SaTuRa

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SaTuRa
SaTuRa
Trimestrale
di arte letteratura e spettacolo
Redazione
Sandra Arosio, Milena Buzzoni,
Vico Faggi, Gianluigi Gentile,
Mario Napoli, Mario Pepe,
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Redazione milanese
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Anno 2 n° 6
Secondo trimestre
Autorizzazione del tribunale
di Genova n° 8/2008
In copertina
un'opera di Peter Nussbaum
sommario
03
FRANCO CROCE
Una lettera di Franco Croce:
Camillo Sbarbaro:
Mi desto dal leggero sonno
a cura di Caterina Bardi
08
5 POESIE DA
“NEMMENO UN’ALLEGORIA”
Omaggio a Franco Croce
Nada Pasetti
11
La ricerca metrica
nella poesia di Adriano Guerrini
Giangiacomo Amoretti
24
TRE PROSE CRITICHE
E MEMORIALI
1. Rileggendo L.R. Palmer
2. Ritorno a Seneca
3. Stendhal - Sofocle - Edipo
Vico Faggi
65
INTERVISTA
Peter Nussbaum
Un’estetica delle idee
Serena Vanzaghi
71
LETTERATURA
Da Jules Verne
a Norbert Merjagnan:
viaggio attraverso
la letteratura
fantascientifica francese
Edith Faure
82
ARCHITETTURA
Boccadasse o la
partecipazione rovesciata
Gianluigi Gentile
86
DUE POESIE
Mario Pepe
87
SULLE CORDE DELL’ARIA
Evocazioni ascoltando
Stefano Pastor
Milena Antonucci
28
DUE POESIE
Renato Chiarenza
29
RECUPERI
Un racconto di Corrado Tumiati
“Diagnosi impossibile”
a cura di Luigi Fenga
90
33
VIETNAM TRA IL SILENZIO
DELLA NATURA
E IL CLAMORE DELLA CITTÀ
Milena Buzzoni
LA MOSTRA
Terza Biennale
d’Arte Contemporanea
GenovARTE 2009
Mario Napoli
96
43
IL TEATRO VUOTO
TRA REALTÀ E FINZIONE
Simonetta Ronco
IL LIBRO
“La moneta infame.
Intrighi e delitti
nella Genova del ‘600”
di Giancarlo Ragni
Mario Napoli
46
PROSPEZIONI
Il Salon du livre di Parigi
di Giuliana Rovetta
Le Clézio: nomadismo e radici
di Giuliana Rovetta
L’esistenza come soglia
dell’invisibile
di Luigi Fenga
Irrequietezze femminili
in Terra d’Islam
di Sergio La China
La biblioteca della vita
di Guido Zavanone
Un sorriso per una
buona ventura
di Guido Zavanone
Un inchiostro salato
di Guido Zavanone
L’arte di star bene
secondo Sitzia
di Guido Zavanone
Sconfitta e solitudine
nel romanzo d’esordio
di Filippo Bologna
di Milena Buzzoni
Sulla poesia di Cipparrone
di Vico Faggi
Sul teatro contemporaneo
di Vico Faggi
Il “Sogno di una notte di mezza
estate” di Ronconi
di Simona De Giorgio
Boris Godunov
di Andrea Scarel
The cryonic chants
Canti e poemi obiettivi tratti da
un animale impassibile
di Andrea Scarel
EVENTI
VETRINA
98
100
102
104
106
GIANLUIGI CARPINETI
Maura Ghiselli
JOSINE DUPONT
Raimondo Sirotti
MARCO PONTE
Maura Ghiselli
MARIA VITTORIA VALLARO
Barbara Cella
RUBRICA
Genova
Erica Bailo e Mario Pepe
Milano
Serena Vanzaghi
Venezia
Mario Pepe
Londra
Susanna Rossini
Nada Pesetti 5 poesie da “Nemmeno un’allegoria”
8
OMAGGIO A FRANCO CROCE
NADA PESETTI
5 poesie da “Nemmeno un’allegoria”
Omaggio a Franco Croce
1
Tra l’ascensore e la funicolare
si apriva lo squarcio di mare
l’azzurro smagliante, l’abbaglio.
Nei discorsi pioveva
Clelia la filippina,
il microclima di Oban,
gli affreschi di Piero,
la spiaggia del Forte
(“è sempre la stessa?” chiedeva),
ancora ignara io,
forse lei, della morte
suicida omicida astrale
nel tempo a venire
(immobile e nel fluire)
d’altri e mia e della sua,
spiovuta in piazza Campetto
tra un Natale e un cielo perfetto
per sempre nelle straducole
senza mai più ebrietudine.
2
“Abito a Caricamento”
aveva detto tutta la vita.
“Ma è luminoso, sa?”
ironica sprezzatura
tra barocco e odor di frittura.
“Il centro storico, vede,
Genova è così luminosa!”
E liquidava col gesto
come a prometter mimosa
lo stretto lo scuro lo sporco
contro la leggerezza ariosa.
Perché? le Fontane Marose [...continua...]
LA RICERCA METRICA NELLA POESIA DI ADRIANO GUERRINI
di Giangiacomo Amoretti
Talmente varia, approfondita e metodica è la ricerca metrica di Adriano
Guerrini che si potrebbe davvero parlare di sperimentazione – e forse sarebbe
pienamente lecito, anche solo per sottrarre la poesia guerriniana a quell’immagine di semplicità, di facilità, quasi di ingenuità in cui ancora si risolve per
molti lettori – se non sembrasse incongruo attribuire l’attributo di sperimentale ad un poeta come Guerrini che tanto appassionatamente polemizzò contro gli sperimentalismi meramente formali della letteratura novecentesca.
In effetti nulla di drasticamente rivoluzionario nella metrica della sua
poesia1, che preserva sempre, pur nel corso d’una lunga parabola storica, un
legame neppure troppo dissimulato con la tradizione; ma neanche un atteggiamento conservatore o polemicamente antimoderno: piuttosto, rispetto alle
forme canoniche, un distanziamento ironico che non esclude un’affettuosa
nostalgia2, donde un paziente e continuamente rinnovato lavoro di correzione,
di aggiustamento e di variazione della metrica tradizionale, come se per un
verso al poeta non riuscisse di tollerare la norma classica così com’è data,
troppo rigida, troppo remota dalla sua sensibilità, e per altro verso non potesse farne a meno e vi dovesse ritornare continuamente, non fosse altro che
per mutarla e renderla in ultimo quasi irriconoscibile3: un lavoro in cui alla
fine non sarà più possibile distinguere se a prevalere sia il culto della tradizione, tanto amata e presente che il poeta non cessa mai di giocarvi e di ricamarvi sopra4, o il gusto della forma inedita, del gioco ritmico non canonico,
della modificazione innovatrice. [...continua...]
Ci si baserà, in questo studio, sui seguenti testi: ADRIANO GUERRINI, Poesie (1941-1986), a cura di FRANCEDE NICOLA, Genova, De Ferrari, 1996 (in cui sono riunite le principali raccolte del poeta: L’adolescente,
Alti boschi, Età di ferro, Polemica, Jon il groenlandese, Quindici poesie a qualcuno, Ultimi versi); ADRIANO
GUERRINI, Poesie politiche, Milano, Scheiwiller, 1976; ADRIANO GUERRINI, Ventotto poesie, Genova, Edizioni S.
Marco dei Giustiniani, 1981; ADRIANO GUERRINI, Tanka, Milano, Res editrice, 1984.
2
Nella nota ad una tanka Guerrini scrive: “qualunque forma io esperimenti, porto sempre con me la tradizione poetica italiana, l’acqua chiara di Valchiusa e il cielo infinito di Recanati” (ADRIANO GUERRINI, Tanka
cit., p.59).
3
Si veda come il poeta descrive il proprio faticoso tentativo di imitare la perfetta struttura del sonetto petrarchesco (ne sarebbero derivati i 14 sonetti caudati di Esistenza e mito, poi pubblicati in Ventotto poesie): “Fu un lavoro da impazzire; dovetti tralasciare più volte le rime e contentarmi dell’assonanza; dovetti
persino, perché quell’abito mi stava stretto in tutti i modi, aggiungervi una coda di tre versi, un settenario e due endecasillabi; […] ma insomma… avevo provato” (ADRIANO GUERRINI, Discorsi inglesi, in “Resine”,
38, ottobre, novembre, dicembre 1988, p.8).
4
“Tutto ciò che ho detto vive e si manifesta appunto dentro la poesia italiana” (ADRIANO GUERRINI, Discorsi
inglesi cit., p.7).
1
SCO
Giangiacomo Amoretti La ricerca metrica nella poesia di Adriano Guerrini
LA RICERCA METRICA
NELLA POESIA DI ADRIANO GUERRINI
11
Vico Faggi Tre prose critiche e memoriali
24
TRE PROSE CRITICHE E MEMORIALI
TRE PROSE CRITICHE E MEMORIALI
di Vico Faggi
1. Rileggendo L.R. Palmer
Rileggo, dopo venti e più anni, le pagine che L. R. Palmer ha dedicato al
latino (Lingua Latina, Einaudi, 1977) e subito mi soffermo sui paragrafi sul linguaggio di Plauto, e, lo dico subito, la mia ammirazione si rinnova. Il commediografo di Sarsina non ha segreti per il filologo, il quale individua, una per
una, le particolarità del suo dialogo, la sua tecnica, il suo orecchio. Parte da
un’indicazione precisa (“Le commedie di Plauto rappresentano un idioma parlato” e “si trattava del linguaggio colloquiale del suo tempo”), procede per
l’individuazione delle sue componenti, l’elencazione dei suoi arcaismi, la disamina delle sue scelte stilistiche, e finalmente perviene al rovesciamento della
sua premessa.
La verità è che Plauto “compose una lingua elevatamente elaborata e artificiale”, entro la quale “il colloquiale e lo stilizzato si intrecciano inestricabilmente tra di loro”. La sintesi è perfetta.
Il segreto della grandezza di Plauto sta nel suo essere uomo di teatro e
insieme letterato finissimo. Li conosceva tutti, in un campo come nell’altro, i
trucchi del mestiere. E se ne valeva, se ne giovava sulle tavole del palcoscenico
come nel segreto del suo studio.
Ancora il Palmer, il quale dedica al De rerum natura di Lucrezio pagine
perspicue, per esempio puntando sull’episodio di Ifigenia e sul suo sacrificio,
lei che fu immolata nel giusto tempo delle nozze (nubendi tempore in ipso) nel
nome di una crudele superstizione (tantum potuit religio suadere malorum).
È puntuale, l’analisi del Palmer, e il suo giudizio perentorio: “quando il fuoco
del suo genio divampa, grazie agli elevati argomenti offertigli dalla filosofia naturale, l’arcaismo e la glossa fiammeggiano di una luce sovrumana”.
Un altro brano del poema lucreziano ci sembra, nella memoria, degno
di altissima lode, ed è quello dedicato a Venere, hominumque divomque voluptas. Ne citiamo qualche rigo nella classica traduzione secentesca di Alessandro Marchetti:
[...continua...]
Renato Chiarenza Due poesie
28
DUE POESIE
DUE POESIE
di Renato Chiarenza
... Se una goccia che cade nell’immenso mare solleva il livello di tutti i mari, se un
suono non si disperde negli spazi astrali, ma riecheggia di mondo in mondo,una sofferenza di uomo è dolore della umanità, è male universale….
Renato Chiarenza
RICORDI
Tu più non odi il canto
velato di tristezza,
profondo e uguale come la voce del mare,
ma il vento non muta,
e il buio del cuore conosce il battito
delle ore senza ritorno e l’attesa.
Il respiro della sera sul mare
e tanti inesprimibili ricordi;
un nome che non ha più l’intatto tuo volto
riflesso sull’acqua chiara
mossa dal vento che rincorre se stesso sull’onda
in un vortice vano.
DESIDERIO
Tam te basia multa basiare
Amore mio, sono da te lontano,
soffro e molto desidero i tuoi baci
che hanno il salso sapore del mare
e l’impeto dell’onda amica.
Oh sentire ferirmi sul labbro
dai candidi tuoi denti amorosi,
e l’infuocato profumo della tua bocca
che brucia la mia amarezza!
Tu sorridi tra le socchiuse ciglia
e t’abbandoni, dolcesognante,
al tuo segreto rimpianto
a me ignoto…
Ancora ho sete di baci
nella triste solitudine della notte,
e sempre vorrei a me stringerti,
assurdamente pervaso da un malefico dio d’amore.
S E Z I O N E R I V I S TA
Un racconto di Corrado Tumiati1
“Diagnosi impossibile”
Chiesi una volta a un collega quale fosse stata la circostanza più penosa
della sua vita professionale, quale il caso che più l’avesse angustiato come
uomo e come medico.
Credevo di vederlo riflettere a lungo soppesando questa e quella delle
sue numerose esperienze, discriminandovi dolori e difficoltà, miserie e sventure. Non fu così. La risposta sollecita gli uscì di getto dall’anima come se da
lungo tempo se la fosse preparata e non gli paresse vero di comunicarmela.
Quasi parlando a se stesso, raccontò:
«Saranno forse quindici anni. Ero medico in una città delle Marche dove
dirigevo una sezione di quell’ospedale psichiatrico. Nei pomeriggi liberi dal
servizio di guardia davo qualche consultazione privata, a casa mia. Un giorno
vidi entrare nel mio studio un uomo della mia età, oltre i quaranta, che mi
parve subito d’aver sempre conosciuto. Figura sguardo passo mi ricondussero
immediatamente a un’epoca torbida e infelice della mia vita e risuscitarono
echi luci e perfino odori del luogo che ci aveva tenuti per tanti anni vicini.
[...continua...]
1
Corrado Tumiati (Ferrara, 1885 – Firenze, 1967) fu medico, scrittore, giornalista, poeta, Portato sia per
le materie umanistico-letterarie sia per quelle scientifiche, si laureò in Medicina presso l’Università di Firenze con il famoso professor Ferruccio Schupfer. Dal 1913 a Venezia praticò la professione come psichiatra a San Servolo fino al giugno del 1915, allorché, con lo scoppio della grande guerra, fu richiamato come
tenente medico. Restò-soldato fino al 1919. Anfifascista, nel 1931, a causa di divergenze politiche, decise
di abbandonare la professione e si trasferì a Firenze. Si dedicò così alla scrittura. La sua opera più nota è
“I tetti rossi. Ricordi di manicomio”, con la quale vinse il Premio Viareggio nel 1931. Fu poi giornalista
presso Il Corriere della Sera, che gli affidò la terza pagina. Piero Calamandrei nel 1945 lo investì dell’incarico di redattore e vice direttore della rivista politico-letteraria Il Ponte. Nel 1952 l”Associazione Medici
Scrittori Italiani”, gli affidò la direzione del periodico La Serpe e fino al 1963 collaborò alla rivista
L’Illustrazione del medico, edita dai Laboratori Maestretti.
Opere Principali :I tetti rossi. Ricordi di manicomio, Milano, Treves, 1931. La noce di cocco, Milano, F.lli Treves, 1934. Il miracolo di Santa Dymfa: incontri e paesi, Firenze, Vallecchi, 1942 Solstizio nell’orto, Firenze,
Sansoni, 1943 Nessuno risponde, Firenze, Sansoni, 1950. Vite singolari di grandi medici dell’800, Firenze,
Vallecchi, 1952. Sette storielle per uomini e bestie, Urbino, Istituto Statale d’Arte per la Decorazione del
Libro, 1961. Collezione privata. Profili e ritratti. Adelaide Ristori, Amelia Rosselli, Jules Renard, Francesco
Redi, Vincenzo Chiarugi, L. v. Beethoven, Torquato Tasso, il Caravaggio, Alexandre Borodine, Mungo Park,
Georges Clemenceau, Isidoro Falchi, Agostino Bertani, Piero Calamandrei, Firenze, Vallecchi, 1965.
Corrado Tumiati “Diagnosi impossibile”
RECUPERI
a cura di Luigi Fenga
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V I E T N A M T R A I L S I L E N Z I O D E L L A N AT U R A E I L C L A M O R E D E L L A C I T T À
di Milena Buzzoni
Lo smontaggio dei bagagli è una delle operazioni più deprimenti che attendano il viaggiatore al suo ritorno: non solo il rammarico per la fine della vacanza, ma la noia per la ricollocazione dei vestiti , lo smistamento della roba
da lavare, la sistemazione delle cose comprate o raccolte. Il letto è coperto di
tutto questo e, se voglio andare a dormire, prima di sera dovrò aver messo a
posto tutto. Ammucchio da un lato, man mano che emergono dagli strati della valigia, depliants, biglietti, mappe, cartoline che, insieme alle foto, costituiscono il mio itinerario di viaggio, le tappe di un percorso che già faccio fatica
a ricostruire. Cerco di ricordarmi il prima e il dopo e di dare esatte coordinate geografiche alle immagini che mi saltellano nella testa: ma il tempio della
Letteratura l’ho visto ad Hanoi o a Saigon? Di Haiphong non mi viene in mente niente e la tomba di Minh Mang dov’ era? Ho chiara e presente la cittadella
imperiale di Huè, ma l’albergo? Dove dormivamo a Huè? Intanto distribuisco
la roba negli armadi, in lavatrice, nella scarpiera e sposto la pila delle carte-promemoria, le mie modeste madeleines, sulla scrivania.
