Canone Rai in bolletta

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Canone Rai in bolletta
16 Settembre 2016
Riscossione
Canone Rai in bolletta: possibili i rimborsi on line
Pubblicato sul sito dell’Agenzia delle Entrate il comunicato stampa sul rimborso del canone Rai versato in bolletta
ma non dovuto.
Per coloro che hanno versato il canone Rai in bolletta negli scorsi mesi, ma per i quali non era dovuto, è possibile dal 15
settembre accedere al sito dell’Agenzia e utilizzando l’applicazione, chiedere il rimborso.
Particolare attenzione a motivare la richiesta con una attenta verifica dei requisiti per le esenzioni.
Resta attiva la procedura cartacea per coloro che non vogliono avvalersi della modalità telematica.
Il rimborso, previa verifica di non debenza, verrà effettuato direttamente sulla prima bolletta utile dalle varie aziende
elettriche.
A cura della Redazione
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Agenzia delle Entrate, comunicato 15/09/2016
Dichiarazioni
Nel 2017 anche le spese veterinarie nella precompilata
Approvato il Provv. del Direttore Generale dell’Agenzia delle Entrate in tema di dichiarazioni dei redditi
precompilata che contiene molte novità per l’anno di imposta 2016.
Rilevanti novità in vista per la dichiarazione precompilata 2017 che fa riferimento all’anno di imposta 2016.
Con il Provv. del 15 settembre vengono regolate le “spese veterinarie sostenute dalle persone fisiche nel periodo
d’imposta precedente, riguardanti le tipologie di animali individuate dal decreto del Ministero delle finanze 6 giugno 2001,
n. 289”.
Sono in dettaglio elencate le tipologie di spesa nonché le modalità tecniche utilizzabili ai fini della corretta compilazione
della dichiarazione precompilata.
A cura della Redazione
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Agenzia delle Entrate, provvedimento 15/09/2016, n. 142369
IVA
ASSONIME: tutte le novità della dichiarazione Iva 2016
Le nuove ipotesi di reverse charge, lo split payment e le nuove regole per i fornitori degli esportatori abituali
trovano spazio nella dichiarazione IVA 2016. Con la circolare n. 22 del 14 settembre 2016, Assonime ha illustrato
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l’impatto delle novità IVA ai fini della compilazione della dichiarazione IVA 2016, l’ l’ultima che può essere
presentata in forma unificata con il modello UNICO. Dal 2017, infatti, con riferimento al periodo d’imposta 2016, la
dichiarazione IVA dovrà essere presentata in forma autonoma entro la fine del mese di febbraio.
La dichiarazione IVA fa il pieno di novità. Lo sottolinea Assonime nella circolare n. 22 del 14 settembre 2016, che illustra
gli impatti che le novità introdotte dal decreto Semplificazioni fiscali (D.Lgs. n. 175/2014) e dalla legge di Stabilità 2015
hanno apportato in materia IVA.
Prima di procedere con l’esame delle singole novità, Assonime evidenzia come la dichiarazione IVA 2016 sia l’ultima
che può essere presentata in forma unificata con il modello UNICO.
A decorrere dal 2017, e quindi con riferimento al periodo d’imposta 2016, la dichiarazione IVA dovrà essere presentata
in forma autonoma entro la fine del mese di febbraio. Tale previsione trascina con sè l’abrogazione dell’obbligo di
presentare entro la fine del predetto mese la comunicazione annuale dati IVA.
Di seguito le principali novità previste per la compilazione della dichiarazione IVA 2016.
Nuove ipotesi di reverse charge
La legge di Stabilità per il 2015 ha esteso le ipotesi di applicazione del reverse charge interno anche alle prestazioni di
servizi di pulizia, di demolizione, di installazione di impianti e di completamento di edifici, nonché ai trasferimenti di
quote di emissione di gas ad effetto serra, al trasferimenti delle altre unità che possono essere utilizzate dai gestori, alle
cessioni di gas e di energia elettrica ad un soggetto passivo rivenditore e alle cessioni di pallet recuperati ai cicli di
utilizzo successivi al primo.
Tali modifiche hanno determinato modifiche alla sezione 4 del quadro VE relativo alle operazioni attive, rigo VE35, nel
quale sono stati inseriti i campi 8 e 9.
