Assemblea 2013 Relazione Presidente Testa _8

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Assemblea 2013 Relazione Presidente Testa _8
Assemblea annuale 2013
Relazione del Presidente Chicco Testa
Roma, 27 giugno 2013
Ho partecipato in questi giorni ad alcune assemblee confindustriali ed in tutte, senza eccezione
alcuna, ho sentito ripetere le stesse parole: crisi, caduta dei consumi, dei livelli produttivi,
dell’occupazione, dei margini delle imprese. Il nostro settore, quello della produzione di
elettricità, non si discosta da questo quadro e fra poco vi fornirò qualche dato. Ma con
un'aggravante: siamo nel pieno di quella che dovremmo chiamare una tempesta perfetta, nella
quale diversi elementi, in una concordanza e ridondanza esemplare e perversa, concorrono uniti
a rendere la situazione sempre più critica e ad occludere, speriamo soltanto apparentemente,
ogni via d'uscita.
Quattro gli elementi che con perfetta sincronia pesano sul nostro settore: la crisi economica, che
si traduce in una costante contrazione della domanda di energia elettrica (siamo tornati indietro
di almeno dieci anni e da ormai 20 mesi i consumi elettrici continuano a ridursi); l’aumento dei
prezzi finali dell’energia, dovuto essenzialmente al crescere degli oneri di sistema; la graduale
perdita di efficacia del mercato elettrico, ove, con l'enorme sviluppo del fotovoltaico, la quantità
di energia elettrica effettivamente contendibile si è gradualmente ridotta fino a scendere sotto la
soglia del 50 per cento in valore, con un calo di dieci punti nell’arco di quattro anni; il mancato
decollo di una vero mercato europeo dell'energia e dell'energia elettrica in particolare, per cui
ciascun paese continua a seguire politiche proprie senza reciproca armonia, mentre le istituzioni
europee insistono nel porre obiettivi vincolanti non sempre coerenti con le effettive condizioni
nelle quali versano le economie e le industrie elettrice dei singoli paesi membri.
------Ma veniamo al merito dei problemi. Ieri, alla Camera, abbiamo ascoltato la relazione del
presidente dell’Autorità per l’energia elettrica ed il gas Guido Bortoni. Il suo è stato un discorso
esaustivo che condividiamo in grandissima misura. Un discorso molto equilibrato,
assolutamente privo, come si deve per il ruolo che ricopre, di alcun accenno polemico. Io,
invece e purtroppo, dovrò essere più diretto e meno diplomatico. Cominciando con il dire che le
parole usuali con cui descriviamo la situazione dell’industria italiana, e il nostro settore
appartiene a pieno titolo al comparto industriale, siano ormai logore, ripetitive, stanche, ed
ancora in grande parte rivestite da formule che non ci aiutano a capire che cosa sta succedendo,
che si affidano ad espressioni desuete ed incapaci in alcun modo di provocare quella reazione
profonda, innovativa, che sola potrebbe cambiare le cose e far rinascere le energie di cui ha
bisogno il nostro paese. Insomma, è venuto il momento di dire la verità, senza eccessive cautele,
perché solo da un’analisi compiuta ed impietosa della situazione possiamo trarre le indicazioni
necessarie per individuare le misure che servono a superarla.
Come sappiamo la crisi che dura ormai dal 2008 non è circoscrivibile solo al nostro paese o alla
sola Europa. In forme diverse, essa riguarda diverse aree del mondo. Ma in nessuna parte ha
assunto la profondità che ha raggiunto in Europa e, in particolare, in alcuni paesi, fra cui l’Italia,
malato gravissimo fra molti malati gravi. Il nostro settore non fa differenza e le cause, oltre che
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nel clima recessivo generale, sono da individuare anche in una serie di errori, compiuti
nonostante se ne potessero facilmente prevedere le conseguenze.
Da anni, viene segnalato il costo eccessivo dell’energia elettrica per il settore manifatturiero
italiano. È un elemento strutturale che ne frena la competitività e favorisce la delocalizzazione
delle produzioni nazionali. Proprio nel momento in cui sarebbe stato possibile cogliere il frutto
di una serie di azioni coerenti di rinnovamento del parco di generazione elettrica italiano e di
spinta verso la convergenza dei prezzi del gas fra Italia e resto d’Europa, abbiamo pensato bene
di aggiungere al già alto peso fiscale oneri straordinari di sistema pari a 134 miliardi di euro su
20 anni. Un aggravio in cifra fissa e completamente indipendente dal livello dei consumi,
cosicché, paradossalmente, esso proporzionalmente cresce al ridursi dei consumi. Così, mentre
scende il prezzo dell’energia all’ingrosso, cresce il prezzo dell’energia per i consumatori finali.
