Handout n. 3 Storia romana Viglietti

Transcript

Handout n. 3 Storia romana Viglietti
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA
Anno accademico 2015/2016
Corso di laurea in Scienze storiche e del patrimonio culturale
Insegnamento di Storia romana A
Handout n. 3
NB: Addendum parte g. (forme della storiografia in età giulio-claudia)
Velleio Patercolo, Storia di Roma dedicata a Marco Vinicio 2.137
Questo libro (volumen) deve concludersi con un voto. Giove Capitolino, Vesta e tu Marte Gradivo
fondatore e sostegno del nome romano, e tu Vesta custode del fuoco perpetuo, e voi numi, quanti mai
avete esaltato la grandezza dell’impero romano fino ai più alti fastigi del mondo, io a nome di tutti vi
supplico e vi imploro: custodite, conservate, proteggete questo stato di cose, questa pace, questo
principe; a lui, quando avrà fruito di lunghissimo soggiorno in terra, destinate, il più tardi possibile,
successori le cui spalle siano capaci di reggere l’impero del mondo (terrarum orbis imperium) così
validamente come vedemmo fare dal lui.
Valerio Massimo, Detti e fatti memorabili 4.1-11 passim
Finito il potere monarchico per la troppa superbia di Tarquinio diede felicemente inizio al consolato
[…] Valerio Publicola [509 a.C.] . Egli accrebbe la gloria del suo casato con l’ornamento di numerose e
grandi opere: eppure questo pilastro della nostra storia morì possedendo un patrimonio che non bastò
nemmeno alle spese dei funerali, tant’ è vero che fu seppellito a cario dello Stato. Sulla semplicità di un
uomo così grande non ha senso scrutare più a lungo.
[…] Conviene ricordare che nelle case di Gaio Fabrizio e Quinto Emilio Papo [282 e 278 a.C.], gli
uomini più illustri del loro tempo, dell’argento ci sia stato: infatti entrambi possedevano il vassoio per i
sacrifici degli dèi e il contenitore della mola salsa.
[…] Coloro che erano stati inviati ad Attilio Regolo [272 a.C.] per comunicargli l’ordine del senato di
assumere il supremo comando del popolo romano le videro mentre seminava. Ma quelle mani, pur
consumate dai lavori agricoli, consolidarono la salute pubblica, sbaragliarono ingenti forze nemiche e
passarono dalla bure alle redini del carro trionfale.
[…] E che diremo della famiglia Elia e della sua ricchezza? Vissero contemporaneamente sedici Elii,
che abitavano tutti in una piccola casa e possedevano un solo fondo nel territorio di Veio. […] Essi non
furono padroni di un grammo di argento prima che Lucio Emilio Paolo, debellato Perseo [168 a.C.],
donasse al proprio Quinto Elio Tuberone cinque libbre [c. 1,6 kg] di argento.
[…] Quanto piccola eredità abbia Marco Scauro ricevuto dal padre, racconta egli stesso nel primo de
suoi tre libri autobiografici: dice infatti di aver ricevuto in eredità sei soli schiavi e una somma di 35.000
assi. In tanta opulenza fu nutrito lo spirito di chi, come lui, era destinato a diventare il più autorevole
personaggio del senato [c. 115 a.C.].
l. SCRITTURA E MEMORIA STORICA TRA II E INIZI DEL IV SECOLO D.C.
1. Appiano, Storia di Roma 1.6.24
Lo Stato romano da lotte civili di ogni genere passò alla concordia e alla monarchia. Come questi fatti
siano avvenuti io ho scritto e narrato: e sono fatti degni di essere considerati da chi voglia avere un’idea
dell’immensa ambizione umana, della spaventosa brama di potere, della perseveranza tenace e delle
svariate forme di male.
1
2. Appiano, Storia di Roma 4.2.7/4.14/5.16
I triumviri […] si divisero gli incarichi nelle province: Antonio assumeva il governo dell’intera Gallia ad
esclusione della zona vicino ai Pirenei, detta Gallia antica; di questa e della Spagna assumeva il governo
Lepido; a Cesare toccavano l’Africa, la Sardegna, la Sicilia e tutte le isole vicine.
