Sorridere per pensare - Associazione Family Time

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Sorridere per pensare - Associazione Family Time
XIII. SORRIDERE PER PENSARE
QUANDO ENTRA MR. BEAN IN UN AMBULATORIO DI
NEUROPSICHIATRIA INFANTILE
Roberto Miletto 1, Maria Rosa Fucci 2, Laura Ulisse 3
L'immagine si trova all'indirizzo tomsblog.it/.../mr-bean-mr-bean-166153_598_328/
u.o.npi ASL Roma H, distretto di Pomezia
1
neuropsichiatra infantile,
riabilitazione
2
psicologa psicoterapeuta
3
terapista della
INTRODUZIONE
In questi anni, ed i riferimenti bibliografici del nostro gruppo di ricerca (a
cui si rimanda) ci dicono che non sono certo pochi, l’unità operativa di
neuropsichiatria infantile ha proposto ambulatorialmente a Pomezia diversi
materiali umoristici per scopi riabilitativi. Lo si potrebbe pensare come un
“curare
ridendo”
applicato
al
trattamento
delle
patologie
dell’apprendimento ma va subito chiarito che il divertimento è stato ed è per
noi un mezzo e mai un fine di cura, dunque il ridere in se stesso non è il
cuore dei nostri interventi terapeutici, quel che succede è invece un ridere
insieme sempre per un pensare condiviso nel gruppo. Nei contributi che
presentiamo in questo volume, dai cartoni animati alle vignette umoristiche
degli altri capitoli, ai corti comici di questo, così come ad altri nostri
contenuti descritti altrove (programmi informatici caricaturali, videogiochi,
barzellette), il materiale di base è già strutturato da altri, gli aspetti più
innovativi stanno nella metodologia di proposta. E quello che va sottolineato
è riassumibile in pochi punti del nostro metodo di cura:
 ricerca dell’appropriatezza del tipo di proposta, differenziata per
tipologia clinica del gruppo di trattamento e per fascia di età;
 ricerca di efficacia nella scelta di un definito protocollo di lavoro,
come risultato di ripetuti “collaudi” sul campo con relativi
aggiustamenti progressivi;
 sistematica integrazione con alcuni principi del metodo di
potenziamento cognitivo (vedi riferimenti a Feuerstein);
 attenzione alle dinamiche gruppali durante il lavoro riabilitativo.
Tra i corti comici, che costituiscono il contenuto di questo capitolo, abbiamo
impiegato degli sketch di Mr. Bean ed il loro uso si è rivelato
particolarmente adatto per gli alunni di scuola primaria con un Disturbo di
Apprendimento Non Specifico (DANS).
MR. BEAN
Mr. Bean è un personaggio comico interpretato dall'attore britannico Rowan
Atkinson e creato da Atkinson stesso insieme ad altri autori. Nato come
personaggio cabarettistico degli anni ottanta, dal gennaio 1990 Mr. Bean
diventa protagonista di una serie televisiva che dura per anni, venduta in
oltre 200 paesi. Molti vedono nella mimica, nel linguaggio gutturale e
ridotto all'osso di Mr. Bean un richiamo al regista ed attore francese Jacques
Tati (soprattutto ne Le vacanze di Monsieur Hulot), con il quale condivide
movenze e un umorismo di tipo slapstick, una comicità basata sul
linguaggio del corpo. Fatto sta che Mr. Bean è come un ragazzone un po’
stupidotto, vestito sempre allo stesso modo, con un completo marrone che
porta in ogni puntata, un'utilitaria un po’ridicola, una Mini verde acido, e
poi a completare un quadro già clinico, è legato ad un orsacchiotto di
peluche, Teddy, che ha come amico. Nella versione italiana, Bean parla lo
stesso in inglese anche se le sue battute sono molto limitate all'interno degli
episodi, dunque dei corti comici sostanzialmente senza parole, da cinema
muto.