Una migliore distribuzione di tali oneri fra i diversi comparti dei consumatori italiani può certo
alleviare la situazione ed il recente provvedimento per sgravare i settori industriali su cui
maggiormente grava il costo dell’energia elettrica, i cosiddetti energivori, va in questa direzione
e ci trova d’accordo.
-----Ma a questo proposito voglio ancora aggiungere una cosa. Se continuiamo a segnalare il
carattere abnorme di quanto è successo non è in alcun modo per desiderio di qualche
improbabile rivincita. Molte delle aziende associate ad Assoelettrica, come tanti altri operatori
grandi e piccoli, hanno legittimamente sviluppato investimenti importanti nel fotovoltaico ed in
altre fonti rinnovabili. E, fra l’altro, questi investitori hanno spesso lasciato ai cosiddetti
sviluppatori per le autorizzazioni, ai proprietari dei terreni, agli EPR, pezzi importanti della
catena del valore. Ma mentre il modello definito per altre forme di incentivo alle energie
rinnovabili tramite i certificati verdi ha consentito una crescita graduale ed ordinata degli
impianti, una serie di errori compiuti nel fissare i livelli degli incentivi per l’energia fotovoltaica
ha portato, in meno di due anni e senza alcuna gradualità, alla formazione di una vera e propria
bolla che lascia dietro di sé ben poche competenze tecnologiche e molti oneri e problemi da
smaltire. Sappiamo come la vicenda è stata malamente gestita, senza alcuna programmazione,
senza un progetto capace di prevedere i costi e di pianificare gli effetti che l'ingresso di quasi 20
mila MW di potenza aggiuntiva avrebbero avuto sul sistema elettrico.
La riforma varata alla fine degli anni ’90, la cosiddetta riforma Bersani, aveva creato un
contesto competitivo ed una spinta importante ad investimenti di rinnovamento. L’Italia è così
apparsa come uno dei mercati più aperti e competitivi, dotandosi gradualmente di un parco di
generazione particolarmente efficiente, che ha permesso di ridurre in misura drastica le
emissioni in atmosfera. Circa 30 miliardi di investimenti sono stati realizzati fra il 2000 ed il
2010 nel solo settore termoelettrico per spinta autonoma delle imprese, a cui si sono aggiunti
circa 70 miliardi di ulteriori investimenti nel settore delle rinnovabili, di cui quasi 50 nel solo
settore fotovoltaico. La situazione attuale del mercato italiano è così la seguente: su 300 miliardi
circa di kWh consumati nel 2012, meno delle metà in valore è sottoposta a meccanismi
competitivi con una drastica riduzione delle regole di mercato. È dunque legittimo domandarsi
come possa funzionare un settore industriale che vede all’origine costi e remunerazioni
completamente diversi fra diverse tecnologie, rischi d’impresa totalmente asimmetrici e
conseguenze per i consumatori profondamente divergenti. Siamo così arrivati al paradosso di
avere realizzato un apparato di generazione dell’energia elettrica sovradimensionato,
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sottoutilizzato, in parte non redditizio ma, situazione unica, con costi crescenti per i
consumatori. Un capolavoro.
-----Nelle scorse settimane in Italia e ancor più in Europa abbiamo assistito a scambi di energia
elettrica in alcune ore del giorno a prezzo zero o, in Europa, addirittura negativo. Negativo
significa che alcuni operatori hanno dovuto pagare per poter consegnare alla rete la loro energia,
non potendo fermare gli impianti a rinnovabili, nucleari o a carbone. Sembrerebbe una buona
notizia! Peccato che il prezzo in questo caso nasconda un costo, quello del sussidio, varie volte
più alto di quello di mercato dell'energia elettrica, e che quindi nessun beneficio ne derivi per i
consumatori. Il solo risultato è che l’energia più costosa scaccia, forzando ogni regola di
mercato, l’energia meno costosa. È come se sul mercato arrivassero prodotti a costo zero solo
perché i produttori di questi beni ricevono a parte il totale rimborso dei loro costi e del profitto
atteso. È evidente che una situazione di questo genere è solo foriera di instabilità e non può
perdurare. Siamo schietti: non serve una laurea in economia per capire che nessun bene
materiale né servizio né utility può avere un prezzo pari a zero o, peggio, un prezzo negativo. La
prima regola dell’economia è che non esistono pasti gratis.