Allo stesso modo nel quadro VJ (nel quale devono essere indicate particolari tipologie di operazioni per le quali l’IVA è
dovuta dal cessionario) sono stati inseriti i righi VJ17 e VJ18.
Split payment
Anche la disciplina relativa allo split payment ha trovato spazio nella dichiarazione IVA nel quadro VE, mediante
l’inserimento del rigo VE38 e nel quadro VJ, in cui debutta il rigo VJ18.
Fornitore dell’esportatore abituale
Il quadro VI è riservato ai fornitori degli esportatori abituali che in presenza di dichiarazioni d’intento rilasciate da questi
ultimi, possono non applicare l’IVA alle cessioni di beni e prestazioni di servizi.
L’inserimento di questo quadro si è reso necessario a seguito delle modifiche apportate dal decreto Semplificazioni fiscali
alla disciplina in questione.
A cura della Redazione
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Assonime, circolare 14/09/2016, n. 22
Ris. 72/E
Bitcoin equiparati fiscalmente ai mezzi di pagamento
Con la Risoluzione n. 72/E pubblicata venerdì, l’Agenzia delle Entrate, rispondendo ad un interpello, si è espressa
per la prima volta in merito al tema delle criptovalute (Bitcoin) benché a livello comunitario fosse già presente
importante Giurisprudenza (sentenza 22/10/2015, C264/14). La valuta virtuale Bitcoin, così come definita dalla
Banca d’Italia, non è emessa da alcuna banca centrale né garantita da alcuna istituzione riconosciuta. Oltre ad
essere pienamente convertibile e trasferibile quasi istantaneamente, la sua peculiarità è proprio quella di essere
basata su un network completamente decentralizzato: le sue transazioni non necessitando di intermediari e
presentano delle fees molto basse che la rendono uno strumento molto conveniente ed utilizzabile online (e
recentemente anche nell’economia reale tramite carte di debito) quale metodo di pagamento. Inoltre, il Bitcoin
rappresenta per molti anche una forma di investimento a lungo termine.
di Luca Sintoni - Dottore Commercialista e Revisore Legale in Milano, Docente a Contratto Università Bocconi
1. Premessa
La comunicazione della Banca d’Italia, del 30 Gennaio 2015, definisce le valute virtuali come “rappresentazioni digitali
di valore non emesse da una banca centrale o da un’autorità pubblica. Esse non sono necessariamente collegate a
una valuta avente corso legale, ma sono utilizzate come mezzo di scambio o detenute a scopo di investimento e
possono essere trasferite, archiviate e negoziate elettronicamente. Le valute virtuali non sono moneta legale e non
devono essere confuse con la moneta elettronica. Negli ultimi anni si è assistito alla crescente diffusione delle valute
virtuali. Attualmente, sono oltre 500 gli schemi esistenti nel mondo, il più famoso dei quali è Bitcoin”.
Il Bitcoin è, dunque, una valuta virtuale creata nel novembre del 2008, il cui inventore è noto con lo pseudonimo di
Satoshi Nakamoto, che pubblicò un paper in cui descriveva il design della struttura ed il funzionamento di questa
criptovaluta. Nakamoto descrive la tecnologia Bitcoin come una versione puramente peer-to-peer di denaro
elettronico che consente ai pagamenti on-line di essere inviati in maniera diretta da una parte ad un’altra senza passare
attraverso una determinata istituzione finanziaria.
A prima vista, l’assenza di una autorità garante, potrebbe minare la credibilità di uno strumento digitale (e pertanto
immateriale) se non addirittura impedirne la spendibilità (in fin dei conti ciascuno rimane inconsciamente legato al
sistema aureo, venuto meno con le conferenze di Bretton Woods, nel quale la base monetaria è legata ad una quantità
fissata d'oro che ne garantisce il valore. Ancora oggi sulle banconote inglesi si può leggere "I promise to pay the bearer
on demand the sum of five [ten/twenty/fifty] pounds", poiché la Regina, la cui effige appare sulle medesime, ne
garantisce il corso).
Ebbene, da questo punto di vista il Bitcoin rappresenta piuttosto un bene perfettamente fungibile, al pari del denaro
contante, le cui regole di funzionamento ne garantiscono valore, unicità ed affidabilità.
