Linee guida ISSE (Società Italiana di Endoscopia – Area chirurgica)
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Linee guida ISSE (Società Italiana di Endoscopia – Area chirurgica)
I.S.S.E. (Società Italiana di Endoscopia – Area chirurgica) Progetto polmone In collaborazione con Boston Scientific Italia LE PROTESI TRACHEO-BRONCHIALI Linee guida ISSE per gli utenti e gli operatori Luca Rodella – S.S.O. di Chirurgia Endoscopica d’Urgenza – Ospedale Maggiore – Università di Verona Giuseppe Calarco – U.O. di Diagnostica e Chirurgia Endoscopica - Istituto Nazionale dei Tumori di Milano Introduzione Negli ultimi 20 anni, nei paesi industrializzati, il tumore del polmone è diventato una delle principali cause di morte per neoplasia. Il suo aumento è da porsi in relazione sia all’aumento della vita media, sia all’esposizione a fattori di rischio che si sono diffusi negli ultimi 50 anni. La prognosi del cancro polmonare, come per tutte le malattie neoplastiche, dipende largamente dalla precocità della diagnosi. A tutt’oggi, però, nonostante l’introduzione di metodiche ad alta definizione (TAC multistrato, PET, Broncoscopia ad autofluorescenza), la quota di pazienti che viene diagnosticata in stadio I°, potenzialmente curabile, è inferiore al 5%. La gran parte dei casi viene riconosciuta in fase avanzata e per questi malati è possibile solo un approccio palliativo. In particolare, il 30% di essi andrà incontro ad un interessamento ostruttivo dell’albero tracheobronchiale, sia per la crescita di vegetazioni endoluminali che per la compressione ab estrinseco provocata da neoformazioni a sede ilare e perilare o da linfoadenopatie mediastiniche. La terapia palliativa del cancro polmonare La sintomatologia che accompagna il paziente affetto da neoplasia polmonare, soprattutto, nella fase avanzata, è molto varia: dispnea, di recente insorgenza od ingravescente, tosse, stridore, emoftoe, rantoli terminali. Frequenti anche gli episodi broncopneumonici da ostruzione catarrale. Oggi sono a disposizione del paziente Centri di terapia del dolore, Hospice, Consulenza ed assistenza domiciliare ed Unità di cure palliative. Quest’ultima realtà coinvolge in particolare i Centri di Endoscopia respiratoria interventistica. La scelta di sottoporre un paziente ad un trattamento palliativo di tipo endoscopico consegue alla valutazione multidisciplinare di pneumologi, chirurghi toracici, oncologi, radioterapisti ed endoscopisti. Va subito detto che la valutazione dell’endoscopista con esperienza operativa diverge spesso da quella di endoscopisti con esperienza solo diagnostica. E’ consigliabile quindi far precedere qualsiasi scelta operativa da un esame tracheobroncoscopico eseguita da mani esperte. Sarà così possibile effettuare una valutazione spaziale corretta, considerare l’efficacia del trattamento, il rischio procedurale (in rapporto alle condizioni del paziente) ed i rischi legati al livello procedurale, basati su un’attenta considerazione dell’esperienza dell’endoscopista, della strumentazione e dell’equipaggiamento. La scelta della metodica: laser, stent o combinata sarà la diretta conseguenza delle precedenti valutazioni. Valutazione strumentale pre-operatoria Il trattamento palliativo di tipo endoscopico non può prescindere da una corretta valutazione strumentale della lesione neoplastica o benigna da trattare. La recente introduzione della tomografia assiale (TAC) multi spirale, bi o tridimensionale, con possibilità di ricostruzioni “virtuali”, che va ad aggiungersi a due tecniche di comprovata sensibilità quali la broncoscopia flessibile e quella con strumento rigido, hanno consentito di avere una valutazione spaziale e funzionale oggi decisamente soddisfacente, soprattutto grazie all’utilizzo combinato delle tre metodiche. La broncoscopia flessibile è la metodica più “completa”, in quanto, con una modesta invasività, consente una ottima valutazione della sede e della lunghezza della lesione, del coinvolgimento del cono sottoglottico, delle