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SaTuRa Trimestrale di arte letteratura e spettacolo Redazione Sandra Arosio, Milena Buzzoni, Vico Faggi, Gianluigi Gentile, Mario Napoli, Mario Pepe, Veronica Pesce, Susanna Rossini, Giuliana Rovetta, Andrea Scarel, Stefano Verdino, Guido Zavanone Redazione milanese Simona De Giorgio Via Farneti,3 20129 Milano Tel.: 02 74 23 10 30 e-mail: [email protected] Direttore responsabile Gianfranco De Ferrari Segreteria di Redazione Rita di Matteo Collaboratori di Redazione Erika Bailo, Barbara Cella, Maura Ghiselli, Chiara Guarnieri, Elisa Rampone, Susanna Rossini, Serena Vanzaghi Editore SATURA associazione culturale Amministrazione SATURA Piazza Stella 5, 16123 Genova Tel.: 0102468284 cellulare 338-2916243 e-mail: [email protected] sito web: www.satura.it Progetto grafico Elena Menichini Stampa Sorriso Francescano Via Riboli 20, 16145 Genova Quota di abbonamento 2009 un numero: euro 6,00 annuale: euro 20,00 sostenitore: euro 50,00 C/C Banca Intesa Cod. IBAN: IT37 G030 6901 4950 5963 0260 158 Anno 2 n° 6 Secondo trimestre Autorizzazione del tribunale di Genova n° 8/2008 In copertina un'opera di Peter Nussbaum sommario 03 FRANCO CROCE Una lettera di Franco Croce: Camillo Sbarbaro: Mi desto dal leggero sonno a cura di Caterina Bardi 08 5 POESIE DA “NEMMENO UN’ALLEGORIA” Omaggio a Franco Croce Nada Pasetti 11 La ricerca metrica nella poesia di Adriano Guerrini Giangiacomo Amoretti 24 TRE PROSE CRITICHE E MEMORIALI 1. Rileggendo L.R. Palmer 2. Ritorno a Seneca 3. Stendhal - Sofocle - Edipo Vico Faggi 65 INTERVISTA Peter Nussbaum Un’estetica delle idee Serena Vanzaghi 71 LETTERATURA Da Jules Verne a Norbert Merjagnan: viaggio attraverso la letteratura fantascientifica francese Edith Faure 82 ARCHITETTURA Boccadasse o la partecipazione rovesciata Gianluigi Gentile 86 DUE POESIE Mario Pepe 87 SULLE CORDE DELL’ARIA Evocazioni ascoltando Stefano Pastor Milena Antonucci 28 DUE POESIE Renato Chiarenza 29 RECUPERI Un racconto di Corrado Tumiati “Diagnosi impossibile” a cura di Luigi Fenga 90 33 VIETNAM TRA IL SILENZIO DELLA NATURA E IL CLAMORE DELLA CITTÀ Milena Buzzoni LA MOSTRA Terza Biennale d’Arte Contemporanea GenovARTE 2009 Mario Napoli 96 43 IL TEATRO VUOTO TRA REALTÀ E FINZIONE Simonetta Ronco IL LIBRO “La moneta infame. Intrighi e delitti nella Genova del ‘600” di Giancarlo Ragni Mario Napoli 46 PROSPEZIONI Il Salon du livre di Parigi di Giuliana Rovetta Le Clézio: nomadismo e radici di Giuliana Rovetta L’esistenza come soglia dell’invisibile di Luigi Fenga Irrequietezze femminili in Terra d’Islam di Sergio La China La biblioteca della vita di Guido Zavanone Un sorriso per una buona ventura di Guido Zavanone Un inchiostro salato di Guido Zavanone L’arte di star bene secondo Sitzia di Guido Zavanone Sconfitta e solitudine nel romanzo d’esordio di Filippo Bologna di Milena Buzzoni Sulla poesia di Cipparrone di Vico Faggi Sul teatro contemporaneo di Vico Faggi Il “Sogno di una notte di mezza estate” di Ronconi di Simona De Giorgio Boris Godunov di Andrea Scarel The cryonic chants Canti e poemi obiettivi tratti da un animale impassibile di Andrea Scarel EVENTI VETRINA 98 100 102 104 106 GIANLUIGI CARPINETI Maura Ghiselli JOSINE DUPONT Raimondo Sirotti MARCO PONTE Maura Ghiselli MARIA VITTORIA VALLARO Barbara Cella RUBRICA Genova Erica Bailo e Mario Pepe Milano Serena Vanzaghi Venezia Mario Pepe Londra Susanna Rossini Nada Pesetti 5 poesie da “Nemmeno un’allegoria” 8 OMAGGIO A FRANCO CROCE NADA PESETTI 5 poesie da “Nemmeno un’allegoria” Omaggio a Franco Croce 1 Tra l’ascensore e la funicolare si apriva lo squarcio di mare l’azzurro smagliante, l’abbaglio. Nei discorsi pioveva Clelia la filippina, il microclima di Oban, gli affreschi di Piero, la spiaggia del Forte (“è sempre la stessa?” chiedeva), ancora ignara io, forse lei, della morte suicida omicida astrale nel tempo a venire (immobile e nel fluire) d’altri e mia e della sua, spiovuta in piazza Campetto tra un Natale e un cielo perfetto per sempre nelle straducole senza mai più ebrietudine. 2 “Abito a Caricamento” aveva detto tutta la vita. “Ma è luminoso, sa?” ironica sprezzatura tra barocco e odor di frittura. “Il centro storico, vede, Genova è così luminosa!” E liquidava col gesto come a prometter mimosa lo stretto lo scuro lo sporco contro la leggerezza ariosa. Perché? le Fontane Marose [...continua...] LA RICERCA METRICA NELLA POESIA DI ADRIANO GUERRINI di Giangiacomo Amoretti Talmente varia, approfondita e metodica è la ricerca metrica di Adriano Guerrini che si potrebbe davvero parlare di sperimentazione – e forse sarebbe pienamente lecito, anche solo per sottrarre la poesia guerriniana a quell’immagine di semplicità, di facilità, quasi di ingenuità in cui ancora si risolve per molti lettori – se non sembrasse incongruo attribuire l’attributo di sperimentale ad un poeta come Guerrini che tanto appassionatamente polemizzò contro gli sperimentalismi meramente formali della letteratura novecentesca. In effetti nulla di drasticamente rivoluzionario nella metrica della sua poesia1, che preserva sempre, pur nel corso d’una lunga parabola storica, un legame neppure troppo dissimulato con la tradizione; ma neanche un atteggiamento conservatore o polemicamente antimoderno: piuttosto, rispetto alle forme canoniche, un distanziamento ironico che non esclude un’affettuosa nostalgia2, donde un paziente e continuamente rinnovato lavoro di correzione, di aggiustamento e di variazione della metrica tradizionale, come se per un verso al poeta non riuscisse di tollerare la norma classica così com’è data, troppo rigida, troppo remota dalla sua sensibilità, e per altro verso non potesse farne a meno e vi dovesse ritornare continuamente, non fosse altro che per mutarla e renderla in ultimo quasi irriconoscibile3: un lavoro in cui alla fine non sarà più possibile distinguere se a prevalere sia il culto della tradizione, tanto amata e presente che il poeta non cessa mai di giocarvi e di ricamarvi sopra4, o il gusto della forma inedita, del gioco ritmico non canonico, della modificazione innovatrice. [...continua...] Ci si baserà, in questo studio, sui seguenti testi: ADRIANO GUERRINI, Poesie (1941-1986), a cura di FRANCEDE NICOLA, Genova, De Ferrari, 1996 (in cui sono riunite le principali raccolte del poeta: L’adolescente, Alti boschi, Età di ferro, Polemica, Jon il groenlandese, Quindici poesie a qualcuno, Ultimi versi); ADRIANO GUERRINI, Poesie politiche, Milano, Scheiwiller, 1976; ADRIANO GUERRINI, Ventotto poesie, Genova, Edizioni S. Marco dei Giustiniani, 1981; ADRIANO GUERRINI, Tanka, Milano, Res editrice, 1984. 2 Nella nota ad una tanka Guerrini scrive: “qualunque forma io esperimenti, porto sempre con me la tradizione poetica italiana, l’acqua chiara di Valchiusa e il cielo infinito di Recanati” (ADRIANO GUERRINI, Tanka cit., p.59). 3 Si veda come il poeta descrive il proprio faticoso tentativo di imitare la perfetta struttura del sonetto petrarchesco (ne sarebbero derivati i 14 sonetti caudati di Esistenza e mito, poi pubblicati in Ventotto poesie): “Fu un lavoro da impazzire; dovetti tralasciare più volte le rime e contentarmi dell’assonanza; dovetti persino, perché quell’abito mi stava stretto in tutti i modi, aggiungervi una coda di tre versi, un settenario e due endecasillabi; […] ma insomma… avevo provato” (ADRIANO GUERRINI, Discorsi inglesi, in “Resine”, 38, ottobre, novembre, dicembre 1988, p.8). 4 “Tutto ciò che ho detto vive e si manifesta appunto dentro la poesia italiana” (ADRIANO GUERRINI, Discorsi inglesi cit., p.7). 1 SCO Giangiacomo Amoretti La ricerca metrica nella poesia di Adriano Guerrini LA RICERCA METRICA NELLA POESIA DI ADRIANO GUERRINI 11 Vico Faggi Tre prose critiche e memoriali 24 TRE PROSE CRITICHE E MEMORIALI TRE PROSE CRITICHE E MEMORIALI di Vico Faggi 1. Rileggendo L.R. Palmer Rileggo, dopo venti e più anni, le pagine che L. R. Palmer ha dedicato al latino (Lingua Latina, Einaudi, 1977) e subito mi soffermo sui paragrafi sul linguaggio di Plauto, e, lo dico subito, la mia ammirazione si rinnova. Il commediografo di Sarsina non ha segreti per il filologo, il quale individua, una per una, le particolarità del suo dialogo, la sua tecnica, il suo orecchio. Parte da un’indicazione precisa (“Le commedie di Plauto rappresentano un idioma parlato” e “si trattava del linguaggio colloquiale del suo tempo”), procede per l’individuazione delle sue componenti, l’elencazione dei suoi arcaismi, la disamina delle sue scelte stilistiche, e finalmente perviene al rovesciamento della sua premessa. La verità è che Plauto “compose una lingua elevatamente elaborata e artificiale”, entro la quale “il colloquiale e lo stilizzato si intrecciano inestricabilmente tra di loro”. La sintesi è perfetta. Il segreto della grandezza di Plauto sta nel suo essere uomo di teatro e insieme letterato finissimo. Li conosceva tutti, in un campo come nell’altro, i trucchi del mestiere. E se ne valeva, se ne giovava sulle tavole del palcoscenico come nel segreto del suo studio. Ancora il Palmer, il quale dedica al De rerum natura di Lucrezio pagine perspicue, per esempio puntando sull’episodio di Ifigenia e sul suo sacrificio, lei che fu immolata nel giusto tempo delle nozze (nubendi tempore in ipso) nel nome di una crudele superstizione (tantum potuit religio suadere malorum). È puntuale, l’analisi del Palmer, e il suo giudizio perentorio: “quando il fuoco del suo genio divampa, grazie agli elevati argomenti offertigli dalla filosofia naturale, l’arcaismo e la glossa fiammeggiano di una luce sovrumana”. Un altro brano del poema lucreziano ci sembra, nella memoria, degno di altissima lode, ed è quello dedicato a Venere, hominumque divomque voluptas. Ne citiamo qualche rigo nella classica traduzione secentesca di Alessandro Marchetti: [...continua...] Renato Chiarenza Due poesie 28 DUE POESIE DUE POESIE di Renato Chiarenza ... Se una goccia che cade nell’immenso mare solleva il livello di tutti i mari, se un suono non si disperde negli spazi astrali, ma riecheggia di mondo in mondo,una sofferenza di uomo è dolore della umanità, è male universale…. Renato Chiarenza RICORDI Tu più non odi il canto velato di tristezza, profondo e uguale come la voce del mare, ma il vento non muta, e il buio del cuore conosce il battito delle ore senza ritorno e l’attesa. Il respiro della sera sul mare e tanti inesprimibili ricordi; un nome che non ha più l’intatto tuo volto riflesso sull’acqua chiara mossa dal vento che rincorre se stesso sull’onda in un vortice vano. DESIDERIO Tam te basia multa basiare Amore mio, sono da te lontano, soffro e molto desidero i tuoi baci che hanno il salso sapore del mare e l’impeto dell’onda amica. Oh sentire ferirmi sul labbro dai candidi tuoi denti amorosi, e l’infuocato profumo della tua bocca che brucia la mia amarezza! Tu sorridi tra le socchiuse ciglia e t’abbandoni, dolcesognante, al tuo segreto rimpianto a me ignoto… Ancora ho sete di baci nella triste solitudine della notte, e sempre vorrei a me stringerti, assurdamente pervaso da un malefico dio d’amore. S E Z I O N E R I V I S TA Un racconto di Corrado Tumiati1 “Diagnosi impossibile” Chiesi una volta a un collega quale fosse stata la circostanza più penosa della sua vita professionale, quale il caso che più l’avesse angustiato come uomo e come medico. Credevo di vederlo riflettere a lungo soppesando questa e quella delle sue numerose esperienze, discriminandovi dolori e difficoltà, miserie e sventure. Non fu così. La risposta sollecita gli uscì di getto dall’anima come se da lungo tempo se la fosse preparata e non gli paresse vero di comunicarmela. Quasi parlando a se stesso, raccontò: «Saranno forse quindici anni. Ero medico in una città delle Marche dove dirigevo una sezione di quell’ospedale psichiatrico. Nei pomeriggi liberi dal servizio di guardia davo qualche consultazione privata, a casa mia. Un giorno vidi entrare nel mio studio un uomo della mia età, oltre i quaranta, che mi parve subito d’aver sempre conosciuto. Figura sguardo passo mi ricondussero immediatamente a un’epoca torbida e infelice della mia vita e risuscitarono echi luci e perfino odori del luogo che ci aveva tenuti per tanti anni vicini. [...continua...] 1 Corrado Tumiati (Ferrara, 1885 – Firenze, 1967) fu medico, scrittore, giornalista, poeta, Portato sia per le materie umanistico-letterarie sia per quelle scientifiche, si laureò in Medicina presso l’Università di Firenze con il famoso professor Ferruccio Schupfer. Dal 1913 a Venezia praticò la professione come psichiatra a San Servolo fino al giugno del 1915, allorché, con lo scoppio della grande guerra, fu richiamato come tenente medico. Restò-soldato fino al 1919. Anfifascista, nel 1931, a causa di divergenze politiche, decise di abbandonare la professione e si trasferì a Firenze. Si dedicò così alla scrittura. La sua opera più nota è “I tetti rossi. Ricordi di manicomio”, con la quale vinse il Premio Viareggio nel 1931. Fu poi giornalista presso Il Corriere della Sera, che gli affidò la terza pagina. Piero Calamandrei nel 1945 lo investì dell’incarico di redattore e vice direttore della rivista politico-letteraria Il Ponte. Nel 1952 l”Associazione Medici Scrittori Italiani”, gli affidò la direzione del periodico La Serpe e fino al 1963 collaborò alla rivista L’Illustrazione del medico, edita dai Laboratori Maestretti. Opere Principali :I tetti rossi. Ricordi di manicomio, Milano, Treves, 1931. La noce di cocco, Milano, F.lli Treves, 1934. Il miracolo di Santa Dymfa: incontri e paesi, Firenze, Vallecchi, 1942 Solstizio nell’orto, Firenze, Sansoni, 1943 Nessuno risponde, Firenze, Sansoni, 1950. Vite singolari di grandi medici dell’800, Firenze, Vallecchi, 1952. Sette storielle per uomini e bestie, Urbino, Istituto Statale d’Arte per la Decorazione del Libro, 1961. Collezione privata. Profili e ritratti. Adelaide Ristori, Amelia Rosselli, Jules Renard, Francesco Redi, Vincenzo Chiarugi, L. v. Beethoven, Torquato Tasso, il Caravaggio, Alexandre Borodine, Mungo Park, Georges Clemenceau, Isidoro Falchi, Agostino Bertani, Piero Calamandrei, Firenze, Vallecchi, 1965. Corrado Tumiati “Diagnosi impossibile” RECUPERI a cura di Luigi Fenga 29 V I E T N A M T R A I L S I L E N Z I O D E L L A N AT U R A E I L C L A M O R E D E L L A C I T T À di Milena Buzzoni Lo smontaggio dei bagagli è una delle operazioni più deprimenti che attendano il viaggiatore al suo ritorno: non solo il rammarico per la fine della vacanza, ma la noia per la ricollocazione dei vestiti , lo smistamento della roba da lavare, la sistemazione delle cose comprate o raccolte. Il letto è coperto di tutto questo e, se voglio andare a dormire, prima di sera dovrò aver messo a posto tutto. Ammucchio da un lato, man mano che emergono dagli strati della valigia, depliants, biglietti, mappe, cartoline che, insieme alle foto, costituiscono il mio itinerario di viaggio, le tappe di un percorso che già faccio fatica a ricostruire. Cerco di ricordarmi il prima e il dopo e di dare esatte coordinate geografiche alle immagini che mi saltellano nella testa: ma il tempio della Letteratura l’ho visto ad Hanoi o a Saigon? Di Haiphong non mi viene in mente niente e la tomba di Minh Mang dov’ era? Ho chiara e presente la cittadella imperiale di Huè, ma l’albergo? Dove dormivamo a Huè? Intanto distribuisco la roba negli armadi, in lavatrice, nella scarpiera e sposto la pila delle carte-promemoria, le mie modeste madeleines, sulla scrivania. E’ passata una settimana dal nostro ritorno dal Vietnam e mettendo in ordine cronologico la pubblicità degli alberghi, i biglietti dei ristoranti, le guide ai siti visitati, i biglietti di ingresso ai musei, nello sforzo di ridisegnare la mappa del viaggio, mi domando se sia davvero importante memorizzare dove e quando o se a contare sia quel sentimento che resta addosso dopo, al rientro, e che rimarrà sempre lo stesso, come un riflesso condizionato, ogni volta che si ripenserà a quella meta. Scopro così che la sensazione legata al Vietnam è la quiete. Può sembrare paradossale perché le città, specialmente Hanoi, sono i posti più caotici e rumorosi che abbia mai visto: pochi semafori, niente strisce pedonali, un nugolo di motorini che si buttano sugli incroci suonando il clacson senza rallentare. Il pedone non ha nessuna priorità neanche sui rari attraversamenti destinati a lui e a passare sull’altro marciapiede si rischia la vita. [...continua...] Milena Buzzoni Vietnam tra il silenzio della natura e il clamore della città VIETNAM TRA IL SILENZIO