scienza.
Il discorso della scienza si trova a scriversi in un modo identico a quello dell’isterica. A parte un
dettaglio, che cambia tutto. Se tutti i termini del discorso possono essere riportati allo stesso
posto, un destino particolare deve essere riservato all’elemento designato come più-di-godere.
Nella scienza, il più-di-godere (a) si vede coperto di una maschera molto particolare, una
maschera di ferro. (3)
Una compagnia lacaniana di maschere
A numerose riprese Lacan ha fatto ricorso alla maschera la cui etimologia, ricordiamolo, rinvia
alla strega se non addirittura al demonio. (4)
La maschera è ciò di cui il partner della mantide religiosa è adornato, in un apologo dove il
desiderio, in quanto interrogativo, fa della sospensione la temporalità dell’angoscia. In una
dimensione non meno tragica, la maschera è anche ciò davanti a cui il bambino piccolo rimane
interdetto nell’istante in cui scopre che una maschera può nasconderne un’altra. A meno che non
si tratti di uno degli amanti dell’Opera, la delusione è tanto più viva quanto più l’agalma rasenta
il rifiuto. Non bisogna dimenticare in questa galleria la maschera a persiana (che si apre e si
chiude ndt), messa prima da Lévi-Strauss, e che Lacan dispiegherà come uno spazio proprio
all’io e agli ideali della persona. A questa collezione bisogna dunque aggiungerne una, la
maschera di ferro.
Una delle sue funzioni essenziali potrebbe essere così riassunta : all’inverso delle precedenti, non
può dar luogo a nessun smascheramento. La maschera di ferro non è suscettibile di svelare
nient’altro che ciò che dà a vedere, lasciando una beanza, là dove si attendeva una verità della
rappresentazione. Ciò ben inteso, non ha per questo scoraggiato certuni a dare un volto alla
verità. Quante ipotesi, le più strampalate, non sono state emesse per proclamare l’identità di colui
il cui nome proprio fu ridotto alla maschera che porta ? Da un fratello gemello di Luigi XIV al
sovrintendente Fouchet, passando per D’Artagnan, o ancora un amico della regina …, le
divagazioni storiche le più stravaganti sono andate velocemente. Senza dubbio perché la
maschera di ferro non è lo schermo di una verità, ma il peso di un vuoto. Rendere presente tutto
dissimulando è un superamento che gli resta straniero.
6
A differenza del discorso dell’isterica che usa il godimento del corpo come materia per fare sul
serio, la maschera di ferro, deposta dalla scienza, impedisce al soggetto di trattare il più di godere
come una verità da cui si può trarre una soddisfazione.
Larvatus prodeo (svelarsi della maschera)
Il riferimento alla maschera si arricchisce di una raccomandazione che Cartesio formula di fronte
all’emergenza del cogito:
“ I commedianti, chiamati sulla scena per non lasciare vedere il rossore sulla loro
fronte, mettono una maschera. Come loro, al momento di salire su questo teatro del
mondo dove fin qui non sono stato che spettatore, mi faccio avanti mascherato.” (5)
Il Larvatus prodeo ha incontrato incontestabili successi presso i numerosi commentatori, dando
luogo a molteplici interpretazioni, tra le quali figurano gli argomenti di una filosofia del doppio
gioco, se non addirittura di un Cartesio libertino, amante del gioco delle maschere. Evitando
questa trappola, Lacan sottolinea come la funzione della maschera cartesiana sia determinata nel
farsi strada di un soggetto attraverso il discorso della scienza.
La messa in posa della maschera di ferro sul più-di-godere attacca, in maniera redibitoria, la
messa in gioco di ogni soddisfazione. Così, i segni che testimoniano, o tradiscono, l’avvento di
un godimento umano, come questo rossore che invade la fronte dell’attore non appena l’intimo
entra in scena, si trovano sigillati. E’ a questo prezzo che la verità può essere rinviata al
significante, ovvero ad una cifratura escludente ogni godimento. L’efficacia della maschera di
ferro non dipende da ciò che nasconde ma dal segno che dà da leggere, Larvatus pro deo.
L’omologia tra il discorso dell’isterica e quello della scienza in quanto acquisito, rimane
l’essenziale differenza. Se il primo fa dell’oggetto a la posta in gioco di una ricerca sulla verità
del desiderio, il secondo opera attraverso un contenimento dell’oggetto, una “chiusura a
lucchetto”, che confina col destinare a residenza il più-di-godere.
La soddisfazione che si lega ordinariamente alla questione della verità si trova, nel caso presente,
messa fuori circuito attraverso la via della parvenza. Questo procedimento è eccellente, distingue
la soppressione del soggetto della scienza da un processo più generale di forclusione di un
significante.
Congedo del godimento
Al fine di apprezzare in maniera più precisa l’operazione di messa a distanza del più di godere
attraverso il discorso della scienza, aiutiamoci con un termine incontrato sotto la penna di Lacan,
in Lituraterra.
Questo testo, essenzialmente dedicato alla produzione e alla funzione della lettera, fa di questa
una rottura. Di cosa ? Del significante, o meglio una rottura del significante in quanto parvenza.
Ciò s’illustra attraverso l’effetto che genera la lettera su tutto ciò che, nel nostro mondo,
appartiene al dominio della forma (morfo) o a quello dei fenomeni cari a Cartesio, quali le
metafore. A questo riguardo esiste una grande prossimità della scienza e della lettera,
riprendendo qui Lacan un’idea per lui già antica. Entrambe “operano” – ecco il loro fare comune
– nel senso di una dissoluzione delle forme percepibili. Persiste tuttavia una differenza non
trascurabile al riguardo del godimento. Nella scienza, ci dice Lacan, esso è “congedato”.
“La lettera che fa cancellatura si distingue [dalla dimensione del significante]
dall’essere rottura, dunque, dalla parvenza, che dissolve ciò che faceva forma,
fenomeno, meteora. E’ questo, ve l’ho già detto, che la scienza opera all’inizio, nel modo
più sensibile, su delle forme percepibili.