alterazioni mucosali (rischio di emorragia) e della funzione laringea. E’ inoltre possibile effettuare prelievi bioptici durante la stessa seduta. La presenza di fistole viene rilevata dalle tre metodiche con analoga sensibilità, anche se la broncoscopia flessibile si è rivelata superiore nel definirne l’esatta sede. Il decorso della stenosi viene meglio definito dalla TAC tridimensionale la quale consente anche di valutare la pervietà dei bronchi a valle di una stenosi severa, spesso non sondabile con le metodiche broncoscopiche, e l’eventuale occlusione dell’arteria polmonare che renderebbe funzionalmente inefficace l’intervento. La disponibile delle metodiche varia tra i diversi Ospedali: se la broncoscopia flessibile, ed ancor più la TAC 3D, sono oggi disponibili in molti ospedali di medio e grosso livello, trovare un endoscopista con esperienza di broncoscopia rigida è sempre più raro. In sintesi, la TAC 3D si affianca oggi, sempre più spesso, alla broncoscopia flessibile nell’ottica di una valutazione completa organica e funzionale sia pre- che post-operatoria (1, 2). Il ruolo della broncoscopia rigida non va, tuttavia, sottovalutato, soprattutto nei casi di ostruzioni severe a rischio di asfissia, in quanto consente la diagnosi e l’immediata ricanalizzazione. Tabella 1 – Valutazione pre- e post-operatoria Br. rigida Sede e Lunghezza stenosi + Decorso stenosi +/Coinvolgimento cono sottoglottico ++ Funzione laringea (CV) Alterazioni mucosali + Fistole + Ostruzioni bronchi a valle Occlusione arteria polmonare Biopsia + Disponibilità +/Invasività ++ Valutazione post-operatoria - Br. flessibile + + ++ + ++ ++ + +++ + + TAC 2D 3D + +++ + + + + +++ + Parametri classificativi Le stenosi vengono distinte in Strutturali e Dinamiche (o Funzionali). Le prime comprendono lesioni esofitiche intraluminali, lesioni estrinseche, distorsioni e stenosi cicatriziali. Le seconde riguardano i quadri di malacia con danno cartilagineo oppure le pars membranacee “floppy”. Le stenosi benigne cicatriziali possono, a loro volta, essere distinte in: stenosi “a membrana”, con cartilagini indenni e lume “vero” tracheale conservato, e stenosi “a clessidra” in cui la stenosi del lume tracheale è dovuta ad una severa deformazione cartilaginea. La sede deve essere accuratamente descritta, distinguendo l’interessamento del III° superiore, medio od inferiore della trachea, della carena major, dei due bronchi principali e del bronco intermedio. Il grado di stenosi può andare dalla riduzione del 25% del diametro endoluminale, del 26-50%, 5175%, 76-90% e dal 90% all’ostruzione completa. Recentemente, un gruppo di esperti internazionali ha proposto un nuovo sistema classificativo con l’intento di uniformare la descrizione delle stenosi tra i vari operatori (3). Ad ogni parametro, gli Autori hanno affiancato un Codice che permette di oggettivare la descrizione della lesione, privandola dagli orpelli descrittivi comuni a molti medici. Gli standard di competenza dell’endoscopista interventista Lo sviluppo di metodiche interventistiche sempre più sofisticate ha posto il problema dell’individuazione di operatori e di Centri di “eccellenza” dove queste ultime possano essere applicate secondo criteri di massima efficienza e sicurezza per il paziente. In accordo con l’Accreditation Council for graduate Medical Education (ACGME), diventerà necessaria una certificazione specifica per il singolo operatore, cioè “un processo per assicurare all’utenza che un determinato medico ha completato con successo un programma educazionale approvato, incluso l’esame finale per verificare il livello di conoscenza, di esperienza e di capacità necessari per poter svolgere un’attività di elevata qualità”. Saranno necessarie anche determinate competenze, cioè conoscenza, capacità, comportamenti ed attitudini ed appropriate esperienze educazionali che serviranno ad individuare gli esperti (centri ed operatori) idonei a svolgere attività di training (4). Il passo successivo