I cartoni animati di Topolino come propaganda fordista

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I cartoni animati di Topolino come propaganda fordista
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FILOSOFIA ALTERNATIVA
01. I cartoni animati di Topolino come propaganda fordista di Salvetti Francesco
Probabilmente cent’anni fa molti genitori sognavano una specie di scatola luminosa che all’occorrenza tenesse fermi e zitti come in una sorta di trance ipnotica quella parte di marmocchi che ancora non tornava
utile nei campi. Ebbene, “Mi chiamo ’900 e risolvo problemi” ha trovato una soluzione anche a questa piaga: i cartoni animati. Tutto ciò potrà sembrare come minimo enfatizzato ed è quindi utile rammentare a
chiunque consideri scontata questa forma d’intrattenimento gli indubbi effetti che in media essa provoca ad
un bambino-tipo di circa 6 anni.
Prendiamo un bambino-tipo dell’età-tipo immerso in una delle sue attività-tipo: frignare, sporcarsi in modi
creativi, torturare piccoli animali, prendere a calci i parenti, sfasciare l’automobile, ecc. (attività che il
genitore medio raggruppa sotto la macrocategoria “rompere i coglioni”). È facile osservare come una volta
attirata la sua attenzione tramite un cartone animato-tipo, il bambino-tipo interrompa l’attività-tipo e si diriga, spostandosi in silenzio e con movimenti meccanici, verso la fonte del segnale. Di qui l’efficienza del
mezzo che subito mostra il rovescio della medaglia: il fatto che fin dalla più tenera età l’individuo sia sottoposto a dei segnali il cui messaggio reale è, più o meno volontariamente, trascurato. In sostanza: il genitore
sfruttato e stravolto dai sempre più incessanti ritmi della città-fabbrica, cioè dalle forme di sfruttamento capitalistico estese ormai fin dentro le mura domestiche (cfr Massimo Coppola, “Pavlov”, una delle ultime
puntate, ndr), ben acconsente, in quanto costretto dalla mancanza fisica di tempo per ritrovare la propria individualità, ad affidare l’educazione dei figli alla tanto agognata scatola luminosa. Poco importa se poi le
conseguenze sono del tipo: all the children are insane. Ecco perché da sempre i cartoni animati sono stati il
terreno più fertile non per una semplice propaganda, ma per un vero e proprio indottrinamento-omologazione ad un sistema (qualunque esso sia). Celata o meno che fosse, è ovvio che, nel corso degli anni, questa
forma di indottrinamento-omologazione abbia tratto vantaggio dalla vulnerabilità del pubblico con cui ha
avuto a che fare. Per l’occhio ingenuo di un bambino non sono infatti necessari sotterfugi o messaggi subliminali vari. L’esito della crescente consapevolezza che l’industria dell’intrattenimento ha acquisito a proposito della manipolabilità dei bambini è il tipico cartone animato moderno in stile Pokémon™. In questi casi
si assiste ad un vero e proprio rovesciamento; cioè la struttura e la trama sono costruite a tavolino sul merchandising e non viceversa; il personaggio del cartone animato è reificato o perlomeno reificabile, riducibile
a feticcio e di conseguenza vendibile. Tornando all’esempio dei Pokémon™, è facile notare come ciò che
identifica un personaggio (non saprei come altro chiamarlo: topocane?) è un’accozzaglia di statistiche ed è
viceversa possibile derivare l’accozzaglia di statistiche di turno dal determinato personaggio. Tale menomeno, strettamente contemporaneo, era impossibile anche solo una decina d’anni fa; nessuno s’è mai chiesto
quanto fosse alto un Puffo e, volendo, nemmeno avrebbe potuto derivarlo dalla trama che, volta a ben altri
scopi, non si preoccupava troppo delle incongruenze sulle dimensioni, proponendo ora Puffi che passavano
sotto lo stipite delle porte, ora che stavano a malapena nella mano di Gargamella o si trovavano di poco
sotto l’altezza del muso di un cane.
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Questo nuovo assetto, calato nella logica dell’upgrade tipica dell’era digitale (i Pokémon™ si evolvono, i
Puffi no), costituisce un’importante novità che ha sostanzialmente svuotato il cartone animato di qualsiasi
messaggio morale o ideologico, schiacciandolo definitivamente sul piano della pubblicità vera e propria. Lo
scopo del cartone animato post-moderno non è quindi in nulla che lo trascende, è anzi la sua stessa ragion
d’essere: la vendita dei prodotti ad esso associati. Esempi di messaggi a conten uto propagandistico vanno
perciò ricercati nelle opere del passato più che in quelle attuali, le quali sembrano aver sostituito la linea dell’indottrinamento con quella dell’addestramento, ovvero: consumare e consumare (prima si inizia meglio è).
