questioni di formazione dello psicologo clinico e dello

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questioni di formazione dello psicologo clinico e dello
NOTA INFORMATIVA: Il presente saggio è stato inviato a “La valutazione dei processi e degli esiti in psicoterapia”. 1°
Congresso Nazionale della Società Italiana di Psicologia Clinica e Psicoterapia (Milano, 14-15 marzo 1997).
Published in www.anthropos-web.it 2007.
Published in www.anthropos1987.org 2009.
QUESTIONI DI FORMAZIONE
DELLO PSICOLOGO CLINICO
E DELLO PSICOTERAPEUTA
ALLA LUCE DELL'APPROCCIO COMPLESSO
E DELLA PRASSI
MULTIMODALE-ECLETTICA-INTEGRATIVA
Luciano Peirone
INDICE
1. Il problema dell'aggiornamento degli attuali standards
formativi in psicologia clinica e psicoterapia
1.1. Innovazioni psicocliniche ed epistemologia
1.2. Pluralità, molteplicità e complessità
1.3. Valutazione dei risultati, realismo e
pragmatismo strategico
2. La pratica clinico-terapeutica complessa e multimodale:
esempi di problemi e di modalità operative recenti e
per l'immediato futuro
2.1. Trasformazioni nella psicoanalisi
2.2. Le psicoterapie non prolungate e/o a tempo
determinato
2.3. Nuovi pazienti, nuove esigenze
2.4. Resistenza e riluttanza: ulteriori difficoltà
che si aggiungono alle vecchie
2.5. Sviluppi complessi della diagnostica
2.6. E la riabilitazione?
2.7. Nuovi problemi e quindi nuovi settori: famiglie
sub-nucleari, famiglie miste, coppie a termine,
cancro, AIDS, et similia
2.8. Gli sviluppi del setting: individuale, duale,
familiare, gruppale, di rete, di comunità, ecc.
2.9. Psicoterapia e farmacoterapia
2.10. Trans-teoresi e trans-versalità
2.11. Eclettismo: l'operatore psicoclinico
multifaccia
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2.12. Multidisciplinarità e interdisciplinarità
2.13. Trends di sviluppo tecnico-operativo
nell'ottica della multimodalità
3. Necessità di sviluppo dei criteri di formazione per lo
psicologo clinico eclettico-integrato
3.1. Nuove tendenze professionali? Ergo, nuove
tendenze formative!
3.2. Spezzettare, scegliere, integrare
3.3. Distruzione e ri-costruzione
3.4. "Teaching-learning by doing"... con metodo!
3
1. Il problema dell'aggiornamento degli attuali standards formativi in psicologia
clinica e psicoterapia
1.1. Innovazioni psicocliniche ed epistemologia
La psicologia clinica non è più la stessa: le novità che la attraversano testimoniano profondi
rivolgimenti qualitativi nonché espansione quantitativa del settore. Il nuovo avanza su più
fronti, ma in particolare su due:
1) la concreta realtà dei problemi dell'utente/cliente/paziente (da cui emerge la rilevanza
della diagnosi quale momento conoscitivo dei reali fatti in gioco);
2) la concreta realtà degli interventi dell'operatore, ovviamente in funzione della efficacia
dell'operazione e della eliminazione-prevenzione dei fallimenti operativi (da cui emerge la
rilevanza della terapia quale "azione critica e responsabile").
Si tratta allora di introdurre adeguati aggiornamenti. Ma per aggiornare che cosa? Gli
strumenti, le tecniche, i metodi, le procedure tattico-strategiche e, giustamente, tutto quanto
va fatto per trasmettere il sapere, in altre parole l'informazione teorica e la formazione pratica.
La crescita smisurata tanto delle problematiche quanto delle modalità di intervento rende
difficoltosa la loro attuale gestione.
Innovare quanto sopra descritto va fatto tenendo conto che questo "reale" obbedisce ad una
"fuzzy logic", per l'appunto confusa e indistinta a causa della sovrabbondanza di elementi in
gioco.