Tra le tante disavventure dello sventurato personaggio, ne abbiamo
selezionate alcune nel nostro protocollo e qui riportiamo, molto in breve,
una descrizione di due sketch. Nel primo, Mr. Bean è in strada e, avvertendo
di avere un sassolino nella scarpa, si appoggia ad una macchina fermatasi al
semaforo e, sfilata la scarpa, la poggia sul tetto dell’autovettura: che
ovviamente con il verde riparte con la scarpa sul tetto. Goffi e di vario
risultato i tentativi che mette allora in atto per riparare il danno subito, dal
cercare vanamente di acquistare nel negozio di calzature una scarpa spaiata
(perché a lui, in effetti, manca una scarpa soltanto) fino al farsi quasi
investire dalla macchina con la scarpa non appena la rivede passare: in tal
modo il conducente inchioda e così il nostro recupera la scarpa sotto lo
sguardo sbigottito dell’autista. Nel secondo sketch, Mr. Bean si trova al
supermercato e fa acquisti alla sua maniera disadattata (per decidere la
misura della padella da comprare tira fuori dalla tasca interna della giacca,
come unità di misura, il pesce da cucinare, tanto per dare un’idea); si reca
poi alla cassa per pagare con la carta di credito, e c’è uno scambio di carte
con altro cliente; il signore non si accorge della scambio e ripone la carta di
credito di Mr. Bean nella tasca dei propri jeans; il nostro, con le sue
modalità consuetamente disadattive, lo insegue cercando recuperi furtivi,
fino a ritrovarsi incastrato dietro la tazza nella toilette dove il signore era
andato a soddisfare suoi bisogni; da quella assurda posizione, va ancora al
disperato recupero della carta, fintantoché il signore nel girarsi per prendere
la carta igienica lo sorprende: lo sventurato per tutta risposta, con assoluto
aplomb, gli offre come se nulla fosse il rotolo di carta igienica, lasciando
l’altro in grande, comprensibile sconcerto.
NOTE SUL SETTING
Nella nostra esperienza ambulatoriale i gruppi sono contenuti sui 6-8
soggetti, abbiamo sperimentato i corti comici in momenti differenti dello
sviluppo, dalla media latenza (terza classe di scuola primaria)
all’adolescenza, con incontri bisettimanali, ciascuno della durata di 90’, per
cicli brevi e a termine, di tre-quattro mesi. Ampia la stanza usata, e
discretamente attrezzata con postazioni informatiche, tv, lettore cd,
softwares vari e un grande tavolo di lavoro attorno al quale a circolo il
gruppo può disporsi. Due i conduttori, una psicologa psicoterapeuta ed una
terapista della riabilitazione, con la possibile presenza aggiuntiva di un
operatore, osservatore non partecipe, incaricato delle riprese video.
I corti sono selezionati per complessità, il primo sketch descritto, quello
della scarpa, di buona immediatezza ed ambientato nel contesto unico della
strada, è più adatto per lavorare con gruppi in età di latenza, l’altro, quello
della carta di credito è modello di un corto con situazioni più complicate che
richiedono la discussione di gruppi più evoluti.
Prima delle esposizioni al filmato, si deve sempre procedere alla fondazione
del gruppo. Va considerato che si tratta quasi sempre di alunni che sono
segnalati da scuole diverse per difficoltà negli apprendimenti, dunque è
anche possibile che non si siano mai incontrati prima. Tenendo presente che
il gruppo riabilitativo, diversamente da altri gruppi di tipo terapeutico, è di
breve durata e a termine, non si può aspettare che si fondi da solo. Pertanto,
i conduttori attivamente guidano la conoscenza dei singoli, facilitando le
presentazioni, utilizzando anche un questionario-intervista da compilare, sul
modello che segue:
-
come ti chiami ?
quando è il tuo compleanno ?
sai qual è il tuo segno zodiacale ?
qual è il programma in tv che ti piace di più ?
hai un hobby, una cosa che ti piace fare nel tempo libero ?
in cosa pensi di essere bravo ?
in cosa pensi di essere meno bravo ?
sai se c’è qualcosa di te che agli altri piace ?
-
sai perché sei qui ?
cosa pensi faremo ?
E’ da osservare che il questionario solitamente, prima ancora che le
istruzioni per la compilazione vengano date, suscita a corto circuito
atteggiamenti e strategie inadeguate automatizzate, con ricerca
dell’evitamento del compito:
“ ma che è ?...‟na verifica ? Eh, no, mica so‟ bono a farla „sta cosa !”
“ ma si può copiare o „sti fogli so‟ tutti diversi ?”
Conduttore: “Ma certo che si può copiare…fin dalla prima domanda, che è
come ti chiami ?”. E la tensione comincia a sciogliersi con una prima risata.