Occorre ripensare il modello del mercato, in modo tale da tenere conto del disequilibrio che si è
venuto a creare tra coloro che operano in condizioni di piena competizione e i settori sussidiati,
stabilendo, se necessario, nuove regole al fine di prevenire l’inquinamento dei segnali di prezzo.
Siamo, su questo punto, perfettamente d’accordo con quanto affermato dall’Autorità. Se la
collettività desidera pagare oneri consistenti per lo sviluppo di alcune energie evidentemente si
tratta di una scelta legittima, anche se onestamente fatta in modo confuso e senza alcuna
programmazione. Ma dobbiamo altrettanto onestamente dirci che la sovrapposizione fra
l’obbiettivo della creazione di un mercato dell’energia elettrica e interventi pianificatori
consistenti, porta alla crisi dell’uno e dell’altro sistema. L’unica cosa che non si può fare è
continuare a lasciare andare le cose senza intervenire. Prendiamo atto che esistono due settori
che fanno a pieno titolo entrambi parte del sistema elettrico italiano e che non si può certamente
tornare indietro. Occorre però riflettere su come far coesistere due sistemi in cui la formazione
dei prezzi avviene con criteri completamente diversi e divergenti. È un compito urgente, e ci
attendiamo fiduciosi che l'Autorità per l'Energia elettrica ed il gas e, per quanto di competenza,
il ministero per lo Sviluppo economico se ne facciano carico. Alla luce di tutti gli errori
compiuti, credo che si debba recuperare la bussola del mercato. Non sarà un processo semplice,
ma è necessario ridefinire una direzione: mercato è concorrenza secondo ordine di merito,
prezzi che riflettono i costi, regole che favoriscano un “level playing field” e completa
trasparenza anche per i consumatori finali sulle diverse voci che gravano sulle bollette.
-----Ma oltre all’inquinamento del mercato, di cui ho parlato, c’è anche un secondo ordine di
problemi che deve essere affrontato. Si tratta della sicurezza del sistema elettrico, che è
obbiettivo a cui devono concorrere tutti. Tocca ricordare che nella nostra industria e nel
funzionamento del sistema elettrico, potenza ed energia, sono concetti correlati, ma anche
distinti. E che un sistema elettrico per ben funzionare ha bisogno di avere disponibili in modo
continuo e modulato l’una e l’altra. Quanto più cresce il peso delle fonti intermittenti, e non
tutte le rinnovabili lo sono, tanto più occorre avere a disposizione potenza di riserva, per le ore
della giornata, che sono la maggioranza, in cui esse non sono disponibili. Nessuna fonte
intermittente è autosufficiente; essa deve mantenere il collegamento alla rete, almeno fino a
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quando non saranno disponibili sistemi di accumulo efficienti ed economici, e questo comporta
sempre costi di sistema, costi crescenti quanto imprevedibili, che devono essere allocati
correttamente e secondo principi di responsabilità. A tal proposito, certamente si renderanno in
futuro necessari nuovi investimenti sulla rete, ma essi dovranno sottostare ad un’attenta analisi
costi/benefici per valutarne i benefici per il sistema elettrico e per i consumatori.
In questo quadro si colloca la discussione sul cosiddetto capacity payment, o, per meglio dire,
capacity market, che altro non è che la remunerazione della potenza che deve essere tenuta
disponibile anche quando la limitata produzione non assicura la copertura dei costi e che
costituisce un elemento essenziale per l’adeguatezza del sistema. Non chiediamo alcun sussidio,
ma una riforma che permetta di allinearci alle mutate condizioni di mercato. L’Autorità, anche
nel corso della relazione alla Camera, riconosce questa necessità ed ha già emanato una delibera
che prevede l’istituzione di un mercato della capacità a partire dal 2017. Benissimo: ma se il
problema esiste già oggi, occorrerà pure che venga affrontato anche nell’immediato. Ripeto:
nessun sussidio, ma servono interventi a breve termine e segnali di lungo termine che
permettano di programmare investimenti nella manutenzione o nella dismissione di impianti
garantendo flessibilità al sistema. Condividiamo quanto affermato dal Presidente Bortoni circa
la richiesta alle fonti convenzionali di essere in grado di offrire servizi di flessibilità sul mercato
europeo, ma dobbiamo segnalare che, riguardo alla fattibilità di un simile programma, da uno
studio che abbiamo recentemente commissionato emergono numerose criticità.