E’ passata una settimana dal nostro ritorno dal Vietnam e mettendo in
ordine cronologico la pubblicità degli alberghi, i biglietti dei ristoranti, le guide ai siti visitati, i biglietti di ingresso ai musei, nello sforzo di ridisegnare la
mappa del viaggio, mi domando se sia davvero importante memorizzare dove
e quando o se a contare sia quel sentimento che resta addosso dopo, al rientro, e che rimarrà sempre lo stesso, come un riflesso condizionato, ogni volta che si ripenserà a quella meta. Scopro così che la sensazione legata al Vietnam è la quiete. Può sembrare paradossale perché le città, specialmente Hanoi, sono i posti più caotici e rumorosi che abbia mai visto: pochi semafori, niente strisce pedonali, un nugolo di motorini che si buttano sugli incroci suonando il clacson senza rallentare. Il pedone non ha nessuna priorità neanche sui
rari attraversamenti destinati a lui e a passare sull’altro marciapiede si rischia
la vita.
[...continua...]
Milena Buzzoni Vietnam tra il silenzio della natura e il clamore della città
VIETNAM TRA IL SILENZIO DELLA NATURA
E IL CLAMORE DELLA CITTÀ
33
I L T E AT R O V U O T O T R A R E A LT À E F I N Z I O N E
di Simonetta Ronco
I
Il “teatro vuoto”, può essere, e spesso è stato, inteso come metafora
della vita, ma al tempo stesso come contenitore pronto ad accogliere e trasmettere immagini, sentimenti, emozioni. Le riflessioni e gli studi che negli
anni attori, registi e autori teatrali hanno compiuto su questo ambiente–momento dell’espressione artistica si sprecano. E oggi, a Genova, c’è una
giovane autrice che ha pensato al teatro vuoto come soggetto per un lavoro
teatrale, attualmente in preparazione.
Si tratta di Giovanna Vallebona, nata nella nostra città e già vincitrice
nel 2006, del Secondo concorso di Drammaturgia dell’Associazione Satura,
con uno spettacolo di grande impatto emotivo, Il Mangiafuoco.
Del suo nuovo impegno drammaturgico e di altro ho parlato con Vallebona, che lavora su due fronti: quello dell’insegnamento (è docente di inglese nelle scuole) e quello del teatro.
Come è nata l’idea di creare un testo di drammaturgia sul teatro vuoto?
“Coloro che hanno la fortuna di recitare”, mi spiega, “prima o poi fanno l’esperienza di restare soli al buio in un teatro vuoto. Se si resta in silenzio, da soli, alcuni minuti, si avverte quasi una sensazione di disagio, perché
non si può fare a meno di legare il luogo al significato che questo ha dentro
di noi. Il teatro vuoto ti costringe a guardarti dentro e ti accorgi che riesci a
vedere in modo molto più nitido tante cose che normalmente non noti, perché sei distratto dal chiasso e dalla luce della frenesia quotidiana. Se hai il coraggio di fermarti e guardarti dentro, trovi tutto. E’ tutto lì. Senza bisogno di
chiedere in giro: vita, amore, morte, arte, Dio. Da quest’idea nasce lo spettacolo “Il teatro vuoto”, anche se io ed i colleghi con i quali sto lavorando a questo progetto (Paolo Buono, Miro Gerbi, Francesco Nardi, Sabrina Rao) amiamo
definirlo un “non-spettacolo”.
[...continua...]
Simonetta Ronco Il teatro vuoto tra realtà e finzione
IL TEATRO VUOTO TRA REALTÀ E FINZIONE
43
Giuliana Rovetta Il salon du livre di Parigi
46
PROSPEZIONI
PROSPEZIONI Letture a cura di Milena Buzzoni, Simona De Giorgio, Vico
Faggi, Luigi Fenga, Sergio La China, Giuliana Rovetta, Andrea Scarel, Guido Zavanone
IL SALON DU LIVRE DI PARIGI
di Giuliana Rovetta
Giunto alla sua ventinovesima primavera, il Salon du Livre di Parigi (13 – 18 marzo), con un’offerta di 1200 espositori provenienti da diverse parti del mondo e 300.000 titoli nei vari settori, rappresenta una estesa vetrina, ben articolata e interessante per varietà dei testi (romanzi, saggi, libri di storia, fumetti, letteratura infantile, guide turistiche) e autori: molti hanno
dialogato col pubblico prestandosi al rito delle dédicaces, da Jérome Garcin, che per Mercure de France ha scritto una bella ricognizione
letteraria muovendosi tra autori come Gracq,
Le Clézio, Nourissier, dal titolo Les livres ont un
visage, alla “scandalosa” Catherine Millet (già
autrice di La vita sessuale di Catherine M.), presente a questo Salone con una sorta di secondo atto imperniato sul sentimento della gelosia, Les jours de souffrance, per l’editore Flammarion.
Grande visibilità, negli spazi espositivi della Porte de Versailles, rinnovati proprio l’anno scorso, è ovviamente data alle più importanti case
editrici del réseau francese: Gallimard (che raggruppa anche storiche edizioni quali Denoël, Albin Michel, Mercure de France) presentando autori di punta come Philippe Sollers e i nuovi classici pubblicati nella Pléiade (Gide, Octavio Paz,
Rimbaud); Hachette, Larousse, Seuil, Bordas. Per
la prima volta è presente l’editore di Bordeaux
Le Castor Astral che pubblica dal 1975 i volumi della Bibliothèque Oulipienne inizialmente
curata da Georges Perec.
Numerose e vitali alcune delle case editrici di
medie o piccole dimensioni: Autrement, col suo
richiamo ad alternative possibili rispetto ai grandi numeri, affronta nella sua collana Atlas tematiche che riguardano ogni parte del mondo;
Au diable vauvert si rivolge “sans complexes”
secondo la sua stessa presentazione, a un genere noir, pulp e horror.
Dall’estero hanno allestito stand i paesi del Nord
Africa in cui la lingua francese ha una tradizione (Egitto, Marocco, Tunisia e Algeria) e altri di
area francofona come Canada e Polinesia francese, e ovviamente Svizzera. Relativamente nuova l’acquisizione di espositori provenienti dall’est Europa (Federazione russa, Romania, Polonia) mentre la presenza in forze dell’India è
un effetto del trascorso ruolo di ospite d’onore
che quest’anno è toccato al Messico. La letteratura messicana, ancora poco conosciuta in ambito europeo, si autoillustra attraverso 37 autori pronti a dimostrare la ricchezza e il pluralismo di una scrittura che rivendica senza eccessi polemici le sue appartenenze identitarie.
Tra i nomi di spicco Carlos Fuentes, narratore
e saggista, che con titoli come Les deux rives
(Gallimard) e il più recente La voluntad y la fortuna testimonia della sua vocazione a interrogarsi e a mettersi in discussione attraverso il
confronto con altre culture e Paco Ignacio Taibo II, autore di una biografia di Pancho Villa recentemente tradotta per l’editore Payot da Claude Bleton. Taibo, che si è trasferito bambino dalla Spagna al Messico per sfuggire alla dittatura franchista, utilizza il genere poliziesco e un
linguaggio ricco di riferimenti alla quotidianità come strumenti a suo dire elettivamente idonei a descrivere una società complessa e caotica come quella messicana. Vale la pena segnalare anche Briceida Cuevas Cob, voce poetica
pubblicata in francese su antologie e riviste (Action poétique) la cui maturità e capacità di evocare immagini è riconosciuta e apprezzata dalla critica.
[...continua...]
I N T E R V I S TA
di Serena Vanzaghi
“Tutto scorre, non si può tornare due volte nello stesso fiume.
Nessuno può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né
l’uomo né l’acqua del fiume sono gli stessi.”
Eraclito
“Panta Rhei” (tutto scorre) enunciava Eraclito nel suo pensiero filosofico. Le cose, l’uomo, il mondo che ci circonda e persino gli stessi sentimenti umani sono in continuo cambiamento, in un perenne
peregrinare verso nuove frontiere e nuovi orizzonti. La mutevolezza, oggi più che mai, contraddistingue il nostro modo di vivere, una
mutevolezza dettata da fattori diversi, spesso dettata da una sorta
di energia interna che costringe al movimento, alla trasfigurazione
e alla trasmutazione delle cose e di noi stessi. In una realtà in cui il
doppio, la copia e lo stesso sembra non avere posto, Peter Nussbaum
crea complessi vortici di flussi circolari, abbandonandosi e lasciandosi cullare dal trasporto leggero e sottile di una matita sulla carta, facendosi guidare in completa fiducia finchè non è la stessa mano
che, fermandosi, forma una figurazione. È da questo presupposto
che si sviluppa l’iter creativo di Nussbaum: lo spazio del supporto
diventa il campo in cui i vuoti e i pieni si incontrano e si scontrano
Disegno 5, china su carta, 108x80 cm, 2008
Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee
PETER NUSSBAUM
UN’ESTETICA DELLE IDEE
65
I N T E R V I S TA
Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee
66
Albero della vita, tecnica mista, 2007
in un continuo turbinio di incroci leggeri e più pesanti sino a formare un’immagine, un segno, una struttura, che fisicamente prende forma e consistenza.
Il ciclone delle linee che si viene a creare costringe così l’osservatore a prestarsi a questo gioco di inseguimento
dei tratti illimitati. Alcune volte l’occhio
può prendere una pausa da questa
fuga veloce e scoprire che nel seguire
il tracciato delle linee una figura sta
prendendo forma e si sta configurando nella retina per poi disciogliersi, seguire altre vie e altre tracciati che detteranno nuove e infinite possibilità di
composizione. Un libero accesso all’immaginazione, un’apertura verso la
frontiera della “possibilità” che l’artista
indaga, estrapolando dal flusso continuo in cui il tutto è immerso, nuove
forme, nuove aggregazioni e simbologie rotanti. È attraverso il suo intervento e la complicità dello spettatore
coinvolto che il caos del continuo
Disegno 1, china su carta, 108x80 cm, 2008
I N T E R V I S TA
67
Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee
Quadro 1, tecnica mista su schede elettroniche applicate su legno, 170x140 cm, 2009
cambiamento viene domato, premettendo la nascita di figurazioni che cambieranno a seconda di come la persona che li osserva li percepisce e li segue nella loro veloce dinamicità.
Soprattutto nei lavori in china su carta il piano vergine e “immacolato” del-
la carta bianca viene infranto in modo
quasi invadente da questo segno ben
distinto che porta alla costruzione di
un nuovo universo di costellazioni, che
si espande sulla superficie e in riferimento agli altri lavori compiuti con
questa tecnica.
I N T E R V I S TA
Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee
68
Zeichnung 3
Costellazioni e non ellissi o spirali. Lo stesso Nussbaum pone l’accento
su questo: le energie in cui siamo immersi e di cui siamo permeati
non possono riassumersi in forme precise, anche se di primo acchito verrebbe da definire (in modo approssimativo) queste linee come
delle spirali o ellissi. La mutevolezza delle idee e le varie fonti di ispirazione a cui Nussbaum attinge (l’alchimia, la fisica, lo studio del corpo umano, i moti dell’Universo) creano fra loro, seppur nella loro specificità, una costellazione di significati, rapporti, confronti e parallelismi che hanno l’obiettivo di partorire un’idea, o meglio un’estetica dell’Idea, intesa come questa linea che, nella sua infinitezza e attraverso la sua capacità di creare nuove forme e possibilità, di trasmutarsi e rinnovarsi, diventa segno tangibile di ciò che non è e non
può essere visibile e fisico, l’Idea appunto. Un’estetica in cui
l’Intelligenza (ovvero il Razionale) si incontra, in un secondo momento, con il Sentimento per portare alla luce quell’universo di possibilità e di composizioni mutevoli che si legge nei lavori di Nussbaum.
Se nei disegni di Peter Nussbaum questa è la fondamentale caratteristica, laddove, nei suoi quadri, interviene la pittura si aprono
nuove vie di interpretazione e più piani di lettura: innanzitutto i
cicloni e i vortici che si vengono a creare prendono un aggiunto
significato estetico dato dal colore impiegato, come se la stesura
di colore a campiture piatte diventasse la cornice (o il letto) delle
linee-idee irrequiete. In più nei quadri, ad un secondo sguardo, si
può notare come le superfici colorate siano interrotte da alcune
strutture la cui funzione, lungi dal creare una colluttazione con le
I N T E R V I S TA
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Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee
Zeichnung 4 e Zeichnung 5
stesse linee, è immergersi armoniosamente, diventando parte integrante della stessa composizione.
Una particolarità di Nussbaum è l’utilizzo di piastrine (impiegate comunemente in apparecchi elettronici) come superficie su cui dipingere. Questa peculiarità del suo lavoro rappresenta la parte più calcolata, più ricollegabile alla volontà di controllo e di misura che si contrappone alla vivace creazione spontanea delle linee, in un secondo
momento, quando appunto il Razionale incontra il Sentimento.
L’elemento della piastrina, infatti, è da ricollegare all’attività del cervello: essa rende possibili cambi e collegamenti di ampie dimensioni negli apparecchi in cui è posta, proprio come il cervello, nel corpo umano, controlla il nostro corpo e ne permette il corretto funzionamento attraverso la rielaborazione degli stimoli nervosi. Una spontaneità (le linee) e una volontà di controllo (le piastrine utilizzate) che,
anche se apparentemente inconciliabili, trovano la loro sintesi nel risultato finale della composizione pittorica.
Pantha Rei, Idee, Ispirazioni, Ragione e Sentimento trovano così spazio e una loro dimensione in cui convivere braccio a braccio sulle superfici dei lavori di Peter Nussbaum.
Serena Vanzaghi
Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee
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I N T E R V I S TA
PETER NUSSBAUM
è nato a Koblach (Vorarlberg), in Austria.
Una volta terminati gli studi scolastici, il suo percorso di sviluppo è un’odissea che, a partire da una passione per l’armonia e da una percezione visiva straordinaria sensibile specie ai colori, l’ha condotto attraverso svariate professioni fino alla pittura.
Da oltre trent’anni dedica la propria attività all’arte, da dieci anni unica professione. All’inizio dell’attività si collocano le impressioni colte nei numerosi viaggi
per tutta Europa, che gli hanno permesso di elaborare una stessa tematica a partire da angoli di visuale ampi e differenziati.
Le meditazioni insieme ai monaci e la passione per la liturgia ortodossa sul Monte Athos sono stati per lui solo passaggi attraverso i quali avere accesso a diverse scienze dello spirito (cabalistica, massoneria, studio dei simbolismi eccetera) il cui sguardo universalistico trova espressione nei suoi lavori di oggi.
Come i temi del suo lavoro sono e continueranno a essere multiformi, mutevoli e connessi con le impressioni, altrettanto variegato è il repertorio dei mezzi e materiali che impiega. Il suo lavoro più grande, in termine di superficie, è
la realizzazione di un dipinto di sessanta metri quadri realizzato su commissione dell’architetto Jean Novell; l’opera di formato più piccolo gli ha fatto vincere nel 1999, in Austria, il “Grand Prix delle etichette da vino” nel relativo concorso internazionale.
Negli ultimi 20 anni ha realizzato mostre in Austria, Italia, Svizzera, Olanda.
Finalità ultima del suo lavoro è preparare l’essere umano, tramite il linguaggio del
colore e delle forme, alle qualità spirituali della nascente era dell’Acquario.
L E T T E R AT U R A
di Edith Faure
Considerata a lungo come una letteratura eccentrica, la fantascienza
però ha conosciuto e conosce ancora il suo momento di gloria. Per tanto tempo gli si è rifiutata la qualifica di genere letterario a pieno titolo, ma bisogna ammetterlo: più di un genere letterario, è diventata un
vero e proprio prisma attraverso il quale si può vedere il mondo e che
si è estesa dalla sua comparsa a tanti altri campi oltre la letteratura.
Ai giorni nostri, è onnipresente per chi sa identificarla: dai fumetti al
cinema passando dai videogiochi e dai manga, impone il suo universo e raduna i suoi adepti in una vera e propria comunità. Tuttavia, si
deve ammettere che è molto difficile dare una descrizione esatta di
quello che è la fantascienza, e forse rievocare la storia del genere lo
è ancora di più. Questa è probabilmente una delle ragioni per le quali la letteratura di fantascienza ha incontrato così tante difficoltà ad
essere considerata come un vero e proprio genere. La fantascienza, il
cui successo si è fatto sempre più grande, è riuscita dagli anni sessanta in poi ad imporsi fra gli studiosi che hanno cominciato a redigere
una sua storia, coscienti della necessità di dare al genere i suoi titoli
nobiliari. Eppure sono rare le opere che evocano le grandi linee della
storia del genere (i lavori seri e completi che trattano dell’argomento
si possono contare sulle dita della mano), e numerosi sono quelli che
hanno preferito imbastire delle antologie piuttosto di rischiare un argomento così trascurato e spinoso. Per quanto riguarda la letteratura di fantascienza francese, rimane ancora da pubblicare un’importante opera e un appassionato dal genere troverebbe
sicuramente un campo di ricerche vergine da ogni speculazione approfondita. In questo articolo, proverò dunque a dare ai nostri lettori la possibilità di orientarsi in questa letteratura
definendo le sue grandi linee storiche,
e completerò questo accenno con alcuni miei appunti di lettura che rispecchiano le novità in quest’ambito.
Che cos’è la fantascienza
francese?
