Evgeni Bozhanov - Società del Quartetto di Milano
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Evgeni Bozhanov - Società del Quartetto di Milano
Stagione 2011-2012 Martedì 31 gennaio 2012, ore 20.30 pianoforte Sala Verdi del Conservatorio Evgeni Bozhanov Chopin Barcarolle in fa diesis maggiore op. 60 Sonata n. 3 in si minore op. 58 Valzer in la bemolle maggiore op. 42 Valzer in mi bemolle maggiore op. 18 Schubert 12 Deutsche Ländler D 790 Debussy La Plus que Lente L’Isle Joyeuse Liszt Mephisto-Waltzer 7 Consiglieri di turno Andrea Kerbaker Antonio Magnocavallo Direttore Artistico Paolo Arcà Sponsor istituzionali Sponsor Pianisti al Quartetto Sponsor Musica da camera Con il contributo di Con il patrocinio di Soggetto di rilevanza regionale Con il contributo di È vietato, senza il consenso dell’artista, fare fotografie e registrazioni, audio o video, anche con il cellulare. Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo alla fine di ogni composizione. Si raccomanda di: • spegnere i telefoni e ogni apparecchio con dispositivi acustici; • evitare colpi di tosse e fruscii del programma; • non lasciare la sala fino al congedo dell’artista. Il programma è pubblicato sul nostro sito web dal venerdì precedente il concerto. Frédéric Chopin (Zelazowa Wola 1810 - Parigi 1849) Barcarolle in fa diesis maggiore op. 60 (ca. 9’) Anno di composizione: 1846 Prima edizione: Londra, 1846 Sonata n. 3 in si minore op. 58 (ca. 26’) I. Allegro maestoso II. Scherzo III. Largo IV. Rondò Anno di composizione: 1844 Prima edizione: Londra, 1845 Valzer in la bemolle maggiore op. 42 (ca. 3,5’) Anno di composizione: 1840 Prima edizione: Parigi, 1840 Valzer in mi bemolle maggiore op. 18 (ca. 5,5’) Anno di composizione: 1831 Prima edizione: Parigi, 1834 La più salda eredità della musica del Settecento, la sonata, era entrata in crisi durante la vita di Beethoven. I giovani musicisti romantici la consideravano una forma superata, non più in grado di esprimere i valori del loro tempo. Chopin per esempio scrisse solo tre Sonate, tutte difficili da inquadrare. Schumann sosteneva che Chopin, nella Sonata op. 35, avesse riunito sotto lo stesso tetto i quattro figli più scalmanati. La Terza Sonata invece sembra meno sconcertante della precedente, ma non recede dall’idea di conferire all’involucro classico uno spirito del tutto nuovo. Chopin infatti cercava di esprimere nella forma della sonata un’identità poetica, più che un organismo unitario. Così come nella Sonata op. 35 la “Marcia funebre” rappresentava il cuore del lavoro, qui è il grande “Largo cantabile” in si maggiore la chiave di volta dell’intera struttura. La novella marcia funebre assume un carattere nobile e in una certa misura sereno, a differenza della precedente, violenta e disperata. La morte non è più vissuta come un luogo di orrore senza fine, ma come una dimensione da accettare nella sfera dell’esperienza umana. L’ampio e agitato movimento finale sembra esprimere il sollievo di aver superato il difficile passaggio spirituale, trovando nella breve introduzione un’eco dell’intimo trionfo sulla morte. Sarebbe però altrettanto limitato interpretare la musica di Chopin soltanto alla luce di un disegno poetico. In realtà il linguaggio musicale degli ultimi anni rivela una coerenza logica e una perfezione formale assoluta. All’epoca della composizione della Sonata, Chopin era forse al culmine dell’ammirazione per il linguaggio di Bach. Nessun altro lavoro, per esempio, mette in luce in maniera altrettanto ricca una scrittura imitativa. Il primo movimento, Allegro maestoso, ruota attorno a una cellula formata dal semitono sol-fa#. Questo intervallo elementare genera una serie di figurazioni e motivi secondari, che si sviluppano in maniera organica. Il movimento, a differenza della