Come funziona l`apprendimento
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Come funziona l`apprendimento
Metodologie e percorsi per la didattica, l’educazione, la riabilitazione, il recupero e il sostegno Collana diretta da Dario Ianes Antonella Reffieuna Come funziona l’apprendimento Conoscerne i processi per favorirne lo sviluppo in classe Indice Introduzione 7 13 CAP. 1 Apprendimento e cervello 81 CAP. 2 Il processo di apprendimento 169 CAP. 3 L’apprendimento in età prescolare 237 CAP. 4 Prepararsi alla scuola: la school readiness 289 CAP. 5 L’apprendimento scolastico 353 Conclusioni 357 Bibliografia Introduzione Nella letteratura scientifica sull’apprendimento e sullo sviluppo è possibile trovare alcune espressioni non soltanto efficaci nella loro sintesi, ma anche fortemente evocative: born to learn, cioè «nati per apprendere»; eager to learn, cioè «ansiosi di apprendere»; from cradle to desk, cioè «dalla culla alla scrivania»; the scientist in the crib, cioè «lo scienziato nella culla». Elemento comune a tutte è l’importanza attribuita all’apprendimento nelle prime fasi della vita. Il fatto che non solo le espressioni ma anche i testi nei quali sono contenute uniscano al rigore scientifico accenti di vera e propria poesia non è casuale e non è neppure dovuto alla particolare sensibilità di alcuni studiosi: ciò corrisponde piuttosto all’estrinsecazione generalizzata di un senso di meraviglia e di fascinazione nello scoprire nei bambini capacità che fino a qualche decennio fa si ritenevano completamente assenti. In proposito le prime righe del libro The scientist in the crib (Gopnik, Meltzoff e Kuhl, 1999), tradotto purtroppo in italiano con un pessimo titolo (Tuo figlio è un genio), sono esemplificative del modo con cui la scienza può riuscire a catturare l’attenzione anche di persone prive di preparazione specialistica, presentando dati scientifici ma in forma poetica. Molti di noi pensano che sia l’immagine dell’innocenza, che sia privo di difese, completamente dipendente dall’adulto. In realtà ciò che vediamo nella culla è la mente più meravigliosa che sia mai esistita, la più potente macchina capace di apprendere. La bocca e le minuscole dita sono strumenti 8 Come funziona l’apprendimento che esplorano il mondo alieno che lo circonda con una precisione maggiore dei robot inviati su Marte. Le orecchie assumono il ronzio incomprensibile del rumore nel quale è immerso e impeccabilmente lo trasformano in linguaggio pieno di significati. I grandi occhi, che talvolta sembrano scrutare nella tua anima, riescono davvero a decifrare i tuoi sentimenti più profondi. La testolina coperta di peluria contiene un cervello che ogni giorno costruisce milioni di nuove connessioni nervose. Ciò, perlomeno, è quanto ci è stato rivelato da tre decenni di ricerche scientifiche sui bambini. «Ciò che vediamo nella culla è la mente più meravigliosa che sia mai esistita, la più potente macchina capace di apprendere»: è questo il concettochiave che sintetizza le numerose ricerche di carattere multidisciplinare volte a migliorare la comprensione della mente umana. In un documento dell’Institute for Learning and Brain Sciences di Washington (http://ilabs.washington.edu) si afferma, in modo più generale: «Humans are exquisite learning machines», cioè «gli esseri umani sono raffinate macchine per apprendere». L’apprendimento (e in particolare l’apprendimento attraverso l’esperienza) è quindi la caratteristica specie-specifica che ci contraddistingue come esseri umani. Ciascun genitore, nonno, educatore di nido dell’infanzia, ciascuna insegnante di scuola dell’infanzia sa bene quanto desiderio e quanto entusiasmo di apprendere esistano nei bambini piccoli. Del resto è sufficiente pensare alla differenza tra un bambino appena nato e un bambino di 6 anni per rendersi conto di quanti apprendimenti egli ha dovuto realizzare: la massa di conoscenze di cui dispone un bambino all’ingresso nella scuola primaria è tale per cui nessun insegnante dovrebbe essere autorizzato ad affermare, qualche mese più tardi, che egli «non apprende». Eppure è vero che numerosi bambini a scuola incontrano difficoltà e spesso non riescono a imparare. Indubbiamente l’apprendimento scolastico è radicalmente diverso da quello che si realizza nella vita quotidiana. Ci si dovrebbe chiedere, però, se le difficoltà siano dovute a un’impossibilità personale o non derivino piuttosto da ciò che deve essere appreso e dal «modo» con cui ciò che deve essere appreso viene proposto. Gli insegnanti dovrebbero quindi, più correttamente, affermare che il bambino «incontra difficoltà nell’apprendere ciò che la scuola gli propone». In ogni caso, tale precisazione non deve trasformarsi in una semplice presa d’atto della situazione. Le difficoltà di apprendimento scolastico sono infatti spesso accompagnate dallo sviluppo di più generalizzati atteggiamenti negativi verso l’apprendimento. Occorrerebbe fare in modo che l’entusiasmo mostrato nei primi anni di anni di vita, allorché i bambini sono ansiosi di apprendere, a scuola non si trasformi in noia o, talvolta, addirittura in