[…] Nel frattempo in Roma si verificavano fatti portentosi con molti paurosi presagi. Dei cani (era
segno di malaugurio) ulularono proprio come fossero lupi; dei lupi (non erano animali che si vedessero
di frequente in città) passavano correndo per il Foro; una vacca parlò con voce umana; un bambino
appena nato articolò parole; alcune statue stillarono sudore, altre addirittura sangue; si udirono grandi
urla di uomini, fragore di armi e uno scalpitio di invisibili cavalli. Attorno al sole comparvero molti
segni infausti, piovvero sassi, caddero continuamente fulmini sui templi e sulle statue degli dèi.
[…] I triumviri, riunitisi a parte, compilarono la lista di quanti volevano condannare a morte […]
facendosi reciproche concessioni nell’ambito di familiari e amici da eliminare, non solo allora, ma anche
in seguito.
3. Floro, Epitome di Tito Livio 1.1, praef. 4
Se qualcuno volesse considerare il popolo romano nel suo complesso come un unico uomo e passare in
rassegna l’intera sua vita – come sia venuto alla luce e cresciuto, come sia giunto alla giovinezza, come
in seguito sia invecchiato – troverebbe in esso quattro stadi. La prima età fu sotto i re, all’incirca per
duecentocinquant’anni, durante i quali intorno alla stessa città si lottò con i popoli confinanti. Questa
sarà la sua infanzia. L’età seguente si estende dal consolato di Bruto e Collatino [509 a.C.] a quello di
Appio Claudio e Marco Fulvio [264 a.C.], per circa duecentocinquant’anni, durante i quali Roma
sottomise l’Italia. Questo fu il tempo più travagliato per uomini e armi, e per questo lo si definirà come
adolescenza. Poi i duecento anni fino a Cesare Augusto, nei quali pacificò il mondo intero. Questa è la
giovinezza dell’impero, e anche la sua robusta maturità. Da Cesare Augusto ai nostri tempi passano non
molto meno di duecento anni nel corso dei quali, per la fiacchezza dei Cesari, si può dire che Roma sia
invecchiata ed esaurita, finché, sotto il principato di Traiano Roma mosse nuovamente i muscoli e,
contro l’aspettativa di tutti, l’impero decrepito sta riacquistando le sue forza, come se gli fosse stata
restituita la gioventù.
4. Aulo Gellio Notti Attiche 3.4
Leggendo dei libri sulla vita di Publio Scipione l’Africano ho trovato scritto che Publio Scipione figlio
di Paolo, dopo aver celebrato il trionfo per la vittoria punica ed essere stato censore [c. 145 a.C.] venne
chiamato in giudizio dal tribuno della plebe Claudio Asellione (che Scipione aveva degradato da
cavaliere durante la propria censura) e, benché sotto accusa, non aveva cessato di radersi la barba. …
Ma poiché Scipione a quell’epoca aveva meno di quarant’anni, mi meravigliai di quanto stava scritto
circa la rasatura della barba. Appresi poi cha e quell’epoca anche altri nobili personaggi si radevano la
barba a quell’età, ed è per questa ragione che in molti antichi ritratti persone non proprio vecchie (non
admodum senes) ma di mezza età (sed in medio aetatis), sono rappresentate senza barba.
