Sorridere per pensare - Associazione Family Time
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Sorridere per pensare - Associazione Family Time
XIII. SORRIDERE PER PENSARE QUANDO ENTRA MR. BEAN IN UN AMBULATORIO DI NEUROPSICHIATRIA INFANTILE Roberto Miletto 1, Maria Rosa Fucci 2, Laura Ulisse 3 L'immagine si trova all'indirizzo tomsblog.it/.../mr-bean-mr-bean-166153_598_328/ u.o.npi ASL Roma H, distretto di Pomezia 1 neuropsichiatra infantile, riabilitazione 2 psicologa psicoterapeuta 3 terapista della INTRODUZIONE In questi anni, ed i riferimenti bibliografici del nostro gruppo di ricerca (a cui si rimanda) ci dicono che non sono certo pochi, l’unità operativa di neuropsichiatria infantile ha proposto ambulatorialmente a Pomezia diversi materiali umoristici per scopi riabilitativi. Lo si potrebbe pensare come un “curare ridendo” applicato al trattamento delle patologie dell’apprendimento ma va subito chiarito che il divertimento è stato ed è per noi un mezzo e mai un fine di cura, dunque il ridere in se stesso non è il cuore dei nostri interventi terapeutici, quel che succede è invece un ridere insieme sempre per un pensare condiviso nel gruppo. Nei contributi che presentiamo in questo volume, dai cartoni animati alle vignette umoristiche degli altri capitoli, ai corti comici di questo, così come ad altri nostri contenuti descritti altrove (programmi informatici caricaturali, videogiochi, barzellette), il materiale di base è già strutturato da altri, gli aspetti più innovativi stanno nella metodologia di proposta. E quello che va sottolineato è riassumibile in pochi punti del nostro metodo di cura: ricerca dell’appropriatezza del tipo di proposta, differenziata per tipologia clinica del gruppo di trattamento e per fascia di età; ricerca di efficacia nella scelta di un definito protocollo di lavoro, come risultato di ripetuti “collaudi” sul campo con relativi aggiustamenti progressivi; sistematica integrazione con alcuni principi del metodo di potenziamento cognitivo (vedi riferimenti a Feuerstein); attenzione alle dinamiche gruppali durante il lavoro riabilitativo. Tra i corti comici, che costituiscono il contenuto di questo capitolo, abbiamo impiegato degli sketch di Mr. Bean ed il loro uso si è rivelato particolarmente adatto per gli alunni di scuola primaria con un Disturbo di Apprendimento Non Specifico (DANS). MR. BEAN Mr. Bean è un personaggio comico interpretato dall'attore britannico Rowan Atkinson e creato da Atkinson stesso insieme ad altri autori. Nato come personaggio cabarettistico degli anni ottanta, dal gennaio 1990 Mr. Bean diventa protagonista di una serie televisiva che dura per anni, venduta in oltre 200 paesi. Molti vedono nella mimica, nel linguaggio gutturale e ridotto all'osso di Mr. Bean un richiamo al regista ed attore francese Jacques Tati (soprattutto ne Le vacanze di Monsieur Hulot), con il quale condivide movenze e un umorismo di tipo slapstick, una comicità basata sul linguaggio del corpo. Fatto sta che Mr. Bean è come un ragazzone un po’ stupidotto, vestito sempre allo stesso modo, con un completo marrone che porta in ogni puntata, un'utilitaria un po’ridicola, una Mini verde acido, e poi a completare un quadro già clinico, è legato ad un orsacchiotto di peluche, Teddy, che ha come amico. Nella versione italiana, Bean parla lo stesso in inglese anche se le sue battute sono molto limitate all'interno degli episodi, dunque dei corti comici sostanzialmente senza parole, da cinema muto. Tra le tante disavventure dello sventurato personaggio, ne abbiamo selezionate alcune nel nostro protocollo e qui riportiamo, molto in breve, una descrizione di due sketch. Nel primo, Mr. Bean è in strada e, avvertendo di avere un sassolino nella scarpa, si appoggia ad una macchina