Ne consegue il bisogno di mettere ordine rispetto al "tantissimo" ed al "ricchissimo" presenti
in psicologia clinica. Il che rimanda immediatamente a un discorso di metodo ormai
indilazionabile.
Per gestire la corposità della psicologia clinica e soprattutto il mare magnum delle
psicoterapie continuamente sottoposto ad innovazione, si ha l'obbligo di una solida
preparazione metodologica sia per la validazione sia per la ricerca sia ancora per la
applicazione: da cui si ricava il peso epistemologico che deve venire assunto da una corretta ed
efficace "tecnologia psicoclinica".
In particolare, rispetto ad un passato rigidamente scolastico ormai tendenzialmente sempre
più obsoleto, va ad evidenziarsi la centralità di un approccio ben preciso: Apertura (PluralisticaMultimodale-Eclettica) Integrazionistica vs Chiusura Riduzionistica.
1.2. Pluralità, molteplicità e complessità
E' ormai tempo di tracciare una storiografia psicoclinica tenente conto del fatto che - quale
orientamento di fondo - ad una "psicoterapia semplice" si va sostituendo una "psicoterapia
complessa".
Di quanto riccamente articolata sia quest'ultima è già indicativa la varietà di parole-chiave
utilizzate per denominarla. I tanti aggettivi relativi alla complessità (multimodale, combinato,
associato, integrato, eclettico, sincretico, trasversale, transteorico, multidisciplinare,
interdisciplinare, ecc.) ben rendono l'idea di una pratica professionale che non è più quella di
una volta.
D'altra parte, i modelli, le tecniche, le scuole, le correnti, e i sottomodelli, le sottotecniche,
le sottoscuole, le sottocorrenti, ecc. ben rendono l'idea non solo del pluralismo ma anche e
ancor più della molteplicità... e complessità... e rischio di inquietante confusione (Parloff, 1976;
Herink, 1980; Corsini, 1981; Duruz, 1982 e 1984; Rossati, 1985; Colamonico, Lombardo, Lo
Verso e Montesarchio, 1986; AA. VV., 1991a; Circolo del Cedro, 1991; Lo Verso, 1991;
Sommaruga, 1992). In modo simile si configurano i profili professionali dei singoli operatori: la
tipologia è variegata, e lo è anche in Italia (Peirone, 1984; Minguzzi, 1986; Lo Verso, Peirone,
Piraino e Venza, 1987) come già da tempo succede negli USA (Garfield e Kurtz, 1976a e
1976b).
Si fa quindi sempre più forte una esigenza: quella di necessità formative rapportate alla
pluralità/molteplicità/complessità sia del metodo sia dell'oggetto. Inoltre, si tratta di necessità
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formative in grado di andare oltre i tradizionali "steccati", alla ricerca di una comunicazione, di
una interazione e - perché no? - di una integrazione.
Per questa posizione non ci sono ingenuità e fraintendimenti epistemologici: è proprio una
teoria aperta che permette di cogliere la chiusura imposta dalla realtà complessa. Metodi e
modelli vengono sempre più a tenere conto di una complessità fattuale, nell'ottica di una
epistemologia popperiana focalizzata sull'approccio falsificazionistico-negativistico (Peirone,
1979).
Per cui, se l'oggetto con cui si ha a che fare risulta plurale e molteplice, non hanno più
senso le separazioni ed i contrasti fra differenti "concezioni psicocliniche" e fra differenti
"pratiche psicocliniche": ormai si marcia speditamente lungo una convergenza favorente un
autentico confronto. Senza confondere le carte e senza ignorare le differenze, si va ad
affermare un discorso "democraticamente pluralistico": e tutto ciò richiede, ovviamente, una
capacità di movimento tutt'altro che ingenua, per cui l'eclettismo che l'accompagna è tutt'altro
che naif, anzi presenta caratteristiche ormai cresciute e mature.