rifiuto e quindi nella decisione di non impegnarsi più. Introduzione 9 Come numerosi psicologi dello sviluppo evidenziano, spesso succede anche che i bambini mostrino una forma di «stupidità nevrotica» che si manifesta solo a scuola: «alla lunga, cozzando contro i molti ostacoli creati dal silenzio, dalle reticenze, dalle spiegazioni sbagliate o incomplete, dai rimproveri per troppa curiosità, un bambino — soprattutto se è timido — può rinunciare a conoscere» (Oliverio Ferraris, 1992, p. 111). È però una stupidità apparente, che non impedisce di realizzare apprendimenti anche molto complessi in altri contesti e che anche a scuola può essere superata. In passato l’apprendimento scolastico non era ritenuto essenziale per la vita: a livello popolare si affermava addirittura che «è meglio un asino vivo che un dottore morto». Ciò poteva anche essere vero in alcuni casi, ma le condizioni di lavoro degli adulti erano molto diverse da quelle offerte dalla società odierna. Molteplici documenti segnalano che se in passato anche le persone con uno scarso livello di scolarizzazione potevano trovare un lavoro ben pagato, oggi l’economia è invece fondata soprattutto sulla fornitura di servizi e di conoscenze, per cui il raggiungimento di un buon livello di vita richiede quasi necessariamente un elevato livello di competenze alfabetiche e matematiche (National Research Council, 1999; 2002; Secretary’s Commission on Achieving Necessary Skills, 1991; Murnane e Levy, 1996; Judy e D’Amico, 1997; Packer, 1997). Il detto popolare, del resto, prescindeva dal considerare che la condizione di «somaro» non è mai stata particolarmente gradevole: come ricorda Daniel Pennac nel suo Diario di scuola (2007, p. 18), i somari erano afflitti dalla «sofferenza di non capire», che però non veniva mai esplicitata ed era spesso celata dietro comportamenti sociali negativi. Oggi l’apprendimento viene considerato l’elemento centrale della vita di un individuo a tutte le età: tutte le strategie degli organismi internazionali (OECD, Unione Europea, ONU, Banca mondiale) sono incentrate sul lifelong learning. Riferirsi al concetto di lifelong learning non significa però semplicemente ritenere che i processi che un tempo si pensavano limitati all’infanzia e alla giovinezza si prolunghino nel tempo o che ci si debba preoccupare (come oggi spesso succede) unicamente delle metodologie di apprendimento adulto. La prospettiva che le scienze dell’apprendimento invitano a considerare è semmai inversa: il lifelong learning rivaluta in realtà l’importanza dell’apprendimento precoce e dell’apprendimento scolastico, che costituiscono le fondamenta dell’apprendimento adulto. Un bambino che non apprenda adeguatamente a scuola rischia quindi di non poter apprendere da adulto e di vedersi precluse molte professioni, oltre che uno sviluppo personale adeguato. 10 Come funziona l’apprendimento Garantire che a scuola gli allievi possano apprendere nel modo migliore significa uscire dall’autoreferenzialità di cui spesso la scuola è stata vittima e passare a una prospettiva che vede invece gli anni di frequenza scolastica come un periodo-chiave della vita di ogni individuo. Ciò richiede cambiamenti radicali nelle metodologie di insegnamento, nell’organizzazione delle classi, nel modo di pensare la relazione insegnante-allievo. Richiede soprattutto di pensare all’allievo in modo diverso, come individuo che funziona unitariamente e nel quale occorre quindi prendere in considerazione tutte le dimensioni che lo costituiscono: sociale, cognitiva, emotiva ma anche biologica. Ciò richiede che gli insegnanti riflettano accuratamente sulle teorie che guidano la loro azione. Argyris (1976; Argyris e Schön, 1974; 1978) evidenziava infatti come anche nei professionisti le teorie dichiarate non sempre coincidano con quelle effettivamente utilizzate a livello operativo. Nella scuola si constata spesso, ad esempio, come gli insegnanti facciano inconsapevolmente ricorso a metodologie che sfruttano i principi del condizionamento operante anziché del costruttivismo e come ciò si risolva, negli allievi, nell’acquisizione di abitudini errate che risulta però molto difficile eliminare o quantomeno modificare: ne sono un esempio gli esercizi di prescrittura utilizzati nella scuola dell’infanzia e nel primo anno della scuola primaria, che spesso inducono ad apprendere abitudini di scrittura errate. In passato gli insegnanti disponevano di un «sapere intuitivo» particolarmente efficace, che si esprimeva in metodologie che oggi spesso vengono recuperate a livello scientifico. Sfuggiva però loro il significato profondo della propria azione e soprattutto sfuggiva spesso la possibilità di generalizzare le soluzioni didattiche a cui erano giunti. Significativo in proposito è quanto mette in evidenza un lavoro americano sulla ricerca scientifica in campo educativo (National Research Council, 2002): si sottolinea infatti come la mancanza di accumulazione di evidenze scientifiche sia stato il maggiore ostacolo alla definizione di una scienza dell’educazione. La mancanza di tale accumulo comporta che gli insegnanti