5. Cassio Dione, Storia romana 44.1-2
Questi furono dunque i preparativi fatti da Cesare in vista della guerra contro i Parti. Ma una funesta
pazzia, abbattutasi su alcuni uomini invidiosi dei suoi successi e pieni di odio per l’uomo che il popolo
preferiva a loro, tolse di mezzo illegalmente Cesare […] e dall’armonia fece nascere per i Romani nuove
lotte e guerre civili. Gli uccisori di Cesare dicevano di essere stati i liberatori del popolo, ma in realtà
avevano insidiato empiamente quell’uomo e avevano gettato nella guerra civile una città che era
saggiamente governata. La democrazia ha un bel nome, fa credere di dare a tutti i cittadini eguaglianza
di diritti […] ma nella realtà dimostra apertamente di non concordare con le sue affermazioni; la
monarchia ha invece un nome odioso, ma riesce assai giovevole ai cittadini. Infatti è più facile trovare
un uomo buono che non molti […] . Se un uomo indegno s’impadronisce del potere, egli è sempre
preferibile a un gran numero di suoi simili, come dimostra la storia dei Greci, dei barbari e degli stessi
Romani. La monarchia ha sempre procurato agli Stati e ai singoli uomini beni più grandi e più numerosi
della democrazie, e i mani in essa sono più rari che nel governo del popolo. Se uno Stato retto da
2
democrazia ha avuto floridezza, ciò è durato poco tempo […]. Ma uno stato così grande [i.e. Roma]
padrone della parte più ampia e più bella del mondo conosciuto, contenente in sé molti e differenti
popoli e molte e grandi ricchezze, impegnato in imprese e vicende di ogni sorta […] non può
assolutamente mantenersi saggio in democrazia e non essendo saggio non può vivere in concordia.
Perciò, se Marco Bruto e Gaio Cassio avessero riflettuto su questo, on avrebbero ucciso il capo e il
protettore di questo Stato, e non si sarebbero resi colpevoli di infinte sciagure per loro stessi e per i loro
contemporanei.
6. Aurelio Vittore, Epitome dei Cesari 20.1-4
Settimio Severo ordinò di cancellare il nome di Salvio Giuliano e i suoi scritti, ma fu la sola cosa che
non riuscì a fare. Tanto ha valore la grazia che promana dalle doctae artes che neppure un
comportamento crudele potrà ostacolare la memoria degli scrittori. Anzi, una morte di tale genere è per
loro motivo di gloria, e per i responsabili, di esecrazione. Perché tutti, e soprattutto i posteri, sono
consapevoli che ingegni di tale livello non possono essere soppressi senza che ciò costituisca un
pubblico delitto, o un’azione folle.
7. Anonimo, L’origine del popolo romano 17.1-3
Quando Ascanio morì, sorse una contesa sul conseguimento del potere tra Iulo, suo figlio, e Silvio
Postumo, nato da Lavinia, essendovi il dubbio se ne avesse maggior diritto il figlio o il nipote di Enea.
La decisione fu rimessa al popolo e da tutti fu designato Silvio come re. I suoi discendenti, chiamati
tutti Silvii, regnarono in Alba sino alla fondazione di Roma, come è scritto nel quarto libro degli Annali
dei Pontefici.
8. Eutropio, Breviario dalla fondazione della città 1.3
Poi salì al trono Numa Pompilio, che non condusse alcuna guerra, ma non fu meno utile di Romolo alla
città. Istituì, infatti, leggi e costumi per i Romani, che per la loro consuetudine alle battaglie avevano
ormai fama di predoni semibarbari, divise l’anno, per cui prima non era stato calcolato alcun tipo di
divisione, in dieci mesi e costruì a Roma un numero incalcolabile di sacrari e templi. Morì di malattia
nel quarantaquattresimo anno di regno.
9. Historia Augusta, Flavio Volpisco, Tacito 6.1.4-5
Se in effetti volete ricordare quei mostri del passato, vi menziono i vari Nerone [54-68 d.C., n. 37 d.C.],
Elagabalo [218-222 d.C., n. 203 d.C.] e Commodo [180-192 d.C., n. 161 d.C.]. A dispetto dei nomi
sempre scomodi, converrete che quei vizi non derivarono loro dal carattere quanto dall’età. Gli dèi ci
scampino dai principi bambini, e che siano chiamati padri della patria degli impuberi, cui i maestri di
scuola devono guidare la mano mentre firmano, che possono essere pronti a concedere un consolato in
cambio di dolci o cerchietti.
m. AMMIANO MARCELLINO E MACROBIO. GRANDE STORIA ED ERUDIZIONE ALLA FINE
DELL’IMPERO
1. Ammiano Marcellino, Storie 14.6.2
Accennerò per sommi capi alle cause dei vizi di Roma senza mai allontanarmi di proposito dalla verità
(veritas).