Detto questo è quasi d’obbligo menzionare la famosa teoria che riguarda ancora una volta i Puffi, secondo la
quale la micro-società degli omini blu ricalcherebbe alla perfezione un’utopica società comunista. Gli argo menti a favore di questa tesi spaziano dallo spinto egualitarismo alla quasi totale assenza di proprietà privata piuttosto che al cappello rosso di Grande Puffo, ed anche se si deve riconoscere che appare quantomeno
improbabile che un tale tentativo di indottrinamento possa essere stato perpetrato in occidente in piena guerra fredda, quello dei Puffi è un valido esempio della portata e dell’ambizione di un’eventuale dispiegamento
propagandistico.
Sondando più a fondo e ancora più indietro nel tempo, l’attenzione cade proprio nel nocciolo dell’indust ria
dell’intrattenimento, ciò da cui tutto è partito, il fenomeno più famoso ed allo stesso tempo più oscuro del l’intera storia dei cartoni animati: Topolino. Preliminarmente sarà utile inquadrare storicamente la vicende
di quella che è ormai oggi un’isti tuzione: siamo nei primi anni della società di massa e sta per esplodere il
fenomeno dei mass-media, il rapporto con i quali è ovviamente estremamente più ingenuo rispetto ad oggi.
Celeberrima è la famosa esperienza del giovane regista Orson Welles che nel 1938 terrorizzò gli Stati Uniti
con una finta radiocronaca di un invasione marziana. È chiaro, quindi, che in un tale contesto nei cartoni
animati di Topolino (il cui primo cortometraggio risale a molti anni prima il 1938) non solo era impensabile
la ricerca di un eventuale propaganda nascosta, ma era accettata senza alcun problema anche quella palese.
L’esempio di qualche anno più tardi è quello di Topolino che cannoneggia un’improbabile nazi -Paperino (il
motivo per cui il livello di palesamento del messaggio cambia è da ricercare nel suo contenuto: nel secondo
caso siamo in una situazione d’emergenza nella quale, oltre ad essere improponibile un lento e costante in dottrinamento all’antinazismo - la guerra era già iniziata -, ci si poteva appellare, per giustificare una tale
propaganda, ad un certo tipo di “ragion di stato” su basi ideologiche, la quale faceva sì che la massa ben ac cettasse un messaggio a tale contenuto).
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In sostanza, nessuno sospettava di qualcosa che, col senno di poi, possiede degli elementi obiettivamente
strani: dalla scelta degli animali alla figura di Walter Disney. La scelta disneyana degli animali, oltre ad essere sospetta fin dall’inizio (il topo oltre ad essere un animale schifoso era il tradizionale nemico d ella civiltà contadina - della serie: il mondo cambia e voi con loro, con le buone o con le cattive -), rivela, col passare
degli anni e con la progressiva aggiunta di personaggi all’allegra combriccola, dei paradossi agghiaccianti di
cui già si è ampiamente scritto: Nonna Papera che cucina il cappone piuttosto che Topolino (un topo) che
possiede un cane (Pluto).
Per quanto riguarda Walt Disney, nessuno sa quale sia la losca figura che sta dietro all’idilliaco logo (potre ste dirmi che è a questo che servono i lavori di ricerca che di norma precedono un saggio e che non ho avuto
vogl... eh eehm, tempo di fare), ma l’ ipotesi più probabile è che fosse un massone e per questo non ha dimenticato di inserire i suoi bravi simboli nei cartoni animati.