Dall’altra parte, il funzionamento e l’equilibrio della rete richiedono che i costi siano distribuiti
in modo equo fra tutti coloro che la utilizzano in modo maggiore o minore, scambiando energia
o richiedendo disponibilità di potenza. È chiaro che uno dei compiti maggiori che spetta al
sistema elettrico nei prossimi anni sarà quello di integrare il parco termoelettrico e le
rinnovabili, ma dobbiamo preliminarmente e consapevolmente prendere atto della situazione
che si è creata e dalla quale non si può ritornare all’indietro, né sarebbe giusto per chi vi ha
investito. Ma bisogna innanzitutto evitare che questa situazione si aggravi, in termini di costi e
di criticità del sistema, mentre ancora sentiamo avanzare richieste di nuovi incentivi, sia diretti,
come di un ennesimo conto energia, sia indiretti, attraverso ingiustificabili modulazioni degli
oneri di sistema. Ed in secondo luogo bisogna che i costi che emergono da questa nuova
struttura siano equamente distribuiti.
Sarebbe francamente poco efficiente che dovessero essere sacrificati impianti nuovi ed in grado
di produrre energia elettrica ad un costo pari ad un sesto, ripeto ad un sesto, per favorirne altri
che invece rimangono in funzione per “diritto acquisito”. Nessuno vuole rimettere in
discussione cose decise attraverso leggi dello Stato ed investimenti legittimamente realizzati in
base a queste leggi. Premesso che non sempre il mercato è capace di curare da solo i suoi mali, e
che ciò vale a maggior ragione per un mercato mercato in contrazione e che vede la sua base
contendibile ridursi alla marginalità, è chiaro che le regole del gioco non possono rimanere
immutate.
È probabile che nel comparto termoelettrico siano stati anche realizzati investimenti eccessivi.
Certo, se i consumi fossero oggi al livello previsto a suo tempo dagli organi programmatori, la
situazione sarebbe completamente diversa e magari l’accusa sarebbe quella di non avere
investito abbastanza. A tal proposito, voglio evidenziare un paradosso. Quando si dovevano
decidere gli investimenti che avrebbero dotato l’Italia della capacità produttiva necessaria, le
stime (come quelle di TERNA) indicavano per questi anni valori molto elevati, che alla prova
dei fatti non si sono dimostrati realistici.
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In particolare faccio osservare che sulla base delle previsioni di TERNA del Piano di Sviluppo
2007 la domanda al 2013 sarebbe risultata di 393 TWh e la potenza alla punta un valore
compreso tra i 65 e i 67 GW. Tenuto conto dei margini di riserva che la stessa Terna riteneva
necessari per garantire l’affidabilità e la sicurezza del sistema alla punta, dell’ordine del 22-23
per cento, il fabbisogno complessivo di potenza disponibile alla punta sarebbe dovuto essere, al
2013, dell’ordine dei 80-83 GW. Ma tale valore sarebbe comunque inferiore con la potenza
disponibile alla punta dell’intero parco produttivo (stimato) del 2013, dell’ordine dei 75 GW,
valutata considerando i fattori di disponibilità delle diverse fonti adottati da Terna (per tenere
conto delle manutenzioni, delle accidentalità e della disponibilità della fonte primaria).
Inoltre, è improbabile invocare le virtù taumaturgiche del mercato quando il mercato riguarda sì
e no meno della metà della produzione italiana, per altro costretta a confrontarsi con il basso
costo delle importazioni di origine nucleare. Ricordiamo che, secondo recenti dati del GSE,
anche quest’anno ogni famiglia italiana ha consumato mediamente 130 kWh di origine nucleare,
per un totale pari a quasi il 5% dell’intero consumo.
-----Se allarghiamo lo sguardo all'Europa, troviamo un quadro altrettanto preoccupante e vediamo
avvicinarsi scadenze cruciali, che devono vedere l'Italia impegnata in prima fila. Nel corso degli
ultimi anni, alle politiche europee che avevano aperto i mercati nazionali alla concorrenza si
sono aggiunte politiche sulla sostenibilità, sulle energie rinnovabili, sull'efficienza energetica,
disorganiche e azzoppate dalle divergenze nazionali. La promessa di un "approccio olistico" del
Libro Verde sull'energia del 2006 che diede origine alla nuova ondata normativa è stata
radicalmente disattesa.