fermatasi al semaforo e, sfilata la scarpa, la poggia sul tetto dell’autovettura: che ovviamente con il verde riparte con la scarpa sul tetto. Goffi e di vario risultato i tentativi che mette allora in atto per riparare il danno subito, dal cercare vanamente di acquistare nel negozio di calzature una scarpa spaiata (perché a lui, in effetti, manca una scarpa soltanto) fino al farsi quasi investire dalla macchina con la scarpa non appena la rivede passare: in tal modo il conducente inchioda e così il nostro recupera la scarpa sotto lo sguardo sbigottito dell’autista. Nel secondo sketch, Mr. Bean si trova al supermercato e fa acquisti alla sua maniera disadattata (per decidere la misura della padella da comprare tira fuori dalla tasca interna della giacca, come unità di misura, il pesce da cucinare, tanto per dare un’idea); si reca poi alla cassa per pagare con la carta di credito, e c’è uno scambio di carte con altro cliente; il signore non si accorge della scambio e ripone la carta di credito di Mr. Bean nella tasca dei propri jeans; il nostro, con le sue modalità consuetamente disadattive, lo insegue cercando recuperi furtivi, fino a ritrovarsi incastrato dietro la tazza nella toilette dove il signore era andato a soddisfare suoi bisogni; da quella assurda posizione, va ancora al disperato recupero della carta, fintantoché il signore nel girarsi per prendere la carta igienica lo sorprende: lo sventurato per tutta risposta, con assoluto aplomb, gli offre come se nulla fosse il rotolo di carta igienica, lasciando l’altro in grande, comprensibile sconcerto. NOTE SUL SETTING Nella nostra esperienza ambulatoriale i gruppi sono contenuti sui 6-8 soggetti, abbiamo sperimentato i corti comici in momenti differenti dello sviluppo, dalla media latenza (terza classe di scuola primaria) all’adolescenza, con incontri bisettimanali, ciascuno della durata di 90’, per cicli brevi e a termine, di tre-quattro mesi. Ampia la stanza usata, e discretamente attrezzata con postazioni informatiche, tv, lettore cd, softwares vari e un grande tavolo di lavoro attorno al quale a circolo il gruppo può disporsi. Due i conduttori, una psicologa psicoterapeuta ed una terapista della riabilitazione, con la possibile presenza aggiuntiva di un operatore, osservatore non partecipe, incaricato delle riprese video. I corti sono selezionati per complessità, il primo sketch descritto, quello della scarpa, di buona immediatezza ed ambientato nel contesto unico della strada, è più adatto per lavorare con gruppi in età di latenza, l’altro, quello della carta di credito è modello di un corto con situazioni più complicate che richiedono la discussione di gruppi più evoluti. Prima delle esposizioni al filmato, si deve sempre procedere alla fondazione del gruppo. Va considerato che si tratta quasi sempre di alunni che sono segnalati da scuole diverse per difficoltà negli apprendimenti, dunque è anche possibile che non si siano mai incontrati prima. Tenendo presente che il gruppo riabilitativo, diversamente da altri gruppi di tipo terapeutico, è di breve durata e a termine, non si può aspettare che si fondi da solo. Pertanto, i conduttori attivamente guidano la conoscenza dei singoli, facilitando le presentazioni, utilizzando anche un questionario-intervista da compilare, sul modello che segue: - come ti chiami ? quando è il tuo compleanno ? sai qual è il tuo segno zodiacale ? qual è il programma in tv che ti piace di più ? hai un hobby, una cosa che ti piace fare nel tempo libero ? in cosa pensi di essere bravo ? in cosa pensi di essere meno bravo ? sai se c’è qualcosa di te che agli altri piace ? - sai perché sei qui ? cosa pensi faremo ? E’ da osservare che il questionario solitamente, prima ancora che le istruzioni per la compilazione vengano date, suscita a corto circuito atteggiamenti e strategie inadeguate automatizzate, con ricerca dell’evitamento del compito: “ ma che è ?...