si trovino ad affrontare le proprie classi e a progettare il percorso di apprendimento dei propri alunni senza riferimento a un quadro scientifico consolidato e, soprattutto, condiviso. Ovviamente ciò non significa che sia sufficiente consentire agli insegnanti la padronanza delle teorie: essi necessitano anche di esempi concreti che mostrino loro come si può agire nella quotidianità. Se la teoria viene presentata in modo isolato, con scarsa connessione con la dimensione operativa, nel momento del lavoro sul campo è come se le conoscenze e le concezioni educative sviluppate durante il periodo della formazione iniziale o continua venissero «lavate via» (Zeichner e Tabachnik, 1981; Reffieuna e Bonino, 2001). Introduzione 11 Per questa ragione la nostra trattazione teorica risponderà a due obiettivi: far comprendere le ragioni delle scelte operative e permettere la generalizzazione di tali scelte. Il nostro auspicio è che questo libro possa essere utilizzato non soltanto nella fase della formazione iniziale ma anche come guida didattica per la progettazione delle attività in classe. Ovviamente non si tratta di una guida che contiene un insieme di ricette. Vuole essere invece una sintesi dei risultati più recenti delle ricerche scientifiche in campo psicologico e neuroscientifico, selezionati dal punto di vista di ciò che è utile agli insegnanti. Speriamo perciò possa chiarire efficacemente le ragioni della necessità di ben precise scelte in termini di contenuti e di metodologie e possa soprattutto rammentare la necessità di avere costantemente presente, come riferimento ineliminabile, il funzionamento della mente e del cervello degli alunni. 1 Apprendimento e cervello Diventare persone Nell’ultimo decennio sono stati pubblicati molti affascinanti libri in campi che tradizionalmente non avevano rapporti diretti con i problemi della scuola. Chi però intenda affrontare tali problemi con una prospettiva non limitata dovrebbe forse leggerli attentamente, perché il legame con la scuola è molto più diretto di quanto possa sembrare. Già i titoli denunciano il fascino dei contenuti: Coltivare l’umanità (Nussbaum, 1998), Diventare persone (Nussbaum, 2000), Capacità personale e democrazia sociale (Nussbaum, 2003), Lo sviluppo è libertà (Sen, 1999) sono testi costruiti intorno a una rivisitazione del concetto di persona, collegato alla sostituzione dell’espressione «diritti umani» con i termini «capacità» e «funzionamento». Tale approccio comporta una prospettiva nuova: occorre chiedersi che cosa le persone siano realmente in grado di fare e di essere (Nussbaum, 2000) e dunque occorre identificare le capacità umane fondamentali, di natura universale e quindi superiori a ogni distinzione culturale, etnica, di genere. Le riflessioni di Nussbaum e Sen apparentemente riguardano gli adulti che vivono in paesi non sviluppati; in realtà non soltanto i ragionamenti proposti valgono anche per molta parte della popolazione dei paesi cosiddetti «sviluppati», ma soprattutto per chi si occupi dello sviluppo dei bambini. Secondo il capability approach, infatti, ogni essere umano evidenzia sia capacità sia bisogni 14 Come funziona l’apprendimento ed è vulnerabile nei confronti di una serie di fattori che lo possono rendere incapace o che gli possono impedire l’esercizio delle funzioni necessarie per raggiungere l’obiettivo fondamentale, costituito dalla realizzazione di una vita soddisfacente (Nussbaum e Glover, 1995). Se leggiamo i testi prescindendo dalla cornice economica e geografica, possiamo forse affermare che è come se Nussbaum e Sen si occupassero soprattutto della fase finale dello sviluppo individuale (quella adulta): agli psicologi e agli educatori (oltre che ai politici) il compito di occuparsi delle fasi precedenti. D’altra parte anche nella letteratura psicologica e pedagogica troviamo testi che richiamano (anche se ovviamente in prospettiva diversa) concetti analoghi. La psicologia dello sviluppo ha evidenziato come anche il bambino molto piccolo debba essere considerato una persona e come egli abbia davanti a sé il compito di diventare una persona pienamente realizzata, pienamente funzionante e quindi in possesso di tutte le capacità che gli saranno necessarie nella vita adulta. Per tutti i bambini, qualunque sia la cultura e il paese a cui appartengono, occorre allora prendere in considerazione i fattori negativi che possono comprometterne il pieno sviluppo e dunque il pieno funzionamento. All’interno della Human Development Capability Association (http://www. capabilityapproach.com/index.php) esistono molti contributi di studio relativi sia ai bambini poveri che vivono nei Paesi occidentali sia, più in generale, alla realizzazione dell’equità e alla relazione esistente tra sviluppo delle capacità e istruzione. Significativo, però, che nel gruppo tematico dell’Associazione che si occupa di bambini siano rappresentati economisti, antropologi, demografi, statistici, sociologi, psicologi, ma non ci siano né pedagogisti né persone che si occupino di scuola. Eppure la domanda-chiave dovrebbe essere la stessa: come è possibile