7
Allo stesso tempo, la sua azione deve essere anche di congedarne ciò che, di questa
rottura, susciterebbe godimento …” (6)
Congedare. Questo verbo è l’occasione di ricordare quanto l’etimologia è una fonte di ricchezza,
più per le opacità di senso che fa sorgere che per la riesumazione d’ipotetiche significazioni
dimenticate. Se ‘dare il congedo a qualcuno’ significa, in effetti, restituirgli la sua disponibilità,
non ne è da meno l’azione per la quale si assegna a questo qualcuno un certo luogo
assegnandogli un posto. Il congedo è anche l’azione di recarsi in un luogo e starci.
Mettersi una maschera di ferro sul più-di-godere, così come procede il discorso della scienza,
contribuisce a dargli congedo, o ancora ad alienarlo in un luogo indicizzato da una significazione
univoca. Per esempio la dimensione di perdita pura che si lega alla nozione freudiana di pulsione
può essere convertita, da una economia sapiente di più e di meno in una figura della vita, dove il
fuori senso del godimento è ricondotto al pentolone delle concezioni del mondo, segnate dal
marchio del senso comune.
L’uomo mascherato
Situato sul percorso che, partendo dal simbolico si orienta verso il reale, la lettera tiene un posto
un pò paradossale riguardo al muro delle parvenze. Essa si trova in un posto così vicino che non
arriva a romperlo. Il dominio della lettera è un limite, un punto di oscillazione, che c’incita a non
cedere alla tentazione di un “tutto è parvenza”. Un tal enunciato, in effetti, per mezzo della
generalizzazione che induce, svaluta la portata della parvenza.
Questa oscillazione è da situare in un punto dove, passando da un riferimento che implica l’altro
significante (S1/S2), la parvenza ruota verso un’auto referenza. Qui ancora la compagnia delle
maschere può procurarci un aiuto prezioso per circoscrivere questo passaggio, avendo tuttavia,
preliminarmente, aggiunto un nuovo esemplare alla nostra collezione.
E’ nel lavoro teatrale di Wedekind, Il risveglio di primavera, che lo si incontra. Ovvero, colui
che sognò un personaggio, precisamente chiamato ‘L’uomo mascherato’, al quale Lacan assegna
una funzione eminente, quella della parvenza per eccellenza.
Il progetto dell’opera mira innanzitutto a mostrare in che cosa consiste la faccenda, per i ragazzi,
di fare l’amore con le ragazze. Il punto di vista così adottato non cerca di stabilire una simmetria
sessuale. In una tale faccenda il compito del ragazzo è di raggiungere il “suo tipo”. Lontano dal
cercare di fare uno, o peggio l’unico, la sua posizione è quella di uno tra gli altri. Per fare l’uomo
deve “intromettersi tra i simili”, il che può provocare qualche difficoltà, com’è il caso per un
certo Moritz dell’opera.
Facendosi eccezione (escludendosi ndt) e non volendo per niente saperne di questa posizione egli
fa la ragazza, secondo l’espressione di cui lo gratifica il suo amico Melchior. Perché un simile
destino ?In che modo Moritz arriva ad espatriare da sé in un al di là del reale del sesso che lo
conduce dritto al regno dei morti ? La risposta che propone Lacan si limita a poche parole.
L’erranza del ragazzo risulta dal suo rifiuto di farsi inganno di un nome, di un nome il cui
modello passa per essere quello del padre. E’ questa funzione che dice molto bene ‘L’uomo
mascherato’.
L’interesse di questo personaggio – o piuttosto quello stesso della maschera che porta – non è di
riportare il padre in avamposto, ma piuttosto di pensare al nome, al suo valore di nome proprio,
come eccellenza della parvenza. (7).
Il prefazio all’opera di Wedekind è d’altronde l’occasione, per Lacan, di riconsiderare il suo
accesso alla questione del nome. Non cerca più, come per il passato, di dargli uno statuto a
partire dalla logica ma si volge verso la teoria dei numeri. Il nome proprio è un nome del nome
del nome, l’introduzione di una triplice nella nominazione, fondando così una versione nuova
8
della maschera. Non è dunque più a partire da un incastro di significanti che si apprezza lo
statuto del nome, ma a partire da un legame con l’impossibile : quello che c’è per congiungere il
due. Il due, preso da solo, conduce ad un’impasse di carattere logico. Il nome proprio, nome del
nome del nome, sarebbe la parvenza che offre, se non un’uscita, i tutti i casi una via di
disimpegno, di fronte all’inaccessibilità di cui si sostiene l’impossibile rapporto tra i sessi.
Il nome proprio, considerato dalla sorte come maschera della parvenza non genera delle
rappresentazioni e non produce alcun effetto di significato. Ancora meno incarna un’unità da
dove si dedurrebbe l’essere, ma rinvia piuttosto ad un’esistenza, presa in senso forte. Il fatto di
tenersi a lato. “La maschera sola esisterebbe al posto vuoto dove io metto la donna “ (9), ci
confida Lacan. E’ una confidenza, in effetti, come quella di designare un luogo dove, per un
qualcuno, fosse Lacan in persona, si genera la parvenza. Qui, un vuoto dove la donna riposa.
Lontano da essere oratoria, questa precisione non mette in risalto nessun tratto particolare
proprio ad un soggetto, ma fa intendere l’accento di una singolarità che è quella di un parlessere.
Questo accento è d’altronde già risuonato nel passato, in una seduta del seminario riguardante il
legame del nome proprio con questa categoria, così problematica per la logica aristotelica che è
quella del singolare (10).
Traduzione di Valerio Canzian
(1) Lacan J., Seminario 18. Seuil. Lezione del 20 ennaio 1971
(2) Lacan J., Note italiane. Autres Ecrits. Seuil. p. 308
(3) Lacan J., Radiofonia. Scilicet 2/3. p. 89
(4) Dizionario etimologico della lingua francese. O. Bloch e W. Von Wartburg. PUF.
(5) Cartesio R., Lettera a Beeckman. Cogitazioni private (1619-1621)
(6) Lacan J., Seminario XVIII. Seuil. p. 122
(7) Lacan J., Prefazio a Il risveglio di primavera. Autres Ecrits. Seuil. p. 563
(8) Lacan J., L’étourdit. Scilicet 4. Seuil. pp. 24,34,50.
