Seneca De Clementia 1,1-4
Transcript
Seneca De Clementia 1,1-4
SENECA DE CLEMENTIA 1, 1-4 © GSCATULLO Seneca, De Clementia 1, 1-4 L’Autore Vita Seneca nasce nel 4 a.C. a Cordova (Spagna betica), una zona fortemente romanizzata e di forte tradizione repubblicana, in una ricca famiglia equestre. Era il secondo genito di Seneca il Vecchio, dopo Marco Anneo Novato ed aveva per fratello minore Anneo Mela. Seneca si recò a Roma dove ricevette un’accurata educazione filosofica, fu allievo dello stoico Attalo, del neopitagorico greco Sozione e dell’ex retore Papirio Fabiano. Nel 31 d.C. intraprende la carriera forensepolitica con grande successo, provocando le invidie dell’imperatore Caligola che lo condanna a morte; salvo grazie all’intercessione di un’influente donna di corte, è costretto a lasciare la carriera forense. Caduto in disgrazia presso Messalina, moglie dell’imperatore Claudio, Seneca fu accusato di adulterio con Giulia Livilla, sorella di Caligola e figlia di Germanico. Probabilmente si trattò di un complotto politico volto a colpire la famiglia del precedente imperatore, vicina al Senato e filo-repubblicana. Nel 41 a.C. Seneca fu condannato alla relegatio, una pena consistente nell’allontanamento dalla patria, che a differenza dell’esilio non comportava il sequestro dei beni. Nel 49 d.C. Seneca viene richiamato a Roma da Agrippina, seconda moglie di Claudio, che lo volle come precettore dell’undicenne Domizio, figlio di primo letto della donna adottato dall’Imperatore che gli succederà come Nerone. Tra il 54 e il 59 d.C. nel quinquennio felix Seneca governa Roma assieme ad Agrippina e ad Afranio Burro, sino al matricidio che Nerone compie forse su suo consiglio, almeno secondo i sospetti dello storico greco Cassio Dione (155 d.C.). Dopo il 62 d.C., con la morte per avvelenamento di Burro e la sua sostituzione con Ofonio Tigellino, preferisce ritirarsi dalla politica. Inviso all’imperatore nel 65 d.C. Seneca, ormai anziano, viene istigato al suicidio accusato di aver partecipato alla congiura dei Pisoni. Opere Il corpus delle opere di Seneca è vastissimo, e le opere che lo compongono varie ma legate tra loro. 10 opere sono raccolte in dodici libri con il titolo di Dialogi. 2 Trattati dal contenuto morale: il De Beneficis in 7 libri, ed il De Clementia in 3 libri. 1 trattato filosofico scientifico, il Naturales Questiones in 7 libri. 124 Epistolae ad Lucillium, in 20 libri. 1 prosimetro, il Ludus de Mortis Claudi. 9 Tragedie coturnate ed una praetexta (la Ottavia), che però è spuria. Circolano sotto il suo nome anche gli Epigrammi e l’Epistolario (apocrifo) tra Seneca e San Paolo. De Clementia Il De Clementia è un trattato, datato tra il 55 e il 56 d.C. e probabilmente incompleto. Possediamo il primo e il secondo libro, mentre in maniera lacunosa il terzo. È rivolto ad un Nerone – da questo se ne ricava la datazione – molto giovane, diciottenne, per suggerirgli il modo migliore di governare. Da quest’opera prendono spunto i medievali specula principis e, abbandonando l’attenzione per il discorso morale, il Principe di Macchiavelli. La figura cui pensa Seneca è un principe moderato e paternalistico con i sudditi: l’autore non sconfessa il potere imperiale ma pone l’attenzione sulla necessità di un’etica interiore in chi lo detiene che in assenza di leggi che limitino il principe, egli impedisca di cadere nel dispotismo. Lo stile argomentativo è molto simile a quello dei Dialogi ma non fu incluso nell’opera dall’editore o, sposando la lezione di alcuni studiosi, dello stesso Seneca. Sulle motivazioni che hanno portato a questa scelta bisogna considerare l’eminente