A compilazione avvenuta, si legge nel gruppo l’intervista di ciascuno, in
modo da far circolare informazioni e crescere la conoscenza. Di solito,
impresa ben difficile, perché non c’è consuetudine all’ascolto, e poi molti
sono alunni in difficoltà anche solo all’idea di proporsi e per di più proporsi
come esseri pensanti. La mediazione dell’adulto in questi casi deve essere
particolarmente forte.
La fondazione del gruppo richiede che il gruppo sia rappresentabile, dunque
bisogna trovare un nome al gruppo: così si può pensarlo. E’ momento
importante, di riflessione, con la circolazione di proposte e con la
discussione relativa. Spontaneamente, i preadolescenti tendono a definirsi
usando solitamente appellativi fortemente connotati nel senso
dell’onnipotenza (“gli intelligentoni”, “i fantastici”, “i campioni”), come a
voler compensare quel senso di impotenza fallimentare sperimentato nei
tanti insuccessi a scuola. Nei gruppi dei più piccoli, invece, si coglie più
facilmente il senso di distanza generazionale che i bambini percepiscono tra
loro e gli adulti, come nella proposta “gli intoccabili”, che uno di loro
accompagna, come voce del gruppo, con una canzoncina che fa così: “noi
siamo gli intoccabili/ e voi ci avete rotto/ voi vi chiamate grandi/ e vi
pisciate sotto!/” e con aggiunta intensificata “… e vi cagate sotto!”.
Trovando spazio di accoglienza (a scuola sarebbe stato più difficile…)
proprio per indagare cosa degli adulti pensa questo gruppo; i conduttori,
quindi, anziché censurarla, la fanno cantare e ricantare al gruppo, la
canticchiano anche loro insieme ai bambini, così accorciando la distanza
generazionale e creando uno spazio d’incontro condiviso.
Un’altra proposta utile per costruire il senso del gruppo unito è l’istituire un
cartellone murale con le presenze e le assenze di ciascun membro del
gruppo, individuato da un nickname, un “nome di battaglia” spontaneamente
scelto, così quando uno è assente può essere più facilmente tenuto nella
mente del gruppo. Infine, per costituirsi come nucleo sociale, c’è sempre la
scrittura di un altro cartellone murale contenente le regole condivise,
proposte dai membri stessi solo con una guida accogliente degli adulti
(l’unica imposizione è sempre NON FARSI MALE): si costituisce in tal
modo un codice gruppale che garantisce lo stare bene insieme, fatto non
solo di divieti ma anche di permessi.
NOTE SUL PROTOCOLLO
Dei corti noi ne facciamo un uso cognitivo e metacognitivo seguendo
sempre le stesse tappe propositive, così sintetizzabili:
a. visione collettiva del filmato. Il gruppo lo visiona almeno due volte,
motivato ad una partecipazione per le esigenze di una narrazione da fare
successivamente a chi non lo conosce;
b. racconto collettivo del filmato. Ciascuno racconta e la narrazione è
sempre frammentaria, il conduttore raccoglie i pezzi e li tiene insieme,
per restituirli al gruppo in una struttura organizzata. Produzioni singole
telegrafiche, specie nei gruppi dei più piccoli, spesso ben poco coerenti
nell’esplicitazione di nessi causali e temporali, una costruzione frasale
ipersemplificata, con coordinate non sempre a senso compiuto; a volte
ridono molto, fino alle lacrime, e il racconto ne risente, e non è chiaro se
viene interrotto per ridere o perché non sanno cosa e come dire. Nei
gruppi più grandi il racconto può stentare anche perché sono spinti a
dare giudizi sprezzanti sul personaggio, e non ridono come i piccoli, si
arrabbiano con il protagonista troppo imbranato;
c. argomentazioni. Il conduttore accetta tutte le reazioni del gruppo, dal
riso alla rabbia, e chiede sempre di spiegarne il perché. E’ un avvio
guidato ad interpretare una realtà che dà emozioni, positive o negative
che siano. E’ un passare da un uso descrittivo del linguaggio, una
d.
e.
f.
g.
h.