dovrebbe essere quello di individuare dei Centri di riferimento regionali e nazionali in cui siano disponibili le varie metodiche ed in cui gli operatori abbiano un bagaglio di esperienza qualificato. A tal riguardo, ad esempio, l’endoscopista operativo non può prescindere da una conoscenza e da un uso routinario della broncoscopia rigida, unitamente a quella flessibile. Non sarà mai inutile ripetere a quali rischi ingiustificati si sottopone il paziente se l’operatore non ha esperienza di broncoscopia rigida, soprattutto in caso di ostruzioni severe o di emorragie massive. Di seguito, elenchiamo vantaggi e svantaggi delle due metodiche: Broncoscopia Rigida Broncoscopia Flessibile Vantaggi Rapida disostruzione Tr. emorragie massive Tr. stenosi benigne Tr. stenosi carenali Sedazione profonda Trattamento lesioni distali Limiti Anestesia generale Apprendimento Maggior N° trattamenti Stenosi severe Stenosi benigne TR Emorragie massive L’ampia diffusione della broncoscopia flessibile e l’introduzione delle nuove protesi autoespandibili hanno incoraggiato molti operatori ad intraprendere il percorso interventistico, senza sentire il bisogno di avere nel proprio bagaglio la ben che minima esperienza nell’uso della broncoscopia rigida. Ciò spiega come l’apprendimento di quest’ultima sia sempre più difficile, soprattutto per la sensibile riduzione di numero dei Centri in cui sia possibile apprenderne i rudimenti. L’American College of Chest Physicians nel 1989 (5) e l’American Association for Bronchology nel 2000 (6) hanno fotografato in maniera esauriente la situazione americana, mettendo in evidenza come, in un decennio, l’utilizzo della broncoscopia rigida, tra gli intervistati, sia passata dall’8,4% al 5,8%. Nel 1999, 280 intervistati su 744 varie affermavano di avere effettuato trattamenti endoscopici (laser, stent, crioterapia, diatermia, ecc.) nell’84% dei casi con il broncoscopio flessibile e solo nell’11% dei casi con broncoscopia rigida. Più nello specifico, una percentuale variabile tra il 92 ed il 96% degli intervistati affermava di non avere effettuato interventi endoscopici (laser/stent) e di non avere utilizzato il tracheobroncoscopio rigido nel corso dell’ultimo anno, secondo la tabella di seguito elencata: AAB 99 American Survey (744 intervistati) (6) N° Procedure/Anno Broncoscopia Rigida 96% (714) 0 2% (17) 1-9 <1% (3) 10-19 1% (7) 20-39 <1% (3) > 40 Laser 92% (681) 6% (44) 1% (7) 1% (10) <1% (2) Stent 95% (710) 3% (20) 1% (9) <1% (5) 0% (0) I Centri italiani di endoscopia interventistica Nel 2004, gli Autori hanno effettuato un censimento tra i maggiori Centri italiani di endoscopia operativa, consultandone 45. L’elenco è solo parziale ma ha permesso di fotografare la situazione italiana, sia per quanto riguarda la dislocazione degli stessi centri sia per quanto riguarda la loro tipologia di interventi. I Centri sono risultati equamente divisi tra l’area pneumologia (24) e quella chirurgica (21) Area pneumologica (24): Alessandria 1 - Torino 2 - Genova 2 - Brescia 1 - Milano 1 - Pavia 1 Bolzano 1 - Feltre 1 - Padova 1 - Rovigo 1 - Pordenone 1 - Udine1 - Bologna 1 - Forlì 1 - Parma 1 - Siena 1 - Foligno 1 - Ancona 1 - Roma 1 - Napoli 2 - Foggia 1 Area chirurgica (21): Milano 3 - Castelfranco Veneto 1 - Padova 2 - Verona 1 - Firenze 1 - Pisa 1 - Roma 4 - Bari 2 - Foggia 1 - Cagliari 1 - Catania 2 - Messina 1 - Palermo 1 Dall’indagine, è risultato che, nel 2004, nei Centri intervistati erano stati posizionati 1782 stent siliconati e 314 stent autoespandibili. Per quanto riguarda i primi, 10 centri ne avevano posizionati in media 39 (range: 30-90), mentre altri 29 Centri, medio-piccoli, ne avevano utilizzati una media di 12 (range: 5-30) Tutti gli stent erano stati posizionati utilizzando la broncoscopia rigida. Per quanto riguarda gli stent auto espandibili, nel 2004 venivano utilizzati in percentuale molto minore. 