promuovere il pieno sviluppo e il pieno funzionamento degli allievi? Se gli studiosi dell’Human Development Capability Approach forniscono il quadro di riferimento filosofico ed economico più generale, le risposte operative devono essere ricercate in altri campi: principalmente nella psicologia dello sviluppo, nelle scienze cognitive e nelle neuroscienze. Elemento comune a tutte le prospettive è in ogni caso il seguente: gli esseri umani sono contraddistinti dal fatto che il loro sviluppo è mediato da processi di apprendimento che, rispetto agli altri esseri viventi, presentano una stupefacente complessità e raffinatezza. L’apprendimento scolastico si presenta solo come una tra le tante tipologie di apprendimento di cui gli esseri umani sono capaci, ma, dopo la prima infanzia, riveste il ruolo di processo-chiave, dal quale dipenderà la qualità dell’essere adulti. Proporsi di far apprendere in modo adeguato i propri allievi non significa quindi preoccuparsi solo di una più efficace memorizzazione dei contenuti delle Apprendimento e cervello 15 discipline scolastiche: significa in primo luogo aiutare gli alunni a comprendere, «imparando ad andare in profondità nei testi e nei fatti e a risolvere problemi complessi, propri del mondo reale» (Sawyer, 2006, p. XIII) e poi metterli nella condizione di poter «rendere visibile» questa comprensione, estrinsecandola in un comportamento capace di affrontare positivamente compiti critici. Sviluppo, crescita e apprendimento: il ruolo del cervello La comprensione piena e corretta del processo di apprendimento ne richiede in primo luogo la collocazione all’interno del più generale processo di sviluppo. Le definizioni più generali considerano lo sviluppo come «il prodotto del flusso di transazioni [cioè di comunicazioni] tra persona e contesto» (Ford e Lerner, 1992, p. 65) e quindi come il processo attraverso il quale, nel corso del tempo, l’individuo realizza modificazioni progressive (Sugarman, 2001). Pertanto: sviluppo = cambiamento. Non tutti i cambiamenti sono però sinonimo di sviluppo: essi devono comportare la realizzazione di un incremento nei parametri che regolano la vita di una persona. Gli studi di Baltes (1987) hanno evidenziato come non tutti i mutamenti debbano avere tale caratteristica: lo sviluppo comporta infatti sia «guadagni» sia «perdite» (ad esempio una delle tappe più importanti dello sviluppo consiste nell’acquisizione della stazione eretta e della deambulazione autonoma, ma essa comporta la perdita parziale della capacità di gattonare, in precedenza particolarmente efficace; si veda figura 1.1). Ciò Fig. 1.1 Un esempio di sviluppo come processo di guadagni e perdite. 16 Come funziona l’apprendimento che conta è il bilancio finale: esso deve essere tale da evidenziare comunque un aumento in termini di complessità, differenziazione, flessibilità, velocità, automatismo. Il cambiamento che determina lo sviluppo è quindi sempre di tipo incrementale. Il processo di guadagni e perdite riguarda tutti gli aspetti dello sviluppo: quindi non solo le capacità motorie, ma anche quelle cognitive. Come vedremo più avanti, ciò influenza da vicino anche l’apprendimento scolastico. I cambiamenti che contrassegnano lo sviluppo e che hanno natura incrementale possono essere raggruppati in tre categorie (si veda tabella 1.1). TabELLA 1.1 Categorie dei cambiamenti (Ford e Lerner, 1992) Crescita Maturazione Apprendimento Aumento permanente della massa totale del corpo o di una sua parte. Progressiva differenziazione ed elaborazione delle strutture biologiche e delle capacità funzionali che conducono gli individui verso gli stati stazionari caratteristici degli individui adulti. Processo attraverso il quale le conoscenze e le capacità vengono acquisite, elaborate o modificate attraverso lo studio, l’addestramento e l’esperienza. Queste tre categorie di cambiamenti sono presenti in tutti gli esseri viventi di natura animale, ma negli esseri umani si presentano con caratteristiche parzialmente diverse. Finora la scuola ha pressoché espunto dalle sue riflessioni i mutamenti legati alla crescita e alla maturazione, ritenendo che dovessero interessare altre categorie professionali (principalmente i medici) e che, comunque, avessero scarsi riflessi sulla capacità di imparare degli allievi. Ciò non è stato casuale; è stata piuttosto la diretta conseguenza dell’aver ignorato l’esistenza dell’influenza che il corpo (inteso secondo la prospettiva dell’embodiment, in base alla quale tutti i processi cognitivi, anche quelli più astratti, dipendono e fanno uso di strutture di carattere biologico, per cui il comportamento intelligente è il frutto della reciproca interazione tra mente, corpo e mondo esterno) e soprattutto un organo di importanza primaria quale il cervello esercitano sui processi cognitivi (si veda box 1.1). Crescita e maturazione assumono infatti un significato particolarmente pregnante se riferiti al cervello. Apprendimento e cervello 17 Box 1.1 Il processo di guadagni e perdite nell’apprendimento scolastico Anche nell’apprendimento scolastico si verificano costantemente