Ancora oggi, ad otto anni dalla sua nascita, il dibattito relativo alle valute virtuali riguarda la mancanza di un
inquadramento giuridico e fiscale adeguato.
2. La giurisprudenza comunitaria
Preliminarmente, giova sottolineare che la natura giuridica del Bitcoin è ampiamente dibattuta in ambito universitario e in
dottrina. Infatti, esso può considerarsi o moneta, o strumento di pagamento o, infine, bene immateriale.
Moneta
La prima ipotesi è rappresentata dall’identificazione del Bitcoin come moneta. Probabilmente si tratta dell’identificazione
più immediata. Secondo il sistema economico tradizionale, la moneta assolve tre funzioni principali:
1. Mezzo di scambio;
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2. Riserva di valore;
3. Unità di conto.
Tuttavia il Bitcoin presenta alcune problematiche quali la volatilità intrinseca, la mancanza di un corso legale e
l’incertezza rispetto alla sua qualificazione come moneta elettronica o moneta merce e pertanto non può, secondo i più,
essere considerata una vera e propria moneta ancorché sia possibile esprimere un rapporto di cambio rispetto ad
ogni valuta mondiale.
Strumento finanziario
Appare logico anche indagare l’ipotesi che considera il Bitcoin uno strumento finanziario al pari delle azioni o delle
obbligazioni. In base all’art. 1, comma 4, TUF, “i mezzi di pagamento non sono strumenti finanziari”. In effetti, la funzione
di mezzo di pagamento è quella principale (si veda infra) nel Bitcoin e, date le stringenti categorie che definiscono gli
strumenti finanziari, esso non può giuridicamente essere ricompreso in una di queste ancorché possa essere utilizzato
quale strumento di investimento.
Bene immateriale
Infine, come anche accennato in premessa, è necessario indagare l’ipotesi che considera il Bitcoin quale bene
immateriale perfettamente fungibile. L’art. 810 c.c. stabilisce che “sono beni le cose che possono formare oggetto di
diritti”, caratterizzati da limitatezza, accessibilità e utilità. Data la sua dematerializzazione, il Bitcoin potrebbe essere
considerato, per l’ordinamento giuridico italiano, al pari di un bene immateriale con alcuni tratti in comune con la
disciplina della proprietà intellettuale (l’acquisto della proprietà avviene attraverso risorse economiche ed intellettuali ed è
possibile disporre di strumenti per difendersi dall’eventuale aggressione di terzi ma, a differenza della proprietà
intellettuale, è un bene rivale).
Tale classificazione comporta importanti implicazioni in ambito contabile e tributario.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 22/10/2015, causa C264/14) è intervenuta, con specifico riferimento
al trattamento ai fini IVA dei Bitcoin e delle altre valute virtuali, chiarendo la situazione. In Belgio, Francia, Germania,
Finlandia, Regno Unito e Spagna il Bitcoin è stato considerato al pari di un “sistema di pagamento virtuale”, esente in
quanto collocabile all’interno dell’elenco delle operazioni esenti previste dall’articolo 135, comma 1 della Direttiva
2006/112/CE. In Estonia, l’Autorità Tributaria ha pubblicato, nel Marzo 2014, un’interpretazione in merito alla fiscalità dei
Bitcoin ritenendo che non rientrasse né nella normativa sugli istituti di pagamento/istituti di moneta elettronica, in quanto
rappresentato da un “valore che non è finanziario”, né nella definizione di titolo, non essendo espresso da un diritto
(contrattuale o di proprietà) o da un obbligo contrattuale nei confronti di una terza parte.
Per tali ragioni il Bitcoin è stato definito un “mezzo alternativo di servizio di pagamento”, non rientrante nella categoria
di servizi finanziari, e quindi imponibile ai fini IVA. In Polonia, varie ipotesi sono state mosse sul regime fiscale del
Bitcoin: partendo dal presupposto che le esenzioni previste dall’articolo 135 della Direttiva devono essere interpretate in
modo stringente, il Bitcoin, definito come “voucher di denaro elettronico”, non sarebbe rientrato nelle categorie per cui è
prevista l’esenzione. Il Bitcoin, in quanto servizio, è stato pertanto considerato imponibile ai fini IVA.