destinatario (l’Imperatore) o l’esplicito impegno politico. Libro I Funge da introduzione in cui viene spiegato che la clemenza è una virtù divina, così che l’imperatore viene paragonato a Dio. Viene espressa una concezione fortemente paternalistica a vantaggio sia dei sudditi che dell’Imperatore, garantendo così una serenità nel governo. Libro II Sorge una trattazione sulla natura della Clemenza, che è diversa dalla compassione. Quest’ultima considerata vizio dagli stoici, poiché visto come sentimento irrazionale. La Clemenza invece è intesa dal neostoicismo, in maniera vicina al diritto romano, che la intendeva come la possibilità per il giudice di mutare una pena in una più lieve: l’Imperatore dispone dunque di un potere grandissimo controllabile con la virtus. Libro III Si interroga su come sia raggiungibile la Clemenza. L’intento è raggiungere un pubblico particolarmente ampio per mostrare il proprio impegno politico a favore della concordia tra Senato e Imperatore: rassegnandosi alla forma monarchica, Seneca proponeva un ritorno all’epoca d’Augusto, in accordo con la somiglianza della concezione imperiale con la filosofia stoica: un Λόγος che è provvidenza per la molteplicità, così l’Imperatore provvede all’Impero con la Clemenza. Opere precedenti nella letteratura classica che presentano consonanze con questa potrebbero essere la Repubblica dei filosofi, di Platone, e l’impostazione ciceroniana del cittadino-filosofo. Tuttavia nel caso di Seneca non è il filosofo ad avere il potere, ma colui che lo detiene a doversi educare alla filosofia. Spesso vengono citati esempi greci, come Ciro, ed altri sovrani noti per la magnanimità e l’etica. Testo Il passo del De Clementia presentato è quello con cui Seneca apre la trattazione filosofica. Risulta interessante sotto diversi aspetti: anzitutto appare sin da subito chiaro il tentativo di Seneca di porsi come un filosofo al fianco dell’Imperatore, giovanissimo, per aiutarlo a governare, è il quinquennio felix 54-59 d.C. Questo ruolo da un lato richiamava quello immaginato da Platone della filosofia al governo, o quantomeno vicino ad esso, dall’altro dava all’aristocrazia, la classe sociale appartenuta a Seneca, emarginata nell’ottica dell’Impero, un ruolo da ricoprire al fianco del sovrano. Il secondo aspetto evince dalla prosopopea di Nerone (1, 2-4) in cui Seneca, per bocca dello stesso imperatore, fa un ritratto esplicito del regime in vigore come qualcosa di sostanzialmente diverso dalla Repubblica, disilludendo il sogno aristocratico sotto il regno di Augusto, ma un governo effettivamente di uno. Un regime assoluto dove chi detiene il potere deve essere necessariamente educato al suo esercizio. Testo originale Traduzione 1 Scribere de clementia, Nero Caesar, institui, ut Ho deciso, o Cesare Nerone, di scrivere riguardo la quodam modo speculi vice fungerer et te tibi clemenza per assolvere in qualche modo il ostenderem perventurum ad voluptatem compito di uno specchio e per mostrare te a te stesso che stai per giungere al potere più grande maximam omnium. di tutti. ut finale, con fungor che regge l’ablativo (vice). perventurum participio futuro. te tibi poliptoto. Quamvis enim recte factorum verus fructus sit fecisse nec ullum virtutum pretium dignum illis extra ipsas sit, iuvat inspicere et circumire bonam conscientiam, tum immittere oculos in hanc immensam multitudinem discordem, seditiosam, impotentem, in perniciem alienam suamque pariter exsultaturam, si hoc iugum fregerit, et ita loqui secum. Infatti sebbene il vero frutto dell’agire bene stia nell’averlo fatto e nessuna ricompensa degna della virtù ci