sonata classica, non dise- gna il tradizionale percorso dal buio alla luce, bensì mostra la metamorfosi della parte iniziale. La ripresa rinuncia al tema principale e comincia dall’esposizione dell’idea secondaria. La tonalità di si minore si trasforma nel modo maggiore, presentando il materiale in una luce nuova e differente. Ma in realtà l’intera Sonata gravita in maniera sotterranea verso la tonalità di si maggiore, che affiora per esempio nel Trio dello Scherzo, formando un contrasto sorprendente con il mi bemolle maggiore della sezione principale. Questa raffinata sensibilità per le concatenazioni armoniche e le relazioni tonali raggiunge una delle vette più alte nella Barcarolle op. 60. Il titolo allude al ritmo dondolante su cui si sviluppa l’idea melodica, senza alcun riferimento a Venezia o all’Italia. La tonalità di fa diesis maggiore è una delle meno frequentate da Chopin, che conferisce alla forma la robusta struttura ad arco di un notturno, con una coda talmente ricca di sfumature cromatiche da gettare un ponte verso la musica per pianoforte dei maestri francesi a cavallo del Novecento, Fauré e addirittura Debussy. Non a caso Ravel rimase così impressionato dalla Barcarolle: «La linea melodica è continua. Un momento, una melodia si sprigiona, resta sospesa e ricade mollemente attirata da accordi magici». La Valse era la danza mondana per eccellenza e ha contribuito in maniera decisiva a stabilire la posizione di Chopin nel mondo parigino. Il Valzer Brillante op. 18 rappresenta l’esempio classico di quella maniera briosa e improvvisativa tanto apprezzata nelle sue prime esibizioni. Quando si decise a pubblicare la pagina, nel 1834, Chopin ricavò la bella somma di 500 franchi, a testimonianza della popolarità della sua musica. Altrettanto si potrebbe dire del Valzer in la bemolle maggiore op. 42, che l’editore acquistò e pubblicò a tempo di record. Tuttavia, anche in una produzione minore, Chopin non dimentica la naturale eleganza della sua scrittura, che conferisce alla forma canonica della danza una equilibrata libertà d’espressione nella cornice di uno stile pianistico leggero e brillantissimo. Franz Schubert (Vienna 1797 - 1828) 12 Deutsche Ländler D 790 (ca. 10’) Anno di composizione: 1823 Prima edizione: Vienna, 1864 Nel dicembre 1863 Johannes Brahms proponeva all’editore Rieter-Biedermann una raccolta di danze di Schubert, contenute in un manoscritto da lui acquistato da poco. In prima fila metteva un gruppo di 12 Ländler, che gli stavano più a cuore di tutti. All’epoca infatti era del tutto normale confezionare degli album di musiche da ballo pescando nelle oltre 400 danze composte da Schubert, come aveva fatto lui stesso in altre occasioni. Ma questa volta Brahms aveva intuito in questa sequenza di danze una logica interna e uno spirito di coesione diverso, rispetto ai numerosi lavori di tipo occasionale abbondanti nella produzione di Schubert. Non esistono prove per sostenere che i Ländler di questo manoscritto siano stati concepiti come un vero e proprio ciclo, tuttavia un’analisi attenta delle relazioni armoniche e tematiche al loro interno indica se non un percorso preciso, perlomeno una disposizione meditata e non casuale. Dal cullante re maggiore del n. 1 si scende poco a poco verso lo scabro e ossessivo mi maggiore del n. 12, attraversando un paesaggio di volta in volta melanconico e sognante. Il manoscritto reca la data Maggio 1823, uno dei periodi più duri della vita di Schubert. Gran parte di quel mese vide il compositore ricoverato in un ospedale per le malattie veneree, lontano dalla vita sociale nella quale la sua arte trovava un rifugio sicuro. Sono danze scritte in solitudine, forse come antidoto al veleno dell’angoscia. Potrebbe essere significativo che Schubert abbia usato parte del