Numerose sono state le definizioni proposte per tentare di afferrare la natura della
fantascienza. Difatti il termine è difficilmente definibile dato che si usa in numerosi campi e presenta molti punti in comune con al-
Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan
DA JULES VERNE
A NORBERT MERJAGNAN:
viaggio attraverso la letteratura
fantascientifica francese
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Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan
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L E T T E R AT U R A
tri generi affini. Se si desidera limitarsi a definire la letteratura di fantascienza francese, la proposta del famoso vocabolario francese Le Littré, «genere letterario basato su l’immaginazione
romanzesca e l’estrapolazione delle conoscenze scientifiche*», sembra descrivere in modo soddisfacente le caratteristiche del nostro topico, dato che permette di mettere in rilievo la sua doppia natura. Infatti la fantascienza, correntemente denominata SF in francese dagli anni
settanta, è composta da due elementi perfettamente antagonisti che però hanno
saputo armonizzarsi a meraviglia per
creare un genere detonante e originale:
il ragionamento logico e la fantasia sbrigliata, ovvero la scienza e la finzione. Sottolineiamo che è essenziale l’estrapolazione delle conoscenze scientifiche cui
Le Littré fa menzione a buon diritto per
delimitare la fantascienza francese da altri generi letterari, come il fantastico o
la fantasy. Troppi sono gli autori che
amalgamano questi generi differenti, e
che tendono a considerare questi ultimi
due come sotto generi di una fantascienza che diventa allora uno guazzabuglio
comodissimo per inglobare le letterature a base di finzioni speculative. La differenza maggiore consiste nel fatto che
i mondi descritti nei libri di fantascienza, per quanto sembrino essere lontani
dal nostro, non nascono mai dal nulla
completo. È proprio perché i loro autori si ispirano alle conoscenze scientifiche
che regolano il nostro mondo fino a svilupparle in modo estremo che il legame
coll’ambiente a noi familiare non è mai
completamente spezzato. Lungi dal limitarsi alle scienze esatte, quelle a cui fanno richiamo gli autori di fantascienza per
avvalorare le loro estrapolazioni inglobano anche le scienze umane, giacché
l’esplorazione delle possibili evoluzioni
delle organizzazioni socio politiche degli esseri viventi è sempre stata una sfida essenziale per la fantascienza. In compenso, la letteratura fantastica così
come la fantasy, genere che ha conosciu-
to un rapido
e notevole
sviluppo durante gli ultimi anni e la cui affiliazione al fantastico è chiara, propongono dei mondi da accettare così come
sono, e dove il meraviglioso inesplicato
e quasi magico regna da padrone. Gli
svolgimenti logici delle loro trame, posti agli antipodi di quelli della fantascienza, non devono nulla al mondo reale.
Una volta ammessa la doppia natura particolare della fantascienza francese, è
possibile completare la sua definizione precisando gli argomenti da lei trattati? Qui
la faccenda si complica, dato che i temi e
i sottogeneri che compongono questa
letteratura sono molto numerosi. Difatti
esistono diverse tradizioni, dato che i soggetti fantascientifici hanno cambiato man
mano che la storia dell’uomo stesso si è
evoluta. La fantascienza, qualunque sia il
sottogenere al quale si ricollega, è sempre
stata un modo di parlare degli uomini, e
più particolarmente dei suoi desideri e delle sue paure. Con questa letteratura, i grandi sogni dell’umanità hanno trovato uno
spazio dove realizzarsi pienamente. Che
si tratti di domare gli elementi naturali, la
morte o ancora il tempo, la fantascienza
offre all’uomo la possibilità di speculare
sul suo destino e talvolta può anche rivelarsi visionaria. I mondi paralleli, i viaggi
nel tempo o ancora gli extraterrestri sono
stati degli artifici a lungo privilegiati.
Quando la fantascienza si dà invece come
scopo di denunciare, si compiace di di-
L E T T E R AT U R A
dosi. Rimane però la questione della possibilità di delimitare la scienza dalla finzione, cosa che non è mai facile in materia di fantascienza.
Elementi di storia
Il padre incontestato della letteratura fantascientifica francese, e forse anche
mondiale, è il celeberrimo Jules Verne cui
la fama ha oltrepassato i confini del suo
paese da tanto tempo ormai. Con i Voyages Extraordinaires che redige per
conto dell’editore Hetzel con il quale rimarrà sotto contratto per più di vent’anni, rende all’ultima moda il romanzo di
anticipazione scientifica. Tuttavia, esiste
tutta una serie di autori che si possono
considerare come dei precursori in materia: citiamo Cyrano de Bergerac che fin
dal 1657 pubblica Les Etats et Empires
de la Lune, Voltaire e il suo Micromégas
oppure Sébastien Mercier, autore di
L’An 2440 (1771). I romanzi che Jules
Verne pubblica per la rivista Le Magazin
d’Education et de Récréation diretta da
Hetzel hanno come pretesto l’istruzione
dei ragazzi e dimostrano una preoccupazione costante per la divulgazione
scientifica. Nel 1864, Verne propone ai
suoi giovani lettori Voyage au Centre de
la Terre che combina in modo originale
avventura e scienza, e figura fra i suoi romanzi più famosi. Gli eroi immaginati da
Verne esplorano anche lo spazio (De la
Terre à la Lune, 1865; Autour de la Lune,
1870) e gli abissi (Vingt Mille Lieues sous
les Mers, 1870) nei suoi romanzi che presentano stupefacenti qualità visionarie,
anticipando la creazione del sottomarino moderno e la conquista della Luna dall’uomo. Più di un secolo dopo la sua morte, Verne, il nantese il cui centenario della scomparsa è stato festeggiato nel 2005,
si rivela essere di grande modernità ancora oggi. La tradizione fantascientifica
inglese, paragonata a quella francese, viene inaugurata poco dopo con The Time
Machine di Wells (1895) e quella americana più tardi ancora. Nel 1929, Hugo
Gernsback, grande ammiratore di Verne
Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan
struggere antichi mondi in opere a carattere apocalittico e a mostrarne la degenerazione tramite distopie. I romanzi
post apocalittici e le utopie intendono costruire nuovi mondi, sulle ceneri ancora fumanti delle vecchie civiltà distrutte nel primo caso oppure a carattere ideale nel secondo. Per quanto riguarda le
ucronie, sono invece forme particolari di
elaborazione di un nuovo mondo, o
piuttosto del nostro mondo come sarebbe potuto essere giacché consistono
nello sviluppare le conseguenze di una
mutazione del corso degli eventi a partire da un punto preciso della nostra storia. Questi sotterfugi letterari permettono allora di aprire un occhio critico sulle azioni dell’uomo e di denunciare sia
gli effetti dei regimi totalitaristi e delle
guerre, sia le conseguenze, reali o probabili, dello sviluppo tecnologico. Così,
fra i temi più frequentemente trattati, troviamo le sfide ecologiche, le modifiche
genetiche, lo sviluppo delle nanotecnologie e l’autonomia dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, bisogna tenere a mente che la fantascienza, lungi dall’aver
sempre avuto come preoccupazione il polemizzare o lo speculare sull’applicazione fatta dagli uomini del loro sapere
scientifico, è anche apparsa come una letteratura senza pretese, cui l’unico scopo può riassumersi nel divertire il lettore. Può allora essere considerata come un
genere particolare di romanzo di avventure, il romanzo d’avventure scientifico.
Infine, un’altra tradizione consiste nel
porre come base del racconto fantascientifico dei riferimenti scientifici rigorosamente esatti; ciò non impedisce per
niente uno sviluppo del tutto speculativo come nel caso della hard science, corrente poco diffusa in Francia, oppure
l’inserimento di questi dati in un racconto di avventure, come fatto da Jules Verne. In entrambi i casi, si potrebbe affermare che il romanzo prende allora un valore pedagogico, che l’intento sia dichiarato chiaramente o no, dato che fornisce
al lettore l’occasione d’imparare diverten-
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Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan
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L E T T E R AT U R A
e direttore della rivista statunitense Amazing Stories, conia il termine «scientifiction» che diventerà poi «science fiction», ovvero fantascienza, e che sostituisce così l’espressione «anticipazione scientifica» di connotazione francese.
Si può dire quindi che la letteratura francese ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della fantascienza, e la via aperta da Verne ispira più di un autore. I suoi successori sviluppano la tradizione, pur testimoniando un certo pessimismo. Tuttavia, la critica letteraria dell’epoca considera la fantascienza come una letteratura di massa e si
dimostra poco favorevole, atteggiamento che frena notevolmente il suo
sviluppo. I fratelli Boex, più noti come J. H . Rosny, pubblicano insieme Les Xipéhuz (1887), romanzo cui l’azione si svolge in un’epoca preistorica lontana e che mette in scena un incontro fra umani e extraterrestri. Successivamente, incominciano a scrivere ognuno per conto suo
e J. H. Rosny detto «Aîné» redige nel 1910 La Mort de la Terre, racconto post apocalittico nel quale un Adamo e un’Eva dei tempi futuri generano una nuova razza di esseri viventi, metà uomini e metà minerali. J. H. Rosny è anche l’inventore del termine «astronaute» (Les Navigateurs de l’Infini, 1928), e ha prestato il suo nome a uno dei più prestigiosi premi di letteratura fantascientifica. Nel 1910, Maurice Renard
pubblica il suo capolavoro Le Péril Bleu in cui l’intrigo del giallo si unisce alla fantascienza, e che abbozza degli extraterrestri molto più evoluti degli umani. Altro esempio di romanzo facendo parte della tradizione pessimista che mette in guardia l’uomo contro se stesso è Quinzinzili (1935), una distopia post apocalittica nella quale un pugno di
sopravvissuti descritti con ironia mordace si inventano un dio dopo
essere scappati ad un cataclisma provocato dalla guerra. Il suo autore, Régis Messac, ha scritto inoltre saggi letterari sul tema della fantascienza che figurano fra i primi. Altri scrittori meno famosi come
Albert Robida e Gustave Le Rouge sono comunque importanti per la
storia della fantascienza francese anteriore alla
seconda guerra mondiale, e meritano di essere
ricordati.
Nel 1943, lo scrittore René Barjavel si rivela al
pubblico con la pubblicazione di due opere: Ravage e Le Voyageur Imprudent. Gli intenti di
denuncia sono costantemente presenti nei suoi
scritti, che usi procedimenti post apocalittici o di ritorno nel tempo. Il suo avvertimento contro gli eccessi della scienza e la pazzia della guerra prospetta l’umanità in
modo pessimistico. Così, in Ravage, una
semplice mancanza di corrente riesce ad inghiottire tutta una civiltà all’avanguardia
in campo tecnologico. I pochi superstiti, a prezzo di un lungo percorso pieno di insidie, riescono a raggiungere il sud della Francia, unica parte del paese risparmiata dalla follia tecnologica e nella quale gli uomini vivono ancora in modo ancestrale secondo sani valori campagnoli. Barjavel è stato acerbamente
criticato per le tendenze pétainistes che traspaiono dalla sua opera (ri-
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Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan
cordiamo che il motto del regime di Vichy era «Travail, Famille, Patrie»),
ciò non di meno, rimane un fondamento essenziale per la fantascienza francese nel contesto della seconda guerra mondiale piuttosto cupo
per la letteratura, così come era stata la prima. Dopo Barjavel, certi saggisti come Evans pensano che un ciclo si concluda nella storia della
letteratura fantascientifica francese, segnando
la fine di un primo periodo.
Tuttavia, l’inaugurazione di quello che deve essere considerato come un secondo periodo non
avviene sotto i migliori auspici, anzi: si tratta
di un momento infausto per la produzione di
opere letterarie francesi di fantascienza. Infatti, il decennio che va dalla metà degli anni
quaranta a circa la metà degli anni cinquanta venne nominato «traversée du désert» da
Gérard Klein (l’autore tuttavia lo prolunga
fino agli anni sessanta). Come spiegare questo declino in un paese così tanto precursore? Gli strascichi della grande guerra non
bastano a giustificare tutto. Gli Stati Uniti che avevano inaugurato la loro tradizione di fantascienza molto più tardi hanno
conosciuto fin dall’alba degli anni trenta il loro periodo aureo in materia, che è durato fino
agli anni cinquanta inclusi. Dominano dunque la produzione letteraria di opere di fantascienza mediante un movimento di espansione
opposto a quello della Francia. Meglio: l’ondata americana invade il mercato francese, grazie particolarmente alla creazione dall’editore Hachette nel 1951 della collana Le Rayon Fantastique che ha contribuito largamente a far conoscere i grandi autori americani che in seguito avrebbero influenzato molto gli scrittori francesi. Lo stesso anno,
viene creata la famosa collana Anticipation della casa editrice Fleuve
Noir in risposta a Hachette, inaugurando una lunga tradizione di romanzi popolari sul modello dello «space opera» americano. Talvolta
sono stati criticati per i loro intrighi semplicistici e per la loro qualità letteraria minore, ma hanno tuttavia rivelato alcuni autori francesi interessanti: Jimmy Guieu noto dai suoi lettori come Wul, il prolifico Kurt Steiner alias André Ruellan o ancora B. R. Bruss, significativo fino agli anni settanta. Anticipation ha conosciuto un successo tale
da durare sino al 1998. In questo contesto molto americanofilo, molti autori francesi hanno scelto di prendere come pseudonimo un nome
che suonava americano. Notiamo però che Le Rayon Fantastique, in
un secondo tempo, ha anche contribuito al lancio di una nuova generazione di autori francesi di ottima qualità come Carsac, Drode, Curval o Klein, che hanno potuto fare i primi passi in questa collana e che
hanno mostrato forse più interesse per la psicologia dei personaggi
rispetto agli autori americani.
Infine, altri autori che non sono passati né da Le Rayon Fantastique
né da Anticipation hanno compensato il calo della produzione letteraria di quegli anni vuoti con la pubblicazione di opere significative.
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Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan
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L E T T E R AT U R A
Jacques Spitz, scrittore dallo stile disilluso ed ironico, si è ispirato molto al fantastico e al surrealismo per redigere le
sue opere, vere e proprie satire nelle quali denuncia la debolezza della natura
umana. L’Œil du Purgatoire uscito nel
1945 rimane il capolavoro di quest’autore dimenticato per tanto tempo e che
è appena stato ripubblicato in Francia.
Nel 1952 vengono pubblicati Une Nuit Interminable di Pierre Boulle, il cui stile ricorda quello di Spitz, e Les Animaux Dénaturés di Vercors (pseudonimo di Jean
Bruller), opera a carattere filosofico nella quale degli antropologi trovano la specie che costituisce l’anello mancante
fra l’uomo e la scimmia e che diventa così
pretesto per un’interrogazione sulla natura reale degli umani.
A partire dalla fine degli anni cinquanta, il vento di una nuova stagione soffia
sulla letteratura fantascientifica francese. Gli autori che avevano iniziato a scrivere durante il decennio scorso si affermano come rappresentanti di una nuova generazione di scrittori. Questa rinascita, d’altronde, prosegue negli anni settanta. Il cambiamento si manifesta con
un’evoluzione dei contenuti: anche se
continua ad esistere una letteratura
fantascientifica principalmente di intrattenimento, ne appare un’altra più matura ed impegnata che sviluppa delle sfide sociali di attualità come l’ecologia, il
ruolo dei media, il rapporto con il potere o ancora le nuove tecnologie. D’altra
parte, alcuni scrittori si ispirano allo stile «space opera» nato negli Stati Uniti
adattandolo alla letteratura francese.
Infatti, fin dagli anni cinquanta, è andato di moda in America questo genere di
avventura epica che si svolge su scala interplanetaria, anche se in principio ha
avuto una connotazione peggiorativa in
riferimento agli «soap opera». Scrittori
come Francis Carsac, autore di Ce Monde est Nôtre (1962) e Gérard Klein (il cui
pseudonimo è Gilles d’Argyre) che ricopre i vari incarichi di romanziere, novelliere, editore di antologie di fantascien-
za francese e saggista senza pari, si sono
così cimentati nel genere, tuttavia con
uno stile più intellettuale e meno spettacolare. Autori affermati segnano gli
anni sessanta con nuovi capolavori: Barjavel, che dopo un lungo periodo di silenzio torna alla fantascienza nel 1962
con La Nuit des Temps, romanzo che
tratta il tema della caduta delle civiltà,
e Pierre Boulle, che nel 1963 pubblica il
suo famoso La Planète des Singes, racconto di successo che rimette in questione
lo status di essere più intelligente dell’uomo e che è stato oggetto di un adattamento cinematografico.
Durante gli anni settanta, la letteratura
di fantascienza prosegue nel suo sviluppo e suscita sempre di più l’interesse di
autori di letteratura generale, come Robert Merle, che adottano momentaneamente il genere. La novella non è da
meno giacché vengono pubblicate eccellenti raccolte da scrittori confermati: citiamo di nuovo Klein con La Loi du Talion (1973), e Michel Demuth che è stato premiato da «Le Grand Prix de la Science-Fiction Française» per Les Galaxiales
pubblicato nel 1976. Inoltre, questo genere ha trovato nelle riviste un mezzo importante di diffusione. Questo decennio
è anche un periodo di consacrazione per
Philippe Curval, brillante autore che
aveva iniziato a scrivere fantascienza negli anni cinquanta e che rimane uno dei
pochi scrittori francesi ad essere stato
pubblicato negli Stati Uniti. Le sue opere, come Cette Chère Humanité (1976),
dimostrano la sua capacità di creare universi extraterrestri originali.
Se il contenuto della fantascienza cambia, certi autori si sforzano peraltro di
rinnovarne la forma affinando lo stile.
