l`età dei lumi e delle riforme

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INSEGNAMENTO DI
STORIA MODERNA
LEZIONE XV
“L’ETÀ DEI LUMI E DELLE RIFORME”
PROF. DANIELE CASANOVA
L’età dei Lumi e delle Riforme
Storia Moderna
Indice
1
L’Illuminismo ---------------------------------------------------------------------------------------------- 3
2
Il dibattito storiografico sull’Illuminismo. ----------------------------------------------------------- 5
3
Cultura, politica e la nascita delle nuove scienze---------------------------------------------------- 8
4
L’assolutismo illuminato ------------------------------------------------------------------------------- 11
5
Dispotismo e riforme in Austria e nel resto d’Europa ------------------------------------------- 13
6
Cronologia ------------------------------------------------------------------------------------------------- 16
7
Bibliografia ------------------------------------------------------------------------------------------------ 18
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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1 L’Illuminismo
Alla domanda “Che cos’è l’Illuminismo?”, così rispondeva Immanuel Kant nel 1783:
“L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità che egli deve imputare a se stesso.
Minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se
stessi è questa minorità,se la causa di essa non dipende da difetto d’intelligenza, ma dalla mancanza
di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere
aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E’ questo il motto
dell’Illuminismo”. Il secolo dei lumi vide, dunque, l’uso spregiudicato della ragione applicato a tutti
i campi. L’Illuminismo circolava nelle scoperte degli scienziati che rifondarono interi settori del
sapere come la chimica (Lavoisier), la zoologia (Linneo), la genetica (Spallanzani) e così via; nelle
invenzioni e nelle innovazioni tecniche, nelle esplorazioni del mondo umano prima sconosciuto o
sbarrato dai pregiudizi.
La prima idea guida del dibattito illuministico fu il nesso religione-libertà-tolleranza. Il tema
era stato affrontato per la prima volta dall’olandese Baruch Spinoza (1632-1677), che nella sua
opera più importante, il Trattato teologico-politico (1670) assoggettò per la prima volta la Bibbia
alla critica filologica. A parere di Spinoza sul rifiuto del pregiudizio religioso in Olanda potevano
prosperare ed espandersi traffici e commerci. Scriveva Spinoza “Ad Amsterdam convivono in
perfetta concordia uomini di tutte le nazioni e di tutte le religioni”. Essi “per affidare i propri beni a
qualcuno si preoccupano soltanto di sapere se costui sia ricco o povero, se sia solito agire in buona
o mala fede. La religione o la setta a cui egli appartiene non interessa affatto, perché ciò non
contribuisce per nulla a far loro vincere o perdere la causa dinanzi al giudice”. La libertà di pensiero
aveva dunque anche indubitabili effetti economici. Sempre in Olanda visse un altro dei padri
fondatori del moderno principo di tolleranza: Pierre Bayle (1647-1706), costretto ad emigrare in
dalla Francia per sfuggire alle persecuzioni successive alla revoca dell’Editto di Nantes. La
polemica di Bayle colpì non solo l’intolleranza cattolica ma anche quella calvinista e prospettò la
possibilità di una società laica che poteva tranquillamente fare a meno della religione.
A questi precedenti si collegarono sia l’Ateismo che il Deismo, una filosofia razionalista
della religione. Deista fu il più popolare degli illuministi, Francois Marie Arouet, detto Voltaire
(1694-1778), scrittore poliedrico, polemista efficacissimo, autore di romanzi, poemi e opere di
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storia e di politica. Partiti invece da posizioni atee, altri esponenti di primo piano dell’Illuminismo
come Paul Henri Dietrich, barone d’Holbache (1723-1789)e Denis Diderot (1713-1784) riflettevano
sui principi organizzativi e sull’evoluzione della natura e delle forme di vita, enunciando le basi del
moderno materialismo. Osservazione dei fatti, metodo sperimentale, rigorosa applicazione
dell’analisi filologico-critica formavano l’abito quotidiano degli illuministi. Jean Baptiste Roland
D’Alambert (1713-1783), uno degli ispiratori dell’Enciclopedia scrisse che la metafisica poteva
essere considerata la “fisica sperimentale dell’anima”. Quella illuminista fu una cultura pratica:
scienza e tecnica, ma anche cultura e politica stabilivano nuovi rapporti di collaborazione. Come
scrisse un grande illuminista napoletano, Gaetano Filangieri (1753-1788), la filosofia andava in
soccorso dei governi.