‟na verifica ? Eh, no, mica so‟ bono a farla „sta cosa !” “ ma si può copiare o „sti fogli so‟ tutti diversi ?” Conduttore: “Ma certo che si può copiare…fin dalla prima domanda, che è come ti chiami ?”. E la tensione comincia a sciogliersi con una prima risata. A compilazione avvenuta, si legge nel gruppo l’intervista di ciascuno, in modo da far circolare informazioni e crescere la conoscenza. Di solito, impresa ben difficile, perché non c’è consuetudine all’ascolto, e poi molti sono alunni in difficoltà anche solo all’idea di proporsi e per di più proporsi come esseri pensanti. La mediazione dell’adulto in questi casi deve essere particolarmente forte. La fondazione del gruppo richiede che il gruppo sia rappresentabile, dunque bisogna trovare un nome al gruppo: così si può pensarlo. E’ momento importante, di riflessione, con la circolazione di proposte e con la discussione relativa. Spontaneamente, i preadolescenti tendono a definirsi usando solitamente appellativi fortemente connotati nel senso dell’onnipotenza (“gli intelligentoni”, “i fantastici”, “i campioni”), come a voler compensare quel senso di impotenza fallimentare sperimentato nei tanti insuccessi a scuola. Nei gruppi dei più piccoli, invece, si coglie più facilmente il senso di distanza generazionale che i bambini percepiscono tra loro e gli adulti, come nella proposta “gli intoccabili”, che uno di loro accompagna, come voce del gruppo, con una canzoncina che fa così: “noi siamo gli intoccabili/ e voi ci avete rotto/ voi vi chiamate grandi/ e vi pisciate sotto!/” e con aggiunta intensificata “… e vi cagate sotto!”. Trovando spazio di accoglienza (a scuola sarebbe stato più difficile…) proprio per indagare cosa degli adulti pensa questo gruppo; i conduttori, quindi, anziché censurarla, la fanno cantare e ricantare al gruppo, la canticchiano anche loro insieme ai bambini, così accorciando la distanza generazionale e creando uno spazio d’incontro condiviso. Un’altra proposta utile per costruire il senso del gruppo unito è l’istituire un cartellone murale con le presenze e le assenze di ciascun membro del gruppo, individuato da un nickname, un “nome di battaglia” spontaneamente scelto, così quando uno è assente può essere più facilmente tenuto nella mente del gruppo. Infine, per costituirsi come nucleo sociale, c’è sempre la scrittura di un altro cartellone murale contenente le regole condivise, proposte dai membri stessi solo con una guida accogliente degli adulti (l’unica imposizione è sempre NON FARSI MALE): si costituisce in tal modo un codice gruppale che garantisce lo stare bene insieme, fatto non solo di divieti ma anche di permessi. NOTE SUL PROTOCOLLO Dei corti noi ne facciamo un uso cognitivo e metacognitivo seguendo sempre le stesse tappe propositive, così sintetizzabili: a. visione collettiva del filmato. Il gruppo lo visiona almeno due volte, motivato ad una partecipazione per le esigenze di una narrazione da fare successivamente a chi non lo conosce; b. racconto collettivo del filmato. Ciascuno racconta e la narrazione è sempre frammentaria, il conduttore raccoglie i pezzi e li tiene insieme, per restituirli al gruppo in una struttura organizzata. Produzioni singole telegrafiche, specie nei gruppi dei più piccoli, spesso ben poco coerenti nell’esplicitazione di nessi causali e temporali, una costruzione frasale ipersemplificata, con coordinate non sempre a senso compiuto; a volte ridono molto, fino alle lacrime, e il racconto ne risente, e non è chiaro se viene interrotto per ridere o perché non sanno cosa e come dire. Nei gruppi più grandi il racconto può stentare anche perché sono spinti a dare