La "sfida della complessità” - per riprendere l'espressione di Bocchi e Ceruti (1985) - si cala
all'interno della soggettività umana più profonda ed autentica, per cui la "conoscenza della
conoscenza" - per riprendere la celebre espressione di Morin (1986) - riguarda anche la
psicologia clinica e l'universo di sofferenza che essa cerca di valutare e curare. Da qui l'esigenza
di una epistemologia della complessità in psicologia clinica e in psicoterapia (Lo Verso,
1994).
1.3. Valutazione dei risultati, realismo e pragmatismo strategico
Da quanto detto in precedenza scaturisce una necessità di fondo: quella di avere una
formazione integrata, per potersi muovere "qua e là", beninteso non a casaccio e sterilmente,
ma in base a precisi parametri di metodo. Anche perché in tale direzione si è spinti proprio dal
pluralismo, il quale fa emergere - prepotentemente - la questione dell'efficacia (soprattutto
della psicoterapia, che è la punta di diamante della psicologia clinica ed alla quale spettano i
massimi onori ed oneri).
Non dimentichiamo infatti che lo psicologo clinico è in primis - per forza di cose - un
operatore, una persona che si cimenta con un'opera, un practitioner, per cui il vettore trainante
della sua professionalità è la terapia. Ed essendo questa altamente dinamica e complessa, la
conseguente formazione (o, meglio, dovrebbe essere e tende ad essere) therapy-oriented (e
non theory-oriented o school-oriented): più in dettaglio, technique-oriented.
Parlare di efficacia (Gurman e Razin, 1977; Smith e Glass, 1977; Lipsey e Wilson, 1994)
significa porre l'attenzione sugli effetti dell'azione psicoclinica (in particolare terapeutica), con il
fuoco costituito dal lavoro di Verificazione-Falsificazione dei risultati.
Si comprende allora l'importanza crescente per la metodologia pragmatico-strategica
(Haley, 1963; Driscoll, 1984) dove la goal-orientation porta l'attore terapeutico ad "inventare"
le soluzioni (dei problemi psicopatologici) con grande creatività e "mosse" ristrutturanti-vincenti
dove il ploy la fa da padrone (mandando a "carte quarantotto" le rigidità formative...).
Un esempio macro è quello dell'analisi della domanda (Carli, 1987), implicante il tener
conto del punto di vista del paziente, nel senso di capire bene che cosa costui "voglia"
dall'operatore, al di là delle tradizionali forme comunicative dell'uno e dell'altro.
Un esempio micro è quello della tecnica/tecnologia a-teorica (Lai, 1982 e 1993): estremo
tentativo per puntare sull'antidogmatismo e quindi sulla realtà effettiva della psicoterapia.
Insomma, sono maturi i tempi per una vera e propria metodologia operativa: importa più il
"cosa" che il "come". In altre parole, tendenzialmente, il metodo è subordinato al problema e
quindi al risultato (e non viceversa).
L'"oggettività dell'oggetto psicoclinico" conduce all'accento posto sulla diagnosi nonché al
concetto di formazione attraverso il lavoro. Ma un lavoro condotto in modo critico-scientifico:
con un "fare" sorretto da un "saper fare" a sua volta sorretto da un "sapere" che ha nel "fare" il
proprio feedback correttivo.
Una circolarità che mette in luce il modello dello psicologo clinico professionista-ricercatore.
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Una professionalità che rincorre l'ideale di una formazione permanente, ricorrente,
rinnovata...
2. La pratica clinico-terapeutica complessa e multimodale: esempi di problemi e di
modalità operative recenti e per l'immediato futuro
2.1. Trasformazioni nella psicoanalisi
Quale esempio paradigmatico dei mutamenti in psicologia clinica e psicoterapia, parliamo
della psicoanalisi. In fondo, i principali mutamenti avvengono proprio nella disciplina più
sviluppata (e più tradizionale, forse perché più ossificata).
La crisi in atto da tempo nella pratica psicoanalitica porta ad un sempre più nuovo "tipo" di
psicoanalisi. In essa sta avvenendo addirittura una vera e propria regressione nella
applicazione dei principi fondamentali. L'evoluzione rasenta l'involuzione.