sia al di fuori delle virtù stesse, giova guardare dentro di sé e osservare la [propria] buona coscienza, poi badare a questa immensa moltitudine doscorde, seviziosa, incapace di governarsi e parimenti con l’intenzione di gettarsi alla distruzione propria e altrui, se dovesse spezzare questo giogo e così che parli con sé stesso. Quamvis: anche se. Si costruisce con il congiuntivo, introduce una concessiva. dignus si costruisce con l’ablativo. et ita loqui secum retto sempre da iuvat. inspiecere guardare dentro sé (in-). circumire osservare da ogni lato. immittere oculos osservare [la folla…] 2 Egone ex omnibus mortalibus placui electusque «Proprio io tra tutti i mortali sono piacuto e sono sum, qui in terris deorum vice fungerer? Ego vitae stato scelto, per esercitare sulla terra la funzione necisque gentibus arbiter; qualem quisque sortem degli dei? Io (sono) arbitro di vita e di morte per i statumque habeat, in mea manu positum est; quid popoli, quale sorte ciascuno abbia è posta in mano cuique mortalium Fortuna datum velit, meo ore mia; la Fortuna esprime per mezzo della mia bocca pronuntiat; ex nostro responso laetitiae causas ciò che essa vuole sia dato a ciascuno degli uomini; dalle nostre parole i popoli e le città concepiscono populi urbesque concipiunt; motivi di gioia. gentibus è un dativo volutamente ambiguo nella sua funzione: è di vantaggio se il governo imperiale è qui introduce una relativa impropria. qualem introduce interrogativa indiretta dipendente dalla successiva in mea manu positum est. inteso come quello di Augusto, di svantaggio se quello di Caligola o di Claudio. datum sott’intende un esse. quisque ciascuno, e cuique sono paralleli. nulla pars usquam nisi volente propitioque me floret; haec tot milia gladiorum, quae pax mea comprimit, ad nutum meum stringentur; quas nationes funditus excidi, quas transportari, quibus libertatem dari, quibus eripi, quos reges mancipia fieri quorumque capiti regium circumdari decus oporteat, quae ruant urbes, quae oriantur, mea iuris dictio est. Nessuna regione può fiorire se io non sono favorevole, tante migliaia di spade che la mia pace ora trattiene ad un mio cenno saranno impugnate. Quali nazioni conviene che siano sterminate completamente, quali che siano deportate, a quali che sia concessa la libertà a quali popoli sia strappata, quali re convine siano ridotti in schiavitù e quale testa di quali re sia invece circondata dal decoro regale, quali città decadano e quali sorgano e un mio potere deciderlo. nulla pars usquam nessuna parte in qualche luogo (usquam, avv.) = nessuna regione. volente propitioque me ablativo assoluto. quas... interrogative indirette caratterizzate da infiniti passivi retti da oporteat, tutte subordinate alla principale: mea iuris dictio est. 3 In hac tanta facultate rerum non ira me ad iniqua In questo così grande potere non (mai) l’ira mi spinse ad ingiusti supplizzi, non l’impeto fiovanile, non la temerarietà degli uomini e l’ostinazione cge spesso anche ai caratteri più mansueti fanno perdere la pazienza, né la stessa vanità disumana drequente nei grandi poteri di esibire la potenza per mezzo del terrore. supplicia compulit, non iuvenilis impetus, non temeritas hominum et contumacia, quae saepe tranquillissimis quoque pectoribus patientiam extorsit, non ipsa ostentandae per terrores potentiae dira, sed frequens magnis imperiis gloria. non ripetizione anaforica. temeritas…contumacia è un endiade: lo stesso concetto è espresso tramite due termini diversi. ipsa…gloria anacoluto, la stessa vanita inumana (dira). Conditum, immo constrictum apud me ferrum est, summa parsimonia etiam vilissimi sanguinis; nemo non, cui alia desunt, hominis nomine apud me gratiosus est. La spada è rinchiusa presso di me, un grande rispetto anche del sangue più misero; non c’è nessuno che, pur avendo tutte le altre qualità, non trovi in me favore per il fatto stesso di chiamarsi uomo. summa parsimonia sott’intende la ripetizione di apud me est. sanguinis sia metonimia per uomo, che da intendere in senso letterale: Nerone ha rispetto del sangue dei suoi sudditi, che non verserà. 