giudizi sprezzanti sul personaggio, e non ridono come i piccoli, si arrabbiano con il protagonista troppo imbranato; c. argomentazioni. Il conduttore accetta tutte le reazioni del gruppo, dal riso alla rabbia, e chiede sempre di spiegarne il perché. E’ un avvio guidato ad interpretare una realtà che dà emozioni, positive o negative che siano. E’ un passare da un uso descrittivo del linguaggio, una d. e. f. g. h. narrazione che poggia su alcuni elementi situazionali, ad un più cognitivo uso di parole per dire ipotesi parziali sulle relazioni che intercorrono tra gli stimoli esterni ed il mondo interno; un mondo che si può insieme cominciare a riconoscerlo, a denominarlo, dunque a governarlo con la mente: primi passi nel percorso della metaconoscenza; intervento sulla motivazione. Per il prosieguo, il conduttore rinnova al gruppo il significato del loro stare insieme: ciascuno è stato scelto perché sia come un operatore del cinema e, dunque, ora si possono proporre nel gruppo tutti i correttivi allo sketch, di contenuto, di trama, che si vogliono apportare; segmentazione. Per le modifiche, c’è bisogno di una percezione analitica più dettagliata, situazione per situazione e, pertanto, si racconta segmento dopo segmento; gli adulti usano il fermo immagine e fanno da impalcatura nell’analisi percettiva con domande stimolo ordinate e graduate, mettono insieme le risposte riassumendole in un tutto a significato: “proviamo a raccontare bene tutto ciò che si vede del luogo dove Mr. Bean si trova…”,”ora diciamo tutto sulle sue caratteristiche fisiche, su…”,”e quali azioni qui ha fatto, diciamole…”,”ecco, e qual è il momento in cui avete prima riso (o vi ha fatto arrabbiare) ?”; linguaggio che guida l’analisi. Le parole diventano integratrici delle azioni ordinate in successione ed i soggetti scoprono che il linguaggio è pensiero, si pensa con le parole anche quando non si parla; integrazione degli elementi. Il conduttore stimola il gruppo a produrre una narrazione complessiva dello sketch, ora mettendo insieme i vari segmenti del racconto con il linguaggio che assume una connotazione evocativa, senza immagini di supporto; spesso è con sorpresa che il gruppo constata una modificata capacità di usare ora la narrazione. E’ interessante anche mettere a confronto la qualità delle narrazioni ora costruite con le analisi guidate rispetto a quella dei racconti spontanei iniziali ed il mediatore qui ha proprio il compito importante di far cogliere bene differenze di livello del pensiero narrativo tra le prime produzioni, in gruppo, e le ultime, già di gruppo, restituendo a ciascuno la conferma della propria personale trasformazione in atto; teoria della mente. Un passaggio significativo è la richiesta cognitiva/metacognitiva di prendere un ulteriore distanziamento dal proprio pensiero per pensare il pensiero dell’altro: per ciascun segmento si chiede di costruire due diagrammi di flusso paralleli, sul primo si rappresentano i pensieri del protagonista, sul secondo quelli i. j. k. l. corrispondenti dell’altro, così da intercettare i momenti in cui nascono gli equivoci, le bizzarrie, le assurdità che fanno ridere; considerazione dei punti di vista. Si tratta di tenere in mente due diversi punti di vista che interagiscono fra loro, è esplicitare il pensiero interno dei due attori, nel contenitore sicuro del gruppo; è un confrontarsi nella comprensione degli stati interni, le credenze, i desideri, le emozioni dei personaggi; con il mediatore che facilita il percorso di pensare il pensiero dell’altro: “cosa sta pensando in quella situazione Mr.Bean?; ha un bisogno, desidera qualcosa?; che sensazione fisica sente?; che emozione sta provando?; e quello là che cosa ha capito di Mr. Bean? Etc.”; costruzione di diagrammi di flusso