Numerosi sono i fatti: il ridimensionamento della tecnica analitica pura; il maggior peso
della terapia rispetto alla indagine; la valorizzazione - da parte del paziente - più del fine che
del mezzo, più dei risultati che del percorso per conseguirli; la progressiva perdita di
importanza per alcuni parametri cardinali (l'autoconoscenza, l'immersione nel mondo interiore
profondo, la lunga durata del trattamento, la strettezza della relazione terapeutica).
La psicoanalisi si complica sul piano teorico-metodologico ma si semplifica sul piano del
fruitore: sempre più raffinata ma sempre meno richiesta, essa crea in tal modo una forbice
sempre più ampia. Il che si concretizza nella caduta a picco (anche in Europa e in Italia, sulla
scorta delle anticipazioni negli USA) della psicoanalisi, con la sua conversione/sostituzione
mediante la psicoterapia ad orientamento psicoanalitico, a sua volta sempre meno "pura" e
sempre più "contaminata" da altri modelli teorico-scolastici.
Paradigmatico è inoltre, lungo questa tendenza, l'allargarsi del ventaglio dell'utenza, con
nuovi pazienti psicoanalitici (Marsicano, 1995) - bambini, adolescenti, anziani,
tossicodipendenti, soggetti borderline - i quali determinano un sempre più deciso viraggio in
direzione terapeutica.
Su questo nuovo e complesso versante di cose, la tradizionale trasmissione del sapere e del
fare analitico presenta vistose lentezze...
2.2. Le psicoterapie non prolungate e/o a tempo determinato
Se la psicoanalisi possiede sempre minore impatto, non è privo di conseguenze il fatto di
costituire il paradigma del "trattamento prolungato" ovvero, per altri versi, del "trattamento a
tempo indeterminato", dove la valutazione dei risultati viene posta chiaramente in secondo
piano rispetto all'articolazione della "macchina analitica".
Il ridimensionamento della psicoanalisi è il segnale più vistoso che si accompagna al sempre
più rigoglioso fiorire dei "trattamenti non prolungati" (Budman, 1981), e soprattutto dei
"trattamenti a tempo determinato" (Strupp e Binder, 1984; Fuhriman, Paul e Burlingame,
1986). Queste due modalità terapeutiche risultano a breve/medio termine (e non a lungo
periodo), sono focalizzate su specifici punti (e non genericamente totalizzanti), si configurano
anche quali interventi sulla crisi persino acuta (e non solo quali modalità di lavoro "tranquille"),
sono a veloce attivazione per cui spesso fanno parte delle "urgenze".
La tendenza di base è la seguente: tecniche spesso gruppali, sempre meno profonde,
focalizzate sul conduttore-terapeuta, decisamente direttive, con un numero limitato di sedute
ed una pianificazione temporale il più delle volte ben delineata (non di rado in forma di
stage/workshop), aventi targets ben definiti (Beutler e Clarkin, 1990), con l'accento posto sul
diventare coscienti su poche cose ben precise, scaricando le emozioni ed agendo di
conseguenza.
E qui il terreno della formazione, dopo essere stato dissodato e seminato alla buona, è per
gran parte in attesa di venire ulteriormente concimato e accudito...
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2.3. Nuovi pazienti, nuove esigenze
Il paziente, da parte sua, è cambiato e continua a cambiare.
Si può esprimere questo fatto in modo paradossale. Anzi, si può parlare del "paradosso
della nuova psicoterapia": il paziente diventa sempre più "grezzo" e "semplice": per questa
ragione, l'operatore deve diventare sempre più "sottile" e "complesso".
Il nuovo cliente ha poche idee ma chiare, ha grandi aspettative senza corrispondenti
investimenti psichici... ecco perché diventa sempre più "sfuggente" agli occhi dello psicologo
clinico.