processi di guadagni e perdite: a ogni acquisizione di abilità e competenze di ordine superiore vengono parzialmente perdute abilità e competenze di ordine inferiore. È possibile riscontrare tali processi soprattutto nelle modalità di memorizzazione. Fino a circa 7 anni il bambino utilizza esclusivamente la memoria biologica e non è capace di utilizzare memorie esterne. Egli, quindi, memorizza efficacemente solo ciò che possiede una forte coloritura emotiva, un’accentuata ritmicità o musicalità, oppure ciò che stimola la formazione di immagini mentali (Bonino e Reffieuna, 2006) o che può essere accostato secondo il criterio dell’analogia. Ciò spiega perché il bambino memorizza efficacemente le fiabe e non ci si può permettere di modificare le parole utilizzate per raccontarle. L’apprendimento della lingua scritta comporta due grandi cambiamenti, riferiti alla progressiva capacità di fare ricorso a strategie di tipo logico e classificatorio e di utilizzare memorie esterne, quali i libri o gli appunti. Quando tale apprendimento sarà compiutamente realizzato e il bambino saprà utilizzare le nuove strategie, la memoria analogica sarà meno efficace ed egli potrà ad esempio incontrare difficoltà nel ricordare ciò che viene trasmesso solo oralmente. Questo esempio permette di comprendere molto chiaramente perché i guadagni devono essere superiori alle perdite: l’utilizzo di memorie esterne e il ricorso a strategie di tipo logico devono infatti consentire di ricordare un numero di informazioni molto più elevato e molto più complesso di quello reso possibile dalla memoria analogica. Se ciò non si verifica vuol dire che non si è realizzato un reale apprendimento e che quindi non si è prodotto uno sviluppo. Allorché sono in gioco lo sviluppo cognitivo e l’apprendimento scolastico, il computo di guadagni e perdite è certamente molto difficile da realizzare, ma è il criterio di valutazione più interessante, in quanto non guarda isolatamente al prodotto dell’attività dell’alunno ma prende in considerazione ciò che si è verificato all’interno della sua mente. Ovviamente non è un criterio utilizzabile quotidianamente, anche perché i tempi dello sviluppo non sono mai brevi. Sarebbe però opportuno che nel corso dell’anno scolastico almeno un paio di volte si sottoponessero gli alunni non alle consuete prove di verifica, ma a prove volte a stabilire che cosa hanno «guadagnato» e che cosa hanno «perduto». Le sinapsi Alla nascita il cervello presenta dimensioni pari ai 2/3 di quella dell’età adulta (National Research Council, 2000a). La crescita del cervello riguarda tre dimensioni: il peso, il volume e il numero di connessioni esistenti tra i neuroni (cioè le sinapsi). L’elemento che influenza più direttamente l’apprendimento è riferito però alle connessioni esistenti tra i neuroni, che corrispondono all’esistenza 5 L’apprendimento scolastico Da 0 a 6 anni «Tra il primo giorno di vita e il primo giorno di scuola, lo sviluppo procede a un ritmo velocissimo, quale non si verifica in altri momenti della vita» (Shonkoff e Phillips, 2000, p. 89): l’interesse appassionato con cui il neonato guardava fissamente gli altri bambini si è trasformato in capacità di cooperazione, di empatia e amicizia; i tentativi di fare i primi passi sono evoluti nella capacità di fare piroette, salti, equilibrismi arditi; il neonato del tutto inconsapevole è diventato un bambino capace di descriversi in modo dettagliato e il cui comportamento è parzialmente motivato da come egli ritiene lo vogliano e lo giudichino le persone che lo circondano; il primo risoluto «no!» si è trasformato nella capacità di elaborare ragionamenti complessi; il bambino che non sapeva se i suoi giocattoli continuavano a esistere anche quando erano nascosti da una coperta è diventato capace di spiegare l’elaborata sequenza causale attraverso la quale mescolando farina, acqua, sale e polvere colorata si ottiene un impasto per giocare. A questo punto il bambino è pronto per affrontare l’ingresso nella scuola primaria, che si presenta come una delle transizioni più significative della vita di un individuo (Snow, 2006), accompagnata sia da forti aspettative sia da forti ansie. I bambini, che sanno cogliere l’essenziale, vi giungono convinti che finalmente potranno imparare a leggere e scrivere «come i grandi». Lettura e scrittura, infatti, sono considerate attività «adulte» per eccellenza. 