paralleli. Dalle considerazioni dei due punti di vista alla disposizione ordinata su due diagrammi, quello dei pensieri di Mr.Bean e quello dei pensieri dell’altro personaggio: si costruisce così un’analisi sempre più ampia ed approfondita; nel compilare con il pensiero gruppale questi diagrammi di flusso si possono ora apprezzare dei passaggi che prima risultavano di difficile comprensione a singoli membri del gruppo: per esemplificare, nel corto della scarpa, per molti nei gruppi dei piccoli, inizialmente, il conducente della vettura sembrava dispettoso (“Perché lui lo fa apposta a partire…così Mr.Bean non può più riprendere la scarpa!”;“Quello là è cattivo…lo fa stancare, porello Mr.Bean!”; “L‟autista vuole fargli „sto scherzetto, eh”), avendo difficoltà a mettersi in un punto di vista diverso dal proprio; per lavorare su questa funzione cognitiva carente, il riabilitatore usa la drammatizzazione di singole scene, nel caso specifico in palestra utilizziamo una automobilina di plastica con tettuccio e si gioca insieme al gioco “indovina che ti metto sul tettuccio!”; ad ogni giro si mette sul tettuccio un oggetto diverso (o anche nulla), che l’autista di turno puntualmente non riesce ad indovinare; così si riesce a costruire un ragionamento analogico: se io che sto dentro all’automobilina non lo so, allora neppure il conducente nel film lo sa! ; drammatizzazione con ripresa video. Il gruppo mette in scena una situazione del corto, ma lo fa con una recitazione di copione, mentre lo sketch è muto. Poi si assiste alla videoregistrazione, si commenta e l’adulto raccoglie le osservazioni, le sintetizza ad uso costruttivo; talora si sono fatte anche più prove e sono poi stati confrontati in gruppo i diversi filmati, evidenziando somiglianze e differenze. Con alcuni gruppi, il percorso si è completato con un altro aspetto di costruzione attiva, offerto dal vecchio programma 3D Movie Maker (Microsoft Kids, 1995), che fa proprio del gruppo il regista di un cortometraggio. Questo sviluppo del protocollo ci consente di riproporre qui una riflessione su un’importante variabile per i nostri gruppi abilitativi: lo specifico momento evolutivo che stanno attraversando, perché fa differenza, ed è parecchia, se si ha a che fare con bambini oppure con ragazzi con DANS (Miletto&Fucci, 2009). Una differenza che merita particolare riflessione. NOTE SULLA CLINICA Riportiamo, a tal proposito, un’esperienza ambulatoriale da noi già descritta anni fa (Miletto ed al., 2003), con due gruppi con DANS trattati nel contempo, l’uno costituito da cinque bambini di scuola primaria in media latenza, l’altro da quattro preadolescenti di scolarità media. Stesso il protocollo di cura, ma i risultati assai differenti per significato: per i più piccoli, si è realizzata una riabilitazione cognitiva/metacognitiva, è stato quasi un avvio di psicoterapia di gruppo per gli altri. La ragione principale di questa diversità sta nell’uso di un materiale umoristico che é a valenza complessuale. La scelta di un personaggio stralunato come Mr. Bean é significativa: le sue condotte sono, diciamolo pure, già di interesse clinico, lui é un adulto certo ben poco cresciuto e tanto incapace; si ride o si sorride perciò sul suo essere in difficoltà e sulle figure “da cretino” che sempre fa. Ma proprio per questo non tutti riescono a divertirsi. Gli alunni con DANS di scolarità media, la cui carriera d’insuccessi negli apprendimenti é più lunga e più pesante rispetto ai più piccoli, vivono anche la maggior fragilità del loro momento critico-evolutivo, la preadolescenza. Faticosa é per loro la costruzione di un’identità, che é precaria e già danneggiata dalla scadente riuscita scolastica. Nell’osservazione dei fallimenti del protagonista del filmato le spinte