narrazione che poggia su alcuni elementi situazionali, ad un più
cognitivo uso di parole per dire ipotesi parziali sulle relazioni che
intercorrono tra gli stimoli esterni ed il mondo interno; un mondo che si
può insieme cominciare a riconoscerlo, a denominarlo, dunque a
governarlo con la mente: primi passi nel percorso della metaconoscenza;
intervento sulla motivazione. Per il prosieguo, il conduttore rinnova al
gruppo il significato del loro stare insieme: ciascuno è stato scelto
perché sia come un operatore del cinema e, dunque, ora si possono
proporre nel gruppo tutti i correttivi allo sketch, di contenuto, di trama,
che si vogliono apportare;
segmentazione. Per le modifiche, c’è bisogno di una percezione
analitica più dettagliata, situazione per situazione e, pertanto, si racconta
segmento dopo segmento; gli adulti usano il fermo immagine e fanno da
impalcatura nell’analisi percettiva con domande stimolo ordinate e
graduate, mettono insieme le risposte riassumendole in un tutto a
significato: “proviamo a raccontare bene tutto ciò che si vede del luogo
dove Mr. Bean si trova…”,”ora diciamo tutto sulle sue caratteristiche
fisiche, su…”,”e quali azioni qui ha fatto, diciamole…”,”ecco, e qual è
il momento in cui avete prima riso (o vi ha fatto arrabbiare) ?”;
linguaggio che guida l’analisi. Le parole diventano integratrici delle
azioni ordinate in successione ed i soggetti scoprono che il linguaggio è
pensiero, si pensa con le parole anche quando non si parla;
integrazione degli elementi. Il conduttore stimola il gruppo a produrre
una narrazione complessiva dello sketch, ora mettendo insieme i vari
segmenti del racconto con il linguaggio che assume una connotazione
evocativa, senza immagini di supporto; spesso è con sorpresa che il
gruppo constata una modificata capacità di usare ora la narrazione. E’
interessante anche mettere a confronto la qualità delle narrazioni ora
costruite con le analisi guidate rispetto a quella dei racconti spontanei
iniziali ed il mediatore qui ha proprio il compito importante di far
cogliere bene differenze di livello del pensiero narrativo tra le prime
produzioni, in gruppo, e le ultime, già di gruppo, restituendo a ciascuno
la conferma della propria personale trasformazione in atto;
teoria della mente. Un passaggio significativo è la richiesta
cognitiva/metacognitiva di prendere un ulteriore distanziamento dal
proprio pensiero per pensare il pensiero dell’altro: per ciascun segmento
si chiede di costruire due diagrammi di flusso paralleli, sul primo si
rappresentano i pensieri del protagonista, sul secondo quelli
i.
j.
k.
l.
corrispondenti dell’altro, così da intercettare i momenti in cui nascono
gli equivoci, le bizzarrie, le assurdità che fanno ridere;
considerazione dei punti di vista. Si tratta di tenere in mente due diversi
punti di vista che interagiscono fra loro, è esplicitare il pensiero interno
dei due attori, nel contenitore sicuro del gruppo; è un confrontarsi nella
comprensione degli stati interni, le credenze, i desideri, le emozioni dei
personaggi; con il mediatore che facilita il percorso di pensare il
pensiero dell’altro: “cosa sta pensando in quella situazione Mr.Bean?; ha
un bisogno, desidera qualcosa?; che sensazione fisica sente?; che
emozione sta provando?; e quello là che cosa ha capito di Mr. Bean?
Etc.”;
costruzione di diagrammi di flusso paralleli. Dalle considerazioni dei
due punti di vista alla disposizione ordinata su due diagrammi, quello
dei pensieri di Mr.Bean e quello dei pensieri dell’altro personaggio: si
costruisce così un’analisi sempre più ampia ed approfondita; nel
compilare con il pensiero gruppale questi diagrammi di flusso si
possono ora apprezzare dei passaggi che prima risultavano di difficile
comprensione a singoli membri del gruppo: per esemplificare, nel corto
della scarpa, per molti nei gruppi dei piccoli, inizialmente, il conducente
della vettura sembrava dispettoso (“Perché lui lo fa apposta a
partire…così Mr.Bean non può più riprendere la scarpa!”;“Quello là è
cattivo…lo fa stancare, porello Mr.Bean!”; “L‟autista vuole fargli „sto
scherzetto, eh”), avendo difficoltà a mettersi in un punto di vista diverso
dal proprio; per lavorare su questa funzione cognitiva carente, il
riabilitatore usa la drammatizzazione di singole scene, nel caso specifico
in palestra utilizziamo una automobilina di plastica con tettuccio e si
gioca insieme al gioco “indovina che ti metto sul tettuccio!”; ad ogni
giro si mette sul tettuccio un oggetto diverso (o anche nulla), che
l’autista di turno puntualmente non riesce ad indovinare; così si riesce a
costruire un ragionamento analogico: se io che sto dentro
all’automobilina non lo so, allora neppure il conducente nel film lo sa! ;
drammatizzazione con ripresa video. Il gruppo mette in scena una
situazione del corto, ma lo fa con una recitazione di copione, mentre lo
sketch è muto. Poi si assiste alla videoregistrazione, si commenta e
l’adulto raccoglie le osservazioni, le sintetizza ad uso costruttivo; talora
si sono fatte anche più prove e sono poi stati confrontati in gruppo i
diversi filmati, evidenziando somiglianze e differenze.