(9) Lacan J., Prefazio a Il risveglio di primavera, op. cit., p. 563
(10) Lacan J., Seminario XII. Inedito. Leçon du 5 mai 1965
La fantasia femminile e il sembiante
Ana Lúcia Lutterbach
In un testo precedente (1) ho cercato di stabilire, a partire dall’esperienza della passe, alcuni
punti sulle relazioni tra la posizione femminile nella fine dell’analisi e la posizione dell’analista
come sembiante, suscitata da un breve e preciso commento di Miller nella sua conferenza,
Sembianti e Sintomo. Miller ricorda che, per Lacan, l’analista occupa la posizione di sembiante,
la stessa posizione che una donna può arrivare ad occupare nella fine di una analisi. Posizione
femminile che non si confonde con la donna, né con l’identificarsi all’oggetto. Ed egli conclude:
“L’analista non esiste, così come La donna non esiste, esistono gli analisti, come testimonia
l’esperienza della passe”. Seguendo ciò che ho svolto in quell’occasione, cerco adesso di
stabilire la funzione della fantasia femminile, la fine dell’analisi e il sembiante.
Il sembiante e il transfert
9
In francese, il termine “semblant" fa parte del discorso usuale. Lo stesso Lacan lo porterà alla
dignità di concetto dopo averlo reperito nella vita quotidiana, dalla bocca di sua nipote quando
tesseva delle elucubrazioni sulla differenza tra ciò che “era per davvero e ciò che era per finta”
(2). In portoghese, sembiante ha il senso di volto, faccia o, meno usato, di apparenza, fisionomia,
aspetto. Intanto, Miller, ne “La Natura dei sembianti”, ci dice che, in Lacan, sembiante ha un
rapporto con apparenza ma non coincide con essa, non è neanche simulacro, bugia o falsità, né
artefatto, si avvicina di più a sembrare. “La natura è piena di sembianti”, ci insegna Lacan nel
Seminario 18, come le apparizioni brillanti ed effimere dell’arcobaleno, piccole gocce d’acqua
sospese e colorate come i colori dello spettro solare che compare nel cielo quale un intangibile
arco variopinto.
Il concetto di transfert, diversamente del concetto di sembiante, è vecchio quanto la psicoanalisi,
e Lacan dedica un anno di seminario a questo argomento che attraversa tutto il suo
insegnamento. Il transfert, come ci segnala Laurent, “[…] è la chiave del rapporto con il sapere
in un’analisi. […] Si tratta a prima vista, di un insieme di sentimenti, positivi e negativi, che
corrispondono ai modi della relazione fantasmatica di ogni analizzante. Esso va oltre la persona
dell’analista” (3).
Nel transfert, che soltanto a prima vista è l’insieme dei sentimenti, sono fondamentali “i modi
della relazione fantasmatica” che si rivelano nella relazione trasferale. Questo significa che il
transfert è l’uso che l’analizzante può fare dell’analista per dedurre l’oggetto che,
presumibilemente, è stato per l’Altro, essenza della fantasia. Soggetto supposto sapere e
sembiante di oggetto sarebbero posizioni che un analista può occupare nel transfert.
Un’analisi e il sembiante
Nella testimonianza della passe, presento un’analisi in tre tempi –biografia, biografagem (arte o
modo di fare biografie, azione di biografare) e biografema –, e tre versioni dell’oggetto: le due
prime nella via dell’identificazione e in fine come sembiante dell’oggetto causa.
Nella prima tappa, biografia o vita descritta. Sconvolta ancora una volta dall’amore, faceva uso
di una narrativa prosaica dominata dall’amore e dove tutto acquisiva senso, e molti sensi.
Temendo il transfert erotizzato, cercava un’analista che potesse collocarsi fuori dalla serie
dell’amore. Cercava in maniera ingenua e, al tempo stesso, rivelatrice. Ingenua perché
pretendeva lasciare fuori ciò che sarebbe proprio la molla dell’analisi e al tempo stesso
rivelatrice perché, nel cercare di fare ostacolo al sapere inconscio, si è resa evidente l’erotomania
isterica, l’identificazione all’oggetto amabile.
Da una proliferazione del senso nel tentativo di ricoprire il reale, nella seconda tappa,
biografagem o vita di scrittura , quella ricerca porta a un certo esaurimento e si aprono brecce
nel sapere, marche di godimento senza senso, che consentono la scrittura della fantasia e tutte le
sue conseguenze. Inizialmente, c’era nel transfert una preponderanza del soggetto supposto
sapere ma, nel salto dal sapere al godimento, l’analizzante si serve dell’analista come oggetto che
è fuori lui per dedurre la sua posizione di oggetto. Questa operazione è possibile soltanto quando
l’analista, sospeso il suo essere, diventa sembiante di oggetto e si offre come posto vuoto. Il
risultato di quest’operazione, è una riduzione del chiacchiericcio e l’oggetto risalta, si rende
evidente. Le due posizione dell’analista, sembiante e interprete, non coincidono ma si
intrecciano poiché, nell’atto dell’interpretazione, l’analista diventa oracolo ispirato nella sua
esperienza come sembiante di oggetto.
Se nella biografia prevalgono la narrativa piena di senso, nella biografagem la scrittura
immaginaria, nel terzo tempo, biografema o scrittura-vita, acquisisce rilievo la lettera: "Tra
centro e assenza, tra sapere e godimento, c’è litorale che non vira al letterale" (4). Biografemas
10
(5), per Barthes, sono alcuni particolari, gusti, inflessioni. Nella fine di una analisi, prevale il
silenzio dell’analista che dà luogo all’invenzione dell’analizzante, ciò che Lacan ha chiamato
sinthome. Invenzione con ciò che resta di un’analisi, pezzi staccati, ritagli di godimento senza
senso, scene folgoranti, tratti di una scrittura-vita su qualcosa che è già scomparso. A quale
risultato porta per un analista l’esperienza di analisi? Come la fine di analisi è associata alla
posizione di sembiante?
Il femminile e il sembiante
Ho ritagliato, nel corso del dispositivo della passe, diversi momenti in rapporto all’oggetto (6).