DELLA NATURA E IL CLAMORE DELLA CITTÀ 33 I L T E AT R O V U O T O T R A R E A LT À E F I N Z I O N E di Simonetta Ronco I Il “teatro vuoto”, può essere, e spesso è stato, inteso come metafora della vita, ma al tempo stesso come contenitore pronto ad accogliere e trasmettere immagini, sentimenti, emozioni. Le riflessioni e gli studi che negli anni attori, registi e autori teatrali hanno compiuto su questo ambiente–momento dell’espressione artistica si sprecano. E oggi, a Genova, c’è una giovane autrice che ha pensato al teatro vuoto come soggetto per un lavoro teatrale, attualmente in preparazione. Si tratta di Giovanna Vallebona, nata nella nostra città e già vincitrice nel 2006, del Secondo concorso di Drammaturgia dell’Associazione Satura, con uno spettacolo di grande impatto emotivo, Il Mangiafuoco. Del suo nuovo impegno drammaturgico e di altro ho parlato con Vallebona, che lavora su due fronti: quello dell’insegnamento (è docente di inglese nelle scuole) e quello del teatro. Come è nata l’idea di creare un testo di drammaturgia sul teatro vuoto? “Coloro che hanno la fortuna di recitare”, mi spiega, “prima o poi fanno l’esperienza di restare soli al buio in un teatro vuoto. Se si resta in silenzio, da soli, alcuni minuti, si avverte quasi una sensazione di disagio, perché non si può fare a meno di legare il luogo al significato che questo ha dentro di noi. Il teatro vuoto ti costringe a guardarti dentro e ti accorgi che riesci a vedere in modo molto più nitido tante cose che normalmente non noti, perché sei distratto dal chiasso e dalla luce della frenesia quotidiana. Se hai il coraggio di fermarti e guardarti dentro, trovi tutto. E’ tutto lì. Senza bisogno di chiedere in giro: vita, amore, morte, arte, Dio. Da quest’idea nasce lo spettacolo “Il teatro vuoto”, anche se io ed i colleghi con i quali sto lavorando a questo progetto (Paolo Buono, Miro Gerbi, Francesco Nardi, Sabrina Rao) amiamo definirlo un “non-spettacolo”. [...continua...] Simonetta Ronco Il teatro vuoto tra realtà e finzione IL TEATRO VUOTO TRA REALTÀ E FINZIONE 43 Giuliana Rovetta Il salon du livre di Parigi 46 PROSPEZIONI PROSPEZIONI Letture a cura di Milena Buzzoni, Simona De Giorgio, Vico Faggi, Luigi Fenga, Sergio La China, Giuliana Rovetta, Andrea Scarel, Guido Zavanone IL SALON DU LIVRE DI PARIGI di Giuliana Rovetta Giunto alla sua ventinovesima primavera, il Salon du Livre di Parigi (13 – 18 marzo), con un’offerta di 1200 espositori provenienti da diverse parti del mondo e 300.000 titoli nei vari settori, rappresenta una estesa vetrina, ben articolata e interessante per varietà dei testi (romanzi, saggi, libri di storia, fumetti, letteratura infantile, guide turistiche) e autori: molti hanno dialogato col pubblico prestandosi al rito delle dédicaces, da Jérome Garcin, che per Mercure de France ha scritto una bella ricognizione letteraria muovendosi tra autori come Gracq, Le Clézio, Nourissier, dal titolo Les livres ont un visage, alla “scandalosa” Catherine Millet (già autrice di La vita sessuale di Catherine M.), presente a questo Salone con una sorta di secondo atto imperniato sul sentimento della gelosia, Les jours de souffrance, per l’editore Flammarion. Grande visibilità, negli spazi espositivi della Porte de Versailles, rinnovati proprio l’anno scorso, è ovviamente data alle più importanti case editrici del réseau francese: Gallimard (che raggruppa anche storiche edizioni quali Denoël, Albin Michel, Mercure de France) presentando autori di punta come Philippe Sollers e i nuovi classici pubblicati nella Pléiade (Gide, Octavio Paz, Rimbaud); Hachette, Larousse, Seuil, Bordas. Per la prima volta è presente l’editore di Bordeaux Le Castor Astral che pubblica dal 1975 i volumi della Bibliothèque Oulipienne inizialmente curata da Georges Perec. Numerose e vitali alcune delle case editrici di medie o piccole dimensioni: Autrement, col suo richiamo ad alternative possibili rispetto ai grandi numeri, affronta nella sua collana Atlas tematiche che riguardano ogni parte del mondo; Au diable vauvert si rivolge “sans complexes” secondo la sua stessa presentazione, a un genere noir, pulp e horror. Dall’estero hanno allestito stand i paesi del Nord Africa in cui la lingua francese ha una tradizione (Egitto, Marocco, Tunisia e Algeria) e altri di area francofona come Canada e Polinesia francese, e ovviamente Svizzera. Relativamente nuova l’acquisizione di espositori provenienti dall’est Europa (Federazione russa, Romania, Polonia) mentre la presenza in forze dell’India è un effetto del trascorso ruolo di ospite d’onore che quest’anno è toccato al Messico. La letteratura messicana, ancora poco conosciuta in ambito europeo, si autoillustra attraverso 37 autori pronti a dimostrare la ricchezza e il pluralismo di una scrittura che rivendica senza eccessi polemici le sue appartenenze identitarie. Tra i nomi di spicco Carlos Fuentes, narratore e saggista, che con titoli come Les deux rives (Gallimard) e il più recente La voluntad y la fortuna testimonia della sua vocazione a interrogarsi e a mettersi in discussione attraverso il confronto con altre culture e Paco Ignacio Taibo II, autore di una biografia di Pancho Villa recentemente tradotta per l’editore Payot da Claude Bleton. Taibo, che si è trasferito bambino dalla Spagna al Messico per sfuggire alla dittatura franchista, utilizza il genere poliziesco e un linguaggio ricco di riferimenti alla quotidianità come strumenti a suo dire elettivamente idonei a descrivere una società complessa e caotica come quella messicana. Vale la pena segnalare anche Briceida Cuevas Cob, voce poetica pubblicata in francese su antologie e riviste (Action poétique) la cui maturità e capacità di evocare immagini è riconosciuta e apprezzata dalla critica. [...continua...] I N T E R V I S TA di Serena Vanzaghi “Tutto scorre, non si può tornare due volte nello stesso fiume. Nessuno può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l’uomo né l’acqua del fiume sono gli stessi.” Eraclito “Panta Rhei” (tutto scorre) enunciava Eraclito nel suo pensiero filosofico. Le cose, l’uomo, il mondo che ci circonda e persino gli stessi sentimenti umani sono in continuo cambiamento, in un perenne peregrinare verso nuove frontiere e nuovi orizzonti. La mutevolezza, oggi più che mai, contraddistingue il nostro modo di vivere, una mutevolezza dettata da fattori diversi, spesso dettata da una sorta di energia interna che costringe al movimento, alla trasfigurazione e alla trasmutazione delle cose e di noi stessi. In una realtà in cui il doppio, la copia e lo stesso sembra non avere posto, Peter Nussbaum crea complessi vortici di flussi circolari, abbandonandosi e lasciandosi cullare dal trasporto leggero e sottile di una matita sulla carta, facendosi guidare in completa fiducia finchè non è la stessa mano che, fermandosi, forma una figurazione. È da questo presupposto che si sviluppa l’iter creativo di Nussbaum: lo spazio del supporto diventa il campo in cui i vuoti e i pieni si incontrano e si scontrano Disegno 5, china su carta, 108x80 cm, 2008 Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee PETER NUSSBAUM UN’ESTETICA DELLE IDEE 65 I N T E R V I S TA Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee 66 Albero della vita, tecnica mista, 2007 in un continuo turbinio di incroci leggeri e più pesanti sino a formare un’immagine, un segno, una struttura, che fisicamente prende forma e consistenza. Il ciclone delle linee che si viene a creare costringe così l’osservatore a prestarsi a questo gioco di inseguimento dei tratti illimitati. Alcune volte l’occhio può prendere una pausa da questa fuga veloce e scoprire che nel seguire il tracciato delle linee una figura sta prendendo forma e si sta configurando nella retina per poi disciogliersi, seguire altre vie e altre tracciati che detteranno nuove e infinite possibilità di composizione. Un libero accesso all’immaginazione, un’apertura verso la frontiera della “possibilità” che l’artista indaga, estrapolando dal flusso continuo in cui il tutto è immerso, nuove forme, nuove aggregazioni e simbologie rotanti. È attraverso il suo intervento e la complicità dello spettatore coinvolto che il caos del continuo Disegno 1, china su carta, 108x80 cm, 2008 I N T E R V I S TA 67 Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee Quadro 1, tecnica mista su schede elettroniche applicate su legno, 170x140 cm, 2009 cambiamento viene domato, premettendo la nascita di figurazioni che cambieranno a seconda di come la persona che li osserva li percepisce e li segue nella loro veloce dinamicità. Soprattutto nei lavori in china su carta il piano vergine e “immacolato” del- la carta bianca viene infranto in modo quasi invadente da questo segno ben distinto che porta alla costruzione di un nuovo universo di costellazioni, che si espande sulla superficie e in riferimento agli altri lavori compiuti con questa tecnica. I N T E R V I S TA Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee 68 Zeichnung 3 Costellazioni e non ellissi o spirali. Lo stesso Nussbaum pone l’accento su questo: le energie in cui siamo immersi e di cui siamo permeati non possono riassumersi in forme precise, anche se di primo acchito verrebbe da definire (in modo approssimativo) queste linee come delle spirali o ellissi. La mutevolezza delle idee e le varie fonti di ispirazione a cui Nussbaum attinge (l’alchimia, la fisica, lo studio del corpo umano, i moti dell’Universo) creano fra loro, seppur nella loro specificità, una costellazione di significati, rapporti, confronti e parallelismi che hanno l’obiettivo di partorire un’idea, o meglio un’estetica dell’Idea, intesa come questa linea che, nella sua infinitezza e attraverso la sua capacità di creare nuove forme e possibilità, di trasmutarsi e rinnovarsi, diventa segno tangibile di ciò che non è e non può essere visibile e fisico, l’Idea appunto. Un’estetica in cui l’Intelligenza (ovvero il Razionale) si incontra, in un secondo momento, con il Sentimento per portare alla luce quell’universo di possibilità e di composizioni mutevoli che si legge nei lavori di Nussbaum. Se nei disegni di Peter Nussbaum questa è la fondamentale caratteristica, laddove, nei suoi quadri, interviene la pittura si aprono nuove vie di interpretazione e più piani di lettura: innanzitutto i cicloni e i vortici che si vengono a creare prendono un aggiunto significato estetico dato dal colore impiegato, come se la stesura di colore a campiture piatte diventasse la cornice (o il letto) delle linee-idee irrequiete. In più nei quadri, ad un secondo sguardo, si può notare come le superfici colorate siano interrotte da alcune strutture la cui funzione, lungi dal creare una colluttazione con le I N T E R V I S TA 69 Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee Zeichnung 4 e Zeichnung 5 stesse linee, è immergersi armoniosamente, diventando parte integrante della stessa composizione. Una particolarità di Nussbaum è l’utilizzo di piastrine (impiegate comunemente in apparecchi elettronici) come superficie su cui dipingere. Questa peculiarità del suo lavoro rappresenta la parte più calcolata, più ricollegabile alla volontà di controllo e di misura che si contrappone alla vivace creazione spontanea delle linee, in un secondo momento, quando appunto il Razionale incontra il Sentimento. L’elemento della piastrina, infatti, è da ricollegare all’attività del cervello: essa rende possibili cambi e collegamenti di ampie dimensioni negli apparecchi in cui è posta, proprio come il cervello, nel corpo umano, controlla il nostro corpo e ne permette il corretto funzionamento attraverso la rielaborazione degli stimoli nervosi. Una spontaneità (le linee) e una volontà di controllo (le piastrine utilizzate) che, anche se apparentemente inconciliabili, trovano la loro sintesi nel risultato finale della composizione pittorica. Pantha Rei, Idee, Ispirazioni, Ragione e Sentimento trovano così spazio e una loro dimensione in cui convivere braccio a braccio sulle superfici dei lavori di Peter Nussbaum. Serena Vanzaghi Serena Vanzaghi Peter Nussbaum, un’estetica delle idee 70 I N T E R V I S TA PETER NUSSBAUM è nato a Koblach (Vorarlberg), in Austria. Una volta terminati gli studi scolastici, il suo percorso di sviluppo è un’odissea che, a partire da una passione per l’armonia e da una percezione visiva straordinaria sensibile specie ai colori, l’ha condotto attraverso svariate professioni fino alla pittura. Da oltre trent’anni dedica la propria attività all’arte, da dieci anni unica professione. All’inizio dell’attività si collocano le impressioni colte nei numerosi viaggi per tutta Europa, che gli hanno permesso di elaborare una stessa tematica a partire da angoli di visuale ampi e differenziati. Le meditazioni insieme ai monaci e la passione per la liturgia ortodossa sul Monte Athos sono stati per lui solo passaggi attraverso i quali avere accesso a diverse scienze dello spirito (cabalistica, massoneria, studio dei simbolismi eccetera) il cui sguardo universalistico trova espressione nei suoi lavori di oggi. Come i temi del suo lavoro sono e continueranno a essere multiformi, mutevoli e connessi con le impressioni, altrettanto variegato è il repertorio dei mezzi e materiali che impiega. Il suo lavoro più grande, in termine di superficie, è la realizzazione di un dipinto di sessanta metri quadri realizzato su commissione dell’architetto Jean Novell; l’opera di formato più piccolo gli ha fatto vincere nel 1999, in Austria, il “Grand Prix delle etichette da vino” nel relativo concorso internazionale. Negli ultimi 20 anni ha realizzato mostre in Austria, Italia, Svizzera, Olanda. Finalità ultima del suo lavoro è preparare l’essere umano, tramite il linguaggio del colore e delle forme, alle qualità spirituali della nascente era dell’Acquario. L E T T E R AT U R A di Edith Faure Considerata a lungo come una letteratura eccentrica, la fantascienza però ha conosciuto e conosce ancora il suo momento di gloria. Per tanto tempo gli si è rifiutata la qualifica di genere letterario a pieno titolo, ma bisogna ammetterlo: più di un genere letterario, è diventata un vero e proprio prisma attraverso il quale si può vedere il mondo e che si è estesa dalla sua comparsa a tanti altri campi oltre la letteratura. Ai giorni nostri, è onnipresente per chi sa identificarla: dai fumetti al cinema passando dai videogiochi e dai manga, impone il suo universo e raduna i suoi adepti in una vera e propria comunità. Tuttavia, si deve ammettere che è molto difficile dare una descrizione esatta di quello che è la fantascienza, e forse rievocare la storia del genere lo è ancora di più. Questa è probabilmente una delle ragioni per le quali la letteratura di fantascienza ha incontrato così tante difficoltà ad essere considerata come un vero e proprio genere. La fantascienza, il cui successo si è fatto sempre più grande, è riuscita dagli anni sessanta in poi ad imporsi fra gli studiosi che hanno cominciato a redigere una sua storia, coscienti della necessità di dare al genere i suoi titoli nobiliari. Eppure sono rare le opere che evocano le grandi linee della storia del genere (i lavori seri e completi che trattano dell’argomento si possono contare sulle dita della mano), e numerosi sono quelli che hanno preferito imbastire delle antologie piuttosto di rischiare un argomento così trascurato e spinoso. Per quanto riguarda la letteratura di fantascienza francese, rimane ancora da pubblicare un’importante opera e un appassionato dal genere troverebbe sicuramente un campo di ricerche vergine da ogni speculazione approfondita. In questo articolo, proverò dunque a dare ai nostri lettori la possibilità di orientarsi in questa letteratura definendo le sue grandi linee storiche, e completerò questo accenno con alcuni miei appunti di lettura che rispecchiano le novità in quest’ambito. Che cos’è la fantascienza francese? Numerose sono state le definizioni proposte per tentare di afferrare la natura della fantascienza. Difatti il termine è difficilmente definibile dato che si usa in numerosi campi e presenta molti punti in comune con al- Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan DA JULES VERNE A NORBERT MERJAGNAN: viaggio attraverso la letteratura fantascientifica francese 71 Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan 72 L E T T E R AT U R A tri generi affini. Se si desidera limitarsi a definire la letteratura di fantascienza francese, la proposta del famoso vocabolario francese Le Littré, «genere letterario basato su