identificative trovano un fertile terreno: le vicissitudini ed i vissuti di Mr. Bean diventano dunque fortemente complessuali. Più che un problema di non sufficiente padronanza cognitiva (modello “non l’ho capita !”) in questa situazione umoristica non c’é la padronanza dinamica, emotiva. Per preadolescenti in difficoltà grave a scuola questo é proprio quel “parlare di corda in casa dell’impiccato”, come sostiene quello specialista in psicologia dell’umorismo che é Giovannantonio Forabosco. Il filmato propone loro una regressione che non é certo al servizio dell’Io. Anzi, finisce per indebolire ancor di più quel Sé cognitivo già debole, spesso depresso. Vedere quel ragazzone che fa ridere tutti proprio per il suo essere così inadeguato nei vari contesti, finisce per assumere un effetto “salienza” sui nostri ragazzi: é mettere in rilievo un contenuto emozionale su cui c’é ipersensibilità. Non può essere stimolo sintonico: ed infatti hanno presto rifiutato di continuare a lavorare su questo materiale umoristico, se limitato a Mr. Bean. I più piccoli, di scolarità primaria, non hanno mai trovato queste situazioni con Mr. Bean così complessuali, e di conseguenza si lavora solitamente bene sugli aspetti più cognitivi della padronanza. Interessanti le scelte delle denominazioni al gruppo richieste nell’esperienza di cura qui riportata: i bambini si sono accordati sul potente “Gli Intoccabili”, mentre i ragazzi si sono definiti “Gli intelligentoni”, una parola che ha in sé dell’ambivalenza e mostra la loro chiara preoccupazione sulla valutazione ed un’opinione sull’autoefficacia personale. Con il programma 3D Movie Maker si cerca di ricostruire al computer, insieme ed in modo divertito, il corto originale. Qui proponiamo materiale tratto dal lavoro ambulatoriale con lo sketch della scarpa perduta. Il gruppo degli Intoccabili ha cercato al computer di riprodurre sostanzialmente la trama del corto. Il gruppo degli Intelligentoni ha preferito produrre un contenuto inventato. E’ stata costruita la storia di un ragazzo di colore, un extracomunitario che si trova in luoghi sconosciuti e misteriosi, e si aggira tra anfratti e grotte inquietanti: un po’ come loro a scuola, sorta di “extracomunitari” della cultura, che si barcamenano tra le tante conoscenze che non riescono a controllare. Il ragazzo scopre poi un segreto che non si può dire, e ciò determina una minacciosa reazione da parte del custode di questi luoghi misteriosi, uno scheletro persecutore, come un’ombra inesorabilmente sulle tracce del povero ragazzo, sempre in fuga. Poiché il mostro deve avere un nome, il gruppo ha deciso di chiamarlo Errore (!). Il ragazzo scappa da un luogo ad un altro, senza mai voltarsi a guardare in faccia quella realtà orribile. Durante la costruzione delle peripezie, il gruppo é sembrato decisamente infierente sul disgraziato protagonista (“brutto marocchino!... deficiente... mongoloide!”), schermo proiettivo di quella parte denigrante introiettata ben rappresentata dallo scheletro persecutore. Poi però si é stabilito che la fuga del ragazzo non può essere una scelta risolutiva, Errore é sempre in agguato, lo insegue per fulminarlo e poi il ragazzo, per non sbagliare, finisce per non scrivere, non fare, nemmeno aprire i suoi libri o toccare un tasto del computer. Almeno così, astenendosi da tutto, non era mai stato finora aggredito da Errore alle spalle. Ma così non può andare avanti. Giunto al fin in un castello, viene scovato dal persecutore: ma a questo punto della storia, cogliendo l’idea del gruppo, il terapeuta dà il permesso al protagonista di fare una cosa del tutto nuova, farlo girare, in modo da guardare bene in faccia Errore. E questo fatto, del tutto nuovo, porta con sé una conseguenza formidabile: il mostro