isola di pasqua - flavio facchinetti

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isola di pasqua - flavio facchinetti
ISOLA DI PASQUA
ISOLA DI PASQUA
Stefania ed io partiamo da Tahiti, in Polinesia, per raggiungere l’Isola di Pasqua,
sorvolando l’Oceano Pacifico per oltre 4000 km, tanto che dal finestrino dell’aereo si
scorge solo acqua per tutte le cinque ore di volo. L’Isola di Pasqua, meta lontana,
lontanissima, si trova a 1900 km dall’isola più vicina e a 3760 km dal continente
Americano, di cui politicamente ne fa parte. La percezione di totale isolamento con il
resto del mondo è fortissima!
Eseguito l’atterraggio, prima di permetterci di toccare il suolo, le hostess
disinfettano con potenti spray insetticida l’interno del velivolo e con esso tutti i
passeggeri: si vuole proteggere il delicato equilibrio ecologico dell’isola!
Direttamente all’aeroporto c’è la possibilità di incontrare i numerosi proprietari di
alloggi ed hotel e contrattare con loro sul prezzo del pernottamento, fortunatamente
siamo in bassa stagione e ne approfittiamo per ottenere un splendida camera con uso
cucina dell’abitazione ad un prezzo davvero speciale. Come in Polinesia, e forse di più,
anche qui tutto arriva con voli aerei, ne risulta che i costi sono esorbitanti.
L’Isola di Pasqua appartiene al territorio cileno e la popolazione è un miscuglio di tratti
somatici tra polinesiani e latino-americani. Il villaggio di Hanga Roa è l’unico esistente
sull’isola ed è qui che vive la quasi totalità della popolazione. Gli abitanti si dedicano
all’allevamento di bestiame, all’agricoltura, alla pesca, ma soprattutto al turismo. La
popolazione dell’isola non raggiunge i 3000 abitanti e nonostante siamo in territorio
cileno, per il 70% l’ origine è polinesiana.
Sull’isola non esistono mezzi pubblici e per spostarsi è possibile affittare fuoristrada,
anche se la soluzione migliore per chi ha tempo e fiato è di muoversi a piedi o in
bicicletta. Vista l’intenzione di “passare a setaccio” l’intera isola, per altro di
dimensioni contenute, sezioniamo virtualmente in diverse aree le varie mete e, da
Hanga Roa, dove pernottiamo, visitiamo le più vicine a piedi mentre le più lontane in
mountain bike.
Due sono gli enigmi principali che caratterizzano ancora oggi l’Isola di Pasqua: come
riuscirono popolazioni remote ad arrivare fino a qui e a colonizzare l’isola e come gli
indigeni riuscirono a scolpire e trasportare dalle cave i “moai”, le enormi sculture in
tufo vulcanico, alte dai 2 metri a poco meno dei 21 metri, che hanno conferito all’isola
l’importanza storico-archeologica che merita. Tutto il territorio è disseminato da
queste imponenti sculture.
Il nostro primo incontro è non lontano da Hanga Roa, nel sito di Ahu Tahai. Appoggiati
su ampi basamenti in pietra, denominati “ahu”, sorgono appunto due “moai”: figure
maestose ed enigmatiche si innalzano nel cielo azzurro. Pur essendo sostanzialmente
simili, in genere ogni statua differisce per piccoli particolari. Qui, in particolare, il
personaggio scolpito è riprodotto a mezzo busto, appoggia le mani sul ventre e
presenta un viso allungato con naso decisamente pronunciato e orecchie lunghe.
ISOLA DI PASQUA
Passeggiando lungo la costa frastagliata, visitiamo numerose grotte utilizzate in
epoche passate come abitazioni, raggiungendo la località di Ahu Te Peu, che ospita i
resti di singolari case ellittiche. Di queste sono attualmente visibili i basamenti in
pietra: la loro forma ricorda una barca rovesciata. Gli indigeni inserivano in cavità
predisposte nei basamenti in pietra e a distanze regolari pali di legno con la funzione
di sostegno statico della struttura, che arcuati creavano una struttura semicircolare
portante e irrigidita trasversalmente da una serie di ulteriori travi in legno. La
struttura era infine rivestita con materiale vegetale. Le costruzioni più grandi
potevano ospitare anche 100 persone. Il sito di Ahu Akivi è il momento magico della
giornata. Qui sono presenti perfettamente restaurati negli anni sessanta e allineati
sette moai, appoggiati su un enorme basamento in pietra.
L’indomani mattina, per mezzo di mountain bike percorriamo piste sterrate sino alla
cava di Rano Raraku. Il differente e più severo clima dell’isola rispetto alla mite
Polinesia mi causa un potente raffreddore, che incide non poco sul mio umore. Qui
però è tutto troppo bello e ci vorrebbero ben altri malanni per incrinare il mio
interesse. Stefania ama muoversi in bicicletta ed è radiosa. Lungo il percorso
osserviamo numerosi siti che ospitano giganteschi “moai” divelti e rovesciati con la
faccia a terra. Nella cava di Rano Raraku, la scena che si presenta è spettacolare: si
perdono davanti ai nostri occhi decine e decine di “moai” in piedi ed altrettanti ancora
distesi in costruzione in attesa quasi di essere completati. Il cantiere è situato
all’interno, sulle pendici e all’esterno del vulcano Rano Raraku. Si contano
complessivamente oltre 600 sculture. All’interno del cratere un piccolo lago rende il
panorama ancora più suggestivo, da qui infatti ammiriamo stupiti il sito di Ahu
Tongariki, situato non molto distante, con i suoi 15 “moai” allineati di fronte
all’immensità dell’oceano.
Pedalando sulla pista sterrata veniamo colti da un violento acquazzone che trasforma
la pista in un acquitrino. Malgrado la continua variabilità delle condizioni climatiche,
riusciamo a godere della silenziosa pace dell’unica spiaggia sabbiosa dell’isola: Anakena.
Il passaggio in pick-up offerto da un abitante locale si rivela provvidenziale visto che
ci consente di evitare il faticoso e “umido” rientro in balia dei capricci meteorologici.
Merita senza dubbio una visita il sito di Ahu Vinapu, raggiungibile a piedi da Hanga
Roa. Qui è presente un basamento in pietra (denominato “ahu”) di “moai” oramai
divelti e rimossi, costruito con la medesima tecnica che ho potuto osservare presso le
culture Incas (Perù) e di Tihuanaco (Bolivia). I massi sono sovrapposti e incuneati tra
loro con una precisione incredibile, non lasciando intercapedini accessibili neanche ad
una lametta da barba.
L’ultimo giorno passeggiamo accompagnati da un cane che incontriamo lungo il tragitto.
E’ un pastore tedesco e con noi si inerpica sul vulcano Ranu Kau. Dalla sommità del
monte la vista è splendida e consente di farsi un’idea della morfologia del territorio.
Infatti, è vero che l’isola ha un predominante richiamo storico - archeologico ma non è
sottovalutare il particolare aspetto naturalistico. Rapa Nui grazie al suo particolare
ISOLA DI PASQUA
clima caratterizzato da venti, acquazzoni tropicali e correnti oceaniche, rimane
un’isola selvaggia e dai panorami stupendi.
E’ il nostro ultimo giorno e da questo punto salutiamo Rapa Nui, ringraziandola per le
grandi emozioni in questo breve ma intenso soggiorno.
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