Ländler n. 6 come materiale per lo Scherzo del Quartetto in re minore “Der Tod una das Mädchen”. Anche qui si balla, ma con la morte. Claude Debussy (Saint-Germaine-en-Laye 1862 - Parigi 1918) La Plus que Lente (ca. 4’) Anno di composizione: 1910 Prima edizione: Parigi, 1910 L’Isle Joyeuse (ca. 6,5’) Anno di composizione: 1904 Prima edizione: Parigi, 1904 La Plus que Lent è un valzer. E dove si ascoltava musica del genere, a Parigi, nei primi anni del Novecento? Dappertutto, tanto nelle osterie che nei salons frequentati dalle dame del faubourg. Debussy aveva in mente invece, per questo lavoro, «gli innumerevoli five o’ clock, dove s’incontrano le belle ascoltatrici», come scriveva in una lettera all’editore Durand. Lo stile galante e melanconico della valse era senza dubbio adatto a un pubblico colto e raffinato, con la Revue blanche e i romanzi di Romain Rolland sul tavolino accanto alla tazza di tè. L’intenzione di Debussy non era d’invogliare gli ascoltatori a ballare, bensì di restituire loro in forma trasfigurata il movimento e lo spirito della danza. La scrittura richiede all’interprete molto gusto, perché il tempo è indicato dal principio alla fine in maniera elastica e flessibile. Il continuo rubato, se l’esecutore non suona con la necessaria sprezzatura, rischia di conferire alla pagina una patina dolciastra e sentimentale. La valse si anima al centro con una sezione più animata e sensuale, racchiusa tra le valve morbide e melanconiche della tonalità di sol bemolle maggiore. Al culmine del periodo parnassiano, legato al nome di Verlaine, Debussy produce un sorprendente pezzo per pianoforte di carattere virtuosistico, L’Isle Joyeuse. L’isola di Citera, con le sue allegorie dionisiache alla danza e ai riti di Venere, sarebbe lo spunto letterario di questo insolito inno alla gioia, ma forse anche la più prosaica isola di Jersey, al largo della Normandia, potrebbe aspi- rare a un tale onore. Proprio lì, infatti, nell’estate del 1904, Debussy e Emma Bardac vissero la loro travolgente passione amorosa, che li portò ad abbandonare i rispettivi coniugi. Il carattere virtuosistico della scrittura pianistica, che in genere Debussy tendeva a mantenere in un ambito più sfumato e riservato, si manifesta fin dall’inizio, con una breve introduzione indicata “quasi una cadenza”. L’uso del trillo inoltre crea un interessante rapporto con la Valse brillante di Chopin e con il Mephisto-Waltzer di Liszt, sottolineando la profonda affinità di Debussy con il pianoforte dell’Ottocento. La tonalità luminosa di la maggiore viene arricchita da un linguaggio armonico estremamente moderno, che comprende sovrapposizioni tonali, scale per toni interi, passaggi cromatici e polifonici. Nessun lavoro per pianoforte di Debussy mostra una simile analogia con il suono orchestrale, che in più punti sembra sbalzare con prepotenza dalla scrittura. Si nota per esempio in certe linee interne, che a volte vengono portate in primo piano come se fossero dei soli strumentali. Nello stesso periodo Debussy stava lavorando alla Mer e le due partiture mostrano di avere più di un riflesso in comune. Franz Liszt (Raiding 1811 - Bayreuth 1886) Mephisto-Waltzer (ca. 11’) Anno di composizione: 1861 ca. Prima edizione: Lipsia/New York, 1862 Una delle manifestazioni preferite dello spirito diabolico è l’ebrezza della danza, che fornisce ghiotte occasioni di pittura sonora. Il lavoro prende spunto da un episodio del Faust di Lenau, nel quale Mefistofele fomenta la lussuria di Faust e dei paesani a una festa di nozze. In origine era il secondo episodio, dal titolo Der Tanz in der Dorfschenke, di un dittico per orchestra composto nel 1861. La versione per pianoforte è coeva all’originale, ma contiene alcune differenze significative. Il fascino della tragedia di