Anche in Europa, la competitività del sistema energetico è in ginocchio, con un paradosso
pericolosissimo: i prezzi finali dell'energia elettrica sono cresciuti ovunque, a fronte di una
fortissima riduzione delle componenti competitive e dei margini per gli operatori che si
confrontano sul mercato. In Italia come in Germania, in Spagna come in Grecia, il consumatore
finale paga soltanto meno della metà della sua bolletta energetica per remunerare l'acquisto
all'ingrosso sul mercato concorrenziale. Sono ormai evidenti fenomeni profondamente distorsivi
e l’assenza di un modello europeo sta generando frizioni che non restano all'interno dei confini
di ciascun paese, ma trasformano le distorsioni di uno nella crisi dell'altro. La cooperazione
europea sulle rinnovabili non è semplicemente mai iniziata e le divergenze nazionali in tale
campo hanno cominciato a erodere anche lo spazio di integrazione dei mercati.
Abbiamo insomma costruito un edificio con larghe crepe, gravi imperfezioni e parti incompiute,
come ci hanno ricordato qualche settimana fa a Bologna il Presidente uscente della nostra
associazione europea Eurelectric, Fulvio Conti, e il suo successore Johannes Teyssen, cui vanno
insieme i nostri ringraziamenti e un forte in bocca al lupo per le scadenze che ci attendono. Ci
hanno ricordato che gli investitori stanno fuggendo dai segmenti competitivi dell'industria
elettrica, rifugiandosi solo dove le politiche di sussidio garantiscono remunerazione. Ci hanno
ricordato che queste politiche stanno minando l'innovazione, vero contributo della nostra
industria a un futuro più competitivo e sostenibile. Ci hanno ricordato che persino l'integrazione
europea dei mercati, iniziata negli anni Duemila, soprattutto nel Centro Europa, sta subendo una
battuta d'arresto, con prezzi che negli ultimi periodi hanno ricominciato a divergere
prepotentemente.
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E così, con questi strumenti, staremmo realmente perseguendo la sostenibilità del sistema
energetico per il nostro pianeta? In termini di emissioni di CO2 avremmo potuto fare molto di
più, con molto meno. Eliminare una tonnellata di CO2 attraverso un pannello fotovoltaico in
Italia ci è costato oltre 400 €; la stessa tonnellata, se eliminata facendo funzionare di più i cicli
combinati italiani, tra i più moderni ed efficienti d'Europa, ci sarebbe costata poco meno di 25 €.
Nel frattempo, drogata al ribasso da sovra-allocazioni e difficoltà di funzionamento dell'ETS, la
CO2 naviga sui mercati in una fascia tra 3,5 e 5,5 € a tonnellata, lasciando ampio spazio ad una
poderosa tenuta del carbone nel mix europeo. La Germania è riuscita nel capolavoro di ridurre
l’apporto dell’energia nucleare, conquistare il primato nei sussidi alle rinnovabili ed aumentare
le importazioni di carbone nello stesso tempo.
Tre sono gli appuntamenti da non mancare.
Il primo appuntamento è la revisione della Direttiva europea sulle energie rinnovabili. Occorre
definire un nuovo modello, integrato e sostenibile, anche sul fronte economico, abbandonando
target obbligatori. Le nuove politiche europee devono prevedere che tutte le tecnologie
partecipino da qui in avanti pienamente al mercato senza sussidi, che veri meccanismi di
cooperazione europea permettano alle fonti rinnovabili di dispiegarsi là dove è più efficiente ed
efficace che si sviluppino. L'Italia, che così tanto ha investito in questo settore, ha tutta la
credibilità per essere un attore-guida di questo negoziato, in vista del suo semestre di
Presidenza.
Incombe poi la scadenza fondamentale del negoziato internazionale sulla CO2. L'ETS, che fu
adottato some strumento "faro" a livello internazionale, non è oggi adeguato a fornire un
segnale di prezzo per gli investimenti low carbon. Ma L’Europa non può nemmeno insistere in
politiche che la isolano dal resto del mondo, caricandosene i costi e riducendo la sua
competitività.
In questo ambito, si impone anche una considerazione sulla Strategia energetica nazionale.