4 Severitatem abditam, at clementiam in procinctu habeo; sic me custodio, tamquam legibus, quas ex situ ac tenebris in lucem evocavi, rationem redditurus sim. Io ho nascosto la severità mentre ho pronta la clemenza, così mi controllo come se dovessi rendere ragione alle leggi le quali io ho richiamato alla luce dalla tenebre e dalla ruggine. in procintu lett. in assetto di guerra paradosso semantico. tamquam…redditurus sim proposizione ipotetico comparativa. Alterius aetate prima motus sum, alterius ultima; alium dignitati donavi, alium humilitati; quotiens nullam inveneram misericordiae causam, mihi peperci. Hodie dis immortalibus, si a me rationem Sono stato commosso dalla giovane età di uno o dall’anzianità di un altro, ho perdonato uno per il suo rango, un altro per la condizione umile; ogni volta che non ho visto un motivo di misericordia ho perdonato per me stesso. Anche oggi se me ne repetant, adnumerare genus humanum paratus sum. donavi perdonare. quotiens ogni volta che, avverbio. chiedessero ragiobne sono pronto a contare il genere umano agli dei immortali. Commento Non si può fare a meno di notare il forte ricorso a termini religiosi all’interno del testo, che elevano l’imperatore, da essi apparentemente eletto, al pari degli dèi: ecco che le parole dell’imperatore sono responsa, che il nutum imperiale può smuovere l’esercito e riprendere le guerre, trattenute dalla pax augustea, e che in generale deve assolvere sulla terra le funzioni degli dei. Nonostante ciò il testo non compie l’eguaglianza formale dell’imperatore al divino, poiché rimane comunque ad esso sottomesso, deve render conto delle sue azioni agli dei se ciò gli venisse chiesto (1, 4). Per quanto riguarda il termine clemens (e le parole di cui è radice) esso indica una disposizione benevola del carattere, è attestato come riferito agli uomini, agli animali e agli oggetti, ma mai agli dei. Nel testo indica l’esercizio del potere che distingue il tiranno dal re giusto. Questo contrasto con i sovrani ingiusti ricorre nel testo in maniera velata (cfr. sopra per l’ambiguità di gentibus; 1, 2) dapprima e poi con allusioni sempre più esplicite: tanto che Nerone arriverà a dire di aver richiamato dalla ruggine e le tenebre le leggi, riferendosi ai sovrani precedenti. Interessante l’atteggiamento di Seneca nei confronti dell’istituzione imperiale: è cosciente infatti che è uno iugum (1, 1) che dunque opprime, perché chiaramente priva della libertà politica, ma afferma anche che in assenza dello stesso la multitudinem non saprebbe governarsi e si distruggerebbe da sola. Forse si potrebbe pensare ad un richiamo allo stoicismo, sulla necessità del Logos come ordine, paragonabile all’imperatore, come del resto accade in altre opere. Lo stoicismo di Seneca non tarda ad emergere poi nella riflessione sull’humanitas, esplicita in nemo non, cui alia desunt, hominis nomine apud me gratiosus est (1, 3). Ma la filosofia senechiana ha influito anche in altri punti, molto chiaro l’inspicere ed il loqui secum, pratiche riferibili alla scuola dei Sesti cui Seneca era vicino. Realizzato l’08/11/15 da Paolo Franchi (5BC, A.S. 2015/2016). AMDG