2. Ammiano Marcellino, Storie 15.1.1
Per quanto ho potuto indagare la verità, ciò che mi fu possibile vedere durante la mia vita, o venire a
sapere interrogando con cura chi era stato coinvolto negli avvenimenti, ho narrato, seguendo l’ordine
degli avvenimenti. Ciò che resta nei libri seguenti verrà esposto accuratamente, per quanto potranno le
mie forze, senza avere alcun timore di chi critica un’opera per la sua lunghezza. Infatti la brevità va
3
lodata solo se, evitando perdite di tempo inopportune, non sottrae tuttavia nulla alla cognizione degli
avvenimenti.
3. Ammiano Marcellino, Storie 29.4.9
Il mio animo prova orrore a passare in rassegna tutte le azioni di quell’uomo [Valentiniano I], e insieme
ha paura di sembrare aver indagato di proposito nei vizi di un principe per altri versi assai lodevole. Ma
non sarebbe giusto tralasciare il fatto che egli aveva due feroci orse divoratrici, Bricioladoro e
Innocenza e le curava in modo così premuroso da collocare le loro gabbie vicino alla sua stanza, e vi
preponeva custodi fidati, incaricati di sorvegliare con sollecitudine che in nessun caso si estinguesse la
loro furia omicida.
4. Ammiano Marcellino, Storie 28.4.7-9
Alcuni, altolocati grazie al loro nome (o almeno questo è ciò che pensano), si vantano fino al cielo di
chiamarsi Reburrio, Flavonio, Pagonio, Gereonio, o Dalio, Tarraco, Farrasio o latri nomi che suonano
in modo così insigne. Parecchi altri, luccicanti nei loro vestiti in seta, come se li avessero vestiti per il
funerale […] li segue con fragore affannato una moltitudine di schiavi organizzata in manipoli. Quando
questi entrano nella sala delle terme, ciascuno accompagnato da cinquanta servi, gridano
minacciosamente: “Dove sono le nostre?” Se vengono a sapere che è arrivata una prostituta nuova, o
una meretrice della plebe cittadina, o una vecchia puttana che ha lucrato sul suo corpo, fanno a gara per
andarle intorno, palpano la nuova venuta, con complimenti vergognosi la lodano come i Parti
Semiramide, gli Egizi Cleopatra, i Cari Artemisia, i Palmireni Zenobia. E di ciò si rende colpevole gente
che ha fra i propri antenati un senatore che fu colpito dalla nota censoria perché osò baciare sua moglie
in presenza della figlia.
5. Ammiano Marcellino, Storie 14.6.3-5
Nel tempo in cui Roma, che vivrà finché ci saranno gli uomini, cominciò ad elevarsi allo splendore
universale, perché s’ingrandisse con gloria sublime, la Virtù e la Fortuna, che spesso sono in contrasto
tra di loro, si unirono in un patto di pace eterna. Infatti, se una di esse fosse mancata, Roma non
avrebbe conquistato la completa supremazia. Il suo popolo dalla culla, per così dire, sino agli ultimi anni
della sua puerizia, periodo di tempo che abbraccia circa trecento anni, sostenne guerre attorno alle sue
mura; poi, entrato nella adolescenza, dopo i travagli di numerose guerre, passò le Alpi e il mare.
Raggiunta la giovinezza e l’età virile, riportò allori e trionfi da tutte le regioni che il mondo abbraccia
nella sua immensità; e volgendo ormai alla vecchiaia e vincendo talvolta con il solo nome, è passato a
una vita più tranquilla. In questo modo Roma, città degna di venerazione […] lasciò ai Cesari, come ai
propri figli, il compito di amministrare il suo patrimonio. […] [Roma] in tutte le regioni e parti della
terra è accolta come signora e regina, e dappertutto la canizie autorevole dei senatori e il nome del
popolo romano sono oggetto di venerazione. Ma questo splendore magnifico delle assemblee è offeso
dalla rozza leggerezza di pochi, i quali non considerano in quale città sono nati ma, come se
abbandonarsi ai vizi fosse lecito, si lasciano andare a errori e dissolutezze. […] Alcuni di questi,
ritenendo di poter conseguire l’immortalità per mezzo di statue, le desiderano ardentemente come se
potessero ottenere un premio maggiore da insensibili immagini bronzee piuttosto che dalla conoscenza
della rettitudine e onestà delle loro azioni. […] Altri fanno consistere il sommo onore in cocchi più alti
del solito e nello sfarzo ambizioso degli abiti e sudano sotto il peso dei mantelli che essi assicurano
attorno al collo e legano addirittura attorno alla gola poiché il vento, a causa della sottigliezza dei tessuti,
vi passi attraverso. […] Altri poi, senza che nessuno glielo chieda, con volto atteggiato a severità
esaltano oltre ogni limite i loro patrimoni.