crolla, disintegrandosi. Lo scheletro persecutore in un attimo perde consistenza. Quel mostruoso errore finalmente affrontato di petto, guardato a viso aperto, viene riconosciuto come un’ombra, senza sostanza. Dunque, non ha voluto il gruppo metterci nella costruzione del film Mr. Bean, perché più urgente é stato portare nella storia qualcosa di se stessi con i propri fallimenti, specie a scuola. Stare con Mr. Bean é centrare l’attenzione sul fallimento, mentre in questa storia inventata la fine é poi vincente, in modo positivo. Il ragazzo ha saputo sottrarsi allo scheletro persecutore: il gruppo, guidato dal terapeuta, é riuscito perciò ad introdurre un elemento trasformativo. Il conduttore ha avuto il compito di generalizzare il felice esito, facilitando poi un trasferimento alla concretezza dei vissuti del gruppo: anche a scuola gli errori possono assumere consistenze mostruose, ma vanno affrontati, riconosciuti, ed allora possono anche essere usati, perché da essi possiamo imparare, e tanto. Un breve stralcio dell’ultima seduta può essere chiarificatore: Mediatore: “Bene, e voi come gruppo avete avvertito se quello scheletro, Errore, c’è stato nella nostra stanza…” Andrea: “e sì che ce sta‟…non mi fa battere i tasti della tastiera perché tanto io me…io sbaglio sempre…” M.: “ Ecco, si può chiamare Errore-Orrore questo scheletro…avere orrore, paura dell’errore, lo sbaglio che dice Andrea…” Alessandro: “sì…io non faccio il compito così non sbaglio !” Valentina: “anch‟io a volte non ci provo nemmeno…ho paura…” Alessio: “quanno nun studio io manco porto i libri a scola io…così quella nun me interroga eeh…mica so‟scemo !” M.: “ Ecco, però il film che avete fatto ci dice una cosa molto interessante, invece di fuggire da Errore, dagli errori, riusciamo a voltarci, li guardiamo finalmente in faccia questi errori ! E così siamo meno spaventati, guardando bene in faccia l’errore possiamo imparare, non c’è più Orrore, la paura di sbagliare…Se invece gli voltiamo le spalle, sta sempre lì, in agguato, dietro di noi e ci spaventa no? Ci aiuta conoscere i nostri errori…” Questo è stato un viaggio emozionale, partito dalle gag ignorate di Mr.Bean per nuove esplorazioni sul terreno persecutorio dell’orrore dell’errore, tema fortemente complessuale per questo gruppo di alunni fallimentari a scuola, con il lieto fine: l’esploratore-scolaro si libera dall’errore proprio conoscendolo, in un cambio di strategia di promettente significato evolutivo. Se si ripensa a questo gruppo preadolescente, si può osservare che nel Laboratorio é stato percorso un bel tratto a chiaro taglio psicodinamico, quasi a suggello di un lavoro di confine tra riabilitazione e psicoterapia. Se il parlar di corda in casa dell’impiccato può produrre delle emozioni forti, allora va usato nel trattamento. Molti preadolescenti con DANS nei nostri gruppi scaricano un bel po’ di proiezioni aggressive sul povero Mr. Bean, così come sentimenti ostili vengono espressi sui personaggi del film. In un certo senso, é come sollevare il coperchio ad una pentola finalmente messa sul fuoco a bollire. Seduta dopo seduta, é proprio da lì che si levano i loro fumi, dunque, complessuali. Andrea, per la prima volta, é così riuscito nel gruppo a parlare della sua enorme rabbia di ieri per la ripetenza ed anche del disagio di oggi, a scuola, con i compagni che lo dileggiano. Tutti hanno portato in discussione le paure intorno alla sessualità, e le loro difese anche goffe per la corporeità emergente (Alessio: “eh, Jessica...ecché mo‟ tu sei femmina?...Ma se c‟hai pur i baffi ! ahh...ahh”). Fumi che finiscono per annebbiare vista e mente. NOTE CONCLUSIVE Nel materiale abilitativo proposto, si può cogliere dunque un aspetto metodologico: per i nostri gruppi ambulatoriali, due