Così Charles Duits gioca volentieri con
le parole e crea un linguaggio extraterrestre nella sua ucronia Ptah Hotep
(1971), nella quale la civiltà greco - egizia domina il mondo del ventesimo secolo. In modo più ovvio ancora, Michel
Jeury scrive durante quelli anni dei romanzi dallo stile molto elaborato. La sua
L E T T E R AT U R A
Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan
prosa, molto spezzata, si ispira molto al movimento francese del Nouveau Roman. Nel 1973, pubblica Le
Temps Incertain, romanzo di buona
qualità letteraria che tratta le tematiche del viaggio nel tempo,
del totalitarismo e del potere delle multinazionali. Per finire, gli anni settanta sono anche quelli che svelano al pubblico Jean-Pierre Andrevon.
Nel 1969, questo scrittore molto impegnato, che illustra perfettamente la nuova fantascienza militante emersa negli anni
sessanta, pubblica Les Hommes
Machines contre Gandahar, libro
che presto incontra un grande
successo. Épilogue, Peut-Être
(1973) e Le Monde Enfin (1975)
fanno parte delle migliori opere che
scrisse durante il decennio.
All’alba degli anni ottanta, lo sviluppo dell’informatica genera cambiamenti radicali nel modo di vivere delle società occidentali. A partire dal
1984, data di pubblicazione del famoso Neuromancer di Gibson, emerge ufficialmente negli Stati Uniti una nuova corrente letteraria fantascientifica del tutto inedita che si da come scopo di riflettere sulle mutazioni in corso e di anticiparne le conseguenze in un futuro prossimo. Le opere di questo movimento detto «cyberpunk» si presentano il più delle volte sotto forma di distopie nelle quali degli antieroi disillusi e ribelli ad
ogni tipo di autorità (cui l’archetipo rimane l’hacker) si ritrovano alle prese con potenze mal identificate in un universo in cui le multinazionali
fanno da padrone. Poggiano su recenti scoperte in ambito informatico
e sugli sviluppi della genetica per estrapolarne le conseguenze che appaiono allora sconvolgenti e in certi casi anche probabili. L’intelligenza
artificiale, la fusione del reale col virtuale, la creazione di esseri ibridi metà
uomini metà macchine, e più tardi le nanotecnologie, la clonazione e gli
OGM sono altrettanti temi privilegiati dall’universo cyberpunk che sebbene non siano tutti innovatori (essendo già stati sfruttati i robot ed i cloni in letteratura), presentano tuttavia nuovi sviluppi. Il movimento cyberpunk americano fa presto ad amplificarsi sino a diventare una vera e propria controcultura. Però, se conosce sviluppi così promettenti negli Stati Uniti, non si può dire la stessa cosa della Francia dove gli autori di fantascienza rimangono poco inclini a questa nuova corrente.
Solo alcuni scrittori utilizzano le tematiche cyberpunk nelle loro opere, e molto spesso in modo involontario e fugace. Notiamo la finzione politica di Andrevon Le Travail du Furet (1983) che denuncia il controllo degli individui da parte dello Stato, o ancora La Mémoire Totale (1985), primo romanzo fantascientifico di Claude Ecken che immagina un mondo farcito di intelligenza artificiale e sconvolto da una ma-
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L E T T E R AT U R A
lattia che cancella la memoria. Benché La
Mémoire Totale abbia abbastanza elementi per essere considerato a pieno titolo un’opera cyberpunk se non addirittura un’opera pionieristica in materia,
non si può evocare una filiazione cosciente e ricercata al movimento sapendo che
Ecken non aveva mai letto Gibson prima.
Infine, Emmanuel Jouanne, scrittore anticonformista che si era fatto notare grazie ai suoi romanzi Damiers Imaginaires
e Ici-Bas, ha inaugurato nel 1988 un ciclo chiamato Terre en Phases che non ha
mai portato a termine ma in cui, nei due
primi volumi Le Rêveur de Chat e La Trajectoire de la Taupe, evoca i temi dell’informatica e della disgregazione dello Stato. Quest’autore, scheggia impazzita
della fantascienza che aveva fondato con
Antoine Volodine e Jacques Barbéri il
gruppo di sperimentazione letteraria
Limite, è purtroppo caduto nell’oblio per
un certo periodo in Francia, mentre è più
noto in Italia per la sua saga gialla Soviet
scritta insieme a Yves Frémion. Deceduto da poco, qualche editore prenderà probabilmente a cuore la ripubblicazione
della sua opera per ridargli il posto che
merita presso il pubblico.
Lontani dalla fantascienza impegnata degli anni settanta e dagli universi cyberpunk,
la maggioranza degli altri scrittori di successo negli anni ottanta adottano un
genere più leggero. Così Michel
Jeury, mentre continua a pubblicare romanzi speculativi più intellettuali nella prestigiosa collana Ailleurs et Demain di Laffont, scrive numerosi libri di fantascienza d’avventura per conto della casa editrice Fleuve Noir. Serge Brussolo, che si dedica alla fantascienza fino agli anni novanta, è anche lui uno scrittore molto prolifico i cui racconti si trovano al limite del
fantastico. In mezzo al mare di opere non
sempre di ottima qualità che pubblica allora, si notano più volentieri il suo primo
racconto di novelle Vue en Coupe d’une Ville Malade (1980) e ei suoi romanzi Les Mangeurs de Murailles (1982) e Les Semeurs
d’Abîmes (1983).
Bisogna aspettare gli anni novanta perché il movimento cyberpunk ispiri realmente gli autori francesi. Fra quelli più
significativi, troviamo il controvertissimo Maurice Dantec con Les Racines du
Mal (1993), Jean-Marc Ligny e il suo Inner City (1996) o ancora Paul Borelli autore di Désordres (1998) e più recentemente di L’Ombre du Chat (2002). A quell’epoca, però, il cyberpunk non è più ciò
che era prima: alcuni sviluppi tecnologici predetti si sono rivelati esatti, come
l’avvento di una rete di comunicazione
mondiale che oggi non è altro che internet. Questi sviluppi hanno indotto ad un
mutamento del cyberpunk che si è dovuto adattare alla realtà che era stata in
un certo qual modo superata dalla finzione. Questo nuovo orientamento del discorso ha fatto
proclamare da alcuni la fine del
cyberpunk a beneficio dell’avvento del post-cyberpunk. Forse si
può notare semplicemente un’evoluzione del movimento che ha
dovuto rivedere i propri paradigmi,
e il cui tocco ribelle si è indebolito
proponendo eroi sempre più integrati nella società, ma che conserva
tuttavia in gran numero le sue caratteristiche più significative. Comunque
sia, non è trascurabile l’influenza diretta o indiretta che ha potuto avere
il cyberpunk sugli autori francesi.
L E T T E R AT U R A
ri. Come abbiamo potuto vedere, gli scrittori francesi adoperano volentieri stili diversi. Se sono rappresentati bene lo
steampunk e lo space opera, La Zone du
Dehors pubblicato nel 1999 dal criticato Alain Damasio mostra che non è ancora scomparsa la fantascienza politica;
in quanto a Claude Ecken, rimane uno dei
pochi a praticare la «hard SF» a dispetto di tutte le tradizioni francesi (il suo romanzo La Fin du Big Bang pubblicato nel
2001 esplora la fisica quantistica senza
essere inaccessibile al lettore) mentre
continua a scrivere fantascienza avveniristica di qualità eccellente, come provato dalla sua raccolta di novelle Le Monde Tous Droits Réservés (2005).
Ma questa proliferazione di stili è il segno di una letteratura che cerca sé
stessa, oppure mostra la vitalità della
produzione francese? Non c’è alcun
dubbio che ai giorni nostri il mercato della fantascienza sia ampiamente dominato dagli anglosassoni. Il periodo in cui
la Francia faceva da modello è davvero
passato. Ma dobbiamo per questo ascoltare le Cassandra che predicono la morte della tradizione francese? I loro allarmi non sono nuovi: già negli anni cinquanta faceva da pretesto lo spettro dell’egemonia fantascientifica americana. Se
si vuole prendere la briga di fare attenzione alle ultime pubblicazioni, si potranno trovare delle perle molto promettenti fra i giovani autori. A cominciare
da Catherine Dufour, che è diventata
nota al pubblico grazie al suo cupo romanzo Le Goût de l’Immortalité e che ci
ha regalato nel 2008 l’ottima raccolta di
novelle L’Accroissement Mathématique
du Plaisir, nel quale eccelle nel maneggiare stili letterari diversi. Nel 2009, Stéphane Beauverger ha pubblicato Le Déchronologue, romanzo di pirateria dove
sfrutta l’idea di distorsione del tempo e
che lascia presagire il meglio per quanto riguarda le sue opere future. Infine
Norbert Merjagnan, autore di Les tours
de Samarante che merita senza dubbio
un approfondimento.
Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan
Forse è ancora più flagrante l’infatuazione francese per lo steampunk, altro genere nato negli Stati Uniti durante gli anni
ottanta (se non addirittura negli anni settanta) da cui si è diffuso. Il termine, che
proviene dall’inglese «steam» il cui significato è «vapore», indica uno sviluppo
della fantascienza particolarmente originale che consiste nel situare l’azione
dei racconti in pieno ottocento, integrando un certo numero di anacronismi tecnologici come i computer o la genetica.
Ispirato alla letteratura fantastica e al romanzo di avventure, lo steampunk presenta mondi ucronici nei quali prevale la
civiltà della macchina a vapore. Dalla fine
degli anni novanta, si sono moltiplicate
le opere francesi steampunk: citiamo
come esempi Confessions d’un Automate Mangeur d’Opium (1999) de Mathieu
Gaborit e Fabrice Colin, la trilogia della
Luna che ha cominciato a pubblicare nel
2000 Johan Eliot o ancora Dreamericana (2003) di Fabrice Colin.
D’altra parte, lo space opera continua ad
ispirare gli autori francesi, senza che si
possa però equiparare le loro opere a
quelle degli autori americani che hanno
contribuito a fare evolvere il genere
verso un contenuto più guerresco, incitando i critici a usare la qualifica «nouveau space opera» per designare quelle
pubblicate negli Stati Uniti dagli anni novanta. In Francia i migliori saggi space
opera di quegli anni li dà Ayerdhal
(pseudonimo dello scrittore lionese Jacky Soulier), che propone con le sue saghe La Bohême et l’Ivraie e Mytale una
fantascienza impegnata con uno stile
piuttosto intellettuale. Pierre Bordage, peraltro autore dell’ucronia Wang (1998),
si dedica anche lui allo space opera usando uno stile più leggero con il suo ciclo
Les Guerriers du Silence (1993).
La fantascienza degli anni duemila rimane più difficile da analizzare: innanzitutto per mancanza di distacco, dato che è
sempre pericoloso pronunciarsi su un decennio incompiuto, ma forse anche a causa della proliferazione di generi lettera-
79
Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan
80
L E T T E R AT U R A
Scheda critica
Norbert Merjagnan ha fatto i primi passi in letteratura nel 2008 con
Les tours de Samarante, unico romanzo che abbia proposto al pubblico finora. La storia della sua pubblicazione non è banale: mandato via
posta, il racconto di Merjagnan che doveva inizialmente chiamarsi La
Nuit des Sémuramat è stato ammesso dopo alcune modifiche nella prestigiosa collana Denoël Lunes d’Encre diretta da Gilles Dumay, alias
l’autore di fantascienza Thomas Day. Da poco tempo, questo ex professionista dell’informatica parigino si è trasferito a Nantes per poter stare «vicinissimo alle Utopiales*» (famosissimo festival di fantascienza francese), cambiare vita e dedicarsi alla scrittura. Purtroppo
il suo libro non è ancora disponibile in italiano, ma meriterebbe senza dubbio di essere tradotto.
In un mondo che gli Anziani hanno devastato attraverso l’uso delle
armi climatiche, provocando in questo modo guerre spaventose che
hanno minacciato di estinguere l’umanità, la vita si è riorganizzata in
un insieme di città dette «mirandiennes» che hanno concluso un patto per lo meno di relativa pace suggellato dall’organizzazione degli
Ordini, una combinazione di sei entità governative che regolano tutte le zone urbane. Al di fuori delle città, alcune tribù guerriere recalcitranti ad adattarsi alle esigenze della civiltà urbana hanno eletto come
domicilio l’Aliène, immensa superficie desertica ed inospitale. È in questo contesto che ci vengono presentati successivamente tre eroi, Oshagan il guerriero che torna a vendicare la memoria della sua famiglia
dopo dieci anni di esilio nelle montagne, Cinabre, la «préfigurée» nata
nelle cisterne dell’Humanie che possiede sorprendenti poteri empatici, e Triple A, il monello dei bassifondi che agisce come una scheggia impazzita e non ha altro scopo che quello di conquistare la sua
libertà. Tutti sono intimamente legati a Samarante, città luogo dell’azione e argomento principale del libro. Il romanzo è una progressiva andata verso un avvenire incerto, dove delle forze oscure e delle motivazioni segrete, svelate col contagocce al lettore, impongono come fondale una cappa di piombo. A poco a poco, si incrociano i destini dei
tre eroi e si annoda l’intreccio. Sembra essere la ribellione la parola
chiave che permette di capire quello che li unisce. Oshagan è guidato dalla collera, mentre Triple A si avvicina alle sei Torri, quartiere generale degli Ordini e simboli assoluti del potere. Cinabre, accompagnata da amici dissidenti, guida il lettore in una ricerca poliziesca mettendosi sulle orme delle forze malvagie e della propria identità circondata dal mistero.
In questo universo nel quale è stata spinta ad un alto livello di evoluzione la «technigence», ovvero l’intelligenza artificiale, dove può essere sintetizzata ogni materia, biologica come minerale, nel quale possono essere trapiantati i cervelli sulle macchine e dove diventa realtà tangibile il concetto di intelligenza plurale, esistono tuttavia meccanismi che stroncano l’invasione della tecnologia: sono la Lepre, malattia incurabile delle macchine che porta la notte primitiva nella Città, e il Male che trasforma gli umani in sgraditi mutanti. L’ultimissimo
scopo della civiltà urbana è di raggiungere la Soglia a partire dalla quale inizierà una nuova era per l’umanità e nella quale regnerà la «crea-
L E T T E R AT U R A
la vitalità della letteratura fantascientifica francese. Dal momento che viene ammessa l’esistenza di un vivaio di ottimi autori, cosa manca a questa letteratura per
affermarsi realmente? Forse questa citazione di Klein ci può aiutare ad identificare il vero problema: «Una letteratura è
un’identità collettiva. Ha un futuro solo se,
a qualche livello, è conscia del suo passato, dei fermenti originali che racchiude e
dei rapporti che mantiene con i diversi
modi di essere della società nella quale è
nata e si sviluppa*». Questa coscienza collettiva non deve essere a carico soltanto
degli autori, sarà invece con l’appoggio di
editori esigenti, di antologisti scrupolosi,
di saggisti e di critici competenti che la letteratura fantascientifica francese spiccherà davvero il volo.
Bibliografia e sitografia
La science-fiction par le menu – Problématique d’un genre, rivista letteraria
mensile Europe, n°580-581, agosto-settembre 1977.
Slusser George, Science Fiction in France: an Introduction, in Science Fiction Studies n° 16, novembre 1989.
En un Autre Pays, antologia della fantascienza francese dal 1960 al 1964 a cura
di Gérard Klein, Seghers, Parigi, 1976.
Science-fiction, littérature de, articolo
estratto dall’enciclopedia in linea Microsoft Encarta 2008,
http://fr.encarta.msn.com
Portale http://www.cafardcosmique.com
***
Perché aver evidenziato in questo modo
Norbert Merjagnan? Semplicemente perché le qualità letterarie che racchiude la
sua prima opera ne fanno un simbolo del-
NOTE:
*N.d.R.: citazioni tradotte dal francese.
Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan
tura», essere perfetto che gli scienziati
«Humanes» s’impegnano a creare. Al termine del racconto, il lettore è un poco più
informato sull’origine del male che rode
la città, molto di più sui tre eroi, ma intuisce, giustamente, che l’autore non ha
ancora svelato tutti i suoi segreti: i
guerrieri Letaï arrivati alle porte della città lasciano presagire una guerra imminente e danno campo libero a un secondo volume.
Dopo un certo periodo necessario per
abituarsi al vocabolario specifico sia
della fantascienza che di Merjagnan, ci
si immerge letteralmente nel racconto
con l’aiuto di un utilissimo glossario fin
dai primi intrecci delle storie di ogni eroe.
I temi trattati dimostrano una forte influenza cyberpunk, dagli attentati tecnologici cagionati alla sacralità del corpo
umano all’ambiente naturale passando
dalla pubblicità-propaganda e dal distacco dalle radici culturali. Gli sviluppi
originali della storia, malgrado la solita
sconfitta finale del cattivo, denotano una
suspense continua. Per quanto riguarda
lo stile, elaborato e fluido nello stesso
tempo, trabocca di trouvaille letterarie,
fra le quali un sapiente uso dell’argot, di
neologismi e di simboli poetici. C’è però
un’abbondanza di protagonisti talvolta
abbandonati dall’autore strada facendo,
alcuni procedimenti grossolani come
l’inserimento di una lista di persone da
eliminare, e dei dialoghi talvolta un po’
deludenti. Tuttavia, questi difetti minori sono trascurabili in una prima opera
di ottima qualità che annuncia un seguito molto promettente, che secondo
l’autore dovrebbe orientarsi sulla città di
Treis…avviso agli appassionati.
81
Gianluigi Gentile Boccadasse o la partecipazione rovesciata
82
ARCHITETTURA
BOCCADASSE
O LA PARTECIPAZIONE ROVESCIATA
di Gianluigi Gentile
La recente vicenda, peraltro non ancora conclusa, che ha visto il
confronto fra l’architetto Mario Botta e i cittadini residenti a Boccadasse in merito all’intervento immobiliare progettato sull’area
dell’attuale rimessa degli autobus, offre lo spunto per alcune considerazioni di carattere generale sul ruolo che il progettista è chiamato a svolgere in un quadro di riferimento come quello che si sta
configurando sull’onda dell’attuale globalizzazione.