6. Ammiano Marcellino, Storie 25.3.15
Nel frattempo Giuliano, che giaceva nella tenda, rivolse la parola agli uomini che gli stavano intorno,
abbattuti e tristi: “Amici, è giunto il momento opportuno per andarsene dalla vita, e io esulto per il fatto
che restituisco alla natura che me la chiede indietro come un debitore che mantiene la parola; non sono
afflitto o triste, come pensano alcuni, perché conosco bene l’opinione generale dei filosofi per cui
4
l’anima è più felice del corpo, e perché rifletto che ogni volta che una condizione migliore viene
separata da una peggiore dobbiamo rallegrarci invece che intristirci”.
7. Ammiano Marcellino, Storie 27.3.12-15
Damaso e Ursino, ardenti in modo sovrumano dal desiderio di arraffare la sede episcopale,
combattevano violentemente per i loro interessi contrastanti; e i loro sostenitori erano ormai arrivati al
punto di non ritorno della violenza e degli omicidi. […] Nella contesa uscì vincitore Damaso, grazie alla
pressione del partito che lo favoriva. Si sa che nella basilica di Sicinino, che è luogo di raccolta per il rito
cristiano, in un giorno si ritrovarono centotrentasette cadaveri di assassinati e la plebe, inferocita a
lungo, fu ammansita a stento. […] [Gli aspiranti al papato] potrebbero essere davvero beati se,
disprezzando la grandezza della città, che usano come schermo dei loro vizi, vivessero come certi
vescovi di provincia, che la frugalità nel mangiare e nel bere con assoluta moderazione, la semplicità dei
vestiti, e gli sguardi rivolti a terra raccomandano come puri e per bene al perpetuo Nume, e ai suoi veri
cultori.
8. Macrobio, I Saturnali Praef. 3-4
Non ho certo raccolto senza ordine, come in un ammasso, le cose degne di ricordo (digna memoratu), ma
i più diversi argomenti, di autori diversi e risalenti a epoche diverse, le ho disposte in un complesso
organico, in modo che le mie annotazioni confuse, raccolte al solo fine di aiutare la memoria, risultino
ordinate e ben connesse come le membra del corpo. […] Quest’opera non si propone di fare sfoggio di
eloquenza, ma di offrire una raccolta di cose da conoscere: devi, figlio mio, essere contento di trovare
informazioni sull’antichità, talora esposte chiaramente con parole mie, talora citate fedelmente dagli
antichi […]. Dobbiamo infatti in un certo senso imitare le api: esse volano cogliendo qualcosa da ogni
fiore e poi mettono in ordine ciò che hanno ammassato, lo distribuiscono nei favi e trasformano i vari
succhi in un unico sapore con un sistema di miscelazione loro particolare.
9. Macrobio, I Saturnali 1.8.1-3
Mi risulta che Tullo Ostilio, dopo aver trionfato due volte sugli Albani, tre sui Sabini, consacrò un
tempio a Saturno per adempiere a un voto. Allora per la prima volta furono organizzati a Roma i
Saturnali. Tuttavia, Varrone, nel VI libro intitolato Gli edifici sacri, scrive che fu il re Lucio Tarquinio a
stabilire di costruire il tempio di Saturno presso il Foro, mentre il dittatore Tito Larcio [498 a.C.] lo
consacrò ai Saturnali. Né mi sfugge quanto scrive [Gneo] Gellio: il senato decretò la costruzione del
tempio a Saturno e affidò l’esecuzione dell’opera al tribuno militare Lucio Furio [407-405 a.C.]. […] I
Romani vollero che il tempio di Saturno ospitasse l’erario, poiché si dice che durante il suo soggiorno in
Italia non fu commesso alcun furto nella regione a lui sottoposta.