L’intervento della Corte di Giustizia UE nasce dalla richiesta di un parere preliminare, da parte di un cittadino svedese
che intendeva avviare delle operazioni, attraverso la mediazione di una società, di cambio di valuta tradizionale con
valuta virtuale Bitcoin e viceversa. L’interpellata commissione tributaria, considerando il Bitcoin un mezzo di pagamento
con pieno valore liberatorio, riteneva sussistente l’esenzione IVA a norma dell’art. 135, paragrafo 1, lettera e) della
Direttiva. Non era tuttavia dello stesso parere il Fisco svedese: quest’ultimo, facendo leva sul fatto che tali operazioni non
rientravano fra le operazioni esenti previste dalla normativa svedese sull’IVA, presentava ricorso, presso la Corte
suprema amministrativa svedese, contro la posizione assunta dalla Commissione Tributaria. La Corte suprema
amministrativa, nutrendo dubbi al riguardo, poneva una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia Europea. La
sentenza della Corte di Giustizia stabilisce, in conclusione, che la valuta virtuale Bitcoin non può essere considerata, a
differenza di quanto espresso dal Governo svedese, come un bene virtuale.
Pertanto, la relativa acquisizione non costituisce una cessione di beni bensì una prestazione di servizi rientrante
all’interno delle operazioni soggette ad IVA previste dalla lettera e), paragrafo 1, dell’articolo 135 della Direttiva.
Stabilisce inoltre la Corte che le prestazioni in esame, pur riguardando operazioni relative a valute non tradizionali (e cioè
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diverse dalle monete con valore liberatorio in uno o più Paesi), “costituiscono operazioni finanziarie in quanto tali valute
siano state accettate dalle parti di una transazione quale mezzo di pagamento alternativo ai mezzi di pagamento legali e
non abbiano altre finalità oltre a quella di un mezzo di pagamento”.
3. La Risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016
Nella Risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016, è rappresentato il caso di una società che intende eseguire, per conto
della propria clientela, operazioni di acquisto/vendita di Bitcoin e, tal fine, ha chiesto di conoscere: - il corretto trattamento
applicabile alle predette operazioni di acquisto e di cessione di moneta virtuale, ai fini dell’IVA e delle imposte dirette (Ires
ed Irap); - se, in relazione alla predetta attività, sia soggetta agli adempimenti in qualità di sostituto d’imposta.
Dopo aver ripercorso le conclusioni della Corte di Giustizia sopra riportate, l’Agenzia delle Entrate stabilisce che l’attività
di intermediazione in Bitcoin, è considerata ai fini IVA quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell’articolo 10, primo
comma, n. 3), del DPR 26 ottobre 1972, n. 633. Nella fattispecie rappresentata all’Agenzia:
- in caso di ordine di acquistare, il cliente anticipa le risorse finanziarie alla Società che, effettuato l’acquisto di Bitcoin,
provvede a registrare nel wallet (“borsellino”) del cliente i codici relativi ai Bitcoin acquistati;
- in caso di ordine di vendere, la Società preleva dal cliente i Bitcoin e gli accredita, successivamente al completamento
effettivo della vendita, la somma convenuta. Il guadagno (o la perdita) di competenza della Società e■ rappresentato
dalla differenza tra quanto anticipato dal cliente e quanto speso dalla Società per l’acquisto o tra quanto incassato dalla
Società per la vendita e quanto riversato al cliente.
L’Agenzia ha confermato che la differenza (positiva o negativa) tra prezzi di acquisto sostenuti dall’istante e costi di
acquisto a cui si e■ impegnato il cliente (nel caso in cui quest’ultimo abbia affidato alla società l’incarico a comprare) o
tra prezzi di vendita praticati dall’istante e ricavi di vendita garantiti al cliente (nel caso di affidamento di incarico a
vendere) e■ ascrivibile ai ricavi (o ai costi) caratteristici di esercizio dell’attività di intermediazione esercitata e, pertanto,
il reddito che ne deriva è soggetto ad ordinaria tassazione Ires ed Irap.
Infine, l’amministrazione finanziaria ha precisato che “per quanto riguarda la tassazione ai fini delle imposte sul reddito
dei clienti della società, persone fisiche che detengono i Bitcoin al di fuori dell’attività d’impresa, le operazioni a pronti
(acquisti e vendite) di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa. La società, pertanto, non
e■ tenuta ad alcun adempimento come sostituto d’imposta”.