l’immaginazione romanzesca e l’estrapolazione delle conoscenze scientifiche*», sembra descrivere in modo soddisfacente le caratteristiche del nostro topico, dato che permette di mettere in rilievo la sua doppia natura. Infatti la fantascienza, correntemente denominata SF in francese dagli anni settanta, è composta da due elementi perfettamente antagonisti che però hanno saputo armonizzarsi a meraviglia per creare un genere detonante e originale: il ragionamento logico e la fantasia sbrigliata, ovvero la scienza e la finzione. Sottolineiamo che è essenziale l’estrapolazione delle conoscenze scientifiche cui Le Littré fa menzione a buon diritto per delimitare la fantascienza francese da altri generi letterari, come il fantastico o la fantasy. Troppi sono gli autori che amalgamano questi generi differenti, e che tendono a considerare questi ultimi due come sotto generi di una fantascienza che diventa allora uno guazzabuglio comodissimo per inglobare le letterature a base di finzioni speculative. La differenza maggiore consiste nel fatto che i mondi descritti nei libri di fantascienza, per quanto sembrino essere lontani dal nostro, non nascono mai dal nulla completo. È proprio perché i loro autori si ispirano alle conoscenze scientifiche che regolano il nostro mondo fino a svilupparle in modo estremo che il legame coll’ambiente a noi familiare non è mai completamente spezzato. Lungi dal limitarsi alle scienze esatte, quelle a cui fanno richiamo gli autori di fantascienza per avvalorare le loro estrapolazioni inglobano anche le scienze umane, giacché l’esplorazione delle possibili evoluzioni delle organizzazioni socio politiche degli esseri viventi è sempre stata una sfida essenziale per la fantascienza. In compenso, la letteratura fantastica così come la fantasy, genere che ha conosciu- to un rapido e notevole sviluppo durante gli ultimi anni e la cui affiliazione al fantastico è chiara, propongono dei mondi da accettare così come sono, e dove il meraviglioso inesplicato e quasi magico regna da padrone. Gli svolgimenti logici delle loro trame, posti agli antipodi di quelli della fantascienza, non devono nulla al mondo reale. Una volta ammessa la doppia natura particolare della fantascienza francese, è possibile completare la sua definizione precisando gli argomenti da lei trattati? Qui la faccenda si complica, dato che i temi e i sottogeneri che compongono questa letteratura sono molto numerosi. Difatti esistono diverse tradizioni, dato che i soggetti fantascientifici hanno cambiato man mano che la storia dell’uomo stesso si è evoluta. La fantascienza, qualunque sia il sottogenere al quale si ricollega, è sempre stata un modo di parlare degli uomini, e più particolarmente dei suoi desideri e delle sue paure. Con questa letteratura, i grandi sogni dell’umanità hanno trovato uno spazio dove realizzarsi pienamente. Che si tratti di domare gli elementi naturali, la morte o ancora il tempo, la fantascienza offre all’uomo la possibilità di speculare sul suo destino e talvolta può anche rivelarsi visionaria. I mondi paralleli, i viaggi nel tempo o ancora gli extraterrestri sono stati degli artifici a lungo privilegiati. Quando la fantascienza si dà invece come scopo di denunciare, si compiace di di- L E T T E R AT U R A dosi. Rimane però la questione della possibilità di delimitare la scienza dalla finzione, cosa che non è mai facile in materia di fantascienza. Elementi di storia Il padre incontestato della letteratura fantascientifica francese, e forse anche mondiale, è il celeberrimo Jules Verne cui la fama ha oltrepassato i confini del suo paese da tanto tempo ormai. Con i Voyages Extraordinaires che redige per conto dell’editore Hetzel con il quale rimarrà sotto contratto per più di vent’anni, rende all’ultima moda il romanzo di anticipazione scientifica. Tuttavia, esiste tutta una serie di autori che si possono considerare come dei precursori in materia: citiamo Cyrano de Bergerac che fin dal 1657 pubblica Les Etats et Empires de la Lune, Voltaire e il suo Micromégas oppure Sébastien Mercier, autore di L’An 2440 (1771). I romanzi che Jules Verne pubblica per la rivista Le Magazin d’Education et de Récréation diretta da Hetzel hanno come pretesto l’istruzione dei ragazzi e dimostrano una preoccupazione costante per la divulgazione scientifica. Nel 1864, Verne propone ai suoi giovani lettori Voyage au Centre de la Terre che combina in modo originale avventura e scienza, e figura fra i suoi romanzi più famosi. Gli eroi immaginati da Verne esplorano anche lo spazio (De la Terre à la Lune, 1865; Autour de la Lune, 1870) e gli abissi (Vingt Mille Lieues sous les Mers, 1870) nei suoi romanzi che presentano stupefacenti qualità visionarie, anticipando la creazione del sottomarino moderno e la conquista della Luna dall’uomo. Più di un secolo dopo la sua morte, Verne, il nantese il cui centenario della scomparsa è stato festeggiato nel 2005, si rivela essere di grande modernità ancora oggi. La tradizione fantascientifica inglese, paragonata a quella francese, viene inaugurata poco dopo con The Time Machine di Wells (1895) e quella americana più tardi ancora. Nel 1929, Hugo Gernsback, grande ammiratore di Verne Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan struggere antichi mondi in opere a carattere apocalittico e a mostrarne la degenerazione tramite distopie. I romanzi post apocalittici e le utopie intendono costruire nuovi mondi, sulle ceneri ancora fumanti delle vecchie civiltà distrutte nel primo caso oppure a carattere ideale nel secondo. Per quanto riguarda le ucronie, sono invece forme particolari di elaborazione di un nuovo mondo, o piuttosto del nostro mondo come sarebbe potuto essere giacché consistono nello sviluppare le conseguenze di una mutazione del corso degli eventi a partire da un punto preciso della nostra storia. Questi sotterfugi letterari permettono allora di aprire un occhio critico sulle azioni dell’uomo e di denunciare sia gli effetti dei regimi totalitaristi e delle guerre, sia le conseguenze, reali o probabili, dello sviluppo tecnologico. Così, fra i temi più frequentemente trattati, troviamo le sfide ecologiche, le modifiche genetiche, lo sviluppo delle nanotecnologie e l’autonomia dell’intelligenza artificiale. Tuttavia, bisogna tenere a mente che la fantascienza, lungi dall’aver sempre avuto come preoccupazione il polemizzare o lo speculare sull’applicazione fatta dagli uomini del loro sapere scientifico, è anche apparsa come una letteratura senza pretese, cui l’unico scopo può riassumersi nel divertire il lettore. Può allora essere considerata come un genere particolare di romanzo di avventure, il romanzo d’avventure scientifico. Infine, un’altra tradizione consiste nel porre come base del racconto fantascientifico dei riferimenti scientifici rigorosamente esatti; ciò non impedisce per niente uno sviluppo del tutto speculativo come nel caso della hard science, corrente poco diffusa in Francia, oppure l’inserimento di questi dati in un racconto di avventure, come fatto da Jules Verne. In entrambi i casi, si potrebbe affermare che il romanzo prende allora un valore pedagogico, che l’intento sia dichiarato chiaramente o no, dato che fornisce al lettore l’occasione d’imparare diverten- 73 Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan 74 L E T T E R AT U R A e direttore della rivista statunitense Amazing Stories, conia il termine «scientifiction» che diventerà poi «science fiction», ovvero fantascienza, e che sostituisce così l’espressione «anticipazione scientifica» di connotazione francese. Si può dire quindi che la letteratura francese ha avuto un ruolo fondamentale nella storia della fantascienza, e la via aperta da Verne ispira più di un autore. I suoi successori sviluppano la tradizione, pur testimoniando un certo pessimismo. Tuttavia, la critica letteraria dell’epoca considera la fantascienza come una letteratura di massa e si dimostra poco favorevole, atteggiamento che frena notevolmente il suo sviluppo. I fratelli Boex, più noti come J. H . Rosny, pubblicano insieme Les Xipéhuz (1887), romanzo cui l’azione si svolge in un’epoca preistorica lontana e che mette in scena un incontro fra umani e extraterrestri. Successivamente, incominciano a scrivere ognuno per conto suo e J. H. Rosny detto «Aîné» redige nel 1910 La Mort de la Terre, racconto post apocalittico nel quale un Adamo e un’Eva dei tempi futuri generano una nuova razza di esseri viventi, metà uomini e metà minerali. J. H. Rosny è anche l’inventore del termine «astronaute» (Les Navigateurs de l’Infini, 1928), e ha prestato il suo nome a uno dei più prestigiosi premi di letteratura fantascientifica. Nel 1910, Maurice Renard pubblica il suo capolavoro Le Péril Bleu in cui l’intrigo del giallo si unisce alla fantascienza, e che abbozza degli extraterrestri molto più evoluti degli umani. Altro esempio di romanzo facendo parte della tradizione pessimista che mette in guardia l’uomo contro se stesso è Quinzinzili (1935), una distopia post apocalittica nella quale un pugno di sopravvissuti descritti con ironia mordace si inventano un dio dopo essere scappati ad un cataclisma provocato dalla guerra. Il suo autore, Régis Messac, ha scritto inoltre saggi letterari sul tema della fantascienza che figurano fra i primi. Altri scrittori meno famosi come Albert Robida e Gustave Le Rouge sono comunque importanti per la storia della fantascienza francese anteriore alla seconda guerra mondiale, e meritano di essere ricordati. Nel 1943, lo scrittore René Barjavel si rivela al pubblico con la pubblicazione di due opere: Ravage e Le Voyageur Imprudent. Gli intenti di denuncia sono costantemente presenti nei suoi scritti, che usi procedimenti post apocalittici o di ritorno nel tempo. Il suo avvertimento contro gli eccessi della scienza e la pazzia della guerra prospetta l’umanità in modo pessimistico. Così, in Ravage, una semplice mancanza di corrente riesce ad inghiottire tutta una civiltà all’avanguardia in campo tecnologico. I pochi superstiti, a prezzo di un lungo percorso pieno di insidie, riescono a raggiungere il sud della Francia, unica parte del paese risparmiata dalla follia tecnologica e nella quale gli uomini vivono ancora in modo ancestrale secondo sani valori campagnoli. Barjavel è stato acerbamente criticato per le tendenze pétainistes che traspaiono dalla sua opera (ri- L E T T E R AT U R A Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan cordiamo che il motto del regime di Vichy era «Travail, Famille, Patrie»), ciò non di meno, rimane un fondamento essenziale per la fantascienza francese nel contesto della seconda guerra mondiale piuttosto cupo per la letteratura, così come era stata la prima. Dopo Barjavel, certi saggisti come Evans pensano che un ciclo si concluda nella storia della letteratura fantascientifica francese, segnando la fine di un primo periodo. Tuttavia, l’inaugurazione di quello che deve essere considerato come un secondo periodo non avviene sotto i migliori auspici, anzi: si tratta di un momento infausto per la produzione di opere letterarie francesi di fantascienza. Infatti, il decennio che va dalla metà degli anni quaranta a circa la metà degli anni cinquanta venne nominato «traversée du désert» da Gérard Klein (l’autore tuttavia lo prolunga fino agli anni sessanta). Come spiegare questo declino in un paese così tanto precursore? Gli strascichi della grande guerra non bastano a giustificare tutto. Gli Stati Uniti che avevano inaugurato la loro tradizione di fantascienza molto più tardi hanno conosciuto fin dall’alba degli anni trenta il loro periodo aureo in materia, che è durato fino agli anni cinquanta inclusi. Dominano dunque la produzione letteraria di opere di fantascienza mediante un movimento di espansione opposto a quello della Francia. Meglio: l’ondata americana invade il mercato francese, grazie particolarmente alla creazione dall’editore Hachette nel 1951 della collana Le Rayon Fantastique che ha contribuito largamente a far conoscere i grandi autori americani che in seguito avrebbero influenzato molto gli scrittori francesi. Lo stesso anno, viene creata la famosa collana Anticipation della casa editrice Fleuve Noir in risposta a Hachette, inaugurando una lunga tradizione di romanzi popolari sul modello dello «space opera» americano. Talvolta sono stati criticati per i loro intrighi semplicistici e per la loro qualità letteraria minore, ma hanno tuttavia rivelato alcuni autori francesi interessanti: Jimmy Guieu noto dai suoi lettori come Wul, il prolifico Kurt Steiner alias André Ruellan o ancora B. R. Bruss, significativo fino agli anni settanta. Anticipation ha conosciuto un successo tale da durare sino al 1998. In questo contesto molto americanofilo, molti autori francesi hanno scelto di prendere come pseudonimo un nome che suonava americano. Notiamo però che Le Rayon Fantastique, in un secondo tempo, ha anche contribuito al lancio di una nuova generazione di autori francesi di ottima qualità come Carsac, Drode, Curval o Klein, che hanno potuto fare i primi passi in questa collana e che hanno mostrato forse più interesse per la psicologia dei personaggi rispetto agli autori americani. Infine, altri autori che non sono passati né da Le Rayon Fantastique né da Anticipation hanno compensato il calo della produzione letteraria di quegli anni vuoti con la pubblicazione di opere significative. 75 Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan 76 L E T T E R AT U R A Jacques Spitz, scrittore dallo stile disilluso ed ironico, si è ispirato molto al fantastico e al surrealismo per redigere le sue opere, vere e proprie satire nelle quali denuncia la debolezza della natura umana. L’Œil du Purgatoire uscito nel 1945 rimane il capolavoro di quest’autore dimenticato per tanto tempo e che è appena stato ripubblicato in Francia. Nel 1952 vengono pubblicati Une Nuit Interminable di Pierre Boulle, il cui stile ricorda quello di Spitz, e Les Animaux Dénaturés di Vercors (pseudonimo di Jean Bruller), opera a carattere filosofico nella quale degli antropologi trovano la specie che costituisce l’anello mancante fra l’uomo e la scimmia e che diventa così pretesto per un’interrogazione sulla natura reale degli umani. A partire dalla fine degli anni cinquanta, il vento di una nuova stagione soffia sulla letteratura fantascientifica francese. Gli autori che avevano iniziato a scrivere durante il decennio scorso si affermano come rappresentanti di una nuova generazione di scrittori. Questa rinascita, d’altronde, prosegue negli anni settanta. Il cambiamento si manifesta con un’evoluzione dei contenuti: anche se continua ad esistere una letteratura fantascientifica principalmente di intrattenimento, ne appare un’altra più matura ed impegnata che sviluppa delle sfide sociali di attualità come l’ecologia, il ruolo dei media, il rapporto con il potere o ancora le nuove tecnologie. D’altra parte, alcuni scrittori si ispirano allo stile «space opera» nato negli Stati Uniti adattandolo alla letteratura francese. Infatti, fin dagli anni cinquanta, è andato di moda in America questo genere di avventura epica che si svolge su scala interplanetaria, anche se in principio ha avuto una connotazione peggiorativa in riferimento agli «soap opera». Scrittori come Francis Carsac, autore di Ce Monde est Nôtre (1962) e Gérard Klein (il cui pseudonimo è Gilles d’Argyre) che ricopre i vari incarichi di romanziere, novelliere, editore di antologie di fantascien- za francese e saggista senza pari, si sono così cimentati nel genere, tuttavia con uno stile più intellettuale e meno spettacolare. Autori affermati segnano gli anni sessanta con nuovi capolavori: Barjavel, che dopo un lungo periodo di silenzio torna alla fantascienza nel 1962 con La Nuit des Temps, romanzo che tratta il tema della caduta delle civiltà, e Pierre Boulle, che nel 1963 pubblica il suo famoso La Planète des Singes, racconto di successo che rimette in questione lo status di essere più intelligente dell’uomo e che è stato oggetto di un adattamento cinematografico. Durante gli anni settanta, la letteratura di fantascienza prosegue nel suo sviluppo e suscita sempre di più l’interesse di autori di letteratura generale, come Robert Merle, che adottano momentaneamente il genere. La novella non è da meno giacché vengono pubblicate eccellenti raccolte da scrittori confermati: citiamo di nuovo Klein con La Loi du Talion (1973), e Michel Demuth che è stato premiato da «Le Grand Prix de la Science-Fiction Française» per Les Galaxiales pubblicato