L’illuminismo fu una cultura universale e cosmopolita, ma anche fortemente connotata nelle
diverse aree europee. La Francia fu il centro del movimento, qui i philosophes, gli intellettuali
dell’Illuminismo, si posero l’obiettivo di dirigere la società, investendone con il lume della ragione
tutti i settori e gli aspetti.
Le analogie che caratterizzarono gli illuministi europei furono almeno trre. La prima è il
sentimento di appartenenza alla stessa comunità letteraria, la seconda è la capacità di incidere come
gruppo di pressione nella formazione dell’opinione pubblica, la terza è la rivendicazione della
funzione di classe dirigente. Ma sul terreno dei rapporti tra cultura e politica le posizioni dei
philosophes e degli illuministi europei non furono affatto omogenee e seguirono percorsi diversi.
Alla dialettica interna delle idee illuministiche va aggiunta la resistenza che le forze conservatrici
operarono contro le forze del rinnovamento, resistenza che contribuì non poco a ridimensionare
l’influenza degli innovatori sulla concreta attività di governo e sulla prassi politica degli Stati, anche
laddove il livello di elaborazione politico-culturale degli intellettuali progressisti fu davvero elevato.
Ma fu soprattutto sul terreno dell’organizzazione della cultura che l’Illuminismo produsse
modelli radicalmente innovativi rispetto al passato, come la già citata Enciclopedia o Dizionario
ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, un’opera in 17 volumi di testo e 11 di illustrazioni,
pubblicata a Parigi tra il 1751 e il 1772. La più importante iniziativa editoriale del Settecento fu
diretta da Diderot e D’Alambert e vide la partecipazione dei maggiori pensatori francesi del tempo,
Rousseau, Quesnay, Montesquieu, ecc. La diffusione dell’opera fu enorme in tutti i paesi europei e
raggiunse una tiratura di circa 300.000 copie.
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2 Il dibattito storiografico sull’Illuminismo.
Avviatosi sin dal XVIII secolo il dibattito sull’Illuminismo non si è mai spento. Già gli
autori settecenteschi - tra cui il filosofo prussiano Immanuel Kant (1724-1804) e il filosofo e
drammaturgo Gotthold Lessing (1729-1781) – ribadivano l’eterogeneità del concetto e il fatto che il
processo di educare l’uomo all’uso della ragione fosse ben lungi dall’essere completato. Da questo
momento e sino ad oggi, il dibattito che ne scaturì assunse forme e connotazioni differenti nei
diversi contesti nazionali e culturali. Sino alla fine degli anni Sessanta del Novecento gli storici,
concepivano l’illuminismo, pur riconoscendo l’esistenza di molte divergenze su alcune questioni,
come un fenomeno relativamente unitario nelle storia delle idee, idee generate da un canone
stabilito di grandi pensatori quali i francesi Charles Louis Montesquieu (1689-1755), Denis Diderot
(1713-1774) o lo stesso Kant.
Pietra miliare di quest’approccio fu la pubblicazione nel 1932 dell’opera di Ernst Cassirer
Die Philosophie der Aufklarung in cui l’illuminismo veniva definito come il periodo racchiuso tra
le vite di due filosofi: Gottfried Wilhem Leibniz (1646-1716) e Kant. Nell’approccio del filosofo
tedesco l’illuminismo veniva visto come un sistema di valori radicato nella razionalità. La sua linea
interpretativa concepiva l’illuminismo come un movimento intellettuale di grandi pensatori europei
e si curava poco del contesto politico e dell’impatto di quelle idee sulla società. Tale punto di vista
fu ripreso e sviluppato dallo storico tedesco, emigrato nel 1941 in America, Peter Gay nel saggio
The Enlightenment: An Interpretation: The Rise of Modern Paganism, pubblicato nel 1966. Alla
luce della sua interpretazione, che definiva il programma illuministico come una forma di ostilità
verso la religione e come la ricerca della libertà e del progresso attraverso l’uso critico della ragione
e quindi portatore di un programma liberale, Gay incluse tra i pensatori illuministi gli americani
Thoma Jefferson (1743-1826) e Benjamin Franklin (1706-1796) e interpretò la realizzazione della
rivoluzione americana come la realizzazione dei programmi illuministici.