4. Conclusioni
A parere di chi scrive, l’impostazione dei giudici comunitari adottata anche dalla nostra amministrazione finanziaria, non è
del tutto fedele all’impianto codicistico italiano. Non solo, anche i cultori della materia che studiano il fenomeno del
Bitcoin in ambito universitario italiano ed internazionale, ritengono più appropriato ritenere questo “strumento” un bene
immateriale.
Altri sono, in tutta evidenza, gli strumenti di pagamento: basti pensare alle moderne app che permettono di scambiare
denaro peer-to-peer o a sistemi di pagamento online come Paypal. Nondimeno, il Bitcoin è da molti utilizzato come
investimento, e non come semplice mezzo di pagamento. In tale ottica, non pare condivisibile la soluzione prospettata
dall’Agenzia delle Entrate che ritiene mancante la finalità speculativa del titolare dei Bitcoin facendo discendere da
quest’elemento l’assenza del ruolo di sostituto di imposta per l’intermediario.
Si pensi alla presunzione di cui all’art. 67, comma 1 lett. c-ter e comma 1-ter) del TUIR, che prevede la tassazione delle
plusvalenze realizzate a fronte di operazioni in valuta solo qualora nell’anno solare, la giacenza complessiva di tutti i
depositi e conti correnti in valuta intrattenuti sia superiore ad Euro 51.645,69 per almeno 7 giorni lavorativi continui.
A ben vedere, per quale ragione l’investimento in Bitcoin non dovrebbe concorrere alla verifica del limite posto dalla
norma? L’Agenzia rischia che si aprano scenari opportunistici di elusione della norma fiscale
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Iva
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Indetraibile l’Iva per la società che in via occasionale effettua la costruzione di
una unità immobiliare abitativa
Risposte a quesiti su casi pratici di attualità e di interesse generale
Per la società, che in via occasionale effettua la costruzione di una unità immobiliare abitativa, tramite anche
imprese appaltatrici, non è consentita la detrazione dell’Iva assolta sui relativi costi ai sensi dell’art. 19-bis1, lettera
i), del D.P.R. n. 633 del 1972. E ciò anche se non si tratta di un’operazione di acquisto ma di costruzione di tale
unità immobiliare per la quale, ai fini dell’imponibilità Iva, la società medesima, secondo la prassi amministrativa,
può assumere invece la qualifica di impresa costruttrice.
D. Una società, che svolge attività di installazione di impianti idraulici, intende procedere alla costruzione, tramite anche
imprese appaltatrici, di un fabbricato, costituito da un immobile strumentale al piano terra e di una unità immobiliare
abitativa al piano superiore, in quanto la nuova localizzazione è più adatta alle sue esigenze logistiche ed organizzative.
Può la società portare in detrazione l’Iva addebitata sulle spese di costruzione relative all’unità abitativa, considerato che
la società stessa assume per tale operazione la qualifica di impresa di costruzione e che, comunque, l’indetraibilità
dell’Iva, ai sensi dell’art.19-bis1, lettera i), del D.P.R. n. 633 del 1972, riguarda solo “l’acquisto” di fabbricati a
destinazione abitativa?
R. In base all’art. 19-bis1, lettera i), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, non è ammessa in detrazione l’Iva relativa
all’acquisto di fabbricati, o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa né quella relativa alla locazione o alla
manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale
dell’attività esercitata la costruzione dei predetti fabbricati o porzioni.
Con riferimento all’unità immobiliare abitativa del fabbricato, tenuto conto della dizione letterale della norma, che
espressamente esclude dal regime di indetraibilità solo le imprese che “hanno per oggetto esclusivo o principale” l’attività
di costruzione, è plausibile ritenere che il diniego di detrazione riguardi anche le imprese considerate costruttrici dalla
prassi amministrativa ai fini dell’applicazione del precedente art. 10, numeri 8, 8-bis e 8-ter.
Si tratta, nello specifico, di quelle imprese che svolgono occasionalmente attività di costruzione o ristrutturazione di
immobili le quali, agli effetti dell’imponibilità Iva prevista dal richiamato art. 10, vengono qualificate “costruttrici” (cfr.:
circolare n. 22/E del 28 giugno 2013).