nel 1976. Inoltre, questo genere ha trovato nelle riviste un mezzo importante di diffusione. Questo decennio è anche un periodo di consacrazione per Philippe Curval, brillante autore che aveva iniziato a scrivere fantascienza negli anni cinquanta e che rimane uno dei pochi scrittori francesi ad essere stato pubblicato negli Stati Uniti. Le sue opere, come Cette Chère Humanité (1976), dimostrano la sua capacità di creare universi extraterrestri originali. Se il contenuto della fantascienza cambia, certi autori si sforzano peraltro di rinnovarne la forma affinando lo stile. Così Charles Duits gioca volentieri con le parole e crea un linguaggio extraterrestre nella sua ucronia Ptah Hotep (1971), nella quale la civiltà greco - egizia domina il mondo del ventesimo secolo. In modo più ovvio ancora, Michel Jeury scrive durante quelli anni dei romanzi dallo stile molto elaborato. La sua L E T T E R AT U R A Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan prosa, molto spezzata, si ispira molto al movimento francese del Nouveau Roman. Nel 1973, pubblica Le Temps Incertain, romanzo di buona qualità letteraria che tratta le tematiche del viaggio nel tempo, del totalitarismo e del potere delle multinazionali. Per finire, gli anni settanta sono anche quelli che svelano al pubblico Jean-Pierre Andrevon. Nel 1969, questo scrittore molto impegnato, che illustra perfettamente la nuova fantascienza militante emersa negli anni sessanta, pubblica Les Hommes Machines contre Gandahar, libro che presto incontra un grande successo. Épilogue, Peut-Être (1973) e Le Monde Enfin (1975) fanno parte delle migliori opere che scrisse durante il decennio. All’alba degli anni ottanta, lo sviluppo dell’informatica genera cambiamenti radicali nel modo di vivere delle società occidentali. A partire dal 1984, data di pubblicazione del famoso Neuromancer di Gibson, emerge ufficialmente negli Stati Uniti una nuova corrente letteraria fantascientifica del tutto inedita che si da come scopo di riflettere sulle mutazioni in corso e di anticiparne le conseguenze in un futuro prossimo. Le opere di questo movimento detto «cyberpunk» si presentano il più delle volte sotto forma di distopie nelle quali degli antieroi disillusi e ribelli ad ogni tipo di autorità (cui l’archetipo rimane l’hacker) si ritrovano alle prese con potenze mal identificate in un universo in cui le multinazionali fanno da padrone. Poggiano su recenti scoperte in ambito informatico e sugli sviluppi della genetica per estrapolarne le conseguenze che appaiono allora sconvolgenti e in certi casi anche probabili. L’intelligenza artificiale, la fusione del reale col virtuale, la creazione di esseri ibridi metà uomini metà macchine, e più tardi le nanotecnologie, la clonazione e gli OGM sono altrettanti temi privilegiati dall’universo cyberpunk che sebbene non siano tutti innovatori (essendo già stati sfruttati i robot ed i cloni in letteratura), presentano tuttavia nuovi sviluppi. Il movimento cyberpunk americano fa presto ad amplificarsi sino a diventare una vera e propria controcultura. Però, se conosce sviluppi così promettenti negli Stati Uniti, non si può dire la stessa cosa della Francia dove gli autori di fantascienza rimangono poco inclini a questa nuova corrente. Solo alcuni scrittori utilizzano le tematiche cyberpunk nelle loro opere, e molto spesso in modo involontario e fugace. Notiamo la finzione politica di Andrevon Le Travail du Furet (1983) che denuncia il controllo degli individui da parte dello Stato, o ancora La Mémoire Totale (1985), primo romanzo fantascientifico di Claude Ecken che immagina un mondo farcito di intelligenza artificiale e sconvolto da una ma- 77 Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan 78 L E T T E R AT U R A lattia che cancella la memoria. Benché La Mémoire Totale abbia abbastanza elementi per essere considerato a pieno titolo un’opera cyberpunk se non addirittura un’opera pionieristica in materia, non si può evocare una filiazione cosciente e ricercata al movimento sapendo che Ecken non aveva mai letto Gibson prima. Infine, Emmanuel Jouanne, scrittore anticonformista che si era fatto notare grazie ai suoi romanzi Damiers Imaginaires e Ici-Bas, ha inaugurato nel 1988 un ciclo chiamato Terre en Phases che non ha mai portato a termine ma in cui, nei due primi volumi Le Rêveur de Chat e La Trajectoire de la Taupe, evoca i temi dell’informatica e della disgregazione dello Stato. Quest’autore, scheggia impazzita della fantascienza che aveva fondato con Antoine Volodine e Jacques Barbéri il gruppo di sperimentazione letteraria Limite, è purtroppo caduto nell’oblio per un certo periodo in Francia, mentre è più noto in Italia per la sua saga gialla Soviet scritta insieme a Yves Frémion. Deceduto da poco, qualche editore prenderà probabilmente a cuore la ripubblicazione della sua opera per ridargli il posto che merita presso il pubblico. Lontani dalla fantascienza impegnata degli anni settanta e dagli universi cyberpunk, la maggioranza degli altri scrittori di successo negli anni ottanta adottano un genere più leggero. Così Michel Jeury, mentre continua a pubblicare romanzi speculativi più intellettuali nella prestigiosa collana Ailleurs et Demain di Laffont, scrive numerosi libri di fantascienza d’avventura per conto della casa editrice Fleuve Noir. Serge Brussolo, che si dedica alla fantascienza fino agli anni novanta, è anche lui uno scrittore molto prolifico i cui racconti si trovano al limite del fantastico. In mezzo al mare di opere non sempre di ottima qualità che pubblica allora, si notano più volentieri il suo primo racconto di novelle Vue en Coupe d’une Ville Malade (1980) e ei suoi romanzi Les Mangeurs de Murailles (1982) e Les Semeurs d’Abîmes (1983). Bisogna aspettare gli anni novanta perché il movimento cyberpunk ispiri realmente gli autori francesi. Fra quelli più significativi, troviamo il controvertissimo Maurice Dantec con Les Racines du Mal (1993), Jean-Marc Ligny e il suo Inner City (1996) o ancora Paul Borelli autore di Désordres (1998) e più recentemente di L’Ombre du Chat (2002). A quell’epoca, però, il cyberpunk non è più ciò che era prima: alcuni sviluppi tecnologici predetti si sono rivelati esatti, come l’avvento di una rete di comunicazione mondiale che oggi non è altro che internet. Questi sviluppi hanno indotto ad un mutamento del cyberpunk che si è dovuto adattare alla realtà che era stata in un certo qual modo superata dalla finzione. Questo nuovo orientamento del discorso ha fatto proclamare da alcuni la fine del cyberpunk a beneficio dell’avvento del post-cyberpunk. Forse si può notare semplicemente un’evoluzione del movimento che ha dovuto rivedere i propri paradigmi, e il cui tocco ribelle si è indebolito proponendo eroi sempre più integrati nella società, ma che conserva tuttavia in gran numero le sue caratteristiche più significative. Comunque sia, non è trascurabile l’influenza diretta o indiretta che ha potuto avere il cyberpunk sugli autori francesi. L E T T E R AT U R A ri. Come abbiamo potuto vedere, gli scrittori francesi adoperano volentieri stili diversi. Se sono rappresentati bene lo steampunk e lo space opera, La Zone du Dehors pubblicato nel 1999 dal criticato Alain Damasio mostra che non è ancora scomparsa la fantascienza politica; in quanto a Claude Ecken, rimane uno dei pochi a praticare la «hard SF» a dispetto di tutte le tradizioni francesi (il suo romanzo La Fin du Big Bang pubblicato nel 2001 esplora la fisica quantistica senza essere inaccessibile al lettore) mentre continua a scrivere fantascienza avveniristica di qualità eccellente, come provato dalla sua raccolta di novelle Le Monde Tous Droits Réservés (2005). Ma questa proliferazione di stili è il segno di una letteratura che cerca sé stessa, oppure mostra la vitalità della produzione francese? Non c’è alcun dubbio che ai giorni nostri il mercato della fantascienza sia ampiamente dominato dagli anglosassoni. Il periodo in cui la Francia faceva da modello è davvero passato. Ma dobbiamo per questo ascoltare le Cassandra che predicono la morte della tradizione francese? I loro allarmi non sono nuovi: già negli anni cinquanta faceva da pretesto lo spettro dell’egemonia fantascientifica americana. Se si vuole prendere la briga di fare attenzione alle ultime pubblicazioni, si potranno trovare delle perle molto promettenti fra i giovani autori. A cominciare da Catherine Dufour, che è diventata nota al pubblico grazie al suo cupo romanzo Le Goût de l’Immortalité e che ci ha regalato nel 2008 l’ottima raccolta di novelle L’Accroissement Mathématique du Plaisir, nel quale eccelle nel maneggiare stili letterari diversi. Nel 2009, Stéphane Beauverger ha pubblicato Le Déchronologue, romanzo di pirateria dove sfrutta l’idea di distorsione del tempo e che lascia presagire il meglio per quanto riguarda le sue opere future. Infine Norbert Merjagnan, autore di Les tours de Samarante che merita senza dubbio un approfondimento. Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan Forse è ancora più flagrante l’infatuazione francese per lo steampunk, altro genere nato negli Stati Uniti durante gli anni ottanta (se non addirittura negli anni settanta) da cui si è diffuso. Il termine, che proviene dall’inglese «steam» il cui significato è «vapore», indica uno sviluppo della fantascienza particolarmente originale che consiste nel situare l’azione dei racconti in pieno ottocento, integrando un certo numero di anacronismi tecnologici come i computer o la genetica. Ispirato alla letteratura fantastica e al romanzo di avventure, lo steampunk presenta mondi ucronici nei quali prevale la civiltà della macchina a vapore. Dalla fine degli anni novanta, si sono moltiplicate le opere francesi steampunk: citiamo come esempi Confessions d’un Automate Mangeur d’Opium (1999) de Mathieu Gaborit e Fabrice Colin, la trilogia della Luna che ha cominciato a pubblicare nel 2000 Johan Eliot o ancora Dreamericana (2003) di Fabrice Colin. D’altra parte, lo space opera continua ad ispirare gli autori francesi, senza che si possa però equiparare le loro opere a quelle degli autori americani che hanno contribuito a fare evolvere il genere verso un contenuto più guerresco, incitando i critici a usare la qualifica «nouveau space opera» per designare quelle pubblicate negli Stati Uniti dagli anni novanta. In Francia i migliori saggi space opera di quegli anni li dà Ayerdhal (pseudonimo dello scrittore lionese Jacky Soulier), che propone con le sue saghe La Bohême et l’Ivraie e Mytale una fantascienza impegnata con uno stile piuttosto intellettuale. Pierre Bordage, peraltro autore dell’ucronia Wang (1998), si dedica anche lui allo space opera usando uno stile più leggero con il suo ciclo Les Guerriers du Silence (1993). La fantascienza degli anni duemila rimane più difficile da analizzare: innanzitutto per mancanza di distacco, dato che è sempre pericoloso pronunciarsi su un decennio incompiuto, ma forse anche a causa della proliferazione di generi lettera- 79 Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan 80 L E T T E R AT U R A Scheda critica Norbert Merjagnan ha fatto i primi passi in letteratura nel 2008 con Les tours de Samarante, unico romanzo che abbia proposto al pubblico finora. La storia della sua pubblicazione non è banale: mandato via posta, il racconto di Merjagnan che doveva inizialmente chiamarsi La Nuit des Sémuramat è stato ammesso dopo alcune modifiche nella prestigiosa collana Denoël Lunes d’Encre diretta da Gilles Dumay, alias l’autore di fantascienza Thomas Day. Da poco tempo, questo ex professionista dell’informatica parigino si è trasferito a Nantes per poter stare «vicinissimo alle Utopiales*» (famosissimo festival di fantascienza francese), cambiare vita e dedicarsi alla scrittura. Purtroppo il suo libro non è ancora disponibile in italiano, ma meriterebbe senza dubbio di essere tradotto. In un mondo che gli Anziani hanno devastato attraverso l’uso delle armi climatiche, provocando in questo modo guerre spaventose che hanno minacciato di estinguere l’umanità, la vita si è riorganizzata in un insieme di città dette «mirandiennes» che hanno concluso un patto per lo meno di relativa pace suggellato dall’organizzazione degli Ordini, una combinazione di sei entità governative che regolano tutte le zone urbane. Al di fuori delle città, alcune tribù guerriere recalcitranti ad adattarsi alle esigenze della civiltà urbana hanno eletto come domicilio l’Aliène, immensa superficie desertica ed inospitale. È in questo contesto che ci vengono presentati successivamente tre eroi, Oshagan il guerriero che torna a vendicare la memoria della sua famiglia dopo dieci anni di esilio nelle montagne, Cinabre, la «préfigurée» nata nelle cisterne dell’Humanie che possiede sorprendenti poteri empatici, e Triple A, il monello dei bassifondi che agisce come una scheggia impazzita e non ha altro scopo che quello di conquistare la sua libertà. Tutti sono intimamente legati a Samarante, città luogo dell’azione e argomento principale del libro. Il romanzo è una progressiva andata verso un avvenire incerto, dove delle forze oscure e delle motivazioni segrete, svelate col contagocce al lettore, impongono come fondale una cappa di piombo. A poco a poco, si incrociano i destini dei tre eroi e si annoda l’intreccio. Sembra essere la ribellione la parola chiave che permette di capire quello che li unisce. Oshagan è guidato dalla collera, mentre Triple A si avvicina alle sei Torri, quartiere generale degli Ordini e simboli assoluti del potere. Cinabre, accompagnata da amici dissidenti, guida il lettore in una ricerca poliziesca mettendosi sulle orme delle forze malvagie e della propria identità circondata dal mistero. In questo universo nel quale è stata spinta ad un alto livello di evoluzione la «technigence», ovvero l’intelligenza artificiale, dove può essere sintetizzata ogni materia, biologica come minerale, nel quale possono essere trapiantati i cervelli sulle macchine e dove diventa realtà tangibile il concetto di intelligenza plurale, esistono tuttavia meccanismi che stroncano l’invasione della tecnologia: sono la Lepre, malattia incurabile delle macchine che porta la notte primitiva nella Città, e il Male che trasforma gli umani in sgraditi mutanti. L’ultimissimo scopo della civiltà urbana è di raggiungere la Soglia a partire dalla quale inizierà una nuova era per l’umanità e nella quale regnerà la «crea- L E T T E R AT U R A la vitalità della letteratura fantascientifica francese. Dal momento che viene ammessa l’esistenza di un vivaio di ottimi autori, cosa manca a questa letteratura per affermarsi realmente? Forse questa citazione di Klein ci può aiutare ad identificare il vero problema: «Una letteratura è un’identità collettiva. Ha un futuro solo se, a qualche livello, è conscia del suo passato, dei fermenti originali che racchiude e dei rapporti che mantiene con i diversi modi di essere della società nella quale è nata e si sviluppa*». Questa coscienza collettiva non deve essere a carico soltanto degli autori, sarà invece con l’appoggio di editori esigenti, di antologisti scrupolosi, di saggisti e di critici competenti che la letteratura fantascientifica francese spiccherà davvero il volo. Bibliografia e sitografia La science-fiction par le menu – Problématique d’un genre, rivista letteraria mensile Europe, n°580-581, agosto-settembre 1977. Slusser George, Science Fiction in France: an Introduction, in Science Fiction Studies n° 16, novembre 1989. En un Autre Pays, antologia della fantascienza francese dal 1960 al 1964 a cura di Gérard Klein, Seghers, Parigi, 1976. Science-fiction, littérature de, articolo estratto dall’enciclopedia in linea Microsoft Encarta 2008, http://fr.encarta.msn.com Portale http://www.cafardcosmique.com *** Perché aver evidenziato in questo modo Norbert Merjagnan? Semplicemente perché le qualità letterarie che racchiude la sua prima opera ne fanno un simbolo del- NOTE: *N.d.R.: citazioni tradotte dal francese. Edith Faure Da Jules Verne a Norbert Merjagnan tura», essere perfetto che gli scienziati «Humanes» s’impegnano a creare. Al termine del racconto, il lettore è un poco più informato sull’origine del male che rode la città, molto di più sui tre eroi, ma intuisce, giustamente, che l’autore non ha ancora svelato tutti i suoi segreti: i guerrieri Letaï arrivati alle porte della città lasciano presagire una guerra imminente e danno campo libero a un secondo volume. Dopo un certo periodo necessario per abituarsi al vocabolario specifico sia della fantascienza che di Merjagnan, ci si immerge letteralmente nel racconto con l’aiuto di un utilissimo glossario fin dai primi intrecci delle storie di ogni eroe. I temi trattati dimostrano una forte influenza cyberpunk, dagli attentati tecnologici cagionati alla sacralità del corpo umano all’ambiente naturale passando dalla pubblicità-propaganda e dal distacco dalle radici culturali. Gli sviluppi originali della storia, malgrado la solita sconfitta finale del cattivo, denotano una suspense continua. Per quanto riguarda lo stile, elaborato e fluido nello stesso tempo, trabocca di trouvaille letterarie, fra le quali un sapiente uso dell’argot, di neologismi e di simboli poetici. C’è però un’abbondanza di protagonisti talvolta abbandonati dall’autore strada facendo, alcuni procedimenti grossolani come l’inserimento di una lista di persone da eliminare, e dei dialoghi talvolta un po’ deludenti. Tuttavia, questi difetti minori sono trascurabili in una prima opera di ottima qualità che annuncia un seguito molto promettente, che secondo l’autore dovrebbe orientarsi sulla città di Treis…avviso agli appassionati. 