La cronaca è ormai nota: l’area, destinata dal P.U.C. ad attività urbane, è stata venduta dall’A.M.T. alle cooperative Abitcop che hanno affidato il progetto all’architetto ticinese, che ha svolto il suo
incarico con professionalità ed abilità stilistica, configurando un
intervento con decisi riferimenti agli stilemi propri di Louis
Kahn, individuabili soprattutto nelle torri cilindriche che caratterizzavano le prime due proposte.
E così iniziato un percorso accidentato che in qualche modo si potrebbe definire di “partecipazione rovesciata”, attraverso
l’elaborazione di diverse ipotesi progettuali, sottoposte a più riprese da una serie di feed-back da parte dei cittadini, fino a costringere l’architetto ad una revisione completa del progetto, che peraltro è stato ripreso dal Settore Pianificazione Urbanistica del Comune e ripresentato ad un’assemblea pubblica il 6 aprile, attivando in questo modo una forma di partecipazione più congruente.
La chiave di lettura critica dell’episodio, che si colloca ormai sulla border line fra cronaca e storia, si può trovare analizzando le
modificazioni, ideologiche e di metodo, indotte dalla globalizzazione sulla prassi progettuale.
La più evidente conseguenza di queste trasformazioni è la progressiva evanescenza della nozione di contesto, snaturata nella verifica e nel riferimento, pure necessario, all’evoluzione storica della morfologia urbana, mentre ≤va affermandosi una forma estetizzante di esercizio del “design”, che riconduce la prassi progettuale ad un’operazione di packaging, in cui il nuovo intervento trova il suo riferimento prioritario nelle istanze finanziarie e del consumo, spettacolarizzate attraverso l’architettura in quanto scenografia degli accadimenti.
In ritardo su quanto verificatosi nel campo delle altre arti l’architettura
partecipa a questa necessità di rifondazione del suo ruolo attraverso un’antinomia di indirizzi oscillante fra una “liquefazione” estrema, in cui forme e funzioni si dissolvono nell’ineluttabile programmatico, e l’approccio formalista in cui i significati sono alienati e crip-
ARCHITETTURA
83
Gianluigi Gentile Boccadasse o la partecipazione rovesciata
Il progetto rielaborato dal settore pianificazione urbanistica del Comune
tati nella logica interna di un esercizio
linguistico avulso dal contesto e mirato alla formulazione di un assetto ambientale alternativo.
Lo stesso concetto di morfologia urbana viene messo in discussione da
un’ottica che considera la città come
luogo privo di vocazione storica e di
realtà collettive, predestinato all’effimero della performance. Si rinuncia ad
una progettualità finalizzata ad un assetto urbano estrapolato analizzando
la vocazione del contesto, per assumere come parametri discriminanti le
istanze espresse dai gruppi di maggioranza politica o di potere economico.
Nel saggio “Contro la fine dell’architettura”, Vittorio Gregotti esprime questo
giudizio: “Il paradigma del valore occasionale di immagine di marca dell’‘opera d’arte’ è diventato per l’architettura
disastrosamente fatale. Le intenziona-
lità appassionate degli anni Sessanta, giuste o errate che fossero, si sono trasformate in cinismo mercantile e le invenzioni linguistiche si sono appiattite
fino a coincidere coi desideri di sorpresa del mercato” Il risultato di questa concezione è la formalizzazione completa
delle istanze della società dello spettacolo così come è stata analizzata da Guy
Debord. Questo tipo di approccio, già
emerso nella recente storia dell’architettura, trova ora, almeno nelle intenzioni dichiarate, una completa espressione formale, facendo propri i dettami della società dello spettacolo, che coinvolge nel processo di omologazione
l’architettura nel suo rapportarsi con la
città.
L’architetto opera attualmente in un
quadro formalista dove l’impegno è ridotto a puro rigore semantico.
L’apertura problematica indotta dalla
Gianluigi Gentile Boccadasse o la partecipazione rovesciata
84
ARCHITETTURA
crisi delle avanguardie e dalle tematiche del post moderno nella cultura architettonica contemporanea, configura un nuovo ambito disciplinarmente
composito, una contaminazio in cui il
progettista viene portato ad assumere nuovi stimoli dalla complessità del
ruolo professionale che, sia pure in
modo discordante, gli viene proposto,
al di fuori della dimensione “creativa”
autoreferente, forse definitivamente
perduta. La dialettica fra i soggetti coinvolti nella fase progettuale postula la
necessità di comunicazione e di scambio dei dati che in qualche modo devono trovare una convergenza negli
obiettivi, coinvolgendo sistematicamente tutta l’elaborazione del programma.
La sintesi nasce quindi da un confronto tra le implicazioni storicamente consolidate della progettualità, e le esigenze concrete dell’intervento, così come
sono espresse dal quadro di riferimento morfologico e sociale.
Questo iter progettuale “partecipato”
si può con buona approssimazione assumere come simulazione di un processo metodologico che, originato da
un problema concreto, arriva a configurare una realtà in divenire, fondativa per l’intervento nel suo rapportarsi con la realtà, anche nella sua componente utopica, proiettata cioè, al di
là della definizione classica di utopia,
verso un futuro possibile, anche se
l’espressione dei suoi contenuti e gli
strumenti necessari a realizzarlo non
sono ancora praticabili a causa degli
attuali condizionamenti.
Il Movimento Moderno, a questo proposito ha svolto fin dalle sue origini un ruolo determinante di elaborazione metodologica, fornendo un sostanziale contributo alla formulazione dell’attuale
concetto di progettazione integrata.
È significativo come lo stesso Movimen-
Il progetto più recente di Mario Botta
to Moderno abbia potuto attuare il suo
programma linguistico con una coralità che nel dopoguerra coinvolse anche le frange più conservatrici della cultura ufficiale, mentre è rimasto largamente inevaso il suo programma produttivo e urbanistico, ideologicamente alternativo agli obiettivi del pragmatismo liberista.
La progettazione integrata, nata come
paradigma fondamentale per la prassi interdisciplinare, consegnava alla
fase esecutiva il progetto-prodotto
come programma di attuazione.
La globalizzazione, coinvolgendo gran
parte dei settori dell’attività umana,
compresa la progettazione architettonica, dilata il quadro di riferimento a
livello planetario, in modo forse ineluttabile, ma tale da indurre ad analisi
controverse in ordine alla sua possibile evoluzione.
Il riflesso specifico del fenomeno in atto
sulla prassi e sulla teorizzazione architettonica è la necessità di confrontarsi
con una committenza sistematicamente indifferente alle specificità di contesti fra loro non confrontabili per cultura, tradizioni ed ambiente fisico, e di conseguenza refrattaria alla dialettica fra
ARCHITETTURA
Gianluigi Gentile Boccadasse o la partecipazione rovesciata
morfologia urbana e tipologia edilizia.
Paradossalmente riaffiora sotto un diverso aspetto la concezione progettuale del “modello”, storicamente accantonata dai contributi del
Movimento Moderno e dalla stessa architettura organica, concezione che si adatta a strumento di intervento della globalizzazione, poiché facilmente assoggettabile, come ideologia e come metodo, alle
regole imposte dal mercato.
Ci si trova in presenza di episodi progettuali che oscillano fra l’assoluta
indifferenza della forma al suo contesto e il mimetismo folcloristico (le parole di Mario Botta, sotto questo profilo sono emblematiche):
“La spiaggia è relativamente lontana dalla zona dell’intervento, non
ha un diretto rapporto fisico, però abbiamo fatto in modo che la maggior parte delle abitazioni abbia un rapporto visivo con il mare. Per
il resto poi ci può essere un richiamo nell’utilizzo di determinati materiali nella costruzione. Spero che sia un intervento che arricchisca
la zona”. La tipologia è progettata in funzione di un rapporto col contesto considerato dall’interno, come panorama, mentre si affida alla
texture il compito di instaurare con l’ambiente un dialogo di mimesi epidermica, approccio già emerso nella recente storia dell’architettura.
Tutto questo mentre sembrava ormai fondamentalmente acquisito che le condizioni morfologiche, storiche e sociali nella loro persistenza e nella loro evoluzione dovessero costituire il back ground
irrinunciabile della prassi progettuale, tanto più influente quanto più è articolato il metodo col quale queste componenti vengono analizzate.
In assenza di questo quadro di riferimento, ci si trova di fronte ad
una forma strisciante di colonizzazione da parte di iniziative immobiliari, o di una forma di spettacolarizzazione mediatica da parte delle istituzioni locali, che spesso utilizzano la formula del concorso come alibi ideologico.
Bisogna rimarcare a questo proposito che, come è stato osservato,
forse lo strumento operativo del concorso, non inquinato ed eventualmente sottoposto a referendum, avrebbe potuto garantire una forma di partecipazione più articolata, permettendo di raccogliere il contributo di diversi punti di vista.
Gi anluigi Ge nt ile
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Mario Pepe Due poesie
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POESIA
DUE POESIE
di Mario Pepe
OTTOBRE
Ottobre si ripresenta
con le solite folate
di vento fresco,
le stesse foglie rosse
di rappresentanza,
con la determinazione
con cui si è presentato
alcune pestilenze fà,
trenta volte
durante la guerra
dei trent’anni,
sessantasette volte
per consigliarmi
che pullover
indossare con i colori
dell’autunno,
cinque volte soltanto
a chi lo riconosce
appena,
inutilmente,
per chi se n’è andato
in primavera.
A ELISA
Le parole lievi
e sconnesse,
che la tua incerta figura
di bambina
sospinge leggere
nell’aria tremolante,
dubbiose
di raggiungermi,
disorientate
come farfalle
appena liberate
dalle tue mani socchiuse,
sono i suoni deliziosi
di quell’intesa
che da poco stabilita tra di
noi,
poco durerà
nella tua memoria,
appena il tempo
di giocare con i vestiti
delle tue bambole.
MUSICA
di Milena Antonucci
V’è all’interno del mondo e delle cose
una recondita cassa di risonanza.
La sua eco ci culla laddove l’udito riprende a stupirci,
e la vista si compone di quadri d’apparizioni fugaci.
In questa fascinosa regione, in questo lotto di terra astratta, si chiede soltanto che una vita trascorra, che un motivo si sprigioni e diffonda, noncurante
l’istante della propria dissolvenza.
Che il motivo, mutante, danzi e balzi sulla vita.
Ci troviamo in una stanza che ci offre protezione uterina e orecchio fetale. I
suoni ci riconducono alla nascita primordiale dei sensi umani. Persino la
parola accorre da remoti confini di significato ed irrompe con rinnovata
forza. Rimbombando, più non si spiega, ma flagella il mondo.
Lo denuda.
Crollano quegli orpelli che la nostra ostinata presunzione ha voluto agganciati alla tossica coltre che maschera un sentimento che dell’ascolto e della
visione ha conosciuto soltanto il terrore.
Si comincia con il silenzio.
Se ne subisce incanto e tradimento.
Quindi, ci si accorda. Per infrangerlo.
Si gioca a romperlo.
To play music. A love story.
Questo violino, colui che viola i confini di discernimento uditivo. Lo stupore
incontaminato.
Strumento che, da corde, volge in fiato.
Transmutations1.
Stefano Pastor ha chiamato così un suo album, e l’ha dotato del suo violino
davvero sublime, poiché in grado di costruire e confondere mondi.
Con-fondo è un verbo che a noi suona ostile perché vogliamo ci suoni ostile.
La confusione spaventa, poiché tutto si fonde e nulla più si distingue.
Esso però può anche agire come fondo tutto in me, divento tutt’uno con i
sensi e con il mondo, non avverto frammento, bensì lo comprendo, l’includo.
Non balza, nell’immediato, una soluzione più fresca, più libera e creatrice?
Credo che uno dei meriti maggiori di chiunque voglia, con la propria, persona-
Milena Antonucci Evocazioni ascoltando Stefano Pastor
SULLE CORDE DELL’ARIA
Evocazioni ascoltando Stefano Pastor
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MUSICA
Milena Antonucci Evocazioni ascoltando Stefano Pastor
88
lissima maniera, comunicare con molti stia proprio nella cura a vincolarli il meno possibile, e a donare loro la libertà d’immaginare.
E, qui, sta lo strumento.
La possibilità del dono in cui si vive solo la visione e ci si dimentica donde sia giunta.
La generosità che dimora all’interno della creazione, a questo
punto, risuona.
Stefano Pastor lo sa bene. Schiude visioni di libertà e di metamorfosi, concedendoci un dinamismo genuino e sorprendente,
stupendo il nostro udito che più non sa se l’aria che sta ascoltando giunga da un violino o da un saxofono soprano, ma che neppure se ne preoccupa, poiché quell’aria di matrice misteriosa
sfiora le corde dell’anima.
E, solo questo, crea la differenza. Quella differenza che garantisce ogni vita, quei cicli che ritornano.
Di Cycles2, appunto, si tratta.
Album di eccezionale vitalità e minuziosa cura.
Cura allo stupore offerto da immagini fuggitive, da note tese
come fasci di luce, in cui compaiono oggetti e presenze, rimbalzano ombre tonde, spingono fanciulli i piedi, offuscati poco
dopo dalla polvere. Apparizioni vivide e pure in un tempo remoto ed immacolato. È così che prendono vita i testi poetici di Erika
MUSICA
“For interior voice, musical instruments and objects”
Per informazioni complete:
www.stefanopastor.com
www.erikadagnino.com
NOTE:
1
Transmutations, Slam Productions - SLAMCD 512 – 2006.
2
Cycles, by Erika Dagnino and Stefano Pastor, Slam Productions - SLAMCD
514 – 2007.
Milena Antonucci Evocazioni ascoltando Stefano Pastor
Dagnino, i quali suonano a loro volta, mentre gli occhi scorrono
tra le sue pulsanti parole all’interno di mondi magnifici. Si assiste, in questo caso, ad un perfetto connubio tra musica e poesia,
una fusione atta alla potenza di quella occulta visione offertaci
da un lampo che pare squarti i luoghi del quotidiano per restituire il nostro occhio, il nostro orecchio e i sensi tutti al brivido
dello sconosciuto.
Difficile è, comunque, parlare, scrivere di musica.
In questa sede mi sono limitata a ciò che l’ascolto, la vibrazione,
m’hanno gittato dentro e hanno concesso che si mutassero in un
quadro dinamico di visioni interiori e barlumi per l’occhio invisibile.
Un vibrare di corde interne.
È per questo motivo che v’invito al solo ascolto.
Un ascolto attento, spalancato, un ascolto che richiede
l’attraversamento di strati del sensibile, scegliendosi sul momento la possibilità di dimorarvi.
89
Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea
90
EVENTI
LA MOSTRA
Terza Biennale d’Arte Contemporanea
GenovARTE 2009
Palazzo Stella, Genova
20 giugno – 7 luglio 2009
di Mario Napoli
GenovARTE giunge quest’anno alla sua terza edizione, consolidando
il suo ruolo promozionale in riferimento alla crescita e allo sviluppo
delle attività culturali e artistiche, ed affermando ormai con pieno diritto la propria appartenenza al panorama culturale della Città.
Un evento propulsivo nel campo delle arti figurative, progettato
e strutturato con lo specifico obiettivo di una scadenza biennale,
orientato ad organizzare un luogo di scambio e di confronto, conduce ad un percorso che, per le condizioni in cui si trova ad operare chi si propone di portarla a compimento, si presenta disseminato da rilevanti complessità operative.
La folta partecipazione a quest’ultima edizione (centosessanta artisti) fornisce la conferma di un costante incremento, ed offre, grazie al grande numero di partecipanti, un’attendibile base d’analisi
critica sugli indirizzi espressivi manifestati delle individualità che
in questo momento si propongono di mettere in gioco la propria
creatività.
Dal numero e dalla varietà delle opere presentate, è consentito di
osservare come, accanto al consolidarsi di un’espressività basata
sulla persistenza storica e culturale di formule fondamentalmente tradizionali, si affermi progressivamente un ricorso alla contaminazio dei linguaggi e alle tecniche multimediali, con una crescente tendenza, da parte dell’espressione pittorica, verso nuove forme di simbiosi con categorie espressive differenti.
Quest’osservazione offre l’occasione per allargare l’analisi sulle valenze sociologiche dell’iniziativa: le modalità dalla spettacolarizzazione tendono a omologare e a fornire una chiave di lettura in cui confluisce una vasta gamma di realtà fra loro non congruenti.
Le diversità e i contrasti costituiscono la fenomenologia di questo
assetto, che si manifesta sul piano sociale, e che deve essere diagnosticato nel suo divenire.
Analizzato secondo i suoi parametri, la spettacolarizzazione è
l’affermazione d’ogni attività umana nel momento in cui si manifesta, si impone quindi come una valenza dalla cui positività non
è possibile prescindere, al di là di qualunque analisi etica.
Il messaggio che ci perviene dallo spettacolo come pratica diffu-
EVENTI
Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea
Sergio Poggi, I pescatori, acrilico su tavola,
87x100, 2008
sa è l’affermazione della positività di
tutto quanto riesce a proporsi come
immagine.
Confrontando il senso di quest’analisi con la genesi dell’evento di cui parliamo, è possibile interpretare l’iniziativa GenovARTE, vista nell’orizzonte culturale delle altre manifestazioni di Satura, come una risposta dialetticamente organizzata allo svilupparsi del fenomeno.