Con alcuni gruppi, il percorso si è completato con un altro aspetto di
costruzione attiva, offerto dal vecchio programma 3D Movie Maker
(Microsoft Kids, 1995), che fa proprio del gruppo il regista di un
cortometraggio. Questo sviluppo del protocollo ci consente di riproporre
qui una riflessione su un’importante variabile per i nostri gruppi
abilitativi: lo specifico momento evolutivo che stanno attraversando,
perché fa differenza, ed è parecchia, se si ha a che fare con bambini
oppure con ragazzi con DANS (Miletto&Fucci, 2009). Una differenza
che merita particolare riflessione.
NOTE SULLA CLINICA
Riportiamo, a tal proposito, un’esperienza ambulatoriale da noi già descritta
anni fa (Miletto ed al., 2003), con due gruppi con DANS trattati nel
contempo, l’uno costituito da cinque bambini di scuola primaria in media
latenza, l’altro da quattro preadolescenti di scolarità media. Stesso il
protocollo di cura, ma i risultati assai differenti per significato: per i più
piccoli, si è realizzata una riabilitazione cognitiva/metacognitiva, è stato
quasi un avvio di psicoterapia di gruppo per gli altri. La ragione principale
di questa diversità sta nell’uso di un materiale umoristico che é a valenza
complessuale. La scelta di un personaggio stralunato come Mr. Bean é
significativa: le sue condotte sono, diciamolo pure, già di interesse clinico,
lui é un adulto certo ben poco cresciuto e tanto incapace; si ride o si sorride
perciò sul suo essere in difficoltà e sulle figure “da cretino” che sempre fa.
Ma proprio per questo non tutti riescono a divertirsi.
Gli alunni con DANS di scolarità media, la cui carriera d’insuccessi negli
apprendimenti é più lunga e più pesante rispetto ai più piccoli, vivono anche
la maggior fragilità del loro momento critico-evolutivo, la preadolescenza.
Faticosa é per loro la costruzione di un’identità, che é precaria e già
danneggiata dalla scadente riuscita scolastica. Nell’osservazione dei
fallimenti del protagonista del filmato le spinte identificative trovano un
fertile terreno: le vicissitudini ed i vissuti di Mr. Bean diventano dunque
fortemente complessuali. Più che un problema di non sufficiente padronanza
cognitiva (modello “non l’ho capita !”) in questa situazione umoristica non
c’é la padronanza dinamica, emotiva. Per preadolescenti in difficoltà grave a
scuola questo é proprio quel “parlare di corda in casa dell’impiccato”, come
sostiene quello specialista in psicologia dell’umorismo che é
Giovannantonio Forabosco. Il filmato propone loro una regressione che non
é certo al servizio dell’Io. Anzi, finisce per indebolire ancor di più quel Sé
cognitivo già debole, spesso depresso. Vedere quel ragazzone che fa ridere
tutti proprio per il suo essere così inadeguato nei vari contesti, finisce per
assumere un effetto “salienza” sui nostri ragazzi: é mettere in rilievo un
contenuto emozionale su cui c’é ipersensibilità. Non può essere stimolo
sintonico: ed infatti hanno presto rifiutato di continuare a lavorare su questo
materiale umoristico, se limitato a Mr. Bean.
I più piccoli, di scolarità primaria, non hanno mai trovato queste situazioni
con Mr. Bean così complessuali, e di conseguenza si lavora solitamente
bene sugli aspetti più cognitivi della padronanza. Interessanti le scelte delle
denominazioni al gruppo richieste nell’esperienza di cura qui riportata: i
bambini si sono accordati sul potente “Gli Intoccabili”, mentre i ragazzi si
sono definiti “Gli intelligentoni”, una parola che ha in sé dell’ambivalenza e
mostra la loro chiara preoccupazione sulla valutazione ed un’opinione
sull’autoefficacia personale.