290 Come funziona l’apprendimento La lingua scritta come regolatore Le aspettative dei bambini corrispondono a quella che dovrebbe essere la struttura-cardine del curriculum della scuola primaria: l’apprendimento della lingua scritta si presenta infatti come elemento-chiave, tale da influenzare tutti gli apprendimenti disciplinari. La progressiva padronanza della lingua scritta delinea dunque una «agenda dello sviluppo» (Sameroff, 1989) con cadenze temporali molto ben definite e contrassegnate dalla progressiva acquisizione non solo di nuove capacità e abilità strumentali ma anche di nuove modalità di funzionamento mentale e di nuove forme di pensiero: mentre al momento dell’ingresso nella scuola primaria il bambino è fondamentalmente un individuo analfabeta, con un linguaggio e un pensiero contrassegnati dall’oralità primaria, dopo cinque anni dovrebbe essersi trasformato in un individuo pienamente alfabetizzato, «padrone» delle strutture della lingua scritta e delle forme superiori di pensiero, quindi capace di apprendere ogni disciplina. La progressiva competenza nella lingua scritta funziona pertanto da «regolatore» dell’intero processo dell’apprendimento scolastico. La presenza di tale progressione e la lunga durata (ben cinque anni) della scuola primaria comportano che quest’ultima non possa essere considerata un periodo omogeneo: ogni annualità possiede infatti caratteristiche precipue, che occorre prendere in considerazione se si intendono organizzare percorsi di apprendimento che portino al successo. In particolare, le diverse modalità di apprendimento che caratterizzano ciascuna di queste annualità corrispondono a modalità di funzionamento mentale molto diverse, rese però coerenti dal fatto di concorrere tutte allo sviluppo negli alunni di forme di pensiero «superiore». La stretta relazione tra costruzione della competenza nella lingua scritta e sviluppo del pensiero, già evidenziata da Vygotskij (1930-1931), non sempre è però sufficientemente presente nella consapevolezza degli insegnanti, i quali ritengono troppo spesso che l’apprendimento della lettura e della scrittura sia assimilabile esclusivamente all’acquisizione di una «tecnica» e, soprattutto, pensano all’apprendimento della lingua scritta come processo separato dall’apprendimento delle altre discipline. La prospettiva che intendiamo proporre fa invece riferimento alla lingua scritta come strumento cognitivo, che rende possibile e accompagna (oppure ostacola) ogni altro apprendimento scolastico. Evidenzieremo pertanto quali aspetti gli insegnanti dovrebbero porre al centro dell’attenzione in ogni annualità della scuola primaria, sottolineando le relazioni esistenti tra lettura e scrittura da un lato e capacità di pensiero dall’altra. L’apprendimento scolastico 291 Come già abbiamo ricordato nel capitolo 4, in età prescolare il bambino può essere considerato a pieno titolo un individuo analfabeta anche se vive in un contesto alfabetizzato e ha quotidianamente contatto con la lingua scritta. Il suo linguaggio obbedisce infatti alle leggi dell’oralità: è narrativo, ritmico, ripetitivo, ridondante. Di conseguenza, anche il suo pensiero è condizionato dall’oralità: ha bisogno di riferimenti concreti e non riesce a costruire relazioni logiche formali. Ciò che risulta interessante (e che si è potuto constatare ad esempio nei bambini anticipatari, si veda Reffieuna, 2003) è il fatto che anche qualora raggiunga precocemente la capacità di leggere e scrivere, il bambino continua a funzionare come individuo «orale». Le insegnanti riferiscono infatti che «è come se i bambini attribuissero alla lingua scritta un significato diverso rispetto ai compagni». Che fin verso i 7 anni il bambino non consideri la lingua scritta come strumento è confermato dal fatto che quasi sempre prima dei 6 anni i bambini non utilizzano autonomamente la scrittura per esprimere propri pensieri e non sono in grado di imparare da ciò che leggono: essi amano scrivere perché amano riprodurre le forme complesse delle lettere e delle parole e sono in grado di decodificare messaggi scritti, ma non riescono ad esempio a capire il significato di una frase letta sul libro o sul fumetto. Ciò trova riscontro nelle osservazioni che ogni genitore e ogni insegnante possono a proposito realizzare e che depongono a favore dell’ipotesi (ormai confermata dalle ricerche neuroscientifiche) secondo cui la maturazione biologica del cervello influenza profondamente il funzionamento mentale del bambino. Infatti fin verso i 7 anni il bambino utilizza esclusivamente la memoria biologica e quindi non è in grado di usare quella che si può considerare una memoria esterna per eccellenza, cioè la scrittura. Tale limite richiama però contemporaneamente l’attenzione su un elemento particolarmente significativo: l’apprendimento della lingua scritta potenzia enormemente la memoria dell’individuo, proprio perché gli permette di disporre di forme di memoria esterne rispetto alla sua mente e a cui può fare ricorso in momenti temporali diversi. Questo fatto, su cui gli insegnanti scarsamente si soffermano, si richiama anche a quanto Fischer (OECD-CERI, 2007) evidenzia quando rammenta come verso i 4, i 7 e gli 11 anni si verifichino improvvisi «scatti in avanti», per cui se i soggetti si trovano in condizioni ottimali (a livello individuale e contestuale) riescono ad avere performance che sono le migliori che un soggetto di quell’età possa avere. Il fondamento biologico di tali «scatti» è ovviamente fuori discussione e ci induce una volta di più a sottolineare l’importanza di agire in modo che gli apprendimenti realizzati siano coerenti con lo sviluppo 292 Come funziona l’apprendimento del cervello: le diverse fasi di competenza nella lingua scritta da una parte richiedono un cervello che sia giunto a un certo livello di