Nel caso specifico, infatti, ammesso
che la qualità si manifesti attraverso i
modi della fenomenologia, ci troviamo di fronte ad una congruente forma di spettacolarizzazione e d’assimilazione delle strategie della comunicazione di massa da parte del mondo culturale, con un salutare effetto
maieutico su risorse intellettuali e
creative normalmente condannate all’autoreferenza dalle formule speculative del mercato.
L’attuale contingenza critica costringe
a riflettere su di una realtà di cui bisogna riuscire a prendere atto con tutta la chiarezza possibile.
Nella congerie degli accadimenti recenti è necessario riconoscere quelli si-
91
Francesca Cambi, Red I, fotografia N&B,
70x50, 2007
gnificanti, connotati dalla consapevolezza della fase di revisione critica che stiamo attraversano e capaci di individuarne le cause, gli aspetti e le prospettive.
L’evento della Biennale GenovARTE
contribuisce in modo sostanziale a
quest’obiettivo, non interviene dall’alto con la promozione di tematiche
o di modalità espressive particolari, ma
affronta correttamente il problema rilevando induttivamente dalla base un
insostituibile repertorio analitico, adatto a fornire gli elementi necessari per
la costituzione di un laboratorio permanente di monitoraggio sullo stato
dell’arte, e destinato ad esercitare
una preziosa funzione di orientamento nei confronti del pubblico.
Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea
92
EVENTI
GIURIA DELLA 3A BIENNALE D’ARTE CONTEMPORANEA GENOVARTE 2009
Erika Bailo critico d’arte
Barbara Cella
critico d’arte
Chiara Guarnieri
critico d’arte
Gianluigi Gentile
critico d’arte
Mario Pepe
critico d’arte
Milena Mallamaci
direttore artistico
Mario Napoli
presidente associazione Satura
PREMI GENOVARTE 2009
Sergio Poggi
1° Premio Pittura per l’essenzialità della costruzione formale
Soungho Min
1° Premio Scultura per l’originalità del soggetto
Francesca Cambi
1° Premio Fotografia per la complessa armonia dei movimenti
Serena Scapagnini 1° Premio Grafica per la fantastica ricchezza dell’immagine
Sergio Lombardino Premio della Giuria per la notevole resa pittorica
Gabriele Buratti
Premio della Critica per l’espressiva concettualità
Luigi Carpineti
Premio Creatività per un felice riazzeramento del segno
Maura Ghiselli
Premio Giovani per il suo senso poetico
Rodolfo Vitone
Premio al Maestro per la sua ricerca appassionata
Walter Accigliaro
Franco Bastianelli di Laurana
Angelo Pio Biso
Paolo Brasa
Virginia Cafiero
Gianfranco Carrozzini
Milly Coda
Luigi Copello
Riccardo Dametti
Josine Dupont
Monica Frisone
Alfredo Galleri
Anna Lauria
Grazia Lavia
Milena Lionetti
Sergio Massone
Vincenzo Mattaliano
Riri Negri
Erik Ferrari Ortelli
Raffaele Pareto Spinola
Kay Pasero
Lucia Pasini
Roberto Perotti
Armelle Pindon
Marco Ponte
Alessandro Tambresoni
Giuseppe Tipaldo
Maria Vittoria Vallaro
Patrizio Velluci
medaglia Associazione Culturale Satura
coppa Presidente Municipio 1 Centro Est
targa Carige, Cassa Risparmio Genova
medaglia Associazione Culturale Satura
coppa Presidente Consiglio Regionale
coppa Presidente Ente Fiera Genova
coppa Presidente Regione Liguria
coppa Assessorato alla Cultura Municipio 1 Centro Est
medaglia Associazione Culturale Satura
targa Assessorato alla Cultura Provincia di Genova
premio Autorità Portuale di Genova
coppa Assessorato alla Cultura Municipio 1 Centro Est
medaglia Associazione Culturale Satura
coppa Associazione Culturale Satura
medaglia Associazione Culturale Satura
premio Autorità Portuale di Genova
medaglia Associazione Culturale Satura
targa Carige, Cassa Risparmio Genova
premio Autorità Portuale di Genova
medaglia Associazione Culturale Satura
targa Assessorato alla Cultura Regione Liguria
coppa Camera di Commercio Genova
targa Assessorato alla Cultura Comune di Genova
coppa Presidente Provincia di Genova
targa Carige, Cassa Risparmio Genova
coppa Sindaco di Genova
coppa Associazione Culturale Satura
targa Presidente Consiglio Regionale
premio Autorità Portuale di Genova
EVENTI
Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea
accigliaro walter, aiazzi antonio, aimetta simone, alasia silvana,
arscone tommaso, ascoli roberto, baldo laura, bartolini luigi,
barzelogna deborah, bastianelli di laurana franco, belmasgrégoire claudine, benaia ennio, benedetto eliana, benedetto
maura, bergonzi riccardo, biancatelli fulvio, bisio raffaella, biso
angelo pio, boffelli michele, boldrin erminia, brasa paolo, bresin
antonella, bruzzone paolo, buratti gabriele, cafiero virginia,
calzolari sara, cambi francesca, caminati aurelio, cantamessa
margherita, carpineti
luigi, carrozzini
gianfranco, cavalieri lina,
cavallaro emmanuel,
chiappori rossana,
chiarenza donatella,
ciurlo gian paolo, coda
milly, copello luigi,
coraci nicola, crepaldi
giuliano, cyran elisabeth,
Soungho Min, Casa di sogno, bronzo,
50x30x20, 2008
dabusti carla, dagnino
marina, dal farra cesare,
dametti riccardo, de
chirico valentina, de
longhi stefano, de marco
mariangela, de sanctis
oliveri mirella, demicheli
maria pia, di nitto maria,
di sanza angela, dubbini
federica, dudu, dupont
josine, farnè sergio,
feligini saverio, ferrari
ermano, ferrari ortelli
erik, fiorito germano,
fiorito marina,
francescon enrico,
frisone monica, galasso
wilma, galleri alfredo,
galleri francesca, galletti
omar, gatti corrado,
gazzana sandra, ghersi
paolo silvano,
ghilarducci laura,
ghiselli maura,
giovagnoli luisa,
giovinazzo fabio, godoy
marlène, gruppo 6 it-ti,
Serena Scapagnini, Fugacità, carboncino, olio,
inchiostro su carta intelata, 113x83, 2008
hinz karl-heinz, kaly
I PARTECIPANTI:
93
EVENTI
Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea
94
Sergio Lombardino, Fiat 500, tecnica mista,
190x190, 2008
Gabriele Buratti, Acqua secca, olio misto su tavola, 100x100, 2009
lidia, kasyanov boris, kitatani
toshiko, lammardo simone, lauria
anna, lavia grazia, leopoldo luciano,
lepre rodolfo, levi giorgio, liaci
eugenia, lionetti milena, lo ré
marina, loew sylvia, lombardi isa,
lombardino sergio, lorenzelli elisa,
lotito donato, lupo tina, macchia
michele, magnoni walter, mariani
Luigi Carpineti, Ornamenti e arnesi dell'Africa del
sud-est, acrilico su tela, 100x120, 2009
Maura Ghiselli, Ballerina, fotografia digitale
70x50, 2009
EVENTI
Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea
sofia, pappalardo
paola, pardini gian
guglielmo, pareto
spinola raffaele,
pasero kay, pasini
lucia, pastura paola,
perotti roberto,
petrolini arcella
giuliana, piana nicolò,
piccardo giuliana,
pindon armelle, poggi
sergio, polastri
vincenzo, polvanesi
luigia, ponte marco,
rancan marta,
regnicoli giorgio,
resinelli luana, rossi
enrico paolo,
sanseverino
pasquale, sapenza
orazio, saracino
sergio, scapagnini
serena, silvestrini
giuliana, sireci
claudio, soldatini
gabriella, spriano
karla, taddei andrea,
tambresoni
Rodolfo Vitone, Modella, tecnica mista, 100x70, 2006
alessandro, tarsitano
savina, tipaldo
giuseppe, tomasetti
manuela, marsigliani giulia, martin
claudio, totolo lorena, trabucco
mauro, massone sergio, mattaliano
fabrizio, traina pietro andrea,
vincenzo, melita rita, menozzi
traverso federica, tunolo denise,
gemignani graziella, messina
vallaro maria vittoria,
antonino, micci massimo, min soung
vassallo petronilla, vecchione
ho, mordini roberta, moretti dina,
roberto, vellucci patrizio, vitone
moscato manuela, negri riri, niero
rodolfo, zamponi antonietta,
simona, nucera tiziana, paoletti
zucchelli rosanna.
95
Mario Napoli “La moneta infame” di Giancarlo Ragni
96
EVENTI
IL LIBRO
“La moneta infame.
Intrighi e delitti nella Genova del ‘600”
di Giancarlo Ragni
Fratelli Frilli Editori, Genova
di Mario Napoli
Grande partecipazione di critica e di
pubblico nelle sale di Palazzo Stella per
la presentazione dell’ultimo di libro
di Giancarlo Ragni, “La
moneta infame.
Intrighi e delitti
nella Genova del
‘600”, Fratelli Frilli Editori, Genova.
Con l’autore sono
intervenuti: Giuliano Montaldo regista
cinematografico, Michele Serrano animatore culturale,
Mauro Pirovano attore, Fabio Biale violino e voce del gruppo
EVENTI
La scheda:
Martedì 20 marzo 1685, notte di plenilunio: una finestra spalancata, un corpo
che vola giù, nella strada deserta. Un cadavere che stringe tra le mani una moneta. Disgrazia? Suicidio? Omicidio? Ed ecco i fratelli Ponce de León, di ritorno a Genova, nuovamente coinvolti nell’indagine su una morte dagli aspetti misteriosi. Sono bastati, infatti, qualche moina e i seducenti occhioni della bella
Francisca Lomellini a trascinarli in un altro intricato affaire: è Diego, particolarmente sensibile al fascino della giovane nobildonna, ad accettare senza esitazione, convinto di arrivare con facilità alla soluzione. E invece, proprio partendo dalla moneta stretta tra le dita del cadavere, si dipana un’indagine molto più complessa del previsto: nuovi morti ammazzati, traffici illeciti, veleni,
frati stravaganti, alchimisti, mercanti di schiavi, puttane e altri personaggi si
aggiungono a complicare la vita dei due fratelli. Su e giù per le crêuze di Genova, qualche puntata al di là dell’Appennino, ai confini della Repubblica, un
viaggio a Venezia e, finalmente, viene individuato il misterioso filo che collega gli strani indizi, raccolti anche grazie a Ferdinando che, svogliatamente al
seguito del volitivo Diego, risulta alla fine più arguto del previsto. Così, tra colpi di scena e imprevedibili capovolgimenti di situazioni (nessuno è quello che
appare!), i Ponce de León arrivano ad assicurare alla giustizia la persona responsabile degli efferati delitti, con un epilogo inaspettato anche per loro.
Gian Carlo Ragni è sceneggiatore, autore radiotelevisivo e teatrale. Tra le sue
opere si ricordano Processo a un marinaio (selezione Prix Italia 1992), Un papa,
L’invisibile, Un marinaio (Rai Radiotre) e Sinfonia Barocca (trenta puntate per
Rai Radiodue). Per il teatro: Corsari, Presenze, Illusioni, Un bel sorriso…prego!,
Il Metodo Tricheur, Tabarchini, Artemisia, La Guerra del bersagliere Giromino…,
Mauro Cuoco (di cognome!). Con Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Il Cadavere di piazza Banchi (2008), il racconto Al di là del muro (Raccolta Incantevoli
Stronze, 2008) e una nuova versione di Al di là del muro (Raccolta Donne, 2009).
Mario Napoli “La moneta infame” di Giancarlo Ragni
musicale ‘I Liguriani’. Una bellissima serata ispirata dagli interventi di Giuliano Montaldo e da uno
strepitoso Mauro Pirovano che
leggendo pezzi del libro ha saputo trascinare il pubblico all’interno della storia. Giancarlo Ragni
con quest’ultimo libro edito da
Fratelli Frilli, si pone al centro di
attenzione del panorama giallistico ligure e non solo.
97
Maura Ghiselli Luigi Carpineti
98
VETRINA
LUIGI CARPINETI
di Maura Ghiselli
“I l ge n t i l’uo mo è c o l u i c h e s i i nn amo ra c o me u n p az z o ,
mai c o me u no s t o l t o ”
F ranç o i s d e La R o c h e f o u c au ld
Con queste parole lo scrittore e filosofo francese Francois de La Rochefoucauld stabilisce senza mezzi termini la netta differenza tra la folle genialità e la semplice stoltezza e, sempre con queste parole, introduco la
presentazione alla raccolta di lavori del pittore/filosofo Gianluigi Carpiteti.
Tutto ciò a dimostrare un’ineluttabile premessa di fondo: quando il gesto pittorico si traduce in immagini apparentemente solo emozionali, impulsive e prive di studi compositivi ma che comunque riescono a trasmetterci perfettamente il significato che impregna forme e colori allora
vuol dire che a priori c’è ben altro che un semplice ed istintivo tratto del
pennello sulla tela.
Casolari in campagna, tempera su tela, 60x60, 2009
VETRINA
99
Maura Ghiselli Luigi Carpineti
Ornamenti ed armi dell'Africa del sud-ovest, tempera su tela, cm 100x120, 2009
La produzione di Carpineti mi porta alla
mente uno studio del sociologo e storico
dell’arte Georg Simmel sull’opera e la vita
di Michelangelo: in questo caso Simmel
analizza la perenne ed apparentemente
impalpabile dualità della scultura michelangiolesca, costantemente in esatto equilibrio ma anche pericoloso bilico tra
l’esigenza di trasmettere alla sue forme
una carnalità terrena e contemporaneamente una spiritualità celestiale. Il risultato di questo costante conflitto tra umano e divino, o, come nel caso di Carpineti, tra pensiero e forma, che ne ha caratterizzato l’opera così come l’intera esistenza, è l’ingrediente nascosto e allo stesso
tempo fondamentale per comprendere
come dietro alla produzione creativa si
cela comunque e sempre un uomo, con
una vita, con dei tormenti, con dei conflitti e l’artista che rende giustizia al termine
è colui che è in grado di tradurre e di dare vita propria a tutto questo.
Allo stesso modo è percepibile un dualismo analogo nelle immagini di Carpineti:
ciò che ci fa capire chiaramente, anche
solo dopo un primo sguardo, che dietro a
queste composizioni fatte di colori e forme non riconducibili nell’immediato ad
un dato reale e tangibile c’è una coerente
consapevolezza intellettuale ed una finissima sensibilità estetica è proprio il dualismo tra il bisogno di esprimere attraverso le immagini un sentimento interiore
colto ed importante e la lucida capacità di
farlo attraverso l’utilizzo di forme semplici ed incisive. Cogliere nel segno significa proprio arrivare al punto in cui il significato e la forma, anche quando si manifesta come astratta e puramente emozionale, sono unicamente due parole per
uno stesso soggetto.
Raimondo Sirotti Josine Dupont
100
VETRINA
JOSINE DUPONT
di Raimondo Sirotti
Già nel 2006 ebbi modo di scrivere come per Josine Dupont vi fosse,
pur di fronte ad una chiara pittura di paesaggio, “il rifiuto della definizione descritta” portando il suo lavoro verso una visione personale e quindi “diversa”, fatta di una serie di tocchi lievi e veloci, una
pittura, quindi, dove il nitido si sfocava, liberandosi poeticamente
dai contorni rigidi e definiti. Tutto questo a vantaggio del crearsi di
atmosfere non solo ambientali, ma maturate nel mondo dell’emozione. Nel suo più recente lavoro si sente, viva, un’ulteriore presa di
distanza dal “descritto”, quasi vi fosse in Josine una sorta di insoddisfazione nei confronti di una mimesi che non soddisfa più il suo
La modella, olio su tela, 50x50, 2009
VETRINA
101
Raimondo Sirotti Josine Dupont
Oceano mare, acrilico su tela, 100x120, 2009
Omaggio a El Greco, acrilico su tela, 120x100, 2009
desiderio di uscire allo scoperto con
macchie e gesti. E qui, ovviamente,
avviene il mutarsi inevitabile di una
tecnica pittorica che si avvicina, ora, ad
una pratica gestuale, fatta però di macchie mai abbandonate a se stesse, ma
sempre riconducibili all’identificazione dell’immagine. Un’immagine che
continua ad esplorare il mondo della
figura come ricerca, con una carica di
umanità sempre presente nel lavoro di
Josine Dupont.
Ora, poi, questa esplorazione ha iniziato una nuova avventura, portata a scavare con grande curiosità in alcuni
dipinti del passato utilizzando la stessa procedura pittorica attuata sulla
figura dal vero. Ne risultano soluzioni
di grande interesse, che comunicano
con un linguaggio vivo ed attuale e per-
mettono, anzi inducono, a riappropriarsi dell’immagine originaria con
una nuova forma di lettura.
Maura Ghiselli Marco Ponte
102
VETRINA
MARCO PONTE
di Maura Ghiselli
“Legge, moralità, estetica,
sono state create perché l’uomo rispettasse le cose fragili.
Le cose fragili dovrebbero essere rotte.”
Louis Aragon
Per comprendere l’opera di Ponte è necessario rispettare una prima,
essenziale analisi formale del suo lavoro; all’interno delle immagini
che ci propone coesistono tre elementi che sono, sostanzialmente, le
colonne portanti della sua ricerca pittorica: una grafica pulita e quasi architettonica, una tematica introspettiva e freudiana e colti omaggi al panorama artistico del 900.