La sintesi di Gay, che dominò gli studi storici sull’argomento per tutti gli anni Sessanta, non
permetteva di comprendere gli sviluppi e l’impatto delle idee illuministiche nelle società coloniali o
in altre zone periferiche alla stessa Europa. Fu lo storico italiano Franco Venturi a dimostrare che le
idee illuministiche ebbero una straordinaria forza di penetrazione anche in quelle nazioni europee
ritenute periferiche come l’Italia, la Grecia, la Polonia, la Russia, ecc. L’opera di Venturi,
Settecento Riformatore, prestava seria attenzione al nesso tra le idee illuministiche, la loro
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trasmissione mediante giornali, pamphlet, lettere e libri e gli avvenimenti politici dei singoli Stati.
L’illuminismo non poteva più essere visto come un movimento intellettuale autonomo e confinato
esclusivamente all’Europa occidentale, né come un movimento costituito solo da un ristretto gruppo
di grandi pensatori. Inoltre, un altro grande merito di Venturi è stato quello di offrire una cronologia
dell’Illuminismo non legata alla vita dei grandi pensatori, bensì a misurazioni economiche e
demografiche. Alla fine degli anni Settanta gli storici erano molto più interessati, quindi, alle basi
sociali dell’Illuminismo, al problema della diffusione e dell’uso delle idee illuministiche e delle
risposte suscitate da queste nella società. Ad esempio Robert Darnton e Roger Chartier, due storici
francesi formatisi alla scuola delle Annales, hanno indagato, tra l’altro, l’accoglienza e la
penetrazione dell’illuminismo in gruppi sociali eterogenei, quali i contadini o gli apprendisti
tipografi, fornendo una serie di dati, anche di natura quantitativa, sui lettori, sugli editori, sui libri e
sui giornali venduti in quel periodo. In particolare, la ricerca si è molto soffermata sul contesto
sociale in cui furono prodotte, accolte e diffuse le idee illuministiche. Un altro storico francese,
Daniel Roche alla fine degli anni Settanta ha studiato le accademie provinciali transalpine.
L’incremento di libri, giornali e riviste risulta un dato costante in tutt’Europa, tanto che per
alcuni storici alla fine del secolo si produsse una “rivoluzione della lettura” dovuta anche alla
nascita di scrittori professionisti e alla pubblicazione di libri per un mercato rurale semi
alfabetizzato, venduti alle fiere di campagna e librerie meno rinomate, come ad esempio la
Biblioteca blu del tipografo editore francese Oudot. A tale proposito lo storico tedesco Rolf
Engelsing afferma che alla fine del Settecento le persone si orientarono verso una lettura solitaria di
tipo estensivo, cioè di molte opere a stampa, favorita dalla nascita di nuovi generi letterari come i
romanzi, la letteratura di viaggi, di storia naturale, quella scientifica, la letteratura per l’infanzia;
mentre persero la loro preminenza le opere teologiche e devozionali. Accanto alla parola scritta è
stata rilevata anche l’importanza che ebbero le raffigurazioni visive nella trasmissione delle idee.
Altri studiosi hanno dedicato una particolare attenzione alla nascita in tutta Europa di nuove
istituzioni ed organizzazioni culturali - logge massoniche, accademie (Royal Society di Londra,
Accademia delle Scienze di Parigi), società erudite, caffè, biblioteche circolanti (che prestavano
libri a basso costo) - che permettevano non solo la circolazione delle idee, ma nell’insieme
favorirono la nascita dell’opinione pubblica e la formazione di una nuova sfera pubblica, frutto non
solo delle idee illuministiche ma di tutti quegli amplissimi mutamenti, sociali e politici, che si
produssero in Europa e nel resto del mondo. Un altro filone di studi, infine, ha indagato il rapporto
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tra religione e illuminismo. Peter Gay, nel 1966 intitolò lo studio dedicato all’Illuminismo La
nascita del paganesimo moderno proprio a sottolineare l’eliminazione del soprannaturale dalla sfera
umana, intendendo con ciò il crollo di una visione del mondo come abitato da forze e potenze
magiche o spirituali, organizzatrici di un cosmo misterioso. Questa percezione dell’illuminismo
come epoca di declino della religione soprannaturale è anche rilevata da Michel Vovelle per il sud
della Francia. Lo storico francese ha denominato questo fenomeno “scristianizzazione”,
deducendolo dalla rarefazione delle formule religiose nei testamenti e dalla diminuzione dei lasciti
per finalità religiose.