81 Gianluigi Gentile Boccadasse o la partecipazione rovesciata 82 ARCHITETTURA BOCCADASSE O LA PARTECIPAZIONE ROVESCIATA di Gianluigi Gentile La recente vicenda, peraltro non ancora conclusa, che ha visto il confronto fra l’architetto Mario Botta e i cittadini residenti a Boccadasse in merito all’intervento immobiliare progettato sull’area dell’attuale rimessa degli autobus, offre lo spunto per alcune considerazioni di carattere generale sul ruolo che il progettista è chiamato a svolgere in un quadro di riferimento come quello che si sta configurando sull’onda dell’attuale globalizzazione. La cronaca è ormai nota: l’area, destinata dal P.U.C. ad attività urbane, è stata venduta dall’A.M.T. alle cooperative Abitcop che hanno affidato il progetto all’architetto ticinese, che ha svolto il suo incarico con professionalità ed abilità stilistica, configurando un intervento con decisi riferimenti agli stilemi propri di Louis Kahn, individuabili soprattutto nelle torri cilindriche che caratterizzavano le prime due proposte. E così iniziato un percorso accidentato che in qualche modo si potrebbe definire di “partecipazione rovesciata”, attraverso l’elaborazione di diverse ipotesi progettuali, sottoposte a più riprese da una serie di feed-back da parte dei cittadini, fino a costringere l’architetto ad una revisione completa del progetto, che peraltro è stato ripreso dal Settore Pianificazione Urbanistica del Comune e ripresentato ad un’assemblea pubblica il 6 aprile, attivando in questo modo una forma di partecipazione più congruente. La chiave di lettura critica dell’episodio, che si colloca ormai sulla border line fra cronaca e storia, si può trovare analizzando le modificazioni, ideologiche e di metodo, indotte dalla globalizzazione sulla prassi progettuale. La più evidente conseguenza di queste trasformazioni è la progressiva evanescenza della nozione di contesto, snaturata nella verifica e nel riferimento, pure necessario, all’evoluzione storica della morfologia urbana, mentre ≤va affermandosi una forma estetizzante di esercizio del “design”, che riconduce la prassi progettuale ad un’operazione di packaging, in cui il nuovo intervento trova il suo riferimento prioritario nelle istanze finanziarie e del consumo, spettacolarizzate attraverso l’architettura in quanto scenografia degli accadimenti. In ritardo su quanto verificatosi nel campo delle altre arti l’architettura partecipa a questa necessità di rifondazione del suo ruolo attraverso un’antinomia di indirizzi oscillante fra una “liquefazione” estrema, in cui forme e funzioni si dissolvono nell’ineluttabile programmatico, e l’approccio formalista in cui i significati sono alienati e crip- ARCHITETTURA 83 Gianluigi Gentile Boccadasse o la partecipazione rovesciata Il progetto rielaborato dal settore pianificazione urbanistica del Comune tati nella logica interna di un esercizio linguistico avulso dal contesto e mirato alla formulazione di un assetto ambientale alternativo. Lo stesso concetto di morfologia urbana viene messo in discussione da un’ottica che considera la città come luogo privo di vocazione storica e di realtà collettive, predestinato all’effimero della performance. Si rinuncia ad una progettualità finalizzata ad un assetto urbano estrapolato analizzando la vocazione del contesto, per assumere come parametri discriminanti le istanze espresse dai gruppi di maggioranza politica o di potere economico. Nel saggio “Contro la fine dell’architettura”, Vittorio Gregotti esprime questo giudizio: “Il paradigma del valore occasionale di immagine di marca dell’‘opera d’arte’ è diventato per l’architettura disastrosamente fatale. Le intenziona- lità appassionate degli anni Sessanta, giuste o errate che fossero, si sono trasformate in cinismo mercantile e le invenzioni linguistiche si sono appiattite fino a coincidere coi desideri di sorpresa del mercato” Il risultato di questa concezione è la formalizzazione completa delle istanze della società dello spettacolo così come è stata analizzata da Guy Debord. Questo tipo di approccio, già emerso nella recente storia dell’architettura, trova ora, almeno nelle intenzioni dichiarate, una completa espressione formale, facendo propri i dettami della società dello spettacolo, che coinvolge nel processo di omologazione l’architettura nel suo rapportarsi con la città. L’architetto opera attualmente in un quadro formalista dove l’impegno è ridotto a puro rigore semantico. L’apertura problematica indotta dalla Gianluigi Gentile Boccadasse o la partecipazione rovesciata 84 ARCHITETTURA crisi delle avanguardie e dalle tematiche del post moderno nella cultura architettonica contemporanea, configura un nuovo ambito disciplinarmente composito, una contaminazio in cui il progettista viene portato ad assumere nuovi stimoli dalla complessità del ruolo professionale che, sia pure in modo discordante, gli viene proposto, al di fuori della dimensione “creativa” autoreferente, forse definitivamente perduta. La dialettica fra i soggetti coinvolti nella fase progettuale postula la necessità di comunicazione e di scambio dei dati che in qualche modo devono trovare una convergenza negli obiettivi, coinvolgendo sistematicamente tutta l’elaborazione del programma. La sintesi nasce quindi da un confronto tra le implicazioni storicamente consolidate della progettualità, e le esigenze concrete dell’intervento, così come sono espresse dal quadro di riferimento morfologico e sociale. Questo iter progettuale “partecipato” si può con buona approssimazione assumere come simulazione di un processo metodologico che, originato da un problema concreto, arriva a configurare una realtà in divenire, fondativa per l’intervento nel suo rapportarsi con la realtà, anche nella sua componente utopica, proiettata cioè, al di là della definizione classica di utopia, verso un futuro possibile, anche se l’espressione dei suoi contenuti e gli strumenti necessari a realizzarlo non sono ancora praticabili a causa degli attuali condizionamenti. Il Movimento Moderno, a questo proposito ha svolto fin dalle sue origini un ruolo determinante di elaborazione metodologica, fornendo un sostanziale contributo alla formulazione dell’attuale concetto di progettazione integrata. È significativo come lo stesso Movimen- Il progetto più recente di Mario Botta to Moderno abbia potuto attuare il suo programma linguistico con una coralità che nel dopoguerra coinvolse anche le frange più conservatrici della cultura ufficiale, mentre è rimasto largamente inevaso il suo programma produttivo e urbanistico, ideologicamente alternativo agli obiettivi del pragmatismo liberista. La progettazione integrata, nata come paradigma fondamentale per la prassi interdisciplinare, consegnava alla fase esecutiva il progetto-prodotto come programma di attuazione. La globalizzazione, coinvolgendo gran parte dei settori dell’attività umana, compresa la progettazione architettonica, dilata il quadro di riferimento a livello planetario, in modo forse ineluttabile, ma tale da indurre ad analisi controverse in ordine alla sua possibile evoluzione. Il riflesso specifico del fenomeno in atto sulla prassi e sulla teorizzazione architettonica è la necessità di confrontarsi con una committenza sistematicamente indifferente alle specificità di contesti fra loro non confrontabili per cultura, tradizioni ed ambiente fisico, e di conseguenza refrattaria alla dialettica fra ARCHITETTURA Gianluigi Gentile Boccadasse o la partecipazione rovesciata morfologia urbana e tipologia edilizia. Paradossalmente riaffiora sotto un diverso aspetto la concezione progettuale del “modello”, storicamente accantonata dai contributi del Movimento Moderno e dalla stessa architettura organica, concezione che si adatta a strumento di intervento della globalizzazione, poiché facilmente assoggettabile, come ideologia e come metodo, alle regole imposte dal mercato. Ci si trova in presenza di episodi progettuali che oscillano fra l’assoluta indifferenza della forma al suo contesto e il mimetismo folcloristico (le parole di Mario Botta, sotto questo profilo sono emblematiche): “La spiaggia è relativamente lontana dalla zona dell’intervento, non ha un diretto rapporto fisico, però abbiamo fatto in modo che la maggior parte delle abitazioni abbia un rapporto visivo con il mare. Per il resto poi ci può essere un richiamo nell’utilizzo di determinati materiali nella costruzione. Spero che sia un intervento che arricchisca la zona”. La tipologia è progettata in funzione di un rapporto col contesto considerato dall’interno, come panorama, mentre si affida alla texture il compito di instaurare con l’ambiente un dialogo di mimesi epidermica, approccio già emerso nella recente storia dell’architettura. Tutto questo mentre sembrava ormai fondamentalmente acquisito che le condizioni morfologiche, storiche e sociali nella loro persistenza e nella loro evoluzione dovessero costituire il back ground irrinunciabile della prassi progettuale, tanto più influente quanto più è articolato il metodo col quale queste componenti vengono analizzate. In assenza di questo quadro di riferimento, ci si trova di fronte ad una forma strisciante di colonizzazione da parte di iniziative immobiliari, o di una forma di spettacolarizzazione mediatica da parte delle istituzioni locali, che spesso utilizzano la formula del concorso come alibi ideologico. Bisogna rimarcare a questo proposito che, come è stato osservato, forse lo strumento operativo del concorso, non inquinato ed eventualmente sottoposto a referendum, avrebbe potuto garantire una forma di partecipazione più articolata, permettendo di raccogliere il contributo di diversi punti di vista. Gi anluigi Ge nt ile 85 Mario Pepe Due poesie 86 POESIA DUE POESIE di Mario Pepe OTTOBRE Ottobre si ripresenta con le solite folate di vento fresco, le stesse foglie rosse di rappresentanza, con la determinazione con cui si è presentato alcune pestilenze fà, trenta volte durante la guerra dei trent’anni, sessantasette volte per consigliarmi che pullover indossare con i colori dell’autunno, cinque volte soltanto a chi lo riconosce appena, inutilmente, per chi se n’è andato in primavera. A ELISA Le parole lievi e sconnesse, che la tua incerta figura di bambina sospinge leggere nell’aria tremolante, dubbiose di raggiungermi, disorientate come farfalle appena liberate dalle tue mani socchiuse, sono i suoni deliziosi di quell’intesa che da poco stabilita tra di noi, poco durerà nella tua memoria, appena il tempo di giocare con i vestiti delle tue bambole. MUSICA di Milena Antonucci V’è all’interno del mondo e delle cose una recondita cassa di risonanza. La sua eco ci culla laddove l’udito riprende a stupirci, e la vista si compone di quadri d’apparizioni fugaci. In questa fascinosa regione, in questo lotto di terra astratta, si chiede soltanto che una vita trascorra, che un motivo si sprigioni e diffonda, noncurante l’istante della propria dissolvenza. Che il motivo, mutante, danzi e balzi sulla vita. Ci troviamo in una stanza che ci offre protezione uterina e orecchio fetale. I suoni ci riconducono alla nascita primordiale dei sensi umani. Persino la parola accorre da remoti confini di significato ed irrompe con rinnovata forza. Rimbombando, più non si spiega, ma flagella il mondo. Lo denuda. Crollano quegli orpelli che la nostra ostinata presunzione ha voluto agganciati alla tossica coltre che maschera un sentimento che dell’ascolto e della visione ha conosciuto soltanto il terrore. Si comincia con il silenzio. Se ne subisce incanto e tradimento. Quindi, ci si accorda. Per infrangerlo. Si gioca a romperlo. To play music. A love story. Questo violino, colui che viola i confini di discernimento uditivo. Lo stupore incontaminato. Strumento che, da corde, volge in fiato. Transmutations1. Stefano Pastor ha chiamato così un suo album, e l’ha dotato del suo violino davvero sublime, poiché in grado di costruire e confondere mondi. Con-fondo è un verbo che a noi suona ostile perché vogliamo ci suoni ostile. La confusione spaventa, poiché tutto si fonde e nulla più si distingue. Esso però può anche agire come fondo tutto in me, divento tutt’uno con i sensi e con il mondo, non avverto frammento, bensì lo comprendo, l’includo. Non balza, nell’immediato, una soluzione più fresca, più libera e creatrice? Credo che uno dei meriti maggiori di chiunque voglia, con la propria, persona- Milena Antonucci Evocazioni ascoltando Stefano Pastor SULLE CORDE DELL’ARIA Evocazioni ascoltando Stefano Pastor 87 MUSICA Milena Antonucci Evocazioni ascoltando Stefano Pastor 88 lissima maniera, comunicare con molti stia proprio nella cura a vincolarli il meno possibile, e a donare loro la libertà d’immaginare. E, qui, sta lo strumento. La possibilità del dono in cui si vive solo la visione e ci si dimentica donde sia giunta. La generosità che dimora all’interno della creazione, a questo punto, risuona. Stefano Pastor lo sa bene. Schiude visioni di libertà e di metamorfosi, concedendoci un dinamismo genuino e sorprendente, stupendo il nostro udito che più non sa se l’aria che sta ascoltando giunga da un violino o da un saxofono soprano, ma che neppure se ne preoccupa, poiché quell’aria di matrice misteriosa sfiora le corde dell’anima. E, solo questo, crea la differenza. Quella differenza che garantisce ogni vita, quei cicli che ritornano. Di Cycles2, appunto, si tratta. Album di eccezionale vitalità e minuziosa cura. Cura allo stupore offerto da immagini fuggitive, da note tese come fasci di luce, in cui compaiono oggetti e presenze, rimbalzano ombre tonde, spingono fanciulli i piedi, offuscati poco dopo dalla polvere. Apparizioni vivide e pure in un tempo remoto ed immacolato. È così che prendono vita i testi poetici di Erika MUSICA “For interior voice, musical instruments and objects” Per informazioni complete: www.stefanopastor.com www.erikadagnino.com NOTE: 1 Transmutations, Slam Productions - SLAMCD 512 – 2006. 2 Cycles, by Erika Dagnino and Stefano Pastor, Slam Productions - SLAMCD 514 – 2007. Milena Antonucci Evocazioni ascoltando Stefano Pastor Dagnino, i quali suonano a loro volta, mentre gli occhi scorrono tra le sue pulsanti parole all’interno di mondi magnifici. Si assiste, in questo caso, ad un perfetto connubio tra musica e poesia, una fusione atta alla potenza di quella occulta visione offertaci da un lampo che pare squarti i luoghi del quotidiano per restituire il nostro occhio, il nostro orecchio e i sensi tutti al brivido dello sconosciuto. Difficile è, comunque, parlare, scrivere di musica. In questa sede mi sono limitata a ciò che l’ascolto, la vibrazione, m’hanno gittato dentro e hanno concesso che si mutassero in un quadro dinamico di visioni interiori e barlumi per l’occhio invisibile. Un vibrare di corde interne. È per questo motivo che v’invito al solo ascolto. Un ascolto attento, spalancato, un ascolto che richiede l’attraversamento di strati del sensibile, scegliendosi sul momento la possibilità di dimorarvi. 