La cosa che sorprende davanti a tutto questo è come un bisogno così
forte di raccontarsi, di auto analizzarsi e di mettere in scena temi di grande impatto emotivo si concretizzi in un gesto che non tradisce quasi nessuna emozione, in un segno impeccabile, assolutamente controllato. E
forse, questo è proprio l’ingrediente che al contempo ci destabilizza e
ci aiuta a capire in maniera probabilmente inconscia il denominatore comune del suo lavoro: nulla può o deve essere spiegato a priori, il pre-
The true device to reach the eternal rest, acrilico su tela, 100x150, 2009
VETRINA
103
Maura Ghiselli Marco Ponte
Turnover, tecnica mista su tela, 100x100, 2009
concetto, o meglio, come disse Sir Joshua
Reynolds, “…la teoria che si sforza di indirizzare o controllare le Arti è necessariamente fallace o illusoria…per quanto
pos s a
s embrare
s trano
dirlo,
l’immaginazione è il luogo dove abita la
verità.”, proprio perché è sempre e solo
dall’immaginazione e da ciò che alberga
nel mondo interiore di un individuo che
ha origine ogni azione che questo compie.
L’utilizzo di temi appartenenti a contesti religiosi o comunque insiti di una forte valenza drammatica, è affrontato in
maniera sobria ma assolutamente anticonvenzionale: i soggetti trattati sembrano essere quasi antagonisti al loro signi-
ficato tradizionale, perché si discostano
volutamente e nettamente dal loro messaggio originale.
In questo modo, citando un passo del saggio scritto dallo storico dell’arte Anthony
Julius, in casi come quello di Ponte ci imbattiamo in “…un’ arte disincantata che
agisce per sottrazione..”, i corpi dei soggetti rappresentati, da San Sebastiano
trafitto dalle frecce al Cristo deposto
dopo la morte sulla croce, sono corpi martoriati che non lasciano trapelare il minimo accenno di sofferenza, in una sorta di
“ iconografia cristiana sprovvista di fede”.
Così l’arte può ritrarre convenzioni per poi
infrangerle, con un colpo di pennello.
Barbara Cella Maria Vittoria Vallaro
104
VETRINA
MARIA VITTORIA VALLARO
di Barbara Cella
La pittura di Maria Vittoria Vallaro è caratterizzata dalla volontà di mettere in scena una rappresentazione fantastica dove la libertà di espressione viene prima di tutto.
La sua forza creativa consiste nel capire ciò che la tela e il colore le
comunicano. C’è un dialogo, un flusso continuo tra lei e il quadro dove
è quest’ultimo che detta le regole e non viceversa.
Maria Vittoria non parte mai da un soggetto precostituito, da un’idea
già totalmente definita o da un disegno preciso di base ma si spoglia
delle griglie conoscitive per seguire ciò che dal colore e dal gesto può
venire fuori: è come partire per un viaggio senza conoscerne la meta
Colpo di fulmine a Genova, tecnica mista, 50x50, 2009
VETRINA
105
Barbara Cella Maria Vittoria Vallaro
Giro, girotondo, tecnica mista, 150x100, 2009
o senza sapere esattamente quale strada prendere per arrivare.
Ed è proprio il suo viaggio interiore che la
porta a liberarsi da ogni sovrastruttura per
approdare al puro gesto pittorico che trasmette e riceve, immettendo da prima campiture di colore, a volte liquido a colare,
a volte più denso e materico e vedendo
dove questo la può portare. E dove mette il colore lo toglie anche e togliendolo scopre forme e soggetti che la prendono per
mano e la portano a formare la “Storia”.
Perché Maria Vittoria racconta, alla fine di
questo suo percorso, storie fantastiche che
prendono vita durante l’esecuzione e alla
fine ti ritrovi con maghi e principi, maga-
Senza titolo, tecnica mista, 50x50, 2009
Passeggiata, tecnica mista, 50x50, 2009
ri nati da uno schizzo blu o uno sbuffo
giallo, girotondi di vele e farfalle, donne
sognanti che fanno capolino da un sipario di fiori, pesci e gatti, soli e lune che si
rincorrono in un movimento a spirale che
li riconduce verso se stessi nel centro dell’essenza della vita.
Ma tutta questa apparente casualità
non potrebbe esistere senza una grande
competenza sia pittorica che figurativa,
acquisita nel corso degli anni grazie alla
frequentazione di maestri come Nutarelli, Bagnasco e Antola che le hanno trasmesso la capacità di esprimersi servendosi della tecnica per liberarsi completamente nell’arte.
Erica Bailo e Mario Pepe Rubrica Genova
106
R U B R I C A G E N O VA
GENOVA
“PENSARE PITTURA”
Museo d'Arte
Contemporanea Villa Croce
16 aprile - 11 ottobre 2009
Il Museo di Arte Contemporanea
di Genova ospita la rassegna
“Pensare Pittura. Una linea
internazionale di ricerca negli anni
‘70” sul movimento Nuova Pittura
o Pittura Analitica. Una ricerca che
si sviluppa intorno ai primi anni
Settanta a livello internazionale, in
Italia come in Europa (Francia,
Belgio, Olanda, Germania e Gran
Bretagna) e negli Stati Uniti. Legati,
in parte, alla corrente Concettuale
degli anni Sessanta, gli artisti di
Nuova Pittura meditano sugli
elementi fondamentali del
processo pittorico come, le
superfici, i colori, il segno. I
materiali si presentano nella loro
Josef Albers, Homage to the Square.
fisicità, quasi a ricercarne
l’essenza, mentre acquista valore
anche il “gesto” pittorico. La
mostra riunisce i più importanti
nomi italiani e stranieri, con una
sezione dedicata anche agli artisti
che hanno ispirato il movimento.
Il percorso espositivo inizia con
un’ opera di Pino Pinelli del 1976,
una tela di flanella con una lunga
striscia blu dipinta, che ci
introduce nella prima sala dove
sono esposte le opere dei
precursori del movimento.
Troviamo artisti come Josef
Albers, il celebre designer e
pittore tedesco la cui ricerca
artistica si fonda sui problemi
legati alla percezione del colore,
con “Homage to the square”
(esemplare della serie di oltre
1000 versioni realizzate dall’
artista) composto da quattro
quadrati di puro colore uno
dentro l’altro. Un’ acquerello di Ad
Reinhardt degli anni ‘40 è esposto
nella stessa sala insieme ad
“Attese” di Lucio Fontana del
1961, mentre nella sala successiva
troviamo“Spazio Totale” e
“Spazio-Vibrazione” di Mario
Nigro del 1961, un’opera di
Dorazio del 1964 e “Prospettiva
per Paolo Uccello” la tela
sagomata di Rodolfo Aricò del
1970. La sezione dei protagonisti
accoglie le opere di Enzo Cacciola
con i suoi cementi su tela, due
opere accostate di Carlo Battaglia,
un plexiglass di Marco Gastini del
1969, una tela di Griffa del 1976.
Tra i gli artisti italiani espongono
anche Vincenzo Cecchini, Claudio
Olivieri con due grandi tele,
Gottardo Ortelli (con l’opera
Territorio, 1972), Paolo Cotani,
Riccardo Guarneri, Carmengloria
Morales (dittico composto da una
tela bianca e una tela dipinta,
1971), Claudio Verna con un olio
su tela e le opere monocrome di
Gianfranco Zappettini (dalla
Fondazione Zappettini di
Chiavari). Al secondo piano del
museo la sezione Orizzonti
internazionali riunisce le opere dei
più importanti maestri europei e
americani. I gruppi francesi
Support-Surface (Louis Cane,
Claude Viallat, Vivien Isnard, Marc
Devade e Noel Dolla) e BMPT con
opere di Buren, Mosset e Toroni, la
Nuova Astrazione inglese
rappresentata dalle opere di
Robyn Denny ( esposte nei primi
anni Sessanta nelle due mostre
londinesi intitolate “Situation” che
danno origine al movimento), Alan
Charlton e Alan Green. La
Germania partecipa con opere di
Wilfred Gaul e Raimund Girke,
mentre gli Stati Uniti sono
rappresentati da Kenneth Nolan,
Robert Mangold con forme
geometriche in legno dipinte a
spruzzo, Agnes Martin con lavori
che mettono in risalto la trama
della tela attraverso una sottile
stesura pittorica, Marcia Hafif,
Lucio Pozzi con un dittico del
1974, Max Cole e Robert Ryman.
La rassegna a cura di Franco
Sborgi e Sandra Solimano è aperta
fino all’undici ottobre 2009.
“FIGURIAMOCI”
Otto artiste alla Galleria
d’Arte moderna e
contemporanea Rotta
Farinelli
7 maggio – fine giugno
Sette pittrici e una scultrice
invitate a confrontarsi sul tema
figura con l’unica costrizione
delle dimensioni del quadro,
Cristina Di Perna: “olio su tela”, 2009
rigorosamente un metro e
mezzo per un metro e mezzo.
Sono quasi tutte allieve della
pittrice Renata Soro e si
confrontano quindi sulle basi di
un apprendistato comune
manifestando ognuna la propria
crescita stilistica ed
interpretativa.
Così Cristina Di Perna prende in
considerazione solo il volto
ingigantendolo con un taglio
fotografico-televisivo. Ma lo
sguardo fisso e la colorazione a
chiazze dei soggetti e degli
sfondi rendono il risultato ben
poco rassicurante. Alessandra
Martignone invece predilige la
figura intera, collocata in una
stanza, seduta e disposta a farsi
esaminare e sviscerare. Il ritratto
che ne consegue è scavato e
delineato da tratti essenziali che
ricordano l’operare di
Giacometti. Le bianche figure
cartacee di Isabelle Consigliere
sono al centro di un suggestivo
spazio scenografico, dove le luci
e gli sfondi neri semplificano i
gesti, colti alle soglie di una
potenziale rappresentazione
teatrale.
Ornella Pittaluga semplifica le
sue figure di bambini mediante
tecniche di fusione fotografia-
RUBRICA MILANO
Irma Blank, Horizont, 2009
deve alzare. L'orizzonte è la
linea del desidero, della
lontananza, dell'ignoto,
dell'altrove. Presenza e assenza.
Terra e cielo. Unisce e separa. È
confine e al contempo apertura"
(Irma Blank).
“ENZO CUCCHI
ATELIER BOVISA”
Triennale Bovisa
MILANO
dialettico aperto. Dodici opere di
grandi dimensioni e documenti
video-fotografici contribuiscono
a ricreare l’atmosfera dell’atelier
dell’artista. In questi lavori,
ricchi di simboli di matrice
classica e onirica, il colore si
accentua violentemente o viene
appena accennato in un giocorimando con altri materiali, dal
telaio di ferro alla gomma
pigmentata. La forte
propensione alla
sperimentazione artistica di
Cucchi, ha portato lo stesso
Achille Bonito Oliva a definirlo
come “una felice sintesi tra la
scorrevolezza di segno di Licini e
l’addensamento figurativo di
Scipione con inciampi in altre
materie”.
TACITA DEAN
STILL LIFE
Palazzo Dugnani
Sta per concludersi la prima
grande mostra personale
dedicata all’artista inglese di
adozione berlinese Tacita Dean.
La Fondazione Trussardi., da
diversi anni impegnata a Milano
nell’allestimento di mostre di
artisti di rilievo nel panorama
contemporaneo in diverse
località storiche delle città, ha
scelto come sede espositiva per
la mostra di Tacita Dean Palazzo
IRMA BLANK
Horizont
Spaziotemporaneo, Milano.
L’orizzonte è sempre stato uno
dei temi più ambiti e sondati in
molte espressioni artisticoletterarie. Ma quale significato
intrinseco e originario possiede?
Irma Blank, presso la galleria
Spaziotemporaneo, ricrea un
orizzonte blu attraverso la
composizione di più dittici, posti
uno accanto all’altro per tutta la
lunghezza delle pareti della
galleria. Il nastro blu che si viene
materialmente a creare si trova
poco più in là dell’altezza media
dello sguardo delle persone. Un
orizzonte, quindi, vicino, non
irraggiungibile, forse superabile.
Una sorta di stimolo a mettersi
in gioco, a superare e a rinnovare
sempre le proprie aspettative, i
propri orizzonti. "Lo sguardo si
Enzo Cucchi, Courtesy Andrea Malizia
L’iniziativa “Atelier Bovisa”,
promossa dalla Triennale di
Milano, inaugura con la mostra
di Enzo Cucchi, artista di rilievo
nel panorama dell’arte italiana
ed esponente della
Transavanguardia, movimento
teorizzato da Achille Bonito
Oliva. L’obiettivo del progetto
mira a ripensare lo spazio come
un laboratorio vivo, in cui il
visitatore ha la possibilità di
attingere direttamente al lavoro
dell’artista in un confronto
Tacita Dean, Day for Night, 2009.
Foto di scena. Commissionato e prodotto da Fondazione Nicola Trussardi,
Milano. Courtesy l'artista e
Fondazione Nicola Trussardi, Milano.
Serena Vanzaghi Rubrica Milano
disegno su cui coagula stesure di
colore che escono dal tracciato
dei corpi come ad espandere
l’intensa emozione che li lega nel
gioco. L’eterno tema del nudo
femminile è rimesso in gioco da
Marina Bocchieri che,
schematizzando le masse
corporee, togliendo i volti,
smaterializzando il colore riesce
ad ottenere figure stilizzate che
si fondono con l’ambiente
circostante.
Camilla Traldi sembra muoversi
in uno spazio costruito per lei
sola con la stessa consistenza e i
colori dei suoi vestiti dove danza
a suo agio ripetendo i gesti della
quotidianità. I simboli della
società dello spettacolo e
dell’apparenza sono presi di
mira da Anna Maria Romoli con
tecniche pittoriche iperrealiste e
tagli fotografici che mettono
sullo stesso piano sia l’idolo da
imitare, la diva del cinema, sia
l’indumento griffato, come una
camicia da notte. Carlotta
Lecconi infine ritrae personaggi
famosi nel campo dell’arte con
forte segno espressionista ed
una stesura pittorica molto
fluida tesa ad una
caratterizzazione psicologica dei
soggetti.
107
Serena Vanzaghi Rubrica Milano
108
D A L L’ I TA L I A
Dugnani, edificio secentesco
ospitante gli affreschi del
Tiepolo. Un connubio tra
passato e presente che, anche in
questa occasione, non si è
smentito nella sua portata.
L’esposizione presenta una
selezione di quattordici opere
tra cui due film in anteprima
mondiale, commissionati e
prodotti dalla stessa
Fondazione. Nei due nuovi film,
“Still Life” e “Day for Night”,
l’artista rilegge lo spazio e gli
arredi del piccolo studio di
Giorgio Morandi a Bologna
attraverso singolari analisi:
filmando le linee disegnate sui
fogli di lavoro su cui Morandi
imprimeva a matita la posizione
degli oggetti che dipingeva e
analizzando con una luce
inusuale le condizioni originali
dello studio stesso. Attraverso
un occhio maniacale,
indagatore, l’artista riesce a
rendere vivi personaggi,
paesaggi oggetti e persino
nature morte.
come questa tecnica fosse
presente in modo costante nella
vita artistica di Fontana e come
si riversasse in diversi ambiti:
dalle progettazioni di
allestimenti, ai disegni dei nudi
o dei teatrini, sino a quelli per
le ceramiche e per le sculture.
Un vasto assortimento cartaceo
che non necessariamente
determinava o vincolava la fase
di realizzazione dell’opera
stessa ma che era di
fondamentale importanza per
l’autore, il quale aveva esigenza
di segnare le proprie idee su
fogli, quasi sempre dello stesso
formato, quasi sempre in carta
bianca, sui quali interveniva a
matita o a penna. Tra gli aspetti
che più colpiscono di questa
ricerca attraverso i disegni, vi è
la loro costante differenza dalle
opere poi realizzate e il
continuo cambiamento di
registro espressivo, in base a
dove fosse orientata, in quel
periodo, la sua variegata
produzione artistica.
LUCIO FONTANA
LE SCRITTURE DEL
DISEGNO
Fondazione Arnaldo
Pomodoro
FUTURISMO 1909-2009
Palazzo Reale
La Fondazione Pomodoro, in
collaborazione con il Centro
Studi e Archivio della
Comunicazione dell’Università
degli Studi di Parma, espone, in
via del tutto inedita, 127 delle
313 opere su carta di Lucio
Fontana. Il disegno, nella
proficua e varia produzione del
Umberto Boccioni, Elasticità, 1912,
Olio su tela, 100x100 cm. Milano,
Civico Museo d’Arte Contemporanea
Lucio Fontana, “Studi per figure e
calesse”, matita e inchiostro su carta
avorio a grana fine.
maestro italo-argentino, è
materia ancora poco studiata,
ma la mostra in corso conferma
Milano celebra il centenario del
Futurismo, primo grande
movimento artistico italiano,
attraverso una serie di eventi
promossi in città e raccogliendo
al piano terreno di Palazzo Reale
una grande mostra che espone
più di cinquecento opere tra
dipinti, sculture, disegni e
progetti d’architettura. Il
capoluogo lombardo, centro
gravitazionale del primo periodo
futurista, omaggia, dunque, a
distanza di cento anni, questa
avanguardia rivoltosa e
visionaria, proponendo, nel
percorso espositivo della mostra,
un’indagine il più possibile
completa e contestualizzata,
partendo dalle origini tardo
ottocentesche da cui il
movimento nacque, passando
per la sua completa fioritura a
partire dal 1909, sino agli anni
Trenta. Un excursus che, nella
sua estensione polifonica,
esprime la volontà di
riconoscere, in tutti i suoi
aspetti, l’importanza di questo
importante movimento,
un’importanza artistica
nazionale e internazionale.