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3 Cultura, politica e la nascita delle nuove scienze
Nel 1748, l’anno della pace di Aquisgrana, fu pubblicato a Parigi l’Esprit des lois, opera di
Charles Louis de Secondat, barone di Montesquieu (1689-1755), una delle opere più importanti del
pensiero illuminista. Libro composito in cui confluiscono considerazioni politiche, morali e
giuridiche, nel quale Montesquieu, dopo aver descritto i tre sistemi politici fondamentali
(repubblica, monarchia, dispotismo, rispettivamente retti da virtù, onore e paura) sottolineò
l’importanza dei corpi intermedi, come i Parlamenti, quali antidoti della degenerazione delle
monarchie in dispotismo. Dall’esame del sistema politico inglese trasse la convinzione
dell’importanza della separazione dei poteri: legislativo, esecutivo e giudiziario. La difesa del
principio della separazione dei poteri è il contributo maggiore di Montesquieu al costituzionalismo
liberale e democratico dei secoli successivi. Negli stessi anni maturò il pensiero di Jean Jacques
Russeau (1712-1778) la personalità più complessa dell’illuminismo europeo. Ginevrino, figlio di un
orologiaio, dopo una giovinezza irrequieta, entrò in contatto a Parigi con i circoli culturali e
collaborò all’Enciclopedia con articoli di argomento musicale e redigendo la voce Economia
politica. Nei suoi primi scritti, tra cui il Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza tra
gli uomini (1755), nei quali Rousseau criticava radicalmente la società e le istituzioni, e guardava
alla storia come progressiva decadenza e corruzione, rispetto a uno stato originario in cui gli uomini
erano innocenti e uguali. Fondamento dell’ineguaglianza era stata l’introduzione della proprietà
privata. Queste posizioni determinarono la rottura di Rousseau con gran parte degli enciclopedisti e
dei philosophes e ben l’intellettuale ginevrino elaborò un a proposta di rifondazione della società e
dell’uomo: al progetto politico esposto nel Contratto sociale (1762) affiancò infatti nello stesso
anno l’Emilio un progetto pedagogico, che rovesciava le tradizioni del passato e promuoveva una
nuova pedagogia, fondata sul principio del libero sviluppo della personalità del bambino. Ma un
nuovo ordine politico, secondo Rousseau, poteva scaturire soltanto da un particolare tipo di
contratto sociale la cui clausola fondamentale consisteva nell’alienazione dei diritti del singolo a
favore della comunità. Il modello sociale proposto da Rousseau aveva la possibilità di realizzarsi
solo in un regime di democrazia diretta.
Un altro aspetto della straordinaria ricchezza del pensiero illuminista è testimoniato dalla
nascita dell’economia politica, costituitasi come disciplina autonoma ad opera della scuola
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fisiocratica francese e dello scozzese Adam Smith. Essi furono infatti i primi ad individuare un
preciso campo d’indagine, quello della produzione, al fine di costruire un modello di funzionamento
che rendesse conto degli elementi che compongono il sistema economico e della loro indipendenza.
Il maggior teorico della fisiocrazia Francois Quesnay (1694-1774), medico e naturalista, individuò
nell’agricoltura l’attività economica fondamentale, ne scaturirono proposte tese a favorire il suo
sviluppo capitalistico e la libertà dei commerci. Il salto di qualità che consentì di superare gli
elementi naturalistici del pensiero fisiocratico fu compiuto grazie all’opera di Adam Smith (17231790). Smith, come il filosofo David Hume, rintracciava nel sentimento il movente dell’agire e
dell’associarsi, e nell’utile individuale e sociale il fondamentale criterio di comportamento. Nel suo
capolavoro Ricerche sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (1776), come i fisiocratici,
approdò alla convinzione che il libero mercato e il libero scambio fossero le condizioni ottimali per
lo sviluppo dell’attività economica. La ricchezza e l’importanza delle sue analisi ne fecero il
fondatore di quella che sarà definita l’economi classica e il primo teorico del liberismo. Il pensiero
illuminista fecondò molti campi d’indagine: si affermò una concezione della storia nuova, che
superò la concezione provvidenzialistica a favore di una visione laica della storia, attenta alla
società e ai modi di vita. Si gettarono le basi dell’antropologia e dell’etnologia; grandi progressi si
ebbero nel campo delle scienze naturali. Significativo fu il sorgere e il diffondersi in tutt’Europa di
accademie agrarie votate al miglioramento dell’agricoltura.