Goethe, che aveva contagiato una legione di artisti romantici, compreso Lenau, aveva già ispirato a Liszt Eine FaustSymphonie. Il ritorno a quel tema mette in luce un aspetto più scabroso, perché nella versione di Lenau il rapporto tra erotismo e demoniaco acquista maggior peso. Il contrasto tra i momenti d’estasi amorosa e la volgarità della rozza musica da ballo, rappresentata dalla sovrapposizione di quinte vuote, suscita immagini vivide. Liszt ha saputo estrarre dal pianoforte, rispetto al suono dell’orchestra, un’infinita gamma di risorse timbriche. Le difficoltà tecniche da superare in questo pezzo sono del resto davvero trascendentali, come si conviene a un uomo che ha sempre trafficato con il cielo e con l’Inferno. Oreste Bossini Evgeni Bozhanov pianoforte Nato a Russe in Bulgaria, nel 1984, Evgeni Bozhanov ha iniziato la sua formazione musicale all’età di sei anni. A dodici anni ha debuttato in pubblico nella sua città natale con un concerto di Mozart. Tra il 1996 e il 2010, quando la sua carriera concertistica è in piena ascesa, si trasferisce in Germania per studiare e viene premiato in numerosi concorsi tra i quali lo Sviatoslav Richter a Mosca, il Reine Elisabeth a Bruxelles e il Van Cliburn a Fort Worth in Texas. Nel 2010, sebbene fosse il concorrente favorito dal pubblico, non vinse il primo premio al Concorso pianistico internazionale Chopin di Varsavia, scatenando discussioni e polemiche sulla stampa polacca alle quali seguirono numerosi inviti dalle maggiori istituzioni concertistiche polacche. Nel 2011 si è esibito a Bruxelles e in tournée in Giappone con il Terzo Concerto di Beethoven e il Primo Concerto di Chopin, ha poi partecipato alla terza stagione di Abu Dhabi Classics con l’Orchestra Nazionale della RAI, ha inaugurato il Festival di Sofia con un recital e ha suonato al Festival de Piano di Lille, La Roque d’Anthéron e al Bad Kissingen Sommer Festival. In agosto a Varsavia è stato protagonista dell’inaugurazione del Chopin Festival con la Filarmonica di Varsavia (Concerto n. 1) e di un recital che ha poi registrato e riproposto in numerosi concerti. Ha inoltre debuttato alla Philharmonie di Berlino, alla Royal Festival Hall di Londra, alla Suntory Hall di Tokyo e a Radio France a Parigi. Con l’Orchestra Nazionale della RAI sotto la direzione di Juraj Valcuha ha suonato al Musikverein di Vienna, a Bratislava e Friburgo. Ha effettuato una tournée in Giappone con la Deutsche Sinfonie Orchester Berlin e Yutaka Sado. Nel 2012 sarà protagonista di concerti a Monaco di Baviera (recital al Prinzregenten Theater), Düsseldorf, Lahti, con l’Orchestra della Radio Svedese, l’Orchestra Nazionale della RAI, l’Orchestra della Svizzera Italiana e i Münchner Philharmoniker. La sua prossima tournée in Giappone culminerà con un recital nella Suntory Hall. Il suo CD “Frédéric Chopin” ha meritato il “Preis der Deutschen Schallplatten Kritik”. È per la prima volta ospite della nostra Società. Prossimo concerto: Martedì 7 febbraio 2012, ore 20.30 Sala Verdi del Conservatorio Leonidas Kavakos violino Enrico Pace pianoforte Prosegue l’integrale delle Sonate per violino e pianoforte di Beethoven con Kavakos e Pace, che interpretano nel secondo concerto ben quattro lavori. L’idea dei due artisti è di accostare le due Sonate in la maggiore dell’op. 12 e dell’op. 30, mettendo in luce le importanti trasformazioni stilistiche intervenute tra i due cicli scritti da Beethoven. Altrettanto complementare è il rapporto tra la Sonata op. 12 n. 3 e la Sonata op. 30 n. 2, che conclude in maniera drammatica la seconda parte di questa importante integrale di uno dei maggiori violinisti del nostro tempo. Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 - 20122 Milano - tel. 02.795.393 www.quartettomilano.it - e-mail: [email protected]