Primo, identificazione all’oggetto ideale, irraggiungibile, intangibile, nutrito dall’amore cortese,
quello che lascia la dama nel luogo della Cosa, di ciò che non può essere toccato senza orrore. In
seguito, identificazione pietrificante all’oggetto della fantasia perversa, oggetto scarto, vittima
sottomessa al godimento dell’Altro. Ogni fallimento della precaria identificazione, sia all’oggetto
ideale che a quello della fantasia maschile, portava a la caduta in un abisso illimitato, puro vuoto
e desiderio di morte.
La rivelazione della fantasia ha permesso verificare che faceva di me un oggetto da tenere, fare e
accadere, per un supposto godimento dell’Altro. Nominare il godimento ha avuto come effetto
l’estrazione dell’oggetto che copriva il buco, e la fantasia perse la sua consistenza immaginaria,
l’io si svuotò. L’oggetto fu trasposto nella sua funzione di ostruzione a la causa del desiderio.
L’oggetto come causa di desiderio é l’efetto di questa separazione, dello scolamento
dall’identificazione, quando crede essere l’oggetto nella posizione di causa, dove non si è, ma
può consentire farsi sembiante di oggetto causa di desiderio per un altro. L’esperienza di analisi,
quando produce un’analista, produce quella specie di miracolo, è il suo effetto, la sua fine.
Come ci insegna l’esperienza più comune, le donne, nei rapporti, privileggiano l’amore e gli
uomini il sesso. Le donne amano l’amore, amano essere amate, quindi le eterne lamentele
femminili: “per lui sono solo un oggetto”, in un svilimento del desiderio maschile. Possiamo
considerare che le donne, nell’aspettativa di farsi amare, si identificano all’oggetto della fantasia
maschile, ma nel farlo diventano oggetto scarto, ecco il perchè dello svilimento del desiderio
maschile.
Nel Seminario 8 Lacan dice che nella fine dell’analisi c’è una trasposizione da amato a amante.
Nominare l’oggetto della fantasia, é accorgersi propio che non esiste. L’oggetto del desiderio, la
fantasia non va al di là dell’essere un artifício singolare che fa si che un oggetto diventi
desiderabile, vale a dire, è la maniera in cui ognuno fa esistere un rapporto che non c’è. Tutto ciò
non è senza conseguenze anche per l’amore. La donna esce dalla posizione di permanente attesa
per ascoltare le parole che la convincano di essere l’oggetto d’amore, per associare l’amore al
sesso. É con un nuovo amore e (contando) con il corpo che una donna, può farsi oggetto senza
esserlo. E’ un momento raro, folgorante ed effimero, nel quale una donna diventa sembiante di
un oggetto che non solo non esiste ma misconosce. Questa esperienza, di disidentificarsi
dall’oggetto e di accettare di occupare la posizione di sembiante, è associata alla posizione
dell’analista come sembiante. L’analista, sospeso nel suo essere, diventa sembiante di a e, come
le piccole gocce sospese dell’arcobaleno, è colorato dallo spettro, dal fantasma dell’analizzante,
e qualcosa di inafferrabile se realizza in atto (si attua?). Nell’espressione “faire semblant”, come
in "savoir-faire" il verbo fare non indica una azione dell’io, ma una posizione. Per l’analista, fare
sembiante é l’unica posizione sostenibile nel transfert, come osserva Lacan nel seminario "Ou
pire...": "[...] l’ analista non fa sembiante: occupa una posizione di sembiante. La occupa
legittimamente perchè in relazione al godimento, [...], non ha un’altra posizione sostenibile...". e
più avanti: [...] Quando l’attore usa una maschera, il suo volto non gesticola, non è realista, il
11
pathos è riservato al coro, perchè? Perché lo spettatore, quello della scena antica, incontri il
suo più di godere in egli" (7).
"Non c’è lo psicoanalista, come non esiste la Donna", esistono psicoanalisti uno per uno, ad
ogni volta e di volta in volta. Ciò che resta di un’analisi, richiede un lavoro senza fine fino alla
fine: "Ognuno risponde come può e come vuole. La risposta di uno non serve a nessun altro,
serve, risponde quello che necessariamente ignoriamo ed è in quel senso, indecifrabile, mai
esemplare. ". [...] lontano da tutte le ingiuzioni del “io devo” e da ogni pretesa del “Io voglio”
[…] La risposta “è necessario”, può, infatti, essere ascoltata, ma ciò che nell’ “è necessario” non
si ascolta, è la risposta a una domanda che non si scopre”.
Quest’ultimo paragrafo è il riassunto della risposta di Blanchot (8) a la domanda: “che cos’è
scrivere” La posizione dell’analista è quella del lettore disinteressato, piuttosto che interpretare,
si serve della sua esperienza come sembiante dell’oggetto, per consentire all’analizzante lasciarsi
prendere dal testuale e fare del suo discorso una scrittura: “tutto quel che è scritto parte dal fatto
che sarà sempre impossibile scrivere in quanto tale il rapporto sessuale” (9). Una scrittura
incomparabile, risposta inconveniente. E’ questo che non conviene a nessun altro. È una scelta
obbligata, non lo fa perché vuole o perché deve. Scelta obbligata ma senza nessuna ingiunzione
che viene dall’Altro, semplicemente perché “è necessario”, risposta a una domanda ignorata.
Traduzione di Bianca Maria Lenzi
(1) “A mulher, o analista e o semblante”, texto apresentado no VIII Congresso da EBP, Florianópolis, abril/ 2009.
(1) “La donna, l’analista e il sembiante” testo presentato al VIII Congresso dell’EBP, Florianópolis, aprile, 2009.
(1) “La donna, l’analista e il sembiante”; texto presentato nel VIII Congresso della EBP, Florianópolis, aprile, 2009.
(2) Jacques-Alain Miller. “Della natura dei sembianti” in “La Psicoanalisi”. Roma: Astrolabio, 1992 , n. 11 p.117.
(3) Laurent, E. O real do sinthoma ou a inocência do sinthoma. Opção Lacaniana, nº 54, p.35.
(3) Laurent, E. “Il reale del sinthomo e l’innocenza del sinthomo” in Opçao Lacaniana….
(4) Lacan J., “Lituraterra” in “Della natura dei sembianti” in “La Psicoanalisi”. Roma: Astrolabio, 1996 , n. 20 p.15.