L'utente psicoanalitico, in particolare, presenta progressive difficoltà e perdita di interessecollaborazione per non pochi aspetti tradizionali della tecnica: la narrazione, la ricostruzione
storico-individuale, il silenzio, la neutralità, l'analisi-interpretazione del transfert. Si impoverisce
la capacità del paziente di condurre una profonda riflessione simbolica di tipo continuativo, per
cui i modelli di cambiamento si orientano più sulla concreta relazione paziente-analista: più che
il codice "là e allora" prevale il codice "qui ed ora". E ciò intacca ovviamente anche il
controtransfert.
Ancora, a volte l'utente diventa meno "paziente" e più "cliente": cioè con minore passività e
maggiore intenzione valutativa, il che a volte compromette la fiducia nel tecnico e nella tecnica.
Inoltre, sempre più, oggi, ogni paziente reagisce a modo suo: in altre parole, si hanno
risposte differenziate di fronte alla stessa tecnica ed allo stesso operatore. D'altra parte, ciò è
comprensibile in base al semplice allargamento della popolazione dei fruitori della psicoterapia,
il che comporta una dispersione statistica ed un arricchimento della tipologia.
Inoltre ancora, le oggettive sempre peggiori condizioni di vita quotidiana degli agglomerati
metropolitani determinano pazienti sempre più gravi e sempre meno collaborativi.
E' ben vero che oltre agli svantaggi esiste anche qualche vantaggio. La psicoterapia, man
mano che si allarga a nuove aree sociali, diventa più soft - perché i nuovi utenti sono più sensibili di quelli vecchi -, con problemi meno gravi. Però proprio il carattere più quotidiano e più
immediato del malessere non sempre facilita la professione, in quanto i "vecchi" psicoterapeuti
(addestrati a fronteggiare pesanti problematiche patologiche) non sempre sono preparati a
gestire la moderna "insostenibile leggerezza dell'essere". Per cui, un lavoro teoricamente più
facile si ritraduce talvolta in una reale difficoltà operativa, laddove manca per l'appunto
l'addestramento a gestire sintomi e sindromi non tradizionali, che richiedono invece una
formazione più ampia, più variegata e più sottile.
E' il problema, per altri versi, dello slittamento della psicologia clinica in direzione della
psicologia della salute. Non è sempre agevole, per chi è stato addestrato ad eliminare il male,
imparare a promuovere il bene.
2.4. Resistenza e riluttanza: ulteriori difficoltà che si aggiungono alle vecchie
E' un classico nella teoria della tecnica psicoterapeutica il fatto che il paziente possa
"puntare i piedi" e frapporre difficoltà alla cura ed alla guarigione stessa. Basta citare quanto
accade nell'approccio dinamico e nell'approccio comportamentistico (Wachtel, 1982), con i ben
noti ostacoli che l'operatore incontra nel processo terapeutico, sia nel farlo partire sia nel farlo
proseguire.
E' opportuno distinguere fra due grandi aspetti di tale "insufficienza partecipativa" del
paziente, in quanto la contrarietà al trattamento psicoterapeutico può essere in toto oppure in
parte. Da un lato si ha la "riluttanza", vale a dire una resistenza/difesa aspecifica (per lo più
conscia) che tende ad investire la terapia nel suo insieme e all'inizio del percorso di
trattamento. Dall'altro lato si ha la "resistenza", vale a dire una resistenza/difesa specifica (per
lo
più
inconscia)
che
scatta
in
particolari
circostanze
di
approfondimento
indagativo/modificativo a trattamento già in atto.
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La maggiore rilevanza clinico-teorica della cosiddetta "resistenza" (in ragione delle
dinamiche inconsce che la sottendono) ha sempre fatto passare in secondo piano la riluttanza.
Ebbene, in un'epoca di sempre maggiore espansione quantitativa della psicoterapia, proprio la
riluttanza acquista un peso significativo, laddove - in particolare nei trattamenti di coppia e
familiari - uno o più degli utenti "spinge/spingono" per la terapia mentre un altro "frena".
Ecco allora che il moderno psicoterapeuta deve talvolta "arrampicarsi sugli specchi" per
vincere resistenze sempre più forti e soprattutto riluttanze sempre più diffuse.