Ritengo che si tratti di un progetto ancora valido, soprattutto sotto il profilo metodologico e nei
suoi obiettivi generali, in particolare per quanto attiene all’energia elettrica, e che sia necessario
riprenderne le fila. Ma facendo chiarezza sul fatto che, per quanto riguarda il settore elettrico, la
SEN partiva dal presupposto che al 2020 le importazioni di energia elettrica si dimezzeranno.
Un obiettivo ambizioso, che purtroppo riteniamo sia assai problematico da raggiungere.
-----Se poi volgiamo lo sguardo oltreoceano ci troviamo di fronte ad una vera e propria rivoluzione
energetica e geopolitica, generata dall’innovazione tecnologica e da un contesto giuridico assai
più aperto di quello europeo e italiano. Grazie alle nuove tecnologie di estrazione, associate ad
una libertà di impresa da noi sconosciute, gli Stati Uniti si avviano verso una pressoché
completa indipendenza energetica, fino alla possibilità di divenire esportatori netti di fonti
primarie di energia. Le dichiarazioni programmatiche di Obama a favore della green economy
non gli hanno impedito di guardare con realismo e pragmatismo alla realtà del suo paese e la sua
presidenza verrà anche ricordata proprio per il raggiungimento di un obbiettivo storico per gli
States e per aver conseguito importanti riduzioni delle emissioni di CO2. In proposito, è ancora
l'Autorità a dirci come l'Europa si trovi già di fronte ad un drammatico gap di competitività con
gli Stati Uniti in materia di costi dell’energia. In Italia, nonostante gli obbiettivi indicati dalla
SEN si continuano a frapporre ostacoli all’estrazione delle riserve di olio e gas. In Abruzzo si fa
la guerra ai rischi di inquinamento dei pozzi petroliferi a molti chilometri di distanza dalla costa,
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salvo scoprire che buona parte delle coste non è balneabile per il cattivo funzionamento dei
depuratori. Ma l’opinione pubblica viene eccitata da mostri immaginari anziché indirizzata
verso la buona e corretta amministrazione.
L’elettricità contribuisce in maniera determinante alla qualità della vita e del lavoro. Essa è
divenuta una costante della nostra vita quotidiana. Ci siamo talmente abituati a questa discreta
presenza, da stupirci quando per qualche emergenza, per fortuna rara, essa viene a mancare. La
diffusione delle information technologies e il loro accoppiamento con un numero sempre più
alto di dispositivi elettrici, ne migliora l’efficienza. Ma per qualche stravagante motivo si è
diffusa l’idea che consumare elettricità, anziché migliorare la qualità della vita, sia sintomo di
spreco. E si confonde l’efficienza con il pauperismo. Cosicché possedere una condizionatore,
onde evitare di rivoltarsi nel letto nelle notti d’estate, anziché essere considerato un elemento di
miglioramento di qualità della vita appare come un comportamento da punire; e l’elettricità
anziché essere considerata una commodity disponibile a basso prezzo viene ancora regolata
come un bene scarso. Così che il suo costo, per molte categorie di utenti, anziché essere
proporzionale al consumo aumenta con questo, e l'uso dell'energia elettrica viene scoraggiato
con una struttura tariffaria progressiva.
Il consumatore, anziché essere considerato un libero acquirente di un bene abbondante e
venduto da molti operatori diversi, viene trattato come una specie da proteggere. Nomisma ha
recentemente mostrato in una ricerca come in presenza di un’offerta differenziata ci siano per il
consumatore consapevole importanti possibilità di risparmio. Il mercato retail è ormai maturo.
Per questi motivi apprezziamo l’iniziativa assunta dall’Autorità per una riforma tariffaria
complessiva, che ponga fine all’anomalia italiana di una tariffa progressiva, per riportarla nei
canoni propri di una struttura commerciale corretta, permettendo agli operatori elettrici di
fornire ad un equo prezzo i loro servizi e di competere con altre fonti sul fronte dell’efficienza.
Così come credo che sia giunto il momento di non utilizzare più le tariffe per scopi sociali. Una
volta c'era il prezzo sociale per il pane ed anche per il chilowattora. Oggi non avrebbe più alcun
senso (anche perché esistono altri strumenti di sostegno delle famiglie più bisognose). Semmai è
giunto il tempo di superare ogni forma di doppio binario tariffario. Lo dico anche alle
associazioni consumeriste, che spesso si arroccano in difesa di alcune categorie di consumatori a
svantaggio di altre, ed è con attenzione che guardiamo allo sviluppo di nuove iniziative di tutela
dei consumatori, quali i gruppi di acquisto, che possono potenziare e migliorare l’efficienza del
mercato.