n. I CRISTIANI E LA STORIA
1. Atti dei martiri scillitani 6.14-16
Il proconsole Saturnino lesse la sentenza da una tavoletta: Sperato, Narzalo, Cittino, Donata, Vestia,
Seconda e gli altri che hanno confessato di vivere seguendo il rito cristiano, poiché hanno perseverato
con ostinazione e rifiutato la possibilità loro offerta di ritornare ai costumi dei Romani, è stabilito che
vengano giustiziati con la spada. Sperato disse “rendiamo grazie a Dio”; Narzalo disse “oggi siamo
martiri nei cieli: Deo gratias”. […] E così tutti insieme furono coronati con il martirio, e regnano con il
Padre, il Figlio e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli. Amen.
2. Sulpicio Severo, Vita di Martino 3.1-2
[Martino] in giorno in cui non aveva nulla tranne le armi e una semplice veste da soldato, nel pieno
dell’inverno, che infieriva più rigido del solito, tanto che la violenza del gelo uccideva molti, si vede
arrivare incontro, presso la porta della città di Amiens, un povero, nudo. Mentre egli pregava i passanti
di avere pietà di lui, e tutti oltrepassavano quel poveretto, quell’uomo pieno di Dio [i. e. Martino] capì
5
che, se gli altri non gli davano retta, il povero era destinato a lui. Ma che fare? Martino non aveva nulla
tranne il mantello che indossava: aveva infatti già dato via gli altri vestiti in opere di bene di tal genere.
Afferrata dunque la spada che cingeva, lo divide a metà; una parte la dà al povero, l’altra la indossa di
nuovo, Allora parecchi dei circostanti si misero a ridere, perché con la veste tagliata era ridicolo; ma i
più intelligenti iniziarono a gemere tristemente, per non aver fatto loro niente di simile.
3. Sulpicio Severo, Cronaca 2.29.1
Intanto, mentre ormai i cristiani erano un gran numero, scoppiò un incendio a Roma, mentre Nerone
era ad Anzio. Ma l’opinione di tutti faceva ricadere sul principe l’odiosità di questo incendio, e si
credeva che l’imperatore avesse ricercato la gloria di rinnovare la città. E Nerone non riusciva a far
niente affinché non si pensasse che era stato lui a fare appiccare l’incendio. Perciò decise di deviare
l’ostilità verso i cristiani, e furono praticate orrende torture su gente innocente.
4. Gregorio Magno, Dialoghi 1 Prol. 10
Ciò di cui sono venuto a conoscenza attraverso il racconto di uomini venerabili narro senza esitazione,
sull’esempio degli scrittori sacri, essendomi più chiaro della luce che anche Marco e Luca scrissero il
loro vangelo non dopo aver visto di persona, ma dopo aver udito i resoconti. Ma per togliere occasione
di dubbio a chi mi legge, per ogni fatto che descrivo indico da quali fonti abbia ricavato questa
informazione. Desidero comunque tu sappia che in certi casi mi attengo solo al senso generale, in altri
invece riporto le parole esatte. Ciò perché se di tutti i personaggi avessi voluto mantenere fedelmente
tutte le espressioni, lo stile di scrittura non riuscirebbe bene, dovendo riprodurre le espressioni tipiche
dell’uso rustico.
5. Eusebio, Storia ecclesiastica 1.1
Mi sono prefisso di trattare le successioni dei Santi Apostoli e del tempo trascorso dal nostro Salvatore
fino a noi; tutti i fatti che si sono verificati nella storia della Chiesa, quanti hanno guidato e presieduto le
diocesi più importanti, quanti nelle singole generazioni hanno annunciato la parola divina a voce o per
iscritto, quanti e quando sono vissuti coloro che giunsero alla rovina per desiderio di novità di false
dottrine, tormentando, come lupi rapaci, il gregge di Cristo; le sciagure colpirono il popolo dei Giudei
che ordì insidie al nostro Salvatore; quali pagani e quando combatterono contro la parola divina.