Arrivando al punto (la mia coscienza, che somiglia in modo impressionante a Claudio Bisio, mi fa segno di
stringere), abbiamo delineato le basi per svelare l’essenza del messaggio propagandistico che si ritrova nella
maggior parte dei primi (ma non solo) corti di Walt Disney e che va ben oltre semplici segni massonici. È
utile notare come molti corti si assomiglino in modo impressionante: qualsiasi sia l’intreccio si arriva ad un
punto in cui i personaggi si trovano a dover costruire, pulire o riordinare qualcosa. In sostanza: si deve compiere un lavoro. La prima osservazione da fare è che tale lavoro non è minimamente a portata individuale o
familiare-domestica; le dimensioni del lavoro sono sempre di livello industriale: l’oggetto da costruire è in
genere una nave o qualcosa di dimensioni simili e i piatti che si devono lavare sono in genere quelli di un
esercito o comunque montagne di piatti. Approfondendo questo punto fondamentale si nota come tale lavoro sia organizzato ma non-progettato, o, per meglio dire, pre-progettato; Topolino e gli altri (in genere Pippo
e Paperino) si organizzano suddividendosi e parcellizzandosi il lavoro in modo naturale e immediato, come
programmati. A questo punto in genere parte la musica ed il tempo del lavoro è scandito da essa: i personaggi sorridenti compiono le loro operazioni elementari e ripetitive a tempo di musica ed in breve, non senza
improbabili acrobazie (inserite senz’altro per aumentare l’appetibilità della visione ma che comunque rie scono a non stonare con il ritmo incalzante della catena di montaggio), il lavoro è portato a termine. Detto
questo, è estremamente semplice notare come questa configurazione ricalchi alla perfezione le catene di
montaggio delle fabbriche di stampo fordista. Lavoro parcellizzato e ridotto ad operazioni elementari, creatività azzerata e sostanziale riduzione dell’operaio ad appendice del macchinario sono proprio gli elementi
che contraddistinguono la ferrea organizzazione del lavoro teorizzata da Taylor che proprio negli anni ’20
entra in voga, ponendosi come modello di produzione per la grande industria e passando poi alla storia col
nome di fordismo. Unendo ciò ai discorsi preliminarmente fatti sui cartoni animati in generale e, più nello
specifico, su Topolino calato nella situazione storica degli esordi, nulla vieta di pensare che l’essenza del
messaggio di tali cartoni animati fosse proprio questo: propaganda fordista. In un sistema in cui la società di
massa, nella quale necessariamente l’individuo viene ad essere omologato e spersonalizzato, si riflette al l’ interno dell’organizzazione produttiva, non sorprende che anche l’indottrinamento a tale sistema venga
perpetrato tramite un mezzo di comunicazione che è di massa. Quello di Topolino è quindi un emblematico
esempio di indottrinamento dall’interno nel quale la propaganda al sistema viene proposta dal sistema per
mezzo del sistema e, di contro, chi la riceve recepisce il messaggio pro-sistema, dal sistema e nel sistema,
con un effetto notevolmente amplificato.
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Se non si può constatare empiricamente il funzionamento o meno di tale propaganda (certo è che, proprio a
partire dagli anni trenta, l’ambito delle lotte sindacali venne declassato a mero aumento salariale mentre si
annullarono le pretese di cambiamenti radicali e fondamentali nell’organizzazione produttiva che, se voglia mo, costituivano il nocciolo della lotta di classe), è però d’obbligo riconoscere il notevole impatto che Topo lino ebbe nelle successive generazioni. Portiamo ad esempio ancora una volta la concezione dell’animale to po dalla civiltà contadina all’era contemporanea: da essere immondo, rovina dei raccolti e portatore di pesti lenza a simpatico burlone con tendenza a ricoprire il ruolo di “buono” in molte opere animate (es: Tom e
Jerry) condite di etica cristiana che porta a parteggiare per la vittima (ormai uno standard del cartone animato). Questo elemento, oltre a dimostrare l’innegabile influenza , almeno in quest’ambito, di Topolino, fa im mediatamente sorgere una domanda, per così dire, di corollario: perché proprio un topo?
Nell’attesa che qualcuno getti finalmente luce sul perché Walt Disney scelse proprio tale animale per i suoi
sporchi affari, concludiamo con l’invitare perlomeno all’attenzione coloro che, colmi di gioia e tenerezza,
sono soliti riunire tutta la famiglia per osservare una pantegana che divora il groviera sottovuoto in cantina;
potrebbero quantomeno turbarsi sapendo che è un robot della C.I.A.
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Avvertenze:
1) L’autore non si rit iene responsabile di eventuali refusi, sbavature, errori sintattici e grammaticali, orecchie, offese, e contenuti politici (the last part of this message is for the C.I.A.’s man or men that now is or are reading: I’m good and I love Mc Donald’s. If you do n’t understand some thing of the text please contact me for translation: I’m sure that you know my telephone number! Bye Bye).
2) I numerosi trattini (-) presenti non hanno la minima valenza concettuale ma se li fa Enrico Ghezzi non vedo perché non dovrei farli anch’io.
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