(5) Barthes R., Sade, Fourier, Loiola. Lisboa: Edições 70, 1979. p.14.
(6) Cf. Holck A.L., Patu. a mulher abismada. Subversos, Rio de Janeiro, 2008. p.106 a 116.
(7) Lacan, J. Seminario...Ou pire, lezione del 10 de maggio 1972 (Inedito).
(8) Blanchot, M. O livro por vir. Ed. Martins Fontes, São Paulo, 2005. p. 39.
(9) Lacan J. Il Seminario. Libro XX. Ancora 1972-1973. Torino: Einaudi, 1983. p. 34.
12
Dal litorale, in psicoanalisi
Una lettura di lituraterra
Marie-Hélène Roch
Questo titolo è motivato dalla questione che Lacan pose nel suo scritto intitolato Lituraterra: “E’
possibile costituire dal litorale un discorso tale che si caratterizzi dal non sostenersi sulla
parvenza? (1)
Ne’ Il Seminario, libro XVIII, Lacan s’inoltra, spiega Jacques-Alain Miller, verso una
costruzione effettiva di un discorso che non sarebbe parvenza, ovvero che ritorna a fare della
lettera un uso che non è un uso di parvenza, che non è un uso di significante, che riporta il
significante alla lettera che lo borda. (2) Questo cammino introduce la domanda-chiave: come
pensare un rapporto di limite tra sapere e godimento, tra due scritture (l’una parla con il corpo,
l’altra non significa niente), tra centro e assenza, tra la psicoanalisi e gli altri modi del discorso ?
L’immagine del litorale appare in Lituraterra dando una linea a questa deriva. Il litorale è una
linea di spartizione tra la terra e il mare, due campi che non hanno la stessa struttura, né la stessa
sostanza : “Non hanno niente in comune, nemmeno una relazione reciproca”. (3) Struttura e
sostanza sono temi eterogenei uno all’altro, J.-A. Miller ne dà una lettura inedita nel suo corso di
quest’anno. Allorquando annuncia che ora è importante ragionare diversamente, comprendiamo
che si tratta di ragionare del litorale, a iniziare dalla differenza che c’è tra lettura e scrittura, tra
senso, sessuale e godimento, tra sembiante e sintomo.
Ricordiamo che Lituraterra è posta all’inizio dell’edizione degli Altri scritti. E’ presentata sotto
forma di una lezione (“Lezione su lituraterra”), capitolo VI del Seminario XVIII, Di un discorso
che non sarebbe della parvenza. I due testi datano 1971. Che cosa esprimono? Lo scritto, oppure
il discorso che Lacan pronuncia al suo seminario ? La lettera o la logica del significante ?
Questa domanda era d’attualità negli anni settanta, in un contesto di promozione dello scritto, e
Lacan ne farà la critica nella lezione che chiama “una dimostrazione letteraria”. La lettera
lacaniana si scosta dalla sublimazione per raggiungere qualcosa di particolare alla psicoanalisi,
qualcosa di natura radicale che tocca gli effetti del suo discorso: la lettera “ è l’effetto radicale
del discorso ” (4) Aggiunge qualcosa di più, una mancanza specifica all’essere parlante. La sua
natura in psicoanalisi ci dà di che conferire al sintomo il suo posto esatto.
Non c’è già in questa lezione l’accesso ad una clinica del singolare ?
Dal litorale, tra lettura e scrittura
“ Ciò che gli insegnate a leggere (l’inconscio) non ha allora assolutamente niente a che fare, in
alcun caso, con ciò che potete scriverne”. (5)
1. Ciò che gli insegnate a leggere (…)
Iniziamo a domandarci, come Lacan definisce i suoi scritti: “ I miei scritti, un titolo più ironico
di quanto non si creda: quando si tratta di relazioni, esercizio di Congresso, o, diciamo di “lettere
aperte” dove considero un lato del mio insegnamento”. (6) Sono “lettere aperte”. Non sono
leggibili immediatamente, ma fanno parlare di loro, nutrono generazioni, sono in anticipo sui
loro tempi, la loro destinazione è tardiva, ma trovano sempre il loro destinatario. Dalle prime
13
pagine del suo scritto, la lettura, quella dell’interpretazione, mira il livello di radicalità di cui
testimoniano, per esempio, delle opere esigenti per la posizione dei loro autori, di coloro che
hanno compreso che la lettera era palea. Beckett mette in scena la coppia (una coppia di vecchi)
nella pattumiera, Joyce mostra ciò che ci si può aspettare alla fine di una psicoanalisi. Sono degli
effetti radicali.
La lettera è primitiva, essa non è prima, si distingue da un uso diverso dal significante.
Lettera/littera, moterialità/materialità, maneggio
Qual è l’uso del significante? E’ la sua materialità fonica, perché il significante non è il
significato, “ il significante è ciò che si intende “. (7) Quando J.-A. Miller ci dice che si tratta ora
di ragionare diversamente, ciò che si intende è che il significante risuona meglio con un corpo.
Ma con quale corpo?
Nel 1959, Lacan sosteneva una tesi su l’interprete. Equivocando sul significante, affermava che
conformemente all’attore, l’inter-prête (l’interprête = l’interprete = interpreta) il suo corpo con
l’inconscio bello e ben reale. Un corpo immaginario e pulsionale, del testo simbolico, un
inconscio reale, ciò formava allora un nodo borromeo orientato secondo SIR.
Ora, qual è l’uso della lettera ? La lettera è piuttosto afona sotto la scrittura joysiana che la
radicalizza: lettera è littera (resto, scarto). Il suo uso, è il maneggiamento di Joyce, è “ ciò che
del significante è venuto infarcire il significato “ (8), consegnando un’opera che non cade sotto il
senso e che realizza lom, l’uomo Joyce come sintomo. E’ un’esperienza di godimento puro. Il
corpo non è più immaginario e simbolico, esso si gode, secondo l’ultima definizione di Lacan. Si
gode della lettera, ciò è visibile nell’opera di Joyce.
La differenza che fa Lacan tra ciò che si apprende e ciò che si scrive, libera un uso specifico
della lettera nella lalingua. Collochiamo un pò a monte di Lituraterra, in Ancora, dove questa
dimensione è aperta, per esempio nell’equivoco della parola moterialità. Di che cosa si tratta ?