Con il programma 3D Movie Maker si cerca di ricostruire al computer,
insieme ed in modo divertito, il corto originale. Qui proponiamo materiale
tratto dal lavoro ambulatoriale con lo sketch della scarpa perduta. Il gruppo
degli Intoccabili ha cercato al computer di riprodurre sostanzialmente la
trama del corto. Il gruppo degli Intelligentoni ha preferito produrre un
contenuto inventato. E’ stata costruita la storia di un ragazzo di colore, un
extracomunitario che si trova in luoghi sconosciuti e misteriosi, e si aggira
tra anfratti e grotte inquietanti: un po’ come loro a scuola, sorta di
“extracomunitari” della cultura, che si barcamenano tra le tante conoscenze
che non riescono a controllare. Il ragazzo scopre poi un segreto che non si
può dire, e ciò determina una minacciosa reazione da parte del custode di
questi luoghi misteriosi, uno scheletro persecutore, come un’ombra
inesorabilmente sulle tracce del povero ragazzo, sempre in fuga. Poiché il
mostro deve avere un nome, il gruppo ha deciso di chiamarlo Errore (!). Il
ragazzo scappa da un luogo ad un altro, senza mai voltarsi a guardare in
faccia quella realtà orribile. Durante la costruzione delle peripezie, il gruppo
é sembrato decisamente infierente sul disgraziato protagonista (“brutto
marocchino!... deficiente... mongoloide!”), schermo proiettivo di quella
parte denigrante introiettata ben rappresentata dallo scheletro persecutore.
Poi però si é stabilito che la fuga del ragazzo non può essere una scelta
risolutiva, Errore é sempre in agguato, lo insegue per fulminarlo e poi il
ragazzo, per non sbagliare, finisce per non scrivere, non fare, nemmeno
aprire i suoi libri o toccare un tasto del computer. Almeno così, astenendosi
da tutto, non era mai stato finora aggredito da Errore alle spalle. Ma così
non può andare avanti. Giunto al fin in un castello, viene scovato dal
persecutore: ma a questo punto della storia, cogliendo l’idea del gruppo, il
terapeuta dà il permesso al protagonista di fare una cosa del tutto nuova,
farlo girare, in modo da guardare bene in faccia Errore. E questo fatto, del
tutto nuovo, porta con sé una conseguenza formidabile: il mostro crolla,
disintegrandosi. Lo scheletro persecutore in un attimo perde consistenza.
Quel mostruoso errore finalmente affrontato di petto, guardato a viso aperto,
viene riconosciuto come un’ombra, senza sostanza. Dunque, non ha voluto
il gruppo metterci nella costruzione del film Mr. Bean, perché più urgente é
stato portare nella storia qualcosa di se stessi con i propri fallimenti, specie a
scuola. Stare con Mr. Bean é centrare l’attenzione sul fallimento, mentre in
questa storia inventata la fine é poi vincente, in modo positivo. Il ragazzo ha
saputo sottrarsi allo scheletro persecutore: il gruppo, guidato dal terapeuta, é
riuscito perciò ad introdurre un elemento trasformativo. Il conduttore ha
avuto il compito di generalizzare il felice esito, facilitando poi un
trasferimento alla concretezza dei vissuti del gruppo: anche a scuola gli
errori possono assumere consistenze mostruose, ma vanno affrontati,
riconosciuti, ed allora possono anche essere usati, perché da essi possiamo
imparare, e tanto. Un breve stralcio dell’ultima seduta può essere
chiarificatore:
Mediatore: “Bene, e voi come gruppo avete avvertito se quello scheletro,
Errore, c’è stato nella nostra stanza…”
Andrea: “e sì che ce sta‟…non mi fa battere i tasti della tastiera perché
tanto io me…io sbaglio sempre…”
M.: “ Ecco, si può chiamare Errore-Orrore questo scheletro…avere orrore,
paura dell’errore, lo sbaglio che dice Andrea…”
Alessandro: “sì…io non faccio il compito così non sbaglio !”
Valentina: “anch‟io a volte non ci provo nemmeno…ho paura…”
Alessio: “quanno nun studio io manco porto i libri a scola io…così quella
nun me interroga eeh…mica so‟scemo !”