sono i ruoli degli operatori in gioco, la Terapista e la Terapeuta, tecnici di competenza diversa e che assumono peso differente a seconda del gruppo da trattare. Lo spostamento del luogo di cura eventualmente nella scuola pone questioni importanti sulla selezione dei gruppi. Ferma restando, in ogni caso, la necessità della supervisione regolare agli educatori (siano psicopedagogisti, docenti di sostegno, curriculari, oppure educatori professionali, assistenti educativi) da parte di noi tecnici dell’età evolutiva, appare più convincente l’impiego eventuale a scuola degli educatori per gruppi che prevedono attività prevalenti di potenziamento cognitivo/metacognitivo. Ed altro punto indiscutibile, per il coinvolgimento degli educatori in Laboratori a Curricolo Speciale come questo, é la necessità di una loro formazione mirata, non di superficie. Per quanto detto, la considerazione che un’esportazione di questa esperienza abilitativa appare oggi più facilmente realizzabile nella scolarità primaria, con gruppi di alunni che si trovano in quella fase di sviluppo detta della latenza: che è un periodo speciale, in cui il bambino è chiamato a compiti evolutivi basilari per la costruzione e per l’integrazione del suo apparato psichico. Un momento certo delicato, di maturazione del Sé, e di arricchimento cognitivo, con il pensiero che diventa più reversibile, capace di fare collegamenti tra il passato vissuto, il presente ed il futuro anticipato nella mente. E’ il periodo in cui si osserva una capacità diversa di valutare autonomamente le proprie abilità, non più limitata solo ai rispecchiamenti delle figure di attaccamento e la crescita del senso di autoefficacia è di grande rilievo abilitativo. Per queste considerazioni di base sul periodo, nelle nostre cooperazioni con le agenzie educative, in alcuni contesti più recettivi delle scuole primarie del nostro territorio, non ci siamo limitati solo ad un’abilitazione di gruppi patologici ma è stato possibile estendere il progetto all’intera classe, con un approccio di cooperative learning facilitante la coesione del gruppo e determinante comportamenti pro-sociali: é certo nella condivisione che acquista un senso ciò che si fa. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Forabosco G.(1994), Il Settimo Senso. Psicologia del senso dell‟umorismo. Con istruzioni per l‟uso. Muzzio Editore, Padova. Fucci M.R., D’Alesio D., Sarto G., Ulisse L., Miletto R. (2010), Idee di gioco mediato a scuola. In: Miletto R.&Gruppo di Ricerca Ellepi (a cura di), Per una scuola amica. Curricoli speciali per potenziare la mente. Alpes Italia Ed., Roma. Miletto R., Fucci M.R., Ulisse L. (1987), Videogames: dal gioco alla riabilitazione. Psich. Inf. Adol., 54, 2: 153-59. Miletto R., Bellotti A., Fucci M.R., Carozza E. (2000), A scuola sui sentieri dei pensieri. Percorsi riabilitativi per preadolescenti con Disturbo Aspecifico di Apprendimento. Armando Editore, Roma. Miletto R., Fucci M.R., Ulisse L., Pangrazi A. (2003), Multimedialità per un laboratorio umoristico: appunti di riabilitazione. I Care, 28,1: 19-24. Miletto R., Fucci M.R., (2003), Riabilitare ridendo: il laboratorio umoristico. DA-Dynamicair, 4,4: 50-51. Miletto R., Fucci M.R., Petriglia M.G., Ulisse L., D’Alesio D. (2006), Ridere per pensare: una proposta rieducativa. I Care, 31, 1: 10-12. Miletto R., Fucci M.R., D’Alesio D. (2008), Gioco ed Apprendimento Mediato, I Care, 33,3: 98-101. Miletto R., Fucci M.R. (2009), Fammi pensare! Armando Ed., Roma. Miletto R., Fucci M.R., D’Alesio D., Ulisse L. (2010), Videogioco e metacognizione: pensare come gruppo. In: Miletto R.&Gruppo di Ricerca Ellepi (a cura di), Per una scuola amica. Curricoli speciali per potenziare la mente. 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