Tutti i paesi europei parteciparono, in maggiore o minor misura, al movimento illuminista.
Dal Portogallo alla Svezia, dalla Polonia all’Italia, fu tutto un fiorire di opere, di periodici, di
gazzette e di accademie ispirate agli ideali e ai programmi dei Lumi. Le origini dell’Illuminismo nel
mondo tedesco furono legate alla lotta contro il dogmatismo e l’autoritarismo della Chiesa luterana;
Kant il suo esponente di maggior rilievo, interpretò l’Illuminismo come il coraggio di far uso del
proprio intelletto senza sottostare alla guida di altri. Particolarmente ricco fu l’apporto dell’Italia al
movimento illuminista, soprattutto per l’attenzione rivolta ai problemi dell’economia e degli
ordinamenti giuridici. Nella penisola si era già avuto un rinnovamento culturale precedente
all’Illuminismo con Ludovico Antonio Muratori (1672-1750), esponente di un cattolicesimo che
potremmo definire illuminato, e con due grandi pensatori meridionali: Gian Battista Vico (16681744), autore della Scienza Nuova in cui affrontò in modo originale e innovativo le problematiche
della storia, e Pietro Giannone (1676-1748), che nell’Istoria civile del Regno di Napoli rivendicò la
supremazia dello Stato sulla Chiesa e pose le basi del giurisdizionalismo. Le sue teorie, ostili a ogni
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forma di potere temporale della Chiesa, gli costarono le persecuzioni ecclesiastiche e la morte in
carcere. Proprio nel Regno di Napoli, i problemi dei rapporti con la Chiesa e l’analisi di delle
condizioni economiche accompagnarono tutta l’opera di rinnovamento culturale intrapresa dagli
illuministi. La maggiore personalità dell’illuminismo napoletano fu Antonio Genovesi (1713-1769),
seguace di Locke, studioso di filosofia e di economia. Dal 1754 tenne la cattedra di “Commercio e
meccanica” all’Università di Napoli e al suo insegnamento si formò la generazione successiva di
riformatori napoletani. Nelle lezioni di Commercio (1765-1767) propugnò uno sviluppo delle
manifatture e dell’agricoltura volto a sollevare il Regno di Napoli dall’arretratezza. Altri illustri
esponenti dell’Illuminismo napoletano furono Ferdinando Galiani (1728-1787) e Gaetano Filangieri
(1752-1785), le cui opere, rispettivamente Della moneta (1751) e la Scienza della legislazione
(1780-1785), raggiunsero una notorietà europea. L’altro grande centro dell’Illuminismo italiano fu
Milano dove, intorno alla rivista “Il Caffè” (1764-1766), impegnata nella lotta per le riforme, si
raccolsero Cesare Beccaria e i fratelli Alessandro e Pietro Verri. Legato alla ricca atmosfera
culturale e ai dibattiti del “Caffè” fu Dei delitti e delle pene, il breve volume di straordinario
successo contro la pena di morte e la tortura, che Beccaria pubblicò nel 1764.
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4 L’assolutismo illuminato
Una parte della creatività progettuale dell’Illuminismo si tradusse in riforme. Un primo
nucleo di interventi riguardò la terra e l’agricoltura. I problemi da affrontare soprattutto nei paesi
cattolici europei erano legati all’esistenza di vasti patrimoni immobilizzati come proprietà
ecclesiastiche (manimorte). Si trattava di un’istituzione giuridica tipica dell’ancien régime, in base
alla quale i patrimoni ereditati dalla Chiesa o dai luoghi pii non potevano più essere scorporati e
venduti. Accanto alle proprietà ecclesiastiche vi era poi il fedecommesso, un istituto giuridico che
immobilizzava i patrimoni delle famigli aristocratiche. L’esistenza di questi vincoli impediva lo
sviluppo di un’agricoltura capitalistica moderna, come quella che era nata in Inghilterra con le
recinzioni. L’intenso dibattito, tuttavia, si tradusse in interventi legislativi parziali che non
riuscirono ad intaccare questi due blocchi di potere. Altrettanto difficili si rivelarono le riforme
fiscali, che avrebbero dovuto realizzare una maggiore giustizia fra i contribuenti. Anche in questo
campo, nonostante gli scarsi risultati, l’attività dei riformatori non fu uno sforzo inutile, in quanto
non solo cominciò a corrodere antichi privilegi, ma creò effettivamente i presupposti di un nuovo
sviluppo economico e sociale.