89 Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea 90 EVENTI LA MOSTRA Terza Biennale d’Arte Contemporanea GenovARTE 2009 Palazzo Stella, Genova 20 giugno – 7 luglio 2009 di Mario Napoli GenovARTE giunge quest’anno alla sua terza edizione, consolidando il suo ruolo promozionale in riferimento alla crescita e allo sviluppo delle attività culturali e artistiche, ed affermando ormai con pieno diritto la propria appartenenza al panorama culturale della Città. Un evento propulsivo nel campo delle arti figurative, progettato e strutturato con lo specifico obiettivo di una scadenza biennale, orientato ad organizzare un luogo di scambio e di confronto, conduce ad un percorso che, per le condizioni in cui si trova ad operare chi si propone di portarla a compimento, si presenta disseminato da rilevanti complessità operative. La folta partecipazione a quest’ultima edizione (centosessanta artisti) fornisce la conferma di un costante incremento, ed offre, grazie al grande numero di partecipanti, un’attendibile base d’analisi critica sugli indirizzi espressivi manifestati delle individualità che in questo momento si propongono di mettere in gioco la propria creatività. Dal numero e dalla varietà delle opere presentate, è consentito di osservare come, accanto al consolidarsi di un’espressività basata sulla persistenza storica e culturale di formule fondamentalmente tradizionali, si affermi progressivamente un ricorso alla contaminazio dei linguaggi e alle tecniche multimediali, con una crescente tendenza, da parte dell’espressione pittorica, verso nuove forme di simbiosi con categorie espressive differenti. Quest’osservazione offre l’occasione per allargare l’analisi sulle valenze sociologiche dell’iniziativa: le modalità dalla spettacolarizzazione tendono a omologare e a fornire una chiave di lettura in cui confluisce una vasta gamma di realtà fra loro non congruenti. Le diversità e i contrasti costituiscono la fenomenologia di questo assetto, che si manifesta sul piano sociale, e che deve essere diagnosticato nel suo divenire. Analizzato secondo i suoi parametri, la spettacolarizzazione è l’affermazione d’ogni attività umana nel momento in cui si manifesta, si impone quindi come una valenza dalla cui positività non è possibile prescindere, al di là di qualunque analisi etica. Il messaggio che ci perviene dallo spettacolo come pratica diffu- EVENTI Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea Sergio Poggi, I pescatori, acrilico su tavola, 87x100, 2008 sa è l’affermazione della positività di tutto quanto riesce a proporsi come immagine. Confrontando il senso di quest’analisi con la genesi dell’evento di cui parliamo, è possibile interpretare l’iniziativa GenovARTE, vista nell’orizzonte culturale delle altre manifestazioni di Satura, come una risposta dialetticamente organizzata allo svilupparsi del fenomeno. Nel caso specifico, infatti, ammesso che la qualità si manifesti attraverso i modi della fenomenologia, ci troviamo di fronte ad una congruente forma di spettacolarizzazione e d’assimilazione delle strategie della comunicazione di massa da parte del mondo culturale, con un salutare effetto maieutico su risorse intellettuali e creative normalmente condannate all’autoreferenza dalle formule speculative del mercato. L’attuale contingenza critica costringe a riflettere su di una realtà di cui bisogna riuscire a prendere atto con tutta la chiarezza possibile. Nella congerie degli accadimenti recenti è necessario riconoscere quelli si- 91 Francesca Cambi, Red I, fotografia N&B, 70x50, 2007 gnificanti, connotati dalla consapevolezza della fase di revisione critica che stiamo attraversano e capaci di individuarne le cause, gli aspetti e le prospettive. L’evento della Biennale GenovARTE contribuisce in modo sostanziale a quest’obiettivo, non interviene dall’alto con la promozione di tematiche o di modalità espressive particolari, ma affronta correttamente il problema rilevando induttivamente dalla base un insostituibile repertorio analitico, adatto a fornire gli elementi necessari per la costituzione di un laboratorio permanente di monitoraggio sullo stato dell’arte, e destinato ad esercitare una preziosa funzione di orientamento nei confronti del pubblico. Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea 92 EVENTI GIURIA DELLA 3A BIENNALE D’ARTE CONTEMPORANEA GENOVARTE 2009 Erika Bailo critico d’arte Barbara Cella critico d’arte Chiara Guarnieri critico d’arte Gianluigi Gentile critico d’arte Mario Pepe critico d’arte Milena Mallamaci direttore artistico Mario Napoli presidente associazione Satura PREMI GENOVARTE 2009 Sergio Poggi 1° Premio Pittura per l’essenzialità della costruzione formale Soungho Min 1° Premio Scultura per l’originalità del soggetto Francesca Cambi 1° Premio Fotografia per la complessa armonia dei movimenti Serena Scapagnini 1° Premio Grafica per la fantastica ricchezza dell’immagine Sergio Lombardino Premio della Giuria per la notevole resa pittorica Gabriele Buratti Premio della Critica per l’espressiva concettualità Luigi Carpineti Premio Creatività per un felice riazzeramento del segno Maura Ghiselli Premio Giovani per il suo senso poetico Rodolfo Vitone Premio al Maestro per la sua ricerca appassionata Walter Accigliaro Franco Bastianelli di Laurana Angelo Pio Biso Paolo Brasa Virginia Cafiero Gianfranco Carrozzini Milly Coda Luigi Copello Riccardo Dametti Josine Dupont Monica Frisone Alfredo Galleri Anna Lauria Grazia Lavia Milena Lionetti Sergio Massone Vincenzo Mattaliano Riri Negri Erik Ferrari Ortelli Raffaele Pareto Spinola Kay Pasero Lucia Pasini Roberto Perotti Armelle Pindon Marco Ponte Alessandro Tambresoni Giuseppe Tipaldo Maria Vittoria Vallaro Patrizio Velluci medaglia Associazione Culturale Satura coppa Presidente Municipio 1 Centro Est targa Carige, Cassa Risparmio Genova medaglia Associazione Culturale Satura coppa Presidente Consiglio Regionale coppa Presidente Ente Fiera Genova coppa Presidente Regione Liguria coppa Assessorato alla Cultura Municipio 1 Centro Est medaglia Associazione Culturale Satura targa Assessorato alla Cultura Provincia di Genova premio Autorità Portuale di Genova coppa Assessorato alla Cultura Municipio 1 Centro Est medaglia Associazione Culturale Satura coppa Associazione Culturale Satura medaglia Associazione Culturale Satura premio Autorità Portuale di Genova medaglia Associazione Culturale Satura targa Carige, Cassa Risparmio Genova premio Autorità Portuale di Genova medaglia Associazione Culturale Satura targa Assessorato alla Cultura Regione Liguria coppa Camera di Commercio Genova targa Assessorato alla Cultura Comune di Genova coppa Presidente Provincia di Genova targa Carige, Cassa Risparmio Genova coppa Sindaco di Genova coppa Associazione Culturale Satura targa Presidente Consiglio Regionale premio Autorità Portuale di Genova EVENTI Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea accigliaro walter, aiazzi antonio, aimetta simone, alasia silvana, arscone tommaso, ascoli roberto, baldo laura, bartolini luigi, barzelogna deborah, bastianelli di laurana franco, belmasgrégoire claudine, benaia ennio, benedetto eliana, benedetto maura, bergonzi riccardo, biancatelli fulvio, bisio raffaella, biso angelo pio, boffelli michele, boldrin erminia, brasa paolo, bresin antonella, bruzzone paolo, buratti gabriele, cafiero virginia, calzolari sara, cambi francesca, caminati aurelio, cantamessa margherita, carpineti luigi, carrozzini gianfranco, cavalieri lina, cavallaro emmanuel, chiappori rossana, chiarenza donatella, ciurlo gian paolo, coda milly, copello luigi, coraci nicola, crepaldi giuliano, cyran elisabeth, Soungho Min, Casa di sogno, bronzo, 50x30x20, 2008 dabusti carla, dagnino marina, dal farra cesare, dametti riccardo, de chirico valentina, de longhi stefano, de marco mariangela, de sanctis oliveri mirella, demicheli maria pia, di nitto maria, di sanza angela, dubbini federica, dudu, dupont josine, farnè sergio, feligini saverio, ferrari ermano, ferrari ortelli erik, fiorito germano, fiorito marina, francescon enrico, frisone monica, galasso wilma, galleri alfredo, galleri francesca, galletti omar, gatti corrado, gazzana sandra, ghersi paolo silvano, ghilarducci laura, ghiselli maura, giovagnoli luisa, giovinazzo fabio, godoy marlène, gruppo 6 it-ti, Serena Scapagnini, Fugacità, carboncino, olio, inchiostro su carta intelata, 113x83, 2008 hinz karl-heinz, kaly I PARTECIPANTI: 93 EVENTI Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea 94 Sergio Lombardino, Fiat 500, tecnica mista, 190x190, 2008 Gabriele Buratti, Acqua secca, olio misto su tavola, 100x100, 2009 lidia, kasyanov boris, kitatani toshiko, lammardo simone, lauria anna, lavia grazia, leopoldo luciano, lepre rodolfo, levi giorgio, liaci eugenia, lionetti milena, lo ré marina, loew sylvia, lombardi isa, lombardino sergio, lorenzelli elisa, lotito donato, lupo tina, macchia michele, magnoni walter, mariani Luigi Carpineti, Ornamenti e arnesi dell'Africa del sud-est, acrilico su tela, 100x120, 2009 Maura Ghiselli, Ballerina, fotografia digitale 70x50, 2009 EVENTI Mario Napoli Terza Biennale d’Arte Contemporanea sofia, pappalardo paola, pardini gian guglielmo, pareto spinola raffaele, pasero kay, pasini lucia, pastura paola, perotti roberto, petrolini arcella giuliana, piana nicolò, piccardo giuliana, pindon armelle, poggi sergio, polastri vincenzo, polvanesi luigia, ponte marco, rancan marta, regnicoli giorgio, resinelli luana, rossi enrico paolo, sanseverino pasquale, sapenza orazio, saracino sergio, scapagnini serena, silvestrini giuliana, sireci claudio, soldatini gabriella, spriano karla, taddei andrea, tambresoni Rodolfo Vitone, Modella, tecnica mista, 100x70, 2006 alessandro, tarsitano savina, tipaldo giuseppe, tomasetti manuela, marsigliani giulia, martin claudio, totolo lorena, trabucco mauro, massone sergio, mattaliano fabrizio, traina pietro andrea, vincenzo, melita rita, menozzi traverso federica, tunolo denise, gemignani graziella, messina vallaro maria vittoria, antonino, micci massimo, min soung vassallo petronilla, vecchione ho, mordini roberta, moretti dina, roberto, vellucci patrizio, vitone moscato manuela, negri riri, niero rodolfo, zamponi antonietta, simona, nucera tiziana, paoletti zucchelli rosanna. 95 Mario Napoli “La moneta infame” di Giancarlo Ragni 96 EVENTI IL LIBRO “La moneta infame. Intrighi e delitti nella Genova del ‘600” di Giancarlo Ragni Fratelli Frilli Editori, Genova di Mario Napoli Grande partecipazione di critica e di pubblico nelle sale di Palazzo Stella per la presentazione dell’ultimo di libro di Giancarlo Ragni, “La moneta infame. Intrighi e delitti nella Genova del ‘600”, Fratelli Frilli Editori, Genova. Con l’autore sono intervenuti: Giuliano Montaldo regista cinematografico, Michele Serrano animatore culturale, Mauro Pirovano attore, Fabio Biale violino e voce del gruppo EVENTI La scheda: Martedì 20 marzo 1685, notte di plenilunio: una finestra spalancata, un corpo che vola giù, nella strada deserta. Un cadavere che stringe tra le mani una moneta. Disgrazia? Suicidio? Omicidio? Ed ecco i fratelli Ponce de León, di ritorno a Genova, nuovamente coinvolti nell’indagine su una morte dagli aspetti misteriosi. Sono bastati, infatti, qualche moina e i seducenti occhioni della bella Francisca Lomellini a trascinarli in un altro intricato affaire: è Diego, particolarmente sensibile al fascino della giovane nobildonna, ad accettare senza esitazione, convinto di arrivare con facilità alla soluzione. E invece, proprio partendo dalla moneta stretta tra le dita del cadavere, si dipana un’indagine molto più complessa del previsto: nuovi morti ammazzati, traffici illeciti, veleni, frati stravaganti, alchimisti, mercanti di schiavi, puttane e altri personaggi si aggiungono a complicare la vita dei due fratelli. Su e giù per le crêuze di Genova, qualche puntata al di là dell’Appennino, ai confini della Repubblica, un viaggio a Venezia e, finalmente, viene individuato il misterioso filo che collega gli strani indizi, raccolti anche grazie a Ferdinando che, svogliatamente al seguito del volitivo Diego, risulta alla fine più arguto del previsto. Così, tra colpi di scena e imprevedibili capovolgimenti di situazioni (nessuno è quello che appare!), i Ponce de León arrivano ad assicurare alla giustizia la persona responsabile degli efferati delitti, con un epilogo inaspettato anche per loro. Gian Carlo Ragni è sceneggiatore, autore radiotelevisivo e teatrale. Tra le sue opere si ricordano Processo a un marinaio (selezione Prix Italia 1992), Un papa, L’invisibile, Un marinaio (Rai Radiotre) e Sinfonia Barocca (trenta puntate per Rai Radiodue). Per il teatro: Corsari, Presenze, Illusioni, Un bel sorriso…prego!, Il Metodo Tricheur, Tabarchini, Artemisia, La Guerra del bersagliere Giromino…, Mauro Cuoco (di cognome!). Con Fratelli Frilli Editori ha pubblicato Il Cadavere di piazza Banchi (2008), il racconto Al di là del muro (Raccolta Incantevoli Stronze, 2008) e una nuova versione di Al di là del muro (Raccolta Donne, 2009). Mario Napoli “La moneta infame” di Giancarlo Ragni musicale ‘I Liguriani’. Una bellissima serata ispirata dagli interventi di Giuliano Montaldo e da uno strepitoso Mauro Pirovano che leggendo pezzi del libro ha saputo trascinare il pubblico all’interno della storia. Giancarlo Ragni con quest’ultimo libro edito da Fratelli Frilli, si pone al centro di attenzione del panorama giallistico ligure e non solo. 97 Maura Ghiselli Luigi Carpineti 98 VETRINA LUIGI CARPINETI di Maura Ghiselli “I l ge n t i l’uo mo è c o l u i c h e s i i nn amo ra c o me u n p az z o , mai c o me u no s t o l t o ” F ranç o i s d e La R o c h e f o u c au ld Con queste parole lo scrittore e filosofo francese Francois de La Rochefoucauld stabilisce senza mezzi termini la netta differenza tra la folle genialità e la semplice stoltezza e, sempre con queste parole, introduco la presentazione alla raccolta di lavori del pittore/filosofo Gianluigi Carpiteti. Tutto ciò a dimostrare un’ineluttabile premessa di fondo: quando il gesto pittorico si traduce in immagini apparentemente solo emozionali, impulsive e prive di studi compositivi ma che comunque riescono a trasmetterci perfettamente il significato che impregna forme e colori allora vuol dire che a priori c’è ben altro che un semplice ed istintivo tratto del pennello sulla tela. Casolari in campagna, tempera su tela, 60x60, 2009 VETRINA 99 Maura Ghiselli Luigi Carpineti Ornamenti ed armi dell'Africa del sud-ovest, tempera su tela, cm 100x120, 2009 La produzione di Carpineti mi porta alla mente uno studio del sociologo e storico dell’arte Georg Simmel sull’opera e la vita di Michelangelo: in questo caso Simmel analizza la perenne ed apparentemente impalpabile dualità della scultura michelangiolesca, costantemente in esatto equilibrio ma anche pericoloso bilico tra l’esigenza di trasmettere alla sue forme una carnalità terrena e contemporaneamente una spiritualità celestiale. Il risultato di questo costante conflitto tra umano e divino, o, come nel caso di Carpineti, tra pensiero e forma, che ne ha caratterizzato l’opera così come l’intera esistenza, è l’ingrediente nascosto e allo stesso tempo fondamentale per comprendere come dietro alla produzione creativa si cela comunque e sempre un uomo, con una vita, con dei tormenti, con dei conflitti e l’artista che rende giustizia al termine è colui che è in grado di tradurre e di dare vita propria a tutto questo. Allo stesso modo è percepibile un dualismo analogo nelle immagini di Carpineti: ciò che ci fa capire chiaramente, anche solo dopo un primo sguardo, che dietro a queste composizioni fatte di colori e forme non riconducibili nell’immediato ad un dato reale e tangibile c’è una coerente consapevolezza intellettuale ed una finissima sensibilità estetica è proprio il dualismo tra il bisogno di esprimere attraverso le immagini un sentimento interiore colto ed importante e la lucida capacità di farlo attraverso l’utilizzo di forme semplici ed incisive. Cogliere nel segno significa proprio arrivare al punto in cui il significato e la forma, anche quando si manifesta come astratta e puramente emozionale, sono unicamente due parole per uno stesso soggetto. Raimondo Sirotti Josine Dupont 100 VETRINA JOSINE DUPONT di Raimondo Sirotti Già nel 2006 ebbi modo di scrivere come per Josine Dupont vi fosse, pur di fronte ad una chiara pittura di paesaggio, “il rifiuto della definizione descritta” portando il suo lavoro verso una visione personale e quindi “diversa”, fatta di una serie di tocchi lievi e veloci, una pittura, quindi, dove il nitido si sfocava, liberandosi poeticamente dai contorni rigidi e definiti. Tutto questo a vantaggio del crearsi di atmosfere non solo ambientali, ma maturate nel mondo dell’emozione. Nel suo più recente lavoro si sente, viva, un’ulteriore presa di distanza dal “descritto”, quasi vi fosse in Josine una sorta di insoddisfazione nei