Di ciò che si aggiunge alla lingua affinché possa essere parlata e dunque essere intesa. Ciò che si
aggiunge, è la materialità della propria lingua intima, non già compiuta. Quando del significante
si inietta nel significato fino a produrre un motto di spirito, per esempio ‘famillionaire’, si vede
che del godimento parassita si è infiltrato.
In Ancora, lalingua diviene “ affare di ciascuno”. La lalingua, “ non esiste, è ciò che si cerca di
sapere sulla funzione della lalingua ”. Il sapere è solo ipotetico a riguardo della lalingua “ i cui
effetti vanno ben oltre a tutto ciò cui l’essere parlante è suscettibile di enunciare “.
Leggere il suo inconscio, non è solamente recensire gli usi di una lingua come fa il dizionario,
ma è lasciare apparire ciò che la lettere vi racchiude d’opacità, un dire fuori dal comune.
Se Lacan formula che la lalingua si perfeziona quando egli sa giocare con la scrittura (9), è che
egli ha il progetto di rinviare ciascuno al perfezionamento della propria lingua; che essa possa
offrire maggiore silenzio per se stessi e più opacità per gli altri. Poiché, perfezionare la lingua è
farlo non nella speranza che si finisca per comprendersi meglio, ma che sia possibile vivere con
un altro sesso, un’altra lingua, senza dovere assolutamente adattarsi.
Dal litorale, poiché non c’è modo di leggere, di apprendere diversamente del proprio inconscio,
senza cadere nella menzogna. Tenersi al bordo del sapere per spingere più lontano sulla via del
reale, vale a dire provare a circoscrivere ciò di cui si tratta.
“Già non sarebbe male che leggersi si intendesse come conviene, là dove si ha il dovere di
interpretare”, precisa Lacan (10). L’invio è per l’analista. La sua interpretazione non è aperta a
tutti i sensi: si ferma al suo artificio in un momento che suona giusto.
Ciò che si legge richiede per un essere parlante un’ipotesi sull’inconscio come supposto sapere,
un impegno della psicoanalisi verso una politica che Lacan chiama nel suo scritto “la politica del
sintomo”. Basterebbe, disse, “ trarre dalla scrittura un profitto che non sia di tribuna o di
14
tribunale, perché vi entrino in gioco altre parole per farcene tributo. “ (11). E’ ciò vero o è
parvenza ? La politica del sintomo cerca di inscrivere degli effetti che non siano di tribuna o di
diatriba, ma degli effetti che ci riguardano, degli effetti reali “ acciocché si cambino le nostre
proposte “ la scrittura può essere nel reale l’erosione del significato” (12).
E. (…) Con ciò che potete scriverne
A pagina 64 di questo seminario, Lacan scrive nella lavagna un carattere cinese SZU,
dispiacendosi che il gesso gli impedisca di mettere gli accenti che permette il pennello. Non è il
senso che è importante, (szu vuol dire ritorto, vuol dire anche personale nel senso di privato), ma
è la sua forma scritta che si fa osservare. Il carattere cinese ha la forma di un fermaglio che serve
a supportare i termini intorno ai quali ruota il discorso di Lacan. Egli numera gli accenti e
inscrive sul tratto in alto: 1) “gli effetti di linguaggio”. Dà all’ordine simbolico “ la sua
dimensione ”, ovvero, ciò che è dimora della verità sapendo che l’Altro è il corpo. E sul tratto
orizzontale, inscrive in 3) “ fatti dello scritto “. In 2) egli situa il crocevia da dove gli effetti di
linguaggio prendono il loro principio. Prendono i loro principi dal discorso analitico. A
quest’incrocio, il discorso analitico è rivelatore di qualche cosa, è un passo.
Il grafo dà conto del primato del linguaggio sullo scritto. Il passo all’incrocio marca l’intervallo
che si produce ( è ciò che vogliamo sottolineare, riprendendo il binario dato da J.-A. Miller) tra
ciò che si legge (l’inconscio transferale) e ciò che si scrive ( dell’inconscio reale) come da-nonleggere. Questo “da-non-leggere” rende conto ancora della logica del significante, ma al suo
giunto con il vivente. (13) Si tratta in questo avvio di una parola rinnovata dal suo legame con il
godimento.
Ciò che se ne scrive procede dalla precipitazione : ciò che ha più parvenza ; dalla rottura,
dall’invocazione. “ Il godimento che è in causa quando si rompe una parvenza “. (14)
In questa versione della scrittura, la lettera è oggetto a equivalente al sicut palea di San
Tommaso; e anche buco, “ incavo per fare accoglienza al godimento “.
Lo scarto prodotto tra lettura e scrittura introduce uno scostamento tra il vero e il reale, e produce
questo scivolamento nella natura del significante che passa alla parvenza. La passe né dà
testimonianza; essa si fa a partire dalle parvenze denudate, frantume dove il dire trova la sua
forza d’invenzione e d’artificio.
Del litorale, tra sapere e godimento
A riguardo della lettera, la parvenza
Questo cammino verso la scrittura del sintomo conduce Lacan all’invenzione di una nuova
categoria, la parvenza. Poiché in riferimento alla lettera, il significante è parvenza.
Per spiegarlo, Lacan parte da un fenomeno della natura. Le parvenze appartengono alla natura, le
nubi sono dei significanti, la lingua è materia in sospensione e in trasformazione. Le parvenze
come le nubi si dissolvono e precipitano in pioggia. Prima che ciò si produca, c’è solo nebbia. Se
questo effetto di rottura e di scorrere sfavillante delle acque cade dalle nubi, non cade dalle
nuvole, non è un fenomeno magico, si può leggere. Ugualmente, i fenomeni geologici si
decifrano, poiché la parvenza è una categoria che include il significante e i suoi effetti, una
congiunzione di metafora e di metonimia dove il desiderio scivola, dove il godimento s’invoca.
Come si è prodotta la sostituzione del significante con la parvenza ?