sviluppo, ma dall’altro facilitano tale sviluppo. Anche in campo scolastico, quindi, fattori biologici e fattori esperienziali agiscono insieme. Articolazione temporale e processualità dell’apprendimento L’organizzazione temporale della scuola primaria non dovrebbe prescindere da tali considerazioni e non dovrebbe essere legata (come invece spesso accade) a motivazioni estrinseche. Se si è davvero convinti della centralità che riveste l’apprendimento della lingua scritta, allora l’articolazione dovrebbe essere la seguente: – Classi prima e seconda →apprendimento strumentale della lingua scritta; →passaggio dall’apprendimento strumentale – Classe terza all’apprendimento funzionale: introduzione allo studio e al linguaggio disciplinare; – Classe quarta e quinta →apprendimento funzionale della lingua scritta e dei fondamenti delle discipline. Tale articolazione temporale è la conseguenza diretta del fatto che l’apprendimento della lingua scritta si configura come processo che avviene nel corso del tempo e risulta quindi caratterizzato dalla sequenzialità. Può sembrare un’affermazione tautologica: non solo nelle pubblicazioni scientifiche ma anche in quelle didattiche si parla spesso di processo di scrittura e di lettura; in passato si sono sovente invitati gli insegnanti a valutare i processi e non soltanto i risultati. Il problema sta nel fatto che non si è mai precisato che cosa comporti fare riferimento a un processo e ciò ha spesso comportato conseguenze negative in termini di risultato finale dell’apprendimento. Comprendere che cosa implica un processo è invece, nell’istruzione scolastica, particolarmente importante in quanto non soltanto permette di definire come progressivamente si costruisce una competenza, ma consente altresì di capire come si manifestano le difficoltà e i disturbi di apprendimento. Il termine processo richiama fondamentalmente il fatto che esiste un risultato finale conseguito nel corso del tempo attraverso una serie di fasi che si presentano in una sequenza abbastanza rigida e tra le quali esiste un ordine gerarchico (Bordens e Abbott, 2008; Rescher, 1996; si veda box 5.1). Il processo richiama quindi necessariamente l’esistenza di una direzione, di una progressione realizzata attraverso attività che diventano mano a mano più L’apprendimento scolastico 293 Box 5.1 L’ordine di sviluppo delle capacità La progressione che caratterizza ogni apprendimento richiama il fatto che per ogni capacità è possibile individuare un ordine di sviluppo. Alcune delle fasi possono parzialmente sovrapporsi, ma in linea generale la sequenzialità e la gradualità rimangono valide. È necessario però sempre rammentare che non si tratta di un ordine estrinseco, definito a priori, ma corrisponde al modo con cui le diverse capacità emergono nel bambino nel corso del tempo. Può essere considerato paradigmatico l’ordine di sviluppo della capacità di scrittura, in cui è possibile definire le seguenti fasi. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. Impugnatura della penna Scarabocchio Riproduzione di forme geometriche Sequenzialità da sinistra a destra e da alto in basso Riproduzione delle lettere come forme Codifica Separazione tra parole Ortografia Punteggiatura Coerenza logica tra le frasi Scrittura di un testo Tipologie diverse di testi. Ovviamente nella realtà l’ordine non è così rigido e alcune di queste fasi possono anche parzialmente sovrapporsi. Nell’insieme, però, la sequenzialità rimane valida e, se rispettata, può evitare l’emergere di difficoltà di apprendimento, legate al fatto che gli alunni talvolta si trovano ad affrontare compiti più complessi a età inferiori e compiti più semplici in età successive. complesse, più differenziate, più organizzate, più specifiche e più gerarchizzate (Werner, 1940), come si coglie facilmente ad esempio nello sviluppo motorio. La presenza di fasi come elemento caratterizzante ogni processo induce a riflettere con maggiore attenzione sulle attività proposte agli alunni e sugli stessi contenuti, a precisare come si realizza l’apprendimento nonché a individuare i fattori che influenzano il risultato finale (Averch et al., 1972). Parlare di processo di apprendimento della lingua scritta significa, quindi, fare riferimento a un elevato numero di strategie, le quali, se presentate attraverso attività congruenti e supportate adeguatamente dall’insegnante, permettono agli allievi di diventare «buoni lettori» e «buoni scrittori». E sono 294 Come funziona l’apprendimento proprio le modalità attraverso cui raggiungere questo obiettivo che, a nostro avviso, confermano la necessità dell’articolazione temporale sopra riportata. Nell’ambito della scuola primaria, infatti, l’allievo acquisisce prima le capacità di codifica e decodifica di un testo scritto, poi passa a una fase di scrittura autonoma in cui però l’attenzione si indirizza prevalentemente all’ortografia e alla sintassi, per giungere infine a una fase in cui invece l’attenzione si può indirizzare verso il contenuto e l’organizzazione (Goldstein e Carr, 1996). Richiamare la presenza di fasi non significa però propugnare