Più fortunata fu l’opera riformatrice per quanto riguarda le istituzioni civili della società:
riforma delle leggi attraverso codici più moderni e razionali, riforme dell’istruzione, che sottrassero
al monopolio della Chiesa e degli ordini religiosi non solo le università, ma anche la scuola
secondaria e primaria. Passi notevoli furono compiuti nel settore della progressiva laicizzazione
dello Stato. Gran parte delle riforme furono attuate nel contesto dell’assolutismo illuminato,
utilizzando cioè le capacità riformatrici degli Stati assoluti e forzando un sistema di potere
tradizionale ad agire per la pubblica felicità. Questo rapporto col “dispotismo illuminato” fu
certamente il principale limite dell’incidenza riformatrice.
Il simbolo più rappresentativo del potere ecclesiastico era costituito dalla Compagnia di
Gesù, presente in tutti gli Stati cattolici. La lotta contro i gesuiti per i legami profondi che essi
avevano con le classi dirigenti locali, per la smisurata ricchezza, la dipendenza da Roma e per il
controllo che esercitavano sull’istruzione e la cultura, interessavi, quindi, diversi piani: morale,
politico, economico e pedagogico-culturale. L’iniziativa di una politica antigesuitica che culminò
con la loro cacciata fu presa dal Portogallo sotto la guida dell’energico ministro riformatore
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Pombal. Il processo e la condanna di alcun gesuiti per aver cospirato contro la sicurezza dello Stato
e la cacciata della Compagnia dal paese (1759) furono un esempio per molti Stati europei. La
Spagna di Carlo III espulse i gesuiti (1767) anche dai territori americani, dove essi controllavano
vasti territori e molte comunità indigene. In Francia l’iniziativa fu presa dai parlamentari influenzati
dai philosophes. L’abolizione della Compagnia fu decretata da Clemente XIV nel 1773.
L’abolizione dei gesuiti lasciava agli Stati non soltanto notevoli patrimoni, ma anche la necessità di
rispondere ai problemi dell’istruzione fino ad allora monopolio della Compagnia di Gesù. Per
alcuni decenni l’ordine dei gesuiti sarebbe stato prossimo all’estinzione, esso, infatti, avrebbe
continuato a essere attivo soltanto in Russia, ma fu restaurato nel 1814 da Pio VII.
L’altro settore d’intervento dell’assolutismo illuminato fu quello amministrativo, dove si
mirò a rendere più razionale la macchina statale. In molti Stati, ma soprattutto in Austria e nei suoi
domini, fu avviata l’imponente impresa di della redazione di un catasto dei beni terrieri e
immobiliari, attraverso una precisa misurazione e descrizione delle proprietà, destinata a migliorare
e a differenziare l’imposizione fiscale , a renderla quindi se non più equa almeno più certa.
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5 Dispotismo e riforme in Austria e nel resto
d’Europa
Le monarchie che con maggiore continuità si impegnarono nella realizzazione di un
programma di riforme furono l’Austria e la Prussia, le due potenze rivali nell’Europa centrale. E fu
proprio la reciproca conflittualità a stimolare il rafforzamento e la riorganizzazione dello Stato.
Durante il regno di Maria Teresa (1740-1780) furono realizzate le principali riforme nell’Impero
asburgico. L’imperatrice prese una complessa serie di provvedimenti tesi a ridurre i particolarismi
locali e a separare competenze e attribuzioni ancora confuse. L’amministrazione fu accentrata in sei
dipartimenti e fu conferito a un Consiglio di Stato di sei membri un ruolo decisivo di
coordinamento. Principale consigliere della sovrana e ispiratore della sua politica fu il conte von
Kaunitz, ministro degli Esteri e cancelliere. Con Maria Teresa si venne formando quell’apparato
statale che costituì sino alla fine dell’Ottocento la struttura portante del composito impero
asburgico. La centralizzazione delle funzioni amministrative contribuì a fare di Vienna una capitale
vivace e cosmopolita, meta di intellettuali e artisti, sede, con Haydn e Mozart, della più vivace
civiltà musicale del tempo.