Avuto riguardo alle diverse finalità delle disposizioni in esame ed alla formulazione del citato art. 19-bis1, lettera i), del
D.P.R. n. 633 del 1972, non appare possibile escludere dal regime di indetraibilità Iva le imprese che in via occasionale
provvedono alla costruzione di un immobile abitativo.
Tale assunto è coerente con i principi generali affermati dalla Corte di Cassazione in materia di detrazione Iva, la quale
ha precisato che l’esercizio di tale diritto richiede l’inerenza dell’operazione all’attività del soggetto, non essendo la
detrazione stessa un diritto generalizzato. E l’inerenza, d’altra parte, va intesa alla luce del nesso di strumentalità del
bene rispetto alla specifica attività d’impresa, occorrendo, appunto, la dimostrazione che il bene acquistato sia
strumentale all’attività imprenditoriale svolta dall’acquirente (cfr.: Corte di Cassazione, sentenze n. 19865 del 14
novembre 2012 e n. 20138 del 16 novembre 2012).
Né può assumere rilievo, per il riconoscimento della detrazione, il fatto che il citato art. 19-bis1, lettera i), del D.P.R. n.
633 del 1972 escluda dalla detrazione l’Iva relativa “all’acquisto” di fabbricati abitativi senza fare alcuna menzione
all’imposta concernente “la costruzione” degli stessi. Secondo l’amministrazione finanziaria e la Corte di Giustizia dell’Ue,
infatti, per quanto riguarda la restrizione del diritto alla detrazione, le fattispecie di “acquisto” e di “costruzione” di
fabbricati abitativi sono soggette al medesimo trattamento Iva, a motivo dell’identità del risultato che determinano (la
disponibilità del bene).
In particolare, con la risoluzione n. 550493 dell’11 agosto 1989 è stato negato il diritto alla detrazione per la costruzione
in economia, da parte di un imprenditore, di un immobile destinato a deposito con riferimento alla quota di proprietà della
moglie non partecipante all’attività d’impresa. Inoltre, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue del 21 aprile 2005,
causa C-25/03 ha precisato, con riguardo ad un immobile abitativo “acquistato o fatto costruire”, che la detrazione Iva sui
costi sostenuti spetta per la porzione dello stesso destinato ad un’attività economica. In relazione a quanto sopra esposto
si ritiene, nel caso di specie, che non sia possibile riscontrare alcun nesso di diretta strumentalità tra l’utilizzo dell’unità
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immobiliare a destinazione abitativa e l’esercizio dell’attività tipica svolta dalla società (installazione di impianti idraulici).
Pertanto, mancando la necessaria inerenza dell’opera di costruzione dell’unità abitativa all’oggetto dell’attività, ne
consegue che la società non può portare in detrazione l’imposta relativa alla costruzione medesima
di Eleuterio Lancia
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Reati
Bancarotta fraudolenta: la distrazione dei beni rileva anche se realizzata prima dello
stato di insolvenza
Secondo Corte Cass. n. 36816, le condotte che determinano una diminuzione del patrimonio, con diminuzione
pregiudizievole per i creditori, assumono rilevanza penale in qualunque tempo siano state commesse. Pertanto,
anche nell’ipotesi di intervenuta dichiarazione di fallimento, tali condotte sono significative anche se commesse nel
periodo in cui l’impresa non versava ancora in stato di insolvenza.
Nel reato di bancarotta fraudolenta, i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono
rilevanza penale in qualunque tempo essi siano stati commessi, e quindi anche se la condotta si è realizzata quando
ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza. Tutte le ipotesi alternative previste dalla norma si realizzano
mediante condotte che determinano una diminuzione del patrimonio, diminuzione pregiudizievole per i creditori: per
nessuna di queste ipotesi la legge richiede un nesso causale o psichico tra la condotta dell’autore e il dissesto
dell’impresa, sicché né la previsione dell’insolvenza come effetto necessario, possibile o probabile, dell’atto dispositivo,
né la percezione della sua preesistenza nel momento del compimento dell’atto, possono essere condizioni essenziali ai
fini dell’antigiuridicità penale della condotta. E del resto, quando il legislatore ha ritenuto necessaria l’esistenza di un tal
nesso, lo ha previsto espressamente nell’ambito della legge fallimentare
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Corte di Cassazione, Sez. VI, sentenza 5/09/2016, n. 36816
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