314 erano stati gli stent impiantati in quell’anno in 29 centri, con una media di 11 stent per centro (range: 2-40) La broncoscopia rigida faceva ancora la parte del leone nell’ 81,2% dei casi, mentre solo il 18,8% degli stent era stato posizionato in sedazione profonda, con broncoscopi flessibili. Recentemente, il trend è cambiato ed oggi, gli stent metallici autoespandibili, più sicuri, più facilmente posizionabili e gravati da un numero minore di complicanze vengono utilizzati in un numero crescente di situazioni. I trattamenti palliativi endoscopici Il broncoscopista operativo ha oggi ha disposizione numerose metodiche di ricanalizzazione, la più semplice delle quali è la demolizione meccanica con il tracheobroncoscopio rigido (debulking) preceduta e seguita dall’uso del laser (Nd:YAG, diodi, ecc.), per devascolarizzare e coartare la lesione e per rifinire la base della lesione asportata. L’argon plasma appare maggiormente indicato nel trattamento di stenosi benigne, quando è necessaria una maggiore precisione di taglio e, grazie alla ridotta profondità di azione, una bassa percentuale di recidive cicatriziali. L’uso delle anse diatermiche trova indicazione, a nostro parere, nel trattamento di lesioni di piccole dimensioni e localizzate nei bronchi più distali. Ottimi risultati sono stati ottenuti anche con la crioterapia, anche se l’effetto ritardato, di due o tre giorni, non ne consente l’uso in caso di dispnea grave per stenosi superiori al 70-80% del lume. La terapia fotodinamica (PDT) trova indicazione soprattutto nel trattamento endoscopico di lesioni neoplastiche precoci dell’albero tracheobronchiale.. Le indicazioni generali alle metodiche sopraccitate sono ben codificate: a) Trattamenti di emergenza per dispnea acuta con ostruzioni severe b) Tumori vegetanti con estensione inferiore ai 4 cm (per stenosi più lunghe è consigliabile posizionare uno stent) c) Tumori sanguinanti d) Valutazione pre-operatoria: non di rado, l’asportazione di vegetazioni neoplastiche, consentendone una più chiara visualizzazione della base, permette di meglio definire i limiti di estensione, modificando i criteri di operabilità. I trattamenti palliativi endoscopici con stent Cenni storici Il termine stent deriva da Charles B. Stent, dentista britannico vissuto alla fine del XIX° secolo. Stent creò un materiale che originariamente veniva utilizzato per le impronte dentali e, più tardi, per supportare gli innesti cutanei. Il primo stent, in acciaio, fu inserito nell’albero tracheobronchiale da Brunings ed Albrecht. Fu Montgomery, nel 1965, a descrivere per primo l’uso di protesi in silicone a T per il trattamento di stenosi tracheali nell’adulto (7). Da esso hanno preso origine i moderni stent polimerici. Negli anni 80, Jean Francois Dumon (8) sviluppò uno stent in silicone con piccoli bottoni esterni per facilitarne l’ancoraggio. Era anche il primo stent che non necessitava di un tracheostoma e che riscosse un immediato e prolungato successo (fino ai giorni nostri). Le indicazioni al posizionamento di stent sono le seguenti: a) • • • • • • • • Stenosi maligne: Compressione estrinseca Recidive precoci e/o frequenti dopo laser Fistole esofago-respiratorie Stabilizzazione durante CT/RT Carcinoma adenoido-cistico diffuso Rifiuto dell’intervento chirurgico Elevato rischio chirurgico Breve spettanza di vita b) • • • • • Stenosi benigne: Lunghezza della stenosi superiore al 50% della lunghezza della trachea Restenosi dopo resezione chirurgica Coinvolgimento della cricoide Stenosi a membrana Recidiva precoce dopo laser • • • Rifiuto intervento chirurgico Elevato rischio chirurgico Dilazione dell’intervento chirurgico per flogosi severa o in caso di stenosi “a clessidra” Lo stent ideale Nonostante gli sforzi prodotti, a tutt’oggi, non è possibile avere a disposizione lo stent ideale che dovrebbe avere le seguenti caratteristiche: • Facilità di inserimento • Facilità di riaggiustamento e rimozione • Capacità di garantire e mantenere un buon lume tracheobronchiale • Stabilità per evitare migrazioni • Sufficiente resistenza alle forze