“ La parvenza, è propriamente il rapporto del significante sul significato “, dice J.-A. Miller. (15)
La definizione della parvenza si deduce dalla scrittura dell’algoritmo S/s che J.-A. Miller ha
trasformato in un nuovo algoritmo, che scrive: Reale // parvenza, con una doppia barra per
15
marcare “ l’intersezione vuota tra il reale e il senso “, “ un rapporto d’esclusione “. Di
conseguenza, non c’è parvenza che in relazione al reale, un reale equivalente al godimento che
abita la lalingua, questi buchi nella struttura che Lacan evoca in Lituraterra come il solco
dell’erosione, le tracce primitive del traumatismo della lingua.
Lituraterra si colloca sotto questo algoritmo reale // parvenza, risponde a “ L’istanza della lettera
nell’inconscio “, e al “ Seminario su La lettera rubata “. Lituraterra disturba l’automatismo
significante che mette in scena la fiaba di Edgard Poe. E’ una logica dove fondamentalmente
niente si muove, dove la lettera comanda dal suo posto la coazione a ripetere; il suo potere di non
lettura si mostra all’opera nelle sue peripezie. La lettera si tiene in riserva nel discorso del
Maître; quando si vuole padroneggiarla, si prende gioco di noi; il ministro della fiaba di Edgar
Poe crede di tenerla in suo potere, e si fa possedere da lei fino a rischiare i suoi effetti. Effetti di
femminizzazione, precisa Lacan. Di che cosa si tratta allora ? Di ciò che faceva ostacolo alla
logica del significante, ovvero gli effetti di passività e d’inerzia del godimento immaginario.
In Lituraterra, la lettera lacaniana esce dall’inerzia del programma. Lo scritto di Lacan prende la
temporalità dell’avvenimento, dell’istante di vedere, della contingenza, dell’imprevedibile,
dell’inedito: la lettera è lettera di godimento puro, essa rompe con il sembiante. Essa è sfavillio,
aroma del primo sorso, inedito: “ Cancellatura di qualsiasi traccia precedente “. (16)
E’ una nuova scrittura che ha il suo punto di partenza dall’inconsistenza, dall’assenza – dalla
traccia di godimento. La barra è localizzata su A, il silenzio è S, la parentesi circoscrive il buco
nell’infinito. Ciò che non si scrive, il godimento che non si deve, Lacan nella logica del non-tutto
lo scrive S (A/).
In questo orientamento, la lettera è un buco reale e prende un doppio aspetto secondo i modi
sessuati del parlante. Nella logica del non-tutto fallico, dell’altro sesso femminile, essa traduce
l’assenza e il fuori senso sessuale. Nella logica dell’Uno, universale maschile, segna il centro che
Lacan scrive grande phi, ovvero la castrazione, una modalità logica del finito, quella
dell’impossibile da negativizzare. La lettera non svela il suo contenuto. E’ il messaggio che ha
formato Edgar Poe sulla lettera, ci dice Lacan: “Questa lettera, aggiunge, che è quella di cui
parlo da questa pagina a questa pagina, vedrete che io sono colui che l’ha scritta. Sapevo quello
che facevo? Ebbene, non ve lo dirò. Ciò di cui parlo, è del fallo; e direi anche di più, nessuno ne
ha mai parlato meglio”. (17)
La lettera è litorale, essa è buco ed è a, bordo di un buco, “ incavo sempre pronto ad accogliere il
godimento “ (18). È una positività (termine che J.-A. Miller ha promosso nel suo corso di
quest’anno): egli annuncia una versione della scrittura, quella del nodo borromeo, che dà alla
detta scrittura la sua autonomia e il suo stile.
La lettera non è forse propriamente litorale? Il bordo del buco nel sapere che la psicoanalisi
designa giustamente quando vi accede, dalla lettera, ecco non è ciò che vi designa? (cf. “
Lituraterra” ).
Essa designa un bordo tra centro e assenza, tra senso sessuale e altro godimento. La lettera
lacaniana a è la lunula di separazione tra i sessi, la condizione litorale del rapporto tra i sessi.
La condizione litorale dei sessi
“C’era una volta due sessi “. Tale era il titolo del giornale, Le Monde, proponendo ai suoi lettori
la saga dell’estate sul tema maschile/femminile. Cito: “ Dai miti originali alle ultime scoperte
scientifiche, ecco tutto ciò che avete sempre voluto sapere sulla guerra dei sessi. : com’è iniziata,
ciò che ha generato, se può volgere al termine.” Annuncio allettante, se ce n’è. Lacan ci conduce
dai miti freudiani alla sessuazione degli esseri parlanti: alla formalizzazione di un rapporto di
limite tra godimento sessuale (sapere che tocca l’inconscio) e godimento fuori sistema.
16
“ E’ qui, la novità di ciò che introduco oggi (…) E’ solo dallo scritto che si costituisce la logica”,
dice Lacan. (19)
Egli mostra in schemi l’impasse dei sessi. A pag. 142, poi 144, disegna due schemi intitolati: “
La caratteristica del terzo termine”, poi “ Schema dell’ hommoinzin”. Lo scritto fa da capitone e
ha valore di funzione. L’operatore grande phi “ fatti di scritto”, fissa il rapporto dell’uomo e
della donna sulla barra. L’assenza di chiusura del triangolo fondamentale (caratteristica del terzo
termine) indica l’impossibilità di scrivere ciò che ne è del rapporto sessuale, ciò che troviamo
sotto forma d’impasse, di ostacolo, di beanza nell’esperienza analitica. La logica, dice Lacan,
porta il marchio dell’impasse sessuale, ciò che lo schema lascia percepire. Nel godimento
sessuale, c’è qualcosa di precluso che si soddisfa senza meta sessuale. Lo impariamo dall’analisi.
Contrariamente a ciò che si potrebbe credere, non è tanto la sessualità che crea problema,
ciascuno si arrangia; ciò che si apprende da fonte sicura ( appartiene al vissuto), è che non ci si
accomoda con il corpo, con il suo godimento. È il corpo che fa enigma all’essere parlante, poiché
è ad un approccio singolare a cui dobbiamo in permanenza approdare come ad una riva.