La cosa, però, deve essere sfuggita a qualcuno, se nel recente rinnovo degli incentivi per
l’efficienza energetica si è deciso di escludere le pompe di calore. La spiegazione adottata è che
questi sistemi di raffrescamento e riscaldamento delle abitazioni possono godere del cosiddetto
conto termico, la cui entità è però molto contenuta. Benissimo, diciamo allora una cosa semplice
e comprensibile: rinunciamo al conto termico e chiediamo che anche alle pompe di calore sia
applicata la deducibilità fiscale per il 65 per cento dell’investimento. Si tratta dei sistemi di
riscaldamento più efficienti possibili e costituiscono, insieme alla mobilità elettrica, collettiva ed
individuale, e ad altre tecnologie, lo strumento più efficace per conseguire un reale risparmio
energetico in termini di fonti primarie. Questo dello sviluppo del vettore elettrico, nella chiave
di un miglioramento radicale dell’efficienza energetica, è un tema che riteniamo cruciale e sul
quale nei prossimi mesi svilupperemo un’intensa azione di informazione e di comunicazione,
volta a far conoscere i vantaggi complessivi che esso presenta per ogni utente così come per
l’intero sistema economico. È questa la strada per ripulire le nostre città: se avessimo utilizzato
un quarto delle risorse dedicate al fotovoltaico per incentivare la mobilità elettrica o le pompe di
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calore avremmo fatto un passo avanti decisivo per abbattere le polveri che ammorbano i centri
urbani e per ridurre le emissioni climalteranti.
Ma, come detto, serve ripensare un sistema tariffario concepito in un’epoca lontana e seguendo
logiche assistenzialistiche. Così come serve rivedere la complessa, onerosa e macchinosa
fiscalità energetica. A tale proposito, non posso non accennare al recente decreto che ha
ampliato l’ambito di applicazione dell’addizionale all’imposta sul reddito delle società (IRES)
attraverso la riduzione dei limiti imponibili di ricavi e reddito. Agire sulla cosiddetta Robin Tax
sembra essere diventata una deprecabile abitudine che ha portato negli anni ad un accrescimento
dell’imposizione, sia attraverso l’incremento dell’addizionale, sia attraverso l’estensione a tutta
la filiera elettrica e alle FER, sia, in ultimo, con l’abbassamento delle soglie di applicazione.
Devo ribadire quanto già più volte espresso al riguardo: la Robin Tax è una misura
discriminatoria, espressione di una fiscalità concepita con intenti punitivi, che colpisce operatori
che stanno affrontando una difficile congiuntura e che sottrae risorse che potrebbero essere
imnpiegate perr la soluzione dei problemi del settore. sottraendo al sistema risorse che
potrebbero essere utili per investimenti infrastrutturali. Non è con l’inasprimento fiscale che si
risolvono i problemi del settore elettrico. E, in ogni caso, quelle risorse andrebbero destinate al
medesimo sistema elettrico, al fine di alleviare il peso degli oneri di sistema. Insomma: la Robin
Tax andrebbe completamente eliminata e non utilizzata come nuovo bancomat. Non solo:
l'aumento dell'aliquota aggiuntiva al 10,5 per cento deciso nel 2011 doveva essere un
provvedimento transitorio, valido fino a tutto il 2013: mi auguro, l'anno prossimo, di non essere
costretto a considerare come una norma transitoria sia divenuta strutturale. Su questi temi
occorre essere chiari: la fiscalità non deve essere aumentata, le casse dello Stato non possono
continuare ad alimentarsi attraverso gli oneri che gravano sul sistema energetico. Si dice da
qualche parte che in Italia esistono incentivi alle fonti fossili. Sappiamo soltanto che se si
sommano le accise sui carburanti, le royalties sull’upstream, gli oneri di sistema, l’Iva e le tasse
che gravano sulle imprese, si arriva ad un contributo totale nell’ordine dei 100 miliardi all’anno.
-----Prima di concludere voglio riservare alcune considerazioni ad altrettanti aspetti della nostra vita
di imprese che operano nel comparto elettrico.