Lo slancio riformatore di Maria Teresa, volto a realizzare uno Stato compatto, efficiente e
libero dal condizionamento del clero, era strettamente legato alle vicende belliche, produttrici di
scompiglio e povertà. Sotto la spinta del deficit statale che ammontava a 22 milioni di fiorini e delle
necessità belliche, occorreva uno sforzo economico non indifferente e per tale motivo si ricorse alle
ricchezze della Chiesa. Il campo di sperimentazione di questa nuova politica fu la Lombardia.
Inizialmente si scelse la via della trattativa. Alla richiesta di Kaunitz di ottenere un autorizzazione
papale a riscuotere tasse straordinarie sui beni del clero lombardo, Clemente XIII, rispose con
tergiversazioni e dinieghi, ciò comportò il trasferimento della contesa sul piano dei principi. Nel
1765 fu istituita una Giunta per le materie ecclesiastiche(Giunta economale) che in breve gettò le
basi di importanti provvedimenti e attaccò i privilegi del clero. Con la legge sulla manomorta del
1767 si proibiva alla Chiesa lombarda l’acquisto di ulteriori beni immobili e mobili e l’autorità
civile, tramite la Giunta economale, si riservava il più ampio controllo sulla Chiesa. Con le
Istruzioni segrete per la Giunta economale, reatte da Kaunitz, veniva rivendicata la sovranità dello
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Stato nelle cose temporali e prospettato un intervento in campo spirituale, erano, così, fissati i
cardini del giuseppinismo, che ha le sue radici nel Regno di Maria Teresa. Nel quadro disegnato
dalle Istruzioni, i provvedimenti riformatori si susseguirono con fermezza. Alla fine del 1768 fu
attuata la riorganizzazione della censura sui libri, che fu tolta dalle mani degli ecclesiastici e affidata
ad una Deputazione agli Studi; poi furono soppressi i piccoli conventi e abolite le carceri esistenti
presso i regolari, allo stesso tempo fu emanato un editto per ridurre le pompe delle cerimonie
religiose. Nel 1771 furono adottate misure per ridurre il numero dei preti e vietare loro attività non
confacenti all’abito che indossavano. Nel 1775 fu abolita l’Inquisizione e il Foro ecclesiastico. Ciò
che fu sperimentato in Lombardia fu poi attuato nel resto dell’impero: in Austria, il Concessus in
Publico Ecclesiasticis, creato nel 1769 sul modello della Giunta Economale, promosse una serie di
riforme analoghe a quelle lombarde.
Le riforme di Maria Teresa in altre materie, sebbene sortirono molti effetti positivi, furono
osteggiati dalla nobiltà. Ad esempio in Ungheria, l’aumento del contributo fiscale fu osteggiato
dalla Dieta e dalla nobiltà, così come l’emanazione di un regolamento che disciplinava le corvées
dei contadini. Maria Teresa si preoccupò anche di favorire lo sviluppo manifatturiero, nel quale
l’iniziativa statale si affiancò a quella nobiliare. In campo scolastico le iniziative di riforme si
ampliarono dopo lo scioglimento della Compagnia di Gesù (1773) quando fu progettata una
completa riorganizzazione degli studi. Per quanto riguarda la giustizia la realizzazione più
importante fu il codice penale entrato in vigore nel 1770 ad esclusione dell’Ungheria. Anche in
campo militare furono adottate diverse riforme tra cui l’introduzione di un sistema di coscrizione
simile a quello prussiano (1771). L’azione riformatrice ricevette un nuovo impulso con Giuseppe II
(1765-1790) - già imperatore e associato al trono dal 1765 - quando successe alla madre nel 1780.
Le ribellioni autonomistiche suscitate dal riformismo giuseppino, insieme allo scoppio della
Rivoluzione francese, indussero il suo successore Leopoldo II (1790-1792), già granduca di
Toscana con il nome di Pietro Leopoldo, ad adottare una politica più moderata.
In Prussia l’azione di Federico II Hohenzollern (1740-1786) fu caratterizzata da un dualismo
tra principi illuminati e politica di potenza. Fu consolidato l’esercito e, soprattutto, venne creata
un’aristocrazia militare legata al sovrano. In Russia l’azione riformatrice di Caterina II (1762-1796)
fu assai limitata. L’arretratezza e le resistenze della Russia tradizionale obbligarono infatti la
monarchia a promuovere quell’organizzazione per ceti che era messa in crisi nel resto d’Europa. In
Italia l’attività riformatrice fu limitata al Regno di Napoli, alla Lombardia austriaca e alla Toscana.