Apprendiamo dal discorso di Lacan, vale a dire dal discorso analitico che formalizza che lo
scritto è il godimento. (20)
J.-A. Miller ha evidenziato che Lituraterra si situa tra il quinto e il sesto paradigma. Tra il quinto
dove il godimento è discorsivo, un nucleo cifrabile, e il sesto dove c’è una rottura: il godimento è
fuori elaborazione. In questa configurazione dove i limiti non sono più chiaramente situati, la
lettera litorale viene a fissare il punto di inserzione del godimento nella parvenza.
Lacan fa riferimento al lancio del primo sputnik, un avvenimento che fissa un’epoca. Mostra
l’uso della natura di parvenza dell’oggetto a. Così come l’uomo nello spazio ha bisogno della
navicella per sopravvivere, allo stesso modo si può dire che anche il godimento per sopravvivere
ha bisogno di essere incapsulato in un oggetto a. E’ un problema di sopravvivenza del godimento
e di conseguenza, una ‘soluzione d’utilità clinica’.
Dal litorale, tra parvenza a e sintoma
J.-A. Miller precisa, lo cito: “ Alla clinica dell’almeno uno, dell’universale (che tiene conto del
particolare), bisogna opporre la clinica del singolare”. (21)
La clinica del “almeno uno” interessa la clinica della nevrosi; l’isterica ne ha dimostrato le
impasse. Lacan rendo omaggio alle sue capacità logiche, che consistono nel circoscrivere il
godimento fuori sesso, che lei rende assoluto, come un punto all’infinito. Il suo orientamento sul
godimento si fa sotto l’egida del Nome-del-Padre, ciò ha per conseguenza la sua impossibilità a
realizzarsi come donna.
Produrre il singolare, la lunula di separazione, il bordo del sapere, la condizione litorale dei sessi,
è ciò che può fare la psicoanalisi orientata dal reale della lettera.
Nel suo commento di Lituraterra (corso 1998/99), Eric Laurent situava il litorale sulle
operazioni d’alienazione/separazione, mostrando che Lituraterra era una teoria della scrittura
psicoanalitica, permettente la produzione di un tratto unico. La separazione inscrive il litorale,
passa attraverso il caos interno di un parlessere. Si disegna: $ (a) S2. Il litorale si scrive come
bordo della lunula, tra il godimento e il sapere riguardo all’inconscio di un soggetto. Il tratto si
aggiunge, non è unario, non delimita una frontiera dove ciascuno si trova dallo stesso lato, ma è
tratto unico: un eterogeneo interno e costante
Enric Laurent ha estratto dal suo corso uno scritto intitolato : “ La lettera rubata e il furto della
lettera” (22) che diede luogo a suo tempo a una conversazione appassionata con J.-A. Miller. Fa
riferimento alla teoria del tratto unico del pennello del pittore e letterato Shitao che Lacan ha
studiato con François Chenh. (23) Ci mette nelle condizioni di comprendere che per la
psicoanalisi, la cancellatura non è la cancellatura dell’essere filosofico, ma s’avvicina all’exploit
17
della calligrafia: “cancellatura di qualsiasi traccia che sia precedente”. Nella calligrafia, la lettera
è al posto di una scommessa che si vince con l’inchiostro e un pennello, “ … dove il singolare
della mano schiaccia l’universale “. (24) E’ un tratto inedito. Bisogna ancora fare accettare il suo
tratto.
Produrre il singolare, è ciò che può la psicoanalisi, dal litorale tra parvenza e sintoma : tra un “
non è questo - è questo”.
Alla fine del suo scritto, a nostro indirizzo si può leggere tra le righe un’alternativa che potrebbe
formularsi così: o il matema, o l’impero delle parvenze. Ci sarebbe un’altra scelta? Una scelta
altra da esclusiva?
Cosa vuol fare passare la psicoanalisi ? Cosa potrebbe soddisfare ? “Il discorso psicoanalitico
passerà se arriverà a fare intendere la sua pratica del non-rapporto sessuale” diceva recentemente
J.-A. Miller nel suo corso. (25)
L’analista si orienta da una clinica del singolare. E’ un’esperienza del litorale, quella che Lacan
sorvolando la pianura siberiana evoca con la metafora del solco dell’erosione.
E’ vedere – ad un tratto, in un istante -, come l’emigrante all’approssimarsi della riva vede la
terra incognita, la parvenza denudata, l’inconscio dopo il godimento: questo vasto buco di
libertà che è la sua lingua.
Traduzione di Valerio Canzian
1) Lacan J, “ Lituraterra ”, Autres écrits, Seuil, 2001, p. 18 e nel libro XVIII, “ Lezione su ”Lituraterra ” p. 124
2) Miller J.-A., La Cause freudienne n°62
3) Lacan J, opus cit, p. 14 et p. 117
4) Lacan J, Il Seminario, libro XX, Ancora, p. 36
5) ibid, p. 38.
6) Lacan J, op. cit,, Autres écrits, p. 12
7) Lacan J, op. cit,, Ancora, p. 34
8) Ibid, p. 37
9) Ibid, p. 37
10) Lacan J, Autres écrits, “ Postfazione al Seminario XI ”, p. 504
11) “ Lituraterra ”, p. 18
12) ibid p. 17
13) Opus cit, Autres écrits, cf. 4a di copertura.
14) Lacan J, op. cit, p. 17
15) Miller J.-A., L’Orientamento lacaniano, corso non pubblicato, 1998/99
16) Lacan J, op. cit, p. 16
17) Lacan J, “ Di un discorso che non sarebbe parvenza”, op. cit,, p. 94
18) Ibid..
19) Lacan J, libro XVIII, p 64
20) Ibid, p. 129
21) Miller J.-A., La Cause freudienne n°71, leçons 10 et 17 /12/ 2008, “Cose di finezza in psicoanalisi ”
22) Laurent E, La Cause freudienne, n°43, “ La lettera rubata e il furto della lettera ” ; il corso del 10 /03/99 et
14/04/99 de l’Orientation lacanienne.
23) Abbiamo le tracce di questi scambi ne l’Ane n°25, febbraio 86, e in Lacan, lo scritto, l’immagine, Paris,
Flammarion, 2000.
24) “ Lituraterra ”, op. cit.
25) Miller J.-A., cf. corso “ Cose di finezza in psicoanalisi ”
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