un apprendimento di carattere lineare e prescrittivo. L’apprendimento della lingua scritta è infatti un processo di carattere ricorsivo che richiama numerose strategie procedurali e che quindi risulta influenzato anche dall’individualità dell’allievo. Occorre pertanto tenere presente che la rigidità si riferisce alla successione delle fasi, ma che all’interno di ciascuna di esse esiste la più ampia libertà in termini di attività, materiali, strategie. In questo quadro l’insegnante assume il ruolo di facilitatore (Cohen, 1994; Rogoff, 1998; Sawyer, 2004; 2006) e non di colui che fornisce un’istruzione diretta: non tiene lezioni, ma cerca di comprendere come stia avvenendo il processo e quale supporto si renda necessario (Pritchard e Honeycutt, 2007). Soprattutto, anch’egli risulta attivamente coinvolto nel processo in quanto persona che ha effettuato la stessa esperienza e ciò risulta particolarmente produttivo dal punto di vista dello sviluppo professionale in quanto conduce a una comprensione profonda del processo stesso (Pritchard e Honeycutt, 2007). Per insegnare a leggere e scrivere occorre cioè ricordare quando a propria volta si è imparato a leggere e scrivere, nonché soffermarsi sulle difficoltà che si sono personalmente incontrate per poter poi riflettere su quelle che incontrano gli allievi. Modelli gerarchici di apprendimento La riflessione personale non è però sufficiente: occorrono voci «esterne» che indirizzino l’attenzione verso variabili e situazioni che non sempre l’insegnante, da solo, riesce a individuare. Per questo risulta particolarmente produttivo fare riferimento alle ricerche di due studiose: Jeanne Chall (1983) e Uta Frith (1985; 1986). Entrambe hanno delineato modelli gerarchici di apprendimento della lettura accomunati dal fatto che l’acquisizione delle capacità di ogni livello presuppone la piena padronanza delle capacità del livello precedente. Rientrano quindi pienamente in un approccio processuale allo sviluppo della lettura. L’apprendimento scolastico 295 Box 5.2 Le ricerche di Jeanne Chall (1921-1999) Le ricerche di Jeanne Chall furono incentrate sulle modalità di prevenzione delle difficoltà di lettura. Erano gli anni in cui a scuola risultavano prevalenti i metodi globali di insegnamento, contrapposti ai metodi che privilegiavano il riferimento alla decodifica e quindi a processi di tipo analitico. Chall si propose di definire quale fosse il metodo migliore per insegnare a leggere a un bambino. Significativamente il suo primo libro si intitolava Why Johnny can’t read and what you can do about it (1955). Nel 1967 pubblicò Learning to read: The great debate, che sintetizzava i risultati del suo lavoro di ricerca sugli studi realizzati tra il 1910 e il 1965 sul processo di lettura. Chall concluse che le ricerche scientifiche deponevano a favore dei metodi di tipo fonetico. Che i metodi globali fossero stati presentati come efficaci dipendeva solo dal fatto che ci si riferiva esclusivamente ai risultati ottenuti nel primo anno di scuola. In realtà i bambini mancavano delle capacità per affrontare la lettura delle singole parole e quindi non potevano affrontare il passaggio alla lettura autonoma. I metodi fonetici si fondano invece sulla logica e quindi, secondo Chall, sono preferibili. Chall ritiene comunque che per far apprendere a leggere e scrivere non si deve far riferimento a un solo metodo di insegnamento, in quanto nessun singolo metodo può, da solo, garantire il successo nell’apprendimento. Il metodo globale non deve pertanto essere totalmente abbandonato: può invece essere utilizzato per apprendere a leggere parole irregolari e per consentire ai bambini un avvio anticipato alla lettura nei primi anni di vita. In ogni caso, oggi non esistono più dubbi sul fatto che per apprendere a leggere e scrivere il bambino debba disporre della consapevolezza fonologica ed è stato confermato che i metodi di tipo fonetico non permettono solo l’apprendimento dei processi di decodifica e codifica, ma migliorano anche la comprensione del significato di ciò che il bambino legge (Moore, 2004). Molti dei testi successivi di Chall sono incentrati sull’importanza della dimensione fonetica. Quello più innovativo è comunque The stages of reading development (1983), in cui la studiosa illustra le fasi necessarie per imparare a leggere in modo adeguato, ma riveste particolare interesse anche la lettura del suo ultimo testo, pubblicato postumo nel 2000 (The academic achievement challenge), dove, secondo quello che fu il suo stile di lavoro, Chall invita a riflettere sul fatto che i metodi di insegnamento di tipo direttivo sono più efficaci di quelli incentrati sull’allievo. L’importanza degli studi di Jeanne Chall, del tutto sconosciuti in Italia, è confermata dal numero di citazioni ottenute in pubblicazioni scientifiche (si veda in proposito Google scholar). I due modelli fanno riferimento a estensioni temporali diverse: il modello di Chall giunge fino all’età adulta e propone come ultima fase quella relativa all’acquisizione della capacità di decostruire e ricostruire il testo (si veda box 5.2).