confronti di una mimesi che non soddisfa più il suo La modella, olio su tela, 50x50, 2009 VETRINA 101 Raimondo Sirotti Josine Dupont Oceano mare, acrilico su tela, 100x120, 2009 Omaggio a El Greco, acrilico su tela, 120x100, 2009 desiderio di uscire allo scoperto con macchie e gesti. E qui, ovviamente, avviene il mutarsi inevitabile di una tecnica pittorica che si avvicina, ora, ad una pratica gestuale, fatta però di macchie mai abbandonate a se stesse, ma sempre riconducibili all’identificazione dell’immagine. Un’immagine che continua ad esplorare il mondo della figura come ricerca, con una carica di umanità sempre presente nel lavoro di Josine Dupont. Ora, poi, questa esplorazione ha iniziato una nuova avventura, portata a scavare con grande curiosità in alcuni dipinti del passato utilizzando la stessa procedura pittorica attuata sulla figura dal vero. Ne risultano soluzioni di grande interesse, che comunicano con un linguaggio vivo ed attuale e per- mettono, anzi inducono, a riappropriarsi dell’immagine originaria con una nuova forma di lettura. Maura Ghiselli Marco Ponte 102 VETRINA MARCO PONTE di Maura Ghiselli “Legge, moralità, estetica, sono state create perché l’uomo rispettasse le cose fragili. Le cose fragili dovrebbero essere rotte.” Louis Aragon Per comprendere l’opera di Ponte è necessario rispettare una prima, essenziale analisi formale del suo lavoro; all’interno delle immagini che ci propone coesistono tre elementi che sono, sostanzialmente, le colonne portanti della sua ricerca pittorica: una grafica pulita e quasi architettonica, una tematica introspettiva e freudiana e colti omaggi al panorama artistico del 900. La cosa che sorprende davanti a tutto questo è come un bisogno così forte di raccontarsi, di auto analizzarsi e di mettere in scena temi di grande impatto emotivo si concretizzi in un gesto che non tradisce quasi nessuna emozione, in un segno impeccabile, assolutamente controllato. E forse, questo è proprio l’ingrediente che al contempo ci destabilizza e ci aiuta a capire in maniera probabilmente inconscia il denominatore comune del suo lavoro: nulla può o deve essere spiegato a priori, il pre- The true device to reach the eternal rest, acrilico su tela, 100x150, 2009 VETRINA 103 Maura Ghiselli Marco Ponte Turnover, tecnica mista su tela, 100x100, 2009 concetto, o meglio, come disse Sir Joshua Reynolds, “…la teoria che si sforza di indirizzare o controllare le Arti è necessariamente fallace o illusoria…per quanto pos s a s embrare s trano dirlo, l’immaginazione è il luogo dove abita la verità.”, proprio perché è sempre e solo dall’immaginazione e da ciò che alberga nel mondo interiore di un individuo che ha origine ogni azione che questo compie. L’utilizzo di temi appartenenti a contesti religiosi o comunque insiti di una forte valenza drammatica, è affrontato in maniera sobria ma assolutamente anticonvenzionale: i soggetti trattati sembrano essere quasi antagonisti al loro signi- ficato tradizionale, perché si discostano volutamente e nettamente dal loro messaggio originale. In questo modo, citando un passo del saggio scritto dallo storico dell’arte Anthony Julius, in casi come quello di Ponte ci imbattiamo in “…un’ arte disincantata che agisce per sottrazione..”, i corpi dei soggetti rappresentati, da San Sebastiano trafitto dalle frecce al Cristo deposto dopo la morte sulla croce, sono corpi martoriati che non lasciano trapelare il minimo accenno di sofferenza, in una sorta di “ iconografia cristiana sprovvista di fede”. Così l’arte può ritrarre convenzioni per poi infrangerle, con un colpo di pennello. Barbara Cella Maria Vittoria Vallaro 104 VETRINA MARIA VITTORIA VALLARO di Barbara Cella La pittura di Maria Vittoria Vallaro è caratterizzata dalla volontà di mettere in scena una rappresentazione fantastica dove la libertà di espressione viene prima di tutto. La sua forza creativa consiste nel capire ciò che la tela e il colore le comunicano. C’è un dialogo, un flusso continuo tra lei e il quadro dove è quest’ultimo che detta le regole e non viceversa. Maria Vittoria non parte mai da un soggetto precostituito, da un’idea già totalmente definita o da un disegno preciso di base ma si spoglia delle griglie conoscitive per seguire ciò che dal colore e dal gesto può venire fuori: è come partire per un viaggio senza conoscerne la meta Colpo di fulmine a Genova, tecnica mista, 50x50, 2009 VETRINA 105 Barbara Cella Maria Vittoria Vallaro Giro, girotondo, tecnica mista, 150x100, 2009 o senza sapere esattamente quale strada prendere per arrivare. Ed è proprio il suo viaggio interiore che la porta a liberarsi da ogni sovrastruttura per approdare al puro gesto pittorico che trasmette e riceve, immettendo da prima campiture di colore, a volte liquido a colare, a volte più denso e materico e vedendo dove questo la può portare. E dove mette il colore lo toglie anche e togliendolo scopre forme e soggetti che la prendono per mano e la portano a formare la “Storia”. Perché Maria Vittoria racconta, alla fine di questo suo percorso, storie fantastiche che prendono vita durante l’esecuzione e alla fine ti ritrovi con maghi e principi, maga- Senza titolo, tecnica mista, 50x50, 2009 Passeggiata, tecnica mista, 50x50, 2009 ri nati da uno schizzo blu o uno sbuffo giallo, girotondi di vele e farfalle, donne sognanti che fanno capolino da un sipario di fiori, pesci e gatti, soli e lune che si rincorrono in un movimento a spirale che li riconduce verso se stessi nel centro dell’essenza della vita. Ma tutta questa apparente casualità non potrebbe esistere senza una grande competenza sia pittorica che figurativa, acquisita nel corso degli anni grazie alla frequentazione di maestri come Nutarelli, Bagnasco e Antola che le hanno trasmesso la capacità di esprimersi servendosi della tecnica per liberarsi completamente nell’arte. Erica Bailo e Mario Pepe Rubrica Genova 106 R U B R I C A G E N O VA GENOVA “PENSARE PITTURA” Museo d'Arte Contemporanea Villa Croce 16 aprile - 11 ottobre 2009 Il Museo di Arte Contemporanea di Genova ospita la rassegna “Pensare Pittura. Una linea internazionale di ricerca negli anni ‘70” sul movimento Nuova Pittura o Pittura Analitica. Una ricerca che si sviluppa intorno ai primi anni Settanta a livello internazionale, in Italia come in Europa (Francia, Belgio, Olanda, Germania e Gran Bretagna) e negli Stati Uniti. Legati, in parte, alla corrente Concettuale degli anni Sessanta, gli artisti di Nuova Pittura meditano sugli elementi fondamentali del processo pittorico come, le superfici, i colori, il segno. I materiali si presentano nella loro Josef Albers, Homage to the Square. fisicità, quasi a ricercarne l’essenza, mentre acquista valore anche il “gesto” pittorico. La mostra riunisce i più importanti nomi italiani e stranieri, con una sezione dedicata anche agli artisti che hanno ispirato il movimento. Il percorso espositivo inizia con un’ opera di Pino Pinelli del 1976, una tela di flanella con una lunga striscia blu dipinta, che ci introduce nella prima sala dove sono esposte le opere dei precursori del movimento. Troviamo artisti come Josef Albers, il celebre designer e pittore tedesco la cui ricerca artistica si fonda sui problemi legati alla percezione del colore, con “Homage to the square” (esemplare della serie di oltre 1000 versioni realizzate dall’ artista) composto da quattro quadrati di puro colore uno dentro l’altro. Un’ acquerello di Ad Reinhardt degli anni ‘40 è esposto nella stessa sala insieme ad “Attese” di Lucio Fontana del 1961, mentre nella sala successiva troviamo“Spazio Totale” e “Spazio-Vibrazione” di Mario Nigro del 1961, un’opera di Dorazio del 1964 e “Prospettiva per Paolo Uccello” la tela sagomata di Rodolfo Aricò del 1970. La sezione dei protagonisti accoglie le opere di Enzo Cacciola con i suoi cementi su tela, due opere accostate di Carlo Battaglia, un plexiglass di Marco Gastini del 1969, una tela di Griffa del 1976. Tra i gli artisti italiani espongono anche Vincenzo Cecchini, Claudio Olivieri con due grandi tele, Gottardo Ortelli (con l’opera Territorio, 1972), Paolo Cotani, Riccardo Guarneri, Carmengloria Morales (dittico composto da una tela bianca e una tela dipinta, 1971), Claudio Verna con un olio su tela e le opere monocrome di Gianfranco Zappettini (dalla Fondazione Zappettini di Chiavari). Al secondo piano del museo la sezione Orizzonti internazionali riunisce le opere dei più importanti maestri europei e americani. I gruppi francesi Support-Surface (Louis Cane, Claude Viallat, Vivien Isnard, Marc Devade e Noel Dolla) e BMPT con opere di Buren, Mosset e Toroni, la Nuova Astrazione inglese rappresentata dalle opere di Robyn Denny ( esposte nei primi anni Sessanta nelle due mostre londinesi intitolate “Situation” che danno origine al movimento), Alan Charlton e Alan Green. La Germania partecipa con opere di Wilfred Gaul e Raimund Girke, mentre gli Stati Uniti sono rappresentati da Kenneth Nolan, Robert Mangold con forme geometriche in legno dipinte a spruzzo, Agnes Martin con lavori che mettono in risalto la trama della tela attraverso una sottile stesura pittorica, Marcia Hafif, Lucio Pozzi con un dittico del 1974, Max Cole e Robert Ryman. La rassegna a cura di Franco Sborgi e Sandra Solimano è aperta fino all’undici ottobre 2009. “FIGURIAMOCI” Otto artiste alla Galleria d’Arte moderna e contemporanea Rotta Farinelli 7 maggio – fine giugno Sette pittrici e una scultrice invitate a confrontarsi sul tema figura con l’unica costrizione delle dimensioni del quadro, Cristina Di Perna: “olio su tela”, 2009 rigorosamente un metro e mezzo per un metro e mezzo. Sono quasi tutte allieve della pittrice Renata Soro e si confrontano quindi sulle basi di un apprendistato comune manifestando ognuna la propria crescita stilistica ed interpretativa. Così Cristina Di Perna prende in considerazione solo il volto ingigantendolo con un taglio fotografico-televisivo. Ma lo sguardo fisso e la colorazione a chiazze dei soggetti e degli sfondi rendono il risultato ben poco rassicurante. Alessandra Martignone invece predilige la figura intera, collocata in una stanza, seduta e disposta a farsi esaminare e sviscerare. Il ritratto che ne consegue è scavato e delineato da tratti essenziali che ricordano l’operare di Giacometti. Le bianche figure cartacee di Isabelle Consigliere sono al centro di un suggestivo spazio scenografico, dove le luci e gli sfondi neri semplificano i gesti, colti alle soglie di una potenziale rappresentazione teatrale. Ornella Pittaluga semplifica le sue figure di bambini mediante tecniche di fusione fotografia- RUBRICA MILANO Irma Blank, Horizont, 2009 deve alzare. L'orizzonte è la linea del desidero, della lontananza, dell'ignoto, dell'altrove. Presenza e assenza. Terra e cielo. Unisce e separa. È confine e al contempo apertura" (Irma Blank). “ENZO CUCCHI ATELIER BOVISA” Triennale Bovisa MILANO dialettico aperto. Dodici opere di grandi dimensioni e documenti video-fotografici contribuiscono a ricreare l’atmosfera dell’atelier dell’artista. In questi lavori, ricchi di simboli di matrice classica e onirica, il colore si accentua violentemente o viene appena accennato in un giocorimando con altri materiali, dal telaio di ferro alla gomma pigmentata. La forte propensione alla sperimentazione artistica di Cucchi, ha portato lo stesso Achille Bonito Oliva a definirlo come “una felice sintesi tra la scorrevolezza di segno di Licini e l’addensamento figurativo di Scipione con inciampi in altre materie”. TACITA DEAN STILL LIFE Palazzo Dugnani Sta per concludersi la prima grande mostra personale dedicata all’artista inglese di adozione berlinese Tacita Dean. La Fondazione Trussardi., da diversi anni impegnata a Milano nell’allestimento di mostre di artisti di rilievo nel panorama contemporaneo in diverse località storiche delle città, ha scelto come sede espositiva per la mostra di Tacita Dean Palazzo IRMA BLANK Horizont Spaziotemporaneo, Milano. L’orizzonte è sempre stato uno dei temi più ambiti e sondati in molte espressioni artisticoletterarie. Ma quale significato intrinseco e originario possiede? Irma Blank, presso la galleria Spaziotemporaneo, ricrea un orizzonte blu attraverso la composizione di più dittici, posti uno accanto all’altro per tutta la lunghezza delle pareti della galleria. Il nastro blu che si viene materialmente a creare si trova poco più in là dell’altezza media dello sguardo delle persone. Un orizzonte, quindi, vicino, non irraggiungibile, forse superabile. Una sorta di stimolo a mettersi in gioco, a superare e a rinnovare sempre le proprie aspettative, i propri orizzonti. "Lo sguardo si Enzo Cucchi, Courtesy Andrea Malizia L’iniziativa “Atelier Bovisa”, promossa dalla Triennale di Milano, inaugura con la mostra di Enzo Cucchi, artista di rilievo nel panorama dell’arte italiana ed esponente della Transavanguardia, movimento teorizzato da Achille Bonito Oliva. L’obiettivo del progetto mira a ripensare lo spazio come un laboratorio vivo, in cui il visitatore ha la possibilità di attingere direttamente al lavoro dell’artista in un confronto Tacita Dean, Day for Night, 2009. Foto di scena. Commissionato e prodotto da Fondazione Nicola Trussardi, Milano. Courtesy l'artista e Fondazione Nicola Trussardi, Milano. Serena Vanzaghi Rubrica Milano disegno su cui coagula stesure di colore che escono dal tracciato dei corpi come ad espandere l’intensa emozione che li lega nel gioco. L’eterno tema del nudo femminile è rimesso in gioco da Marina Bocchieri che, schematizzando le masse corporee, togliendo i volti, smaterializzando il colore riesce ad ottenere figure stilizzate che si fondono con l’ambiente circostante. Camilla Traldi sembra muoversi in uno spazio costruito per lei sola con la stessa consistenza e i colori dei suoi vestiti dove danza a suo agio ripetendo i gesti della quotidianità. I simboli della società dello spettacolo e dell’apparenza sono presi di mira da Anna Maria Romoli con tecniche pittoriche iperrealiste e tagli fotografici che mettono sullo stesso piano sia l’idolo da imitare, la diva del cinema, sia l’indumento griffato, come una camicia da notte. Carlotta Lecconi infine ritrae personaggi famosi nel campo dell’arte con forte segno espressionista ed una stesura pittorica molto fluida tesa ad una caratterizzazione psicologica dei soggetti. 