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L’età dei Lumi e delle Riforme
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Nel Regno di Napoli uno slancio giurisdizionalista e anticurialista accompagnò il regno di Carlo di
Borbone (1734-1759) e, quando il re con il nome di Carlo III divenne re di Spagna, la reggenza del
ministro Bernanrdo Tanucci (1759-1776), tuttavia, se paragonata all’ampiezza del dibattito e alla
ricchezza di proposte degli illuministi meridionali, l’azione riformatrice fu alquanto deludente e si
limitò alla redazione di un catasto redatto sulle dichiarazioni dei proprietari (e non sulla misurazione
compiuta dai periti dell’amministrazione) e ad interventi a favore degli scambi commerciali e a
misure giurisdizionaliste. In Toscana sotto Pietro Leopoldo (1765-1790), salvo che per il catasto, si
sperimentarono tutti gli interventi più tipici dell’assolutismo illuminato. Anzi, il granducato fu il
primo paese ad accogliere le idee di Beccaria e nel 1786 oltre all’introduzione del codice penale fu
abolita la pena di morte. In campo economico fu avviata una politica liberista e si cercò, senza
successo, di favorire la formazione di un ceto di piccoli proprietari contadini.
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Storia Moderna
6 Cronologia
Austria e Impero
Giuseppe I (1705-1711)
Carlo VI (1711-1740). Fratello di Giuseppe I, nel 1713 fece redigere la Prammatica
Sanzione con la quale si vietava la divisione del regno alla sua morte e si aboliva la legge salica,
che impediva alle figlie femmine di succedere al trono.
Maria Teresa d’Austria (1740-1780) figlia di Carlo VI nel 1745 fece eleggere imperatore il
marito Francesco III Stefano di Lorena (dal 1736 Granduca di Toscana).
Giuseppe II (1780-1790) imperatore alla morte del padre nel 1765, dal 1765 al 1780 fu
correggente dell’impero austriaco insieme alla madre.
Prussia
Federico I di Hohenzollern (1701-1713) primo re di Prussia
Federico Guglielmo I di Hohenzollern (1713-1740)
Federico II di Hohenzollern, detto Federico il Grande (1740-1783)
Regno di Napoli
Carlo di Borbone (1734-1759)
Ferdinando di Borbone (1759-1824)
Toscana
Leopoldo II d'Asburgo-Lorena (1765-1790). Nono dei 16 figli di Maria Teresa d’Asburgo e
di Francesco I di Lorena, era il secondo maschio per cui, come dai patti dinastici stabiliti dopo
l'estinzione della famiglia Medici, dopo la morte del padre ottenne la corona di Toscana, che era
separata e indipendente da quella d'Austria. Divenne imperatore dopo la morte del fratello,
Giuseppe II.
Francia
Luigi XIV (1643-1715)
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Storia Moderna
Luigi XV (1715-1774)
Luigi XVI (1774-1792)
Inghilterra
Giorgio I (1714-1727)
Giorgio II (1727-1760)
Giorgio III (1760-1820) il primo degli Hannover a nascere in Inghilterra.
Spagna
Filippo V di Borbone (1713-1746)
Ferdinando VI (1746-1759)
Carlo III (1759-1788), figlio di Elisabetta Farnese (seconda moglie di Filippo V), fu re di
Napoli dal 1734 al 1759.
Carlo IV (1788-1808)
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L’età dei Lumi e delle Riforme
Storia Moderna
7 Bibliografia
D. Outram, L’Illuminismo, Il Mulino, Bologna, 1997.
P. Chaunu, La civiltà dell’Europa dei Lumi¸Bologna, Il Mulino, 1987.
F. Venturi, Settecento riformatore, Einaudi, Torino, 1969-1987, 5 voll.
L. Guerci, Le monarchie assolute. Permanenze e mutamenti nell’Europa del
Settecento, Utet, Torino, 1986.
F. Diaz, Dal movimento dei Lumi al movimento dei popoli. L’Europa tra illuminismo
e rivoluzione, Il Mulino, Bologna, 1986.
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