6. Sant’Agostino, La città di Dio Praef.
Frattanto Roma fu messa a ferro e fuoco con l’invasione dei Goti che militavano sotto il re Alarico;
l’occupazione causò un’enorme sciagura. Gli adoratori dei molti falsi dèi, che con un appellativo in uso
chiamiamo pagani tentarono di attribuire il disastro alla religione cristiana e cominciarono a insultare il
Dio vero con maggiore acrimonia e insolenza del solito. Per questo motivo io, ardendo dello zelo della
casa di Dio, ho stabilito di scrivere i libri de La città di Dio contro questi insulti perché sono errori. […] I
primi cinque libri confutano coloro i quali vogliono la vicenda umana così prospera da ritenere
necessario il culto dei molti dèi che i pagani erano soliti adorare. Sostengono quindi che avvengano in
grande numero queste sciagure in seguito alla proibizione del culto politeistico. Gli altri cinque
contengono la confutazione di coloro i quali ammettono che le sciagure non sono mai mancate e non
mancheranno mai agli uomini e che esse, ora grandi ora piccole, variano secondo i luoghi, i tempi e le
persone.
7. Sant’Agostino, La città di Dio 2.29/32.2
[…] Desidera piuttosto questi beni [i.e. quelli dei riti cristiani], o nobile tempra romana o progenie dei
Regoli, degli Scevola, degli Scipioni, dei Fabrizi; desidera questi beni piuttosto e riconosci che sono
diversi dalla oscena frivolezza e ingannevole malvagità dei demoni. Se qualche cosa in te di nobile risalta
per naturale disposizione, soltanto con la vera pietà è nobilitata fino alla compiutezza, con l'empietà è
sprecata e avvilita. Scegli ormai che cosa devi seguire per ottenere di essere lodata senza errore, non in
te ma nel Dio vero. Nei tempi andati avesti la gloria tra i popoli ma per un occulto giudizio della divina
provvidenza ti mancò la vera religione da scegliere. Svegliati, è giorno, come ti sei svegliata in alcuni dei
6
tuoi, della cui virtù perfetta e perfino del martirio per la vera religione noi cristiani ci gloriamo. Essi
combattendo con le potenze nemiche e vincendole con una morte eroica hanno fondato per noi col loro
sangue questa patria. E a questa patria noi ti invitiamo e sproniamo perché tu sia aggiunta al numero dei
cittadini la cui città di rifugio è in certo senso la vera remissione dei peccati. Non ascoltare i tuoi
cittadini degeneri che infamano Cristo o i cristiani accusandoli delle calamità dei tempi perché
vorrebbero tempi in cui non si abbia la vita tranquilla ma la malvagità garantita. Neanche per la patria
terrena ti furono graditi tempi simili. È tempo che afferri la patria celeste, giacché per averla non dovrai
certamente affannarti e in essa dominerai in una verace perennità. In essa non il fuoco di Vesta, non il
Giove di pietra del Campidoglio, ma il Dio uno e vero non pone i limiti delle cose e dei tempi ma darà
un dominio senza fine.
[…] Molte azioni certamente sono compiute dai cattivi contro la volontà di Dio, ma Egli è di tanta
sapienza e potere che tutti gli avvenimenti, che sembrano contrari alla sua volontà, tendono a quegli
scopi e fini che Egli ha previsto come buoni e giusti. Perciò quando si dice che Dio ha mutato la
volontà, sicché, ad esempio, si rende sdegnato verso coloro con i quali era indulgente, sono essi che
sono cambiati, non lui, e in un certo senso lo trovano mutato nelle avversità che subiscono. Allo stesso
modo cambia il sole per gli occhi contusi e in qualche modo si rende da blando irritante, da dilettevole
sgradito, sebbene in sé rimanga quel che era. Si considera volontà di Dio anche quella che Egli pone in
atto nel cuore di coloro che obbediscono ai suoi comandamenti, e di essa dice l'Apostolo: “È Dio che
opera in voi anche il volere”.
7