107 Serena Vanzaghi Rubrica Milano 108 D A L L’ I TA L I A Dugnani, edificio secentesco ospitante gli affreschi del Tiepolo. Un connubio tra passato e presente che, anche in questa occasione, non si è smentito nella sua portata. L’esposizione presenta una selezione di quattordici opere tra cui due film in anteprima mondiale, commissionati e prodotti dalla stessa Fondazione. Nei due nuovi film, “Still Life” e “Day for Night”, l’artista rilegge lo spazio e gli arredi del piccolo studio di Giorgio Morandi a Bologna attraverso singolari analisi: filmando le linee disegnate sui fogli di lavoro su cui Morandi imprimeva a matita la posizione degli oggetti che dipingeva e analizzando con una luce inusuale le condizioni originali dello studio stesso. Attraverso un occhio maniacale, indagatore, l’artista riesce a rendere vivi personaggi, paesaggi oggetti e persino nature morte. come questa tecnica fosse presente in modo costante nella vita artistica di Fontana e come si riversasse in diversi ambiti: dalle progettazioni di allestimenti, ai disegni dei nudi o dei teatrini, sino a quelli per le ceramiche e per le sculture. Un vasto assortimento cartaceo che non necessariamente determinava o vincolava la fase di realizzazione dell’opera stessa ma che era di fondamentale importanza per l’autore, il quale aveva esigenza di segnare le proprie idee su fogli, quasi sempre dello stesso formato, quasi sempre in carta bianca, sui quali interveniva a matita o a penna. Tra gli aspetti che più colpiscono di questa ricerca attraverso i disegni, vi è la loro costante differenza dalle opere poi realizzate e il continuo cambiamento di registro espressivo, in base a dove fosse orientata, in quel periodo, la sua variegata produzione artistica. LUCIO FONTANA LE SCRITTURE DEL DISEGNO Fondazione Arnaldo Pomodoro FUTURISMO 1909-2009 Palazzo Reale La Fondazione Pomodoro, in collaborazione con il Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università degli Studi di Parma, espone, in via del tutto inedita, 127 delle 313 opere su carta di Lucio Fontana. Il disegno, nella proficua e varia produzione del Umberto Boccioni, Elasticità, 1912, Olio su tela, 100x100 cm. Milano, Civico Museo d’Arte Contemporanea Lucio Fontana, “Studi per figure e calesse”, matita e inchiostro su carta avorio a grana fine. maestro italo-argentino, è materia ancora poco studiata, ma la mostra in corso conferma Milano celebra il centenario del Futurismo, primo grande movimento artistico italiano, attraverso una serie di eventi promossi in città e raccogliendo al piano terreno di Palazzo Reale una grande mostra che espone più di cinquecento opere tra dipinti, sculture, disegni e progetti d’architettura. Il capoluogo lombardo, centro gravitazionale del primo periodo futurista, omaggia, dunque, a distanza di cento anni, questa avanguardia rivoltosa e visionaria, proponendo, nel percorso espositivo della mostra, un’indagine il più possibile completa e contestualizzata, partendo dalle origini tardo ottocentesche da cui il movimento nacque, passando per la sua completa fioritura a partire dal 1909, sino agli anni Trenta. Un excursus che, nella sua estensione polifonica, esprime la volontà di riconoscere, in tutti i suoi aspetti, l’importanza di questo importante movimento, un’importanza artistica nazionale e internazionale. PIERO GILARDI Galleria Ca’ di Fra’ Piero Gilardi è considerato uno degli esponenti dell’Arte Povera italiana. Egli ha da sempre indagato attraverso i suoi lavori gli elementi della realtà naturale o industriale come terra, acqua, fuoco ed energia. In questa personale viene omaggiata la serie di lavori, appartenente agli Anni Ottanta, intitolata “I Tappeti Natura”. La riproposizione artificiale di ambienti o materiali naturali crea un corto circuito che apre una serie di considerazioni sulla verosimiglianza che la società contemporanea persegue sotto molti punti di vista. Un avvicinamento da parte dell’arte alla natura, al quotidiano, agli elementi che sono beni di tutti ma che, allo stesso tempo, è anche critica velata nei confronti dei rapporti uomo-natura e del veroartificiale. Piero Gilardi, “Betulle”, 1986, 50x50. Courtesy Collezione Composti-Ca’ di Fra’ RUBRICA MILANO “Fratelli d’Italia” apre la mostra, oltre che a donarne lo stesso titolo. In questa installazione una lunga striscia ripropone il testo dell’inno nazionale parzialmente cancellato. La volontà dell’artista non è da Emilio Isgrò, Schiavi d’Italia, dal ciclo “Fratelli d’Italia”, 2008, 2x30 m. ricercare, peròrappresenta la più estesa e completa retrospettiva dedicata all’artista, poeta visivo e giornalista Emilio Isgrò. La mostra, curata da Marco Meneguzzo, presenta una serie di opere dagli esordi degli anni Anni Sessanta sino ad oggi e tre grandi installazioni tra cui “Fratelli d’Italia” (2008), opera inedita che, nella dissacrazione fine a se stessa, quanto nella volontà di esprimere un’idea, creando nuove possibilità di combinazione e significato tra le stesse parole dell’inno nazionale. L’atto della cancellatura in Isgrò, dunque, risulta essere “minacce di sparizione e, al contempo, un’epifania”, come lo stesso curatore ha sottolineato. ambiti, della mostra collettiva presso la galleria Galica a Milano. Le opere di Ignasi Aballì, Marco Di Giovanni, Aldo Grazzi, Philip Hausmeier, Jeffrey TY Lee, Sandrine Nicoletta, Paolo Parisi, Francisco Queiros, Andrei Roiter, Magnus Thierfelder si confrontano con una materiale semplice ma assai ricco di possibilità espressive: la carta. Attraverso esempi differenti, gli artisti indagano questo materiale, cercando di portare alla luce processi linguistici, esercizi di stile (come l’antica pratica del d’apres), ironiche riformulazioni delle percezioni e taglienti critiche sociali. fotografico, in un percorso di scoperta che è allo stesso tempo un’ulteriore conferma dell’importanza che il Giappone ricopre nel campo delle Arti Visive e della Fotografia. SGUARDI SUL GIAPPONE Forma Centro Internazionale di Fotografia Marco Zambrelli, pastello, Courtesy Galleria Magenta, Milano. Centotrenta fotografie di tredici autori di primo piano nel panorama fotografico contemporaneo vanno a delineare un ritratto vivo e artistico di un IT’S ONLY A PAPER MOON Galleria Galica “It’s only a paper moon” è il titolo, preso a prestito da una famosa canzone del 1933 e citato in più “It’s only a paper moon”, Courtesy Galleria Galica. Courtesy Daido Moriyama Paese quale il Giappone. Nella loro varietà, le fotografie esposte raccontano l’oggi della cultura nipponica: stili, cammini e temi che si intrecciano con l’ambiente e che oscillano nelle dinamiche individuo-gruppo, in cui identità singola, memoria e tradizione si sommano e si rinforzano a vicenda. Un Paese, un popolo e un’intera cultura che vengono svelati attraverso l’apparecchio MARCO ZAMBRELLI Rapsodia del sole. Galleria Magenta, Magenta. Laddove il sole, con la sua calda luce, si posa in modo libero e variegato sulle distese della campagna lombarda, sembra si venga a creare un gioco, una composizione di luci, colori e sfumature paragonabile a una rapsodia della stessa natura. Marco Zambrelli, attraverso la tecnica del pastello e dell’arte incisoria, ci invita a scoprire le note e i movimenti armoniosi di questa composizione, facendo riposare il nostro sguardo su una realtà campestre non ancora invasa dall’urbanizzazione e dall’industrializzazione. Una vera e propria parentesi dal caos e dalle brutture legate alle metropoli, un “locus amoenus” in cui risiede la possibilità di assaporare la pace della natura. Senza cadere nel descrittivismo, Zambrelli riporta alla mente ricordi vividi di freschezza interpretativa, mentre il gioco suggestivo di colori, contraddistinti da forte intensità, apre allo spettatore una distesa di luccichii e di prodigi della natura ancora intatta. APPUNTAMENTI MILANO SOLARIS Galleria Giò Marconi Il nome della mostra collettiva allestita presso la galleria Giò Marconi, “Solaris”, riprende il titolo di un romanzo cult di fantascienza degli anni Sessanta. Questo parallelismo introduce il Serena Vanzaghi Rubrica Milano EMILIO ISGRÒ FRATELLI D’ITALIA Galleria Credito Valtellinese. 109 Mario Pepe Rubrica Venezia 110 RUBRICA VENEZIA fil rouge delle opere dei dieci artisti internazionali presenti in mostra: paesaggi immaginari, creature fantasmatiche , visioni oniriche e forme ipnotiche si alternano in un percorso che oscilla tra memorie e profezie di civiltà future. LILIANA MORO ENDGAME Galleria Emi Fontana L’artista milanese Liliana Moro presenta, in questa ricca personale, un gruppo di tre sculture in vetro, una serie di oggetti e quaranta immagini a parete. Attraverso l’utilizzo di diversi media, l’artista si propone di indagare il difficile e delicato andamento del flusso emotivo, proprio di ogni essere umano, rivelato tramite l’amplificazione delle stesse percezioni. BARBARA PROBST Galleria Monica De Cardenas I lavori di Barbara Probst sono solitamente composti da un assemblaggio di più foto. Se di primo acchito le immagini ricondotte allo stesso gruppo sembrerebbero non avere nulla in comune, ad un secondo sguardo esse stesse rivelano essere la narrazione di una stessa scena ripresa da più punti di vista. La frammentazione di un secondo rappresenta per l’artista tedesca una possibilità per indagare le ambiguità inerenti alla stessa immagine fotografica. INGAR KRAUSS Galleria Suzy Shammah In occasione della sua terza personale italiana, il fotografo tedesco Ingar Krauss presenta una serie di ritratti e nature morte dalle Filippine dal titolo “Davao”. L’artista interviene direttamente con colori ad olio sugli scatti realizzati in bianco e nero, rialacciandosi così alle vedute coloniali e intensificando un’atmosfera di esotico languore. VIDEOARTE IN RUSSIA Galleria Nina Lumer Approdata in Russia negli anni del passaggio da Unione Sovietica a Russia contemporanea, la videoarte ha, da subito, svolto un ruolo di arte nuova, non convenzionale, al di fuori da qualsiasi vincolo con la tradizione artistica russa, da qualsiasi strategia del mercato dell’arte e orientata verso una forte sperimentazione. Oggigiorno il video rappresenta anche in Russia un interessante mezzo artistico di ricerca nelle sue molteplici forme espressive che vanno dalla registrazione di azioni e performance alla videoinstallazione ecc… In mostra saranno presenti i lavori di quattro video artisti, rappresentanti della fiorente pratica di questa tecnica in Russia. VENEZIA FARE MONDI Venezia Biennale Arte 2009 53a Esposizione Internazionale d’Arte diretta da Daniel Birnbaum e organizzata dal presidente della Biennale Paolo Baratta 7 giugno - 22 novembre 2009 Fare Mondi // Making Worlds collega in un’unica mostra le sedi espositive del rinnovato Palazzo delle Esposizioni della Biennale (i Giardini di 50 mila mq) e dell’Arsenale (38 mila mq), e riunisce più di 90 artisti da tutto il mondo, con nuove opere di tutti i linguaggi. “Il titolo stesso della 53a Esposizione Fare Mondi – ha dichiarato il Direttore Daniel Birnbaum – esprime il mio desiderio di sottolineare il processo creativo. Un’opera d’arte è una visione del mondo e, se presa seriamente, può essere vista come un modo di ‘fare mondi’. Prendendo il ‘fare mondi’ come punto di partenza, esso ci permette anche di evidenziare la fondamentale importanza di alcuni artisti chiave per la creatività delle generazioni successive. In mostra saranno presenti tutte le forme artistiche: installazioni, video e film, scultura, performance, pittura e disegno, e anche una parata. La mostra creerà nuovi spazi per l’arte, che si dispiegheranno oltre le aspettative delle istituzioni e del mercato. L’enfasi posta sul processo creativo e sulle cose nel loro farsi, non escluderà un’esplorazione della ricchezza visiva. La pittura nel suo senso più ampio e il ruolo dell’immaginario astratto saranno indagati da artisti di differenti generazioni, inclusi quelli che non si definiscono innanzitutto pittori. Fare Mondi è una mostra guidata dall’aspirazione a esplorare i mondi intorno e davanti a noi. Riguarda possibili nuovi inizi: questo è ciò che vorrei condividere con i visitatori della Biennale”. La Biennale 2009 annuncia importanti miglioramenti strutturali che riguardano i suoi siti all’Arsenale, ai Giardini, a Venezia. All’Arsenale, il Padiglione italiano ha assunto la denominazione di Padiglione Italia, ed è stato ingrandito con un nuovo ingresso al pubblico – attraverso un ponte – che collegherà il Giardino delle Vergini al Sestiere di Castello. Ai Giardini, lo storico Padiglione Italia ha assunto la denominazione di Palazzo delle Esposizioni della Biennale. E’ stata così sottolineata la sua riqualificazione e la sua nuova natura multiforme, che vedrà operare questa struttura tutto l’anno al servizio delle grandi mostre. Al Palazzo delle Esposizioni, in una nuova ala ristrutturata sarà infatti riaperta al pubblico dopo 10 anni la biblioteca dell’Archivio Storico delle Arti Contemporanee (ASAC), con i documenti, libri, cataloghi, periodici consultabili in sale di lettura per i ricercatori e per i visitatori delle mostre. Inoltre la sede storica della Biennale, Ca’ Giustinian (a San Marco), aprirà completamente rinnovata e ospiterà da giugno a novembre la mostra Macchina di visione: futuristi in Biennale sulla storia della partecipazione di RUBRICA LONDRA LONDRA LA SUMMER EXHIBITION DELLA ROYAL ACADEMY DI LONDRA View of the Small Western Room, Summer Exhibition 2008. Photo © Royal Academy of Arts, London Summer Exhibition della Royal Academy di Londra non avevo la minima idea di cosa si trattasse. Era il giorno della ‘private view’, solo per gli associati, e mi aspettavo di poter guardare la mostra quasi sola, si fa per dire. E invece mi sono ritrovata circondata da innumerevoli persone di tutte le nazionalità, alcuni venuti apposta per questa serata estiva veramente particolare in cui viene servito il Pimm’s, tipico cocktail inglese a base di agrumi per rinfrescarsi. Nonostante le sale fossero gremite, la passione per l’arte esposta era così travolgente che lasciava passare in secondo piano la presenza di numerosi altri. Quello che colpisce soprattutto e’ l’altissimo livello artistico delle opere esposte. La Summer Exhibition della Royal Academy quest’anno compie 241 anni. Ogni anno opere inedite di artisti famosi e di artisti totalmente sconosciuti vengono selezionate per essere esposte in questa stravagante, eccentrica e coinvolgente esposizione londinese. Sono presenti diversi media: pittura, fotografia, scultura, architettura. Il tema di quest’anno è ‘Making Space’: fare spazio. I coordinatori Ann Christopher, Eileen Cooper e Will Alsop hanno selezionato le opere in base a questo tema. A proposito di spazio, le pareti della RA durante la Summer Exhibition sono totalmente tappezzate di quadri, non c’è un centimetro libero. Ma la notevole qualità artistica delle opere e l’equilibrio compositivo nell’ esposizione rendono l’esperienza del visitatore unica e l’occhio non si stanca mai. Il presidente della giuria è il presidente della Royal Academy, Sir Nicholas Grimshaw. Ogni anno una somma di circa 70.000 sterline viene utilizzata per assegnare premi agli artisti più meritevoli. È l’unica mostra in tutto l’anno in cui lo spazio espositivo della Royal Academy è alla portata di qualunque artista. David Mach RA Predator (2008) Postcard collage 192x192cm PREDATOR (2008) opera di David Mach è un collage dal potere straordinario di portare un animale come il leone in una galleria d’arte. Più ci si allontana dal quadro e più i tratti somatici diventano più delineati, ma più ci si avvicina e più questa presenza diviene sempre più imponente e maestosa e quasi viene voglia di indietreggiare ! Forse la memoria andrà a collage di cartoline precedenti, dello stesso artista, che rappresentavano Elvis Presley, la Statua della Libertà, Bart Simpson. Nel 1999 realizzò un’opera particolarmente significativa, un autoritratto della Gran Bretagna, un collage lungo 75 metri realizzato con migliaia di fotografie raccolte tra la gente. David Mach, artista e scultore Susanna Rossini Rubrica Londra artisti, idee e opere futuriste alla Biennale, curata dallo IUAV, Laboratorio Internazionale di Semiotica di Venezia. La cerimonia di inaugurazione e di premiazione della Biennale 2009 avrà luogo sabato 6 giugno ai Giardini, con la consegna dei premi ufficiali assegnati dalla giuria internazionale. Saranno inoltre consegnati due Leoni d’oro alla carriera agli artisti Yoko Ono e John Baldessari. La Giuria internazionale, presieduta da Angela Vettese (Italia), è composta inoltre da Jack Bankowsky (USA), Homi K. Bhabha (India), Sarat Maharaj (Sudafrica) e Julia Voss (Germania), e assegnerà: il Leone d’Oro per la migliore Partecipazione nazionale, il Leone d’Oro per il miglior artista, e il Leone d’Argento per il più promettente giovane dell’Esposizione. La Biennale include inoltre un numero record di 38 Eventi collaterali, proposti da enti e istituzioni internazionali, che allestiranno le loro mostre e le loro iniziative a Venezia in concomitanza con la Biennale. Il catalogo della 53a Esposizione è edito da Marsilio. Il sito web ufficiale è www.labiennale.org. 111 Susanna Rossini Rubrica Londra 112 RUBRICA LONDRA scozzese nato a Methil (Fife) nel 1956, utilizza spesso nel suo lavoro oggetti della produzione di massa, come giornali, pneumatici, orsetti di peluche per poi assemblarli in modo inusuale. L’ immagine visibile è spesso l’opposto dell’ immagine nascosta. È come se due opere coesistessero in una, creando un dialogo movimentato di molteplici significati. THE SUN SHONE FROM A DIFFERENT PLACE Al primo sguardo questo disegno sembrerebbe fatto da un bambino. C’è una freschezza, una leggerezza delle forme e una vivacità dei colori che cattura l’occhio e l’ immaginazione. Le forme geometriche sullo sfondo mettono in risalto le forme sinuose, organiche in superficie, portandole quasi ad emergere dal quadro. Gillian Ayres, artista inglese nata a Barnes (Londra) nel 1930, vive e lavora principalmente in Cornovaglia e a Londra. Il suo lavoro è stato molto influenzato dal lavoro di Hans Hoffman, spesso definito un Espressionista Astratto. Possiamo ritrovare nell’opera ‘The Sun shone from a different Place’ la presenza di un paesaggio caratterizzato da forme, colori e spazio. Come dice l’ artista stessa - …mettere colore su una parte del quadro e sperare che possa toccare l’anima, che la colpisca, che la sorprenda …-. Gillian ammirava molto Mirò, che come lei non voleva essere etichettato come appartenente ad una particolare categoria stilistica. Per lei la forza creativa è una forza libera dal controllo della ragione. Gillian Ayres OBE RA The Sun shone from a different Place Oil 199x199cm