compressive ed adattabilità (per prevenire erosioni di parete) • Biocompatibilità (bassa incidenza di infezioni e di granulazione) • Interferenza minima con la clearance muco-ciliare Gli stent attualmente in commercio vengono suddivisi in due grandi gruppi: polimerici e metallici autoespandibili anche se, come vedremo, in alcuni casi le caratteristiche degli uni si sovrappongono a quelle degli altri. Stent polimerici Vantaggi: • Espansione controllata • Rimovibilità con broncoscopio rigido, ad eccezione degli stent polimerici autoespandibili (Polyflex) • Assenza di ricrescita interna tumorale • Materiale inerte • Basso costo Svantaggi: • Anestesia generale • Broncoscopia rigida • Diametro interno ridotto • Scarsa modellabilità • Ridotta clearance muco-ciliare • Mancata ventilazione bronco sano coperto • Migrazione (stenosi coniche, brevi) Stent metallici autoespandibili Vantaggi: • Broncoscopia flessibile • Anestesia generale non necessaria • Modellabilità (stenosi lunghe, fistole) • Diametro interno maggiore • Buona clearance muco-ciliare (non ricoperte) • Ventilazione bronco sano coperto Svantaggi: • Necessità fluoroscopia • Difficilmente rimovibile (ad eccezione degli stent con ricopertura esterna completa) • Crescita tumorale tra le maglie (nelle protesi non ricoperte) • Granulazioni • Rischio di perforazione o necrosi • Costo elevato (anche se in via di progressiva riduzione) RISULTATI – COMPLICANZE Le protesi polimeriche, per molti anni e tuttora, sono largamente utilizzate nei Centri di maggiore esperienza, soprattutto per i risultati consolidati con percentuali di ricanalizzazione del 93-98% alle quali fanno riscontro complicanze quali a migrazione (9,5%), la formazione di granulomi (8%) e l’ostruzione mucosa (4%) (9-11). L’elevato tasso di migrazione e le frequenti ostruzioni mucose per il blocco della clearance mucociliare hanno spianato la strada alle nuove protesi metalliche autoespandibili che stanno gradualmente sostituendo quelle polimeriche, anche per la facilità di posizionamento con broncoscopio flessibile e senza anestesia generale. Numerosi autori hanno riportato risultati soddisfacenti (12-14 ). In particolare, un recente lavoro di Saad e Mehta ha analizzato i risultati a lungo termine del posizionamento di protesi metalliche Wallstent (Boston Scientific) od Ultraflex (Boston) su 82 pazienti affetti da ostruzioni tracheobronchiali neoplastiche, dopo trapianto e benigne. Il miglioramento della sintomatologia è stato ottenuto nell’87,8% dei casi trattati (15). Le complicanze comprendevano i granulomi ostruenti (14,6%), l’infezione (15,9%) e la migrazione (4,7%). Nei pazienti neoplastici, l’insorgenza di granulomi era tuttavia molto rara (4 %) e non si sono osservati casi di ostruzione da muco o di sanguinamento fatali per i pazienti. Gli stent tracheobronchiali possono migliorare significativamente la qualità di vita residua dei pazienti. Tuttavia, l’impatto sulla sopravvivenza è bassissimo e si aggira, in media, tra 3,4 ed 8,2 mesi (16). Il Futuro degli stent: Materiali biocompatibili (Polipropilene) Protesi bioattive Protesi riassorbibili (acido poli-L-lattico) Protesi radioattive (caricate con 32P) Protesi in nitinol temperatura-dipendenti Protesi ad Y metalliche autoespandibili Caratteristiche superiori al silicone Vengono integrate nel tessuto Per trattamento stenosi benigne (Korpela 1998, Saito 2003) Per prevenzione granulazioni e ricrescita tumorale (Carter 1998) Si può modificarne la resistenza o morbidezza, applicando calore al loro interno Per trattamento stenosi carenali (Hauck 2003) Bibliografia 1) Carretta A, Melloni G, et al – Preoperative assessment in patients with postintubation tracheal stenosis. Surg endosc 2006; 20: 905-908 2) Taha MS, Mostafa BR et al – Spiral CT virtual bronchoscopy with multiplanar reformatting in the evaluation of postintubation tracheal stenosis: comparison between endoscopic, radiological and surgical findings. 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