M.: “ Ecco, però il film che avete fatto ci dice una cosa molto interessante,
invece di fuggire da Errore, dagli errori, riusciamo a voltarci, li guardiamo
finalmente in faccia questi errori ! E così siamo meno spaventati, guardando
bene in faccia l’errore possiamo imparare, non c’è più Orrore, la paura di
sbagliare…Se invece gli voltiamo le spalle, sta sempre lì, in agguato, dietro
di noi e ci spaventa no? Ci aiuta conoscere i nostri errori…”
Questo è stato un viaggio emozionale, partito dalle gag ignorate di Mr.Bean
per nuove esplorazioni sul terreno persecutorio dell’orrore dell’errore, tema
fortemente complessuale per questo gruppo di alunni fallimentari a scuola,
con il lieto fine: l’esploratore-scolaro si libera dall’errore proprio
conoscendolo, in un cambio di strategia di promettente significato evolutivo.
Se si ripensa a questo gruppo preadolescente, si può osservare che nel
Laboratorio é stato percorso un bel tratto a chiaro taglio psicodinamico,
quasi a suggello di un lavoro di confine tra riabilitazione e psicoterapia. Se
il parlar di corda in casa dell’impiccato può produrre delle emozioni forti,
allora va usato nel trattamento. Molti preadolescenti con DANS nei nostri
gruppi scaricano un bel po’ di proiezioni aggressive sul povero Mr. Bean,
così come sentimenti ostili vengono espressi sui personaggi del film. In un
certo senso, é come sollevare il coperchio ad una pentola finalmente messa
sul fuoco a bollire. Seduta dopo seduta, é proprio da lì che si levano i loro
fumi, dunque, complessuali. Andrea, per la prima volta, é così riuscito nel
gruppo a parlare della sua enorme rabbia di ieri per la ripetenza ed anche del
disagio di oggi, a scuola, con i compagni che lo dileggiano. Tutti hanno
portato in discussione le paure intorno alla sessualità, e le loro difese anche
goffe per la corporeità emergente (Alessio: “eh, Jessica...ecché mo‟ tu sei
femmina?...Ma se c‟hai pur i baffi ! ahh...ahh”). Fumi che finiscono per
annebbiare vista e mente.
NOTE CONCLUSIVE
Nel materiale abilitativo proposto, si può cogliere dunque un aspetto
metodologico: per i nostri gruppi ambulatoriali, due sono i ruoli degli
operatori in gioco, la Terapista e la Terapeuta, tecnici di competenza diversa
e che assumono peso differente a seconda del gruppo da trattare. Lo
spostamento del luogo di cura eventualmente nella scuola pone questioni
importanti sulla selezione dei gruppi. Ferma restando, in ogni caso, la
necessità della supervisione regolare agli educatori (siano psicopedagogisti,
docenti di sostegno, curriculari, oppure educatori professionali, assistenti
educativi) da parte di noi tecnici dell’età evolutiva, appare più convincente
l’impiego eventuale a scuola degli educatori per gruppi che prevedono
attività prevalenti di potenziamento cognitivo/metacognitivo. Ed altro punto
indiscutibile, per il coinvolgimento degli educatori in Laboratori a Curricolo
Speciale come questo, é la necessità di una loro formazione mirata, non di
superficie.
Per quanto detto, la considerazione che un’esportazione di questa esperienza
abilitativa appare oggi più facilmente realizzabile nella scolarità primaria,
con gruppi di alunni che si trovano in quella fase di sviluppo detta della
latenza: che è un periodo speciale, in cui il bambino è chiamato a compiti
evolutivi basilari per la costruzione e per l’integrazione del suo apparato
psichico. Un momento certo delicato, di maturazione del Sé, e di
arricchimento cognitivo, con il pensiero che diventa più reversibile, capace
di fare collegamenti tra il passato vissuto, il presente ed il futuro anticipato
nella mente. E’ il periodo in cui si osserva una capacità diversa di valutare
autonomamente le proprie abilità, non più limitata solo ai rispecchiamenti
delle figure di attaccamento e la crescita del senso di autoefficacia è di
grande rilievo abilitativo.
Per queste considerazioni di base sul periodo, nelle nostre cooperazioni con
le agenzie educative, in alcuni contesti più recettivi delle scuole primarie del
nostro territorio, non ci siamo limitati solo ad un’abilitazione di gruppi
patologici ma è stato possibile estendere il progetto all’intera classe, con un
approccio di cooperative learning facilitante la coesione del gruppo e
determinante comportamenti pro-sociali: é certo nella condivisione che
acquista un senso ciò che si fa.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
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