PIERO GILARDI
Galleria Ca’ di Fra’
Piero Gilardi è considerato uno
degli esponenti dell’Arte Povera
italiana. Egli ha da sempre
indagato attraverso i suoi lavori
gli elementi della realtà naturale o
industriale come terra, acqua,
fuoco ed energia. In questa
personale viene omaggiata la serie
di lavori, appartenente agli Anni
Ottanta, intitolata “I Tappeti
Natura”. La riproposizione
artificiale di ambienti o materiali
naturali crea un corto circuito che
apre una serie di considerazioni
sulla verosimiglianza che la
società contemporanea persegue
sotto molti punti di vista. Un
avvicinamento da parte dell’arte
alla natura, al quotidiano, agli
elementi che sono beni di tutti ma
che, allo stesso tempo, è anche
critica velata nei confronti dei
rapporti uomo-natura e del veroartificiale.
Piero Gilardi, “Betulle”, 1986, 50x50.
Courtesy Collezione Composti-Ca’ di Fra’
RUBRICA MILANO
“Fratelli d’Italia” apre la mostra,
oltre che a donarne lo stesso
titolo. In questa installazione
una lunga striscia ripropone il
testo dell’inno nazionale
parzialmente cancellato. La
volontà dell’artista non è da
Emilio Isgrò, Schiavi d’Italia, dal ciclo
“Fratelli d’Italia”, 2008, 2x30 m.
ricercare, peròrappresenta la più
estesa e completa retrospettiva
dedicata all’artista, poeta visivo
e giornalista Emilio Isgrò. La
mostra, curata da Marco
Meneguzzo, presenta una serie
di opere dagli esordi degli anni
Anni Sessanta sino ad oggi e tre
grandi installazioni tra cui
“Fratelli d’Italia” (2008), opera
inedita che, nella dissacrazione
fine a se stessa, quanto nella
volontà di esprimere un’idea,
creando nuove possibilità di
combinazione e significato tra le
stesse parole dell’inno
nazionale. L’atto della
cancellatura in Isgrò, dunque,
risulta essere “minacce di
sparizione e, al contempo,
un’epifania”, come lo stesso
curatore ha sottolineato.
ambiti, della mostra collettiva
presso la galleria Galica a Milano.
Le opere di Ignasi Aballì, Marco Di
Giovanni, Aldo Grazzi, Philip
Hausmeier, Jeffrey TY Lee,
Sandrine Nicoletta, Paolo Parisi,
Francisco Queiros, Andrei Roiter,
Magnus Thierfelder si
confrontano con una materiale
semplice ma assai ricco di
possibilità espressive: la carta.
Attraverso esempi differenti, gli
artisti indagano questo materiale,
cercando di portare alla luce
processi linguistici, esercizi di
stile (come l’antica pratica del
d’apres), ironiche riformulazioni
delle percezioni e taglienti critiche
sociali.
fotografico, in un percorso di
scoperta che è allo stesso tempo
un’ulteriore conferma
dell’importanza che il Giappone
ricopre nel campo delle Arti Visive
e della Fotografia.
SGUARDI SUL GIAPPONE
Forma
Centro Internazionale di
Fotografia
Marco Zambrelli, pastello, Courtesy
Galleria Magenta, Milano.
Centotrenta fotografie di tredici
autori di primo piano nel
panorama fotografico
contemporaneo vanno a delineare
un ritratto vivo e artistico di un
IT’S ONLY A PAPER MOON
Galleria Galica
“It’s only a paper moon” è il titolo,
preso a prestito da una famosa
canzone del 1933 e citato in più
“It’s only a paper moon”, Courtesy
Galleria Galica.
Courtesy Daido Moriyama
Paese quale il Giappone. Nella loro
varietà, le fotografie esposte
raccontano l’oggi della cultura
nipponica: stili, cammini e temi
che si intrecciano con l’ambiente e
che oscillano nelle dinamiche
individuo-gruppo, in cui identità
singola, memoria e tradizione si
sommano e si rinforzano a
vicenda. Un Paese, un popolo e
un’intera cultura che vengono
svelati attraverso l’apparecchio
MARCO ZAMBRELLI
Rapsodia del sole.
Galleria Magenta, Magenta.
Laddove il sole, con la sua calda
luce, si posa in modo libero e
variegato sulle distese della
campagna lombarda, sembra si
venga a creare un gioco, una
composizione di luci, colori e
sfumature paragonabile a una
rapsodia della stessa natura. Marco
Zambrelli, attraverso la tecnica del
pastello e dell’arte incisoria, ci
invita a scoprire le note e i
movimenti armoniosi di questa
composizione, facendo riposare il
nostro sguardo su una realtà
campestre non ancora invasa
dall’urbanizzazione e
dall’industrializzazione. Una vera e
propria parentesi dal caos e dalle
brutture legate alle metropoli, un
“locus amoenus” in cui risiede la
possibilità di assaporare la pace
della natura. Senza cadere nel
descrittivismo, Zambrelli riporta
alla mente ricordi vividi di
freschezza interpretativa, mentre il
gioco suggestivo di colori,
contraddistinti da forte intensità,
apre allo spettatore una distesa di
luccichii e di prodigi della natura
ancora intatta.
APPUNTAMENTI MILANO
SOLARIS
Galleria Giò Marconi
Il nome della mostra collettiva
allestita presso la galleria Giò
Marconi, “Solaris”, riprende il
titolo di un romanzo cult di
fantascienza degli anni Sessanta.
Questo parallelismo introduce il
Serena Vanzaghi Rubrica Milano
EMILIO ISGRÒ
FRATELLI D’ITALIA
Galleria Credito Valtellinese.
109
Mario Pepe Rubrica Venezia
110
RUBRICA VENEZIA
fil rouge delle opere dei dieci
artisti internazionali presenti in
mostra: paesaggi immaginari,
creature fantasmatiche , visioni
oniriche e forme ipnotiche si
alternano in un percorso che
oscilla tra memorie e profezie di
civiltà future.
LILIANA MORO
ENDGAME
Galleria Emi Fontana
L’artista milanese Liliana Moro
presenta, in questa ricca
personale, un gruppo di tre
sculture in vetro, una serie di
oggetti e quaranta immagini a
parete. Attraverso l’utilizzo di
diversi media, l’artista si propone
di indagare il difficile e delicato
andamento del flusso emotivo,
proprio di ogni essere umano,
rivelato tramite l’amplificazione
delle stesse percezioni.
BARBARA PROBST
Galleria Monica De Cardenas
I lavori di Barbara Probst sono
solitamente composti da un
assemblaggio di più foto. Se di
primo acchito le immagini
ricondotte allo stesso gruppo
sembrerebbero non avere nulla in
comune, ad un secondo sguardo
esse stesse rivelano essere la
narrazione di una stessa scena
ripresa da più punti di vista. La
frammentazione di un secondo
rappresenta per l’artista tedesca
una possibilità per indagare le
ambiguità inerenti alla stessa
immagine fotografica.
INGAR KRAUSS
Galleria Suzy Shammah
In occasione della sua terza
personale italiana, il fotografo
tedesco Ingar Krauss presenta
una serie di ritratti e nature morte
dalle Filippine dal titolo “Davao”.
L’artista interviene direttamente
con colori ad olio sugli scatti
realizzati in bianco e nero,
rialacciandosi così alle vedute
coloniali e intensificando
un’atmosfera di esotico languore.
VIDEOARTE IN RUSSIA
Galleria Nina Lumer
Approdata in Russia negli anni del
passaggio da Unione Sovietica a
Russia contemporanea, la
videoarte ha, da subito, svolto un
ruolo di arte nuova, non
convenzionale, al di fuori da
qualsiasi vincolo con la tradizione
artistica russa, da qualsiasi
strategia del mercato dell’arte e
orientata verso una forte
sperimentazione. Oggigiorno il
video rappresenta anche in Russia
un interessante mezzo artistico di
ricerca nelle sue molteplici forme
espressive che vanno dalla
registrazione di azioni e
performance alla
videoinstallazione ecc…
In mostra saranno presenti i
lavori di quattro video artisti,
rappresentanti della fiorente
pratica di questa tecnica in
Russia.
VENEZIA
FARE MONDI
Venezia Biennale Arte 2009
53a Esposizione
Internazionale d’Arte
diretta da Daniel Birnbaum
e organizzata dal presidente
della Biennale Paolo Baratta
7 giugno - 22 novembre
2009
Fare Mondi // Making Worlds
collega in un’unica mostra le
sedi espositive del rinnovato
Palazzo delle Esposizioni della
Biennale (i Giardini di 50 mila
mq) e dell’Arsenale (38 mila mq),
e riunisce più di 90 artisti da
tutto il mondo, con nuove opere
di tutti i linguaggi.
“Il titolo stesso della 53a
Esposizione Fare Mondi – ha
dichiarato il Direttore Daniel
Birnbaum – esprime il mio
desiderio di sottolineare il
processo creativo. Un’opera d’arte
è una visione del mondo e, se
presa seriamente, può essere
vista come un modo di ‘fare
mondi’. Prendendo il ‘fare mondi’
come punto di partenza, esso ci
permette anche di evidenziare la
fondamentale importanza di
alcuni artisti chiave per la
creatività delle generazioni
successive. In mostra saranno
presenti tutte le forme artistiche:
installazioni, video e film,
scultura, performance, pittura e
disegno, e anche una parata. La
mostra creerà nuovi spazi per
l’arte, che si dispiegheranno oltre
le aspettative delle istituzioni e
del mercato. L’enfasi posta sul
processo creativo e sulle cose nel
loro farsi, non escluderà
un’esplorazione della ricchezza
visiva. La pittura nel suo senso
più ampio e il ruolo
dell’immaginario astratto saranno
indagati da artisti di differenti
generazioni, inclusi quelli che
non si definiscono innanzitutto
pittori. Fare Mondi è una mostra
guidata dall’aspirazione a
esplorare i mondi intorno e
davanti a noi. Riguarda possibili
nuovi inizi: questo è ciò che
vorrei condividere con i visitatori
della Biennale”.
La Biennale 2009 annuncia
importanti miglioramenti
strutturali che riguardano i suoi
siti all’Arsenale, ai Giardini, a
Venezia. All’Arsenale, il Padiglione
italiano ha assunto la
denominazione di Padiglione
Italia, ed è stato ingrandito con un
nuovo ingresso al pubblico –
attraverso un ponte – che
collegherà il Giardino delle
Vergini al Sestiere di Castello. Ai
Giardini, lo storico Padiglione
Italia ha assunto la
denominazione di Palazzo delle
Esposizioni della Biennale. E’ stata
così sottolineata la sua
riqualificazione e la sua nuova
natura multiforme, che vedrà
operare questa struttura tutto
l’anno al servizio delle grandi
mostre. Al Palazzo delle
Esposizioni, in una nuova ala
ristrutturata sarà infatti riaperta
al pubblico dopo 10 anni la
biblioteca dell’Archivio Storico
delle Arti Contemporanee (ASAC),
con i documenti, libri, cataloghi,
periodici consultabili in sale di
lettura per i ricercatori e per i
visitatori delle mostre.
Inoltre la sede storica della
Biennale, Ca’ Giustinian (a San
Marco), aprirà completamente
rinnovata e ospiterà da giugno a
novembre la mostra Macchina di
visione: futuristi in Biennale sulla
storia della partecipazione di
RUBRICA LONDRA
LONDRA
LA SUMMER EXHIBITION
DELLA ROYAL ACADEMY
DI LONDRA
View of the Small Western Room,
Summer Exhibition 2008.
Photo © Royal Academy of Arts,
London
Summer Exhibition della Royal
Academy di Londra non avevo la
minima idea di cosa si trattasse.
Era il giorno della ‘private view’,
solo per gli associati, e mi
aspettavo di poter guardare la
mostra quasi sola, si fa per dire.
E invece mi sono ritrovata
circondata da innumerevoli
persone di tutte le nazionalità,
alcuni venuti apposta per questa
serata estiva veramente
particolare in cui viene servito il
Pimm’s, tipico cocktail inglese a
base di agrumi per rinfrescarsi.
Nonostante le sale fossero
gremite, la passione per l’arte
esposta era così travolgente che
lasciava passare in secondo
piano la presenza di numerosi
altri.
Quello che colpisce soprattutto
e’ l’altissimo livello artistico
delle opere esposte.
La Summer Exhibition della
Royal Academy quest’anno
compie 241 anni.
Ogni anno opere inedite di artisti
famosi e di artisti totalmente
sconosciuti vengono selezionate
per essere esposte in questa
stravagante, eccentrica e
coinvolgente esposizione
londinese.
Sono presenti diversi media:
pittura, fotografia, scultura,
architettura.
Il tema di quest’anno è ‘Making
Space’: fare spazio. I
coordinatori Ann Christopher,
Eileen Cooper e Will Alsop hanno
selezionato le opere in base a
questo tema.
A proposito di spazio, le pareti
della RA durante la Summer
Exhibition sono totalmente
tappezzate di quadri, non c’è un
centimetro libero. Ma la notevole
qualità artistica delle opere e
l’equilibrio compositivo nell’
esposizione rendono
l’esperienza del visitatore unica
e l’occhio non si stanca mai.
Il presidente della giuria è il
presidente della Royal Academy,
Sir Nicholas Grimshaw.
Ogni anno una somma di circa
70.000 sterline viene utilizzata
per assegnare premi agli artisti
più meritevoli.
È l’unica mostra in tutto l’anno
in cui lo spazio espositivo della
Royal Academy è alla portata di
qualunque artista.
David Mach RA
Predator (2008) Postcard collage
192x192cm
PREDATOR (2008)
opera di David Mach è un collage
dal potere straordinario di
portare un animale come il leone
in una galleria d’arte. Più ci si
allontana dal quadro e più i tratti
somatici diventano più delineati,
ma più ci si avvicina e più questa
presenza diviene sempre più
imponente e maestosa e quasi
viene voglia di indietreggiare !
Forse la memoria andrà a collage
di cartoline precedenti, dello
stesso artista, che
rappresentavano Elvis Presley, la
Statua della Libertà, Bart
Simpson.
Nel 1999 realizzò un’opera
particolarmente significativa, un
autoritratto della Gran Bretagna,
un collage lungo 75 metri
realizzato con migliaia di
fotografie raccolte tra la gente.
David Mach, artista e scultore
Susanna Rossini Rubrica Londra
artisti, idee e opere futuriste alla
Biennale, curata dallo IUAV,
Laboratorio Internazionale di
Semiotica di Venezia.
La cerimonia di inaugurazione e
di premiazione della Biennale
2009 avrà luogo sabato 6 giugno
ai Giardini, con la consegna dei
premi ufficiali assegnati dalla
giuria internazionale. Saranno
inoltre consegnati due Leoni d’oro
alla carriera agli artisti Yoko Ono
e John Baldessari.
La Giuria internazionale,
presieduta da Angela Vettese
(Italia), è composta inoltre da Jack
Bankowsky (USA), Homi K. Bhabha
(India), Sarat Maharaj (Sudafrica) e
Julia Voss (Germania), e
assegnerà: il Leone d’Oro per la
migliore Partecipazione nazionale,
il Leone d’Oro per il miglior
artista, e il Leone d’Argento per il
più promettente giovane
dell’Esposizione.
La Biennale include inoltre un
numero record di 38 Eventi
collaterali, proposti da enti e
istituzioni internazionali, che
allestiranno le loro mostre e le
loro iniziative a Venezia in
concomitanza con la Biennale.
Il catalogo della 53a Esposizione
è edito da Marsilio. Il sito web
ufficiale è www.labiennale.org.
111
Susanna Rossini Rubrica Londra
112
RUBRICA LONDRA
scozzese nato a Methil (Fife) nel
1956, utilizza spesso nel suo
lavoro oggetti della produzione
di massa, come giornali,
pneumatici, orsetti di peluche
per poi assemblarli in modo
inusuale.
L’ immagine visibile è spesso
l’opposto dell’ immagine
nascosta. È come se due opere
coesistessero in una, creando un
dialogo movimentato di
molteplici significati.
THE SUN SHONE FROM A
DIFFERENT PLACE
Al primo sguardo questo
disegno sembrerebbe fatto da un
bambino. C’è una freschezza,
una leggerezza delle forme e una
vivacità dei colori che cattura
l’occhio e l’ immaginazione.
Le forme geometriche sullo
sfondo mettono in risalto le
forme sinuose, organiche in
superficie, portandole quasi ad
emergere dal quadro.
Gillian Ayres, artista inglese nata
a Barnes (Londra) nel 1930, vive
e lavora principalmente in
Cornovaglia e a Londra.
Il suo lavoro è stato molto
influenzato dal lavoro di Hans
Hoffman, spesso definito un
Espressionista Astratto.
Possiamo ritrovare nell’opera
‘The Sun shone from a different
Place’ la presenza di un
paesaggio caratterizzato da
forme, colori e spazio.
Come dice l’ artista stessa -
…mettere colore su una parte
del quadro e sperare che possa
toccare l’anima, che la colpisca,
che la sorprenda …-.
Gillian ammirava molto Mirò, che
come lei non voleva essere
etichettato come appartenente
ad una particolare categoria
stilistica. Per lei la forza creativa
è una forza libera dal controllo
della ragione.
Gillian Ayres OBE RA
The Sun shone from a different Place
Oil 199x199cm