La prima è riservata alle strutture sindacali che operano nel nostro settore. Alle organizzazioni
sindacali che rappresentano i lavoratori volgiamo rivolgere un invito, che facciamo per primi a
noi stessi, volto ad uno sforzo coraggioso di innovazione. Abbiamo, pochi mesi fa, rinnovato il
contratto nazionale, inserendo con molta fatica una piccola quota di salario legata alla
produttività. Ma dobbiamo rivedere a fondo una struttura contrattuale che scoraggia
l’occupazione nelle nostre aziende, che protegge chi già sta dentro ma crea poche opportunità di
nuovo lavoro. Le ampie esternalizzazioni che le imprese elettriche hanno realizzato nello scorso
decennio riducendo la forza lavoro impiegata direttamente, non si superano estendendo
artificialmente il contratto elettrico anche alle imprese esterne, ma aumentando la flessibilità
interna alle imprese. Spero che questi anni che ci separano dalla prossima scadenza contrattuale
possano servire ad approfondire la riflessione per preparare l'innovazione.
La seconda considerazione consiste in una critica, garbata, alla nostra casa madre,
Confindustria. La recente Assemblea annuale ha visto una forte presa di posizione di alcuni
associati importanti, che lamentano la perdita dei caratteri originari, industriali, della
confederazione. Credo che riproporre oggi un’anacronistica separazione fra industria e servizi
sia sbagliato. Ed altrettanto impossibile penso sia un'artificiale separzione fra fornitori e clienti.
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Grazie al cielo, nell’economia moderna tutti siamo clienti e fornitori di qualcuno. Ma non vi è
dubbio invece che la struttura confindustriale appaia troppo spesso gravata da procedure
burocratiche eccessive, duplicazioni, mediazioni senza fine, posizioni corporative che
confliggono con l’interesse generale. La riforma delle strutture organizzative attende da troppo
tempo. Assoelettrica ha aderito, seppur in forma limitata, a Confindustria Energia. nei prossimi
mesi è probabile che anche il vasto mondo delle aziende ex-municipalizzate entri a fare parte
del mondo confindustriale. Dobbiamo adoperarci tutti insieme perché l’ampliamento della
rappresentanza del mondo dell’energia non significhi la moltiplicazione dei livelli decisionali o
addirittura la contrapposizione di interessi. Dobbiamo individuare le poche e fondamentali cose
che uniscono e che costituiscono l’interesse principale del mondo energetico.
La terza ed ultima considerazione è la seguente: le strettoie della spesa pubblica aggravate dallo
stato di recessione in cui ci troviamo lasciano ben poco spazio a politiche di spesa. Non passa
giorno che di fronte alle difficoltà di questo o di quel settore non si senta invocare la necessità di
più investimenti. Lo hanno chiesto pochi giorni fa anche i sindacati. Eppure basta guardarsi in
giro per constatare quanti investimenti, proprio nel nostro settore, siano bloccati. Basti ricordare
i ritardi nella realizzazione del collegamento fra la Sicilia e la Calabria, la sindrome Nimby che
ormai colpisce persino impianti a fonti rinnovabili, compreso il piccolo idroelettrico, la fuga, sì,
di vera e propria fuga tocca purtroppo parlare, della British Gas dal nostro Paese, le proteste di
ugual segno a Gioia Tauro ed a Porto Empedocle, mentre contemporaneamente dichiariamo di
volere divenire un hub del gas. La legislazione ambientale è ormai diventata per le imprese una
corsa ad ostacoli sempre più difficile e causa di un contenzioso inesauribile. Si è ormai perso
completamente di vista lo scopo originario della protezione dell’ambiente. Il ministro
dell’Ambiente Orlando ha da parte sua annunciato che intende introdurre anche nel nostro paese
il sistema del débat public in vigore in Francia. Ci pare una buona idea, ma soltanto a
condizione che diventi sostitutivo e non aggiuntivo alla attuale selva di procedure.
-----Per uscire dalla crisi occorre che tutti contribuiscano facendo sempre meglio il proprio lavoro. Il
nostro mestiere è l’energia elettrica. Vogliamo continuare la strada intrapresa un secolo fa con
sempre maggiore convinzione e aggiornando i nostri riferimenti al mutare delle situazioni.
Essere efficaci significa cogliere i mutamenti e proiettare la propria azione al futuro. Stare al
passo con questi mutamenti significa offrire ai consumatori nuovi servizi ed energia di qualità
per il loro benessere. Domani non avremo tanto bisogno di altra energia elettrica, quanto di un
sistema di generazione e di utilizzo dell’energia elettrica capace di ridurne il costo e migliorare
la qualità del servizio offerto.
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