In dettaglio, sono da sottolineare tanto le invenzioni costituenti fattori per una "tecnica di
aggancio" nei confronti del paziente quanto le invenzioni aventi quale fine una strategia
multimodale sequenziale (Peirone, 1982) per vincere le difficoltà che si incontrano nel processo
terapeutico.
2.5. Sviluppi complessi della diagnostica
Le nuove realtà psicopatologiche determinano modificazioni nella psicodiagnostica. Ma
anche le nuove realtà psicoterapeutiche, sempre più riccamente articolate, determinano
andamenti similari nel campo dell'indagine.
Sorgono pertanto innovativi e complessi sviluppi nel rapporto fra conoscenza e azione, fra
diagnosi e intervento.
Un esempio in tal senso risiede in una procedura come la seguente:
a) disassemblaggio della sindrome in varie componenti fra loro coerenti;
b) loro disposizione lungo una sequenza che tenga conto dei vari levels of approachability;
c) attivazione della tecnica ottimale corrispondente a ciascun livello.
Come si vede, avviene una accurata decodificazione cognitiva finalizzata ad un intervento
operativo nell'ambito di un progetto psicoterapeutico complesso.
Un altro esempio è quello che vede realizzata una concezione processuale della diagnosi.
Mentre la visione tradizionale comportava la diagnosi formulata all'inizio dell'intervento e una
volta per tutte, la più recente formulazione la inquadra lungo una linea di aggiustamenti
successivi: in base ad una progressiva approssimazione alla "verità", la diagnosi è la
componente informativa fondamentale di un modello seriale retroattivo basato sul binomio
conoscenza-azione. Per cui ogni aggiornamento operativo ("nella seduta X il terapeuta ha fatto
la cosa Y ed il paziente ha reagito nel modo Z") è un feedback che va a precisare sia talvolta la
diagnosi macroscopica di fondo (l'etichetta nosografica) sia e ancor più la diagnosi microscopica
(lo stato delle cose in questo momento per questo trattamento di questa malattia con questo
paziente). Ed è proprio quest'ultima, la valutazione conoscitiva del momento, che "corregge il
tiro" dell'azione modificativo-terapeutica. In definitiva, con una siffatta visione, operazione ed
informazione sono sempre più strettamente intrecciate e si potenziano a vicenda.
2.6. E la riabilitazione?
Tutta la psicologia clinica è in subbuglio creativo.
Quale più quale meno, le sub-aree si dilatano in quantità e qualità: le nuove realtà
operative (soprattutto della terapia e della diagnosi, ma anche della consultazione e della
riabilitazione) premono lungo i tradizionali confini, il che determina rottura e modificazione
delle vecchia e ristretta forma dell'insieme complessivo chiamato psicologia clinica.
Nuovi problemi, nuove soluzioni e soprattutto nuovi settori: tutto questo fa crescere, fra
l'altro, proprio il peso delle tecniche e delle metodiche riabilitative, in passato spesso neglette o
anche solo sottovalutate.
"Riabilitare psicologicamente" (AA. VV., 1994a e 1994b) significa in effetti porre attenzione
alla realtà globale dell'utente, al di là di ristrette concezioni tanto terapeutiche quanto
diagnostiche, andando a valorizzare e utilizzare il fare (ergoterapia, reinserimento
professionale) e lo stare assieme (socioterapia, reinserimento sociale / ri-socializzazione, self
help).
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E qui la formazione dello psicologo clinico è quasi interamente da costruire...
2.7. Nuovi problemi e quindi nuovi settori: famiglie sub-nucleari, famiglie miste, coppie
a termine, cancro, AIDS, et similia
Inventare soluzioni per problemi ed ambiti sempre più innovativi: ecco il compito centrale
dell'attuale e futuro psicologo clinico.
Le aggiornate manifestazioni del malessere e del disagio impongono una attenzione pratica
e teorico-metodologica in grado di entrare nei dettagli delle "nicchie" che via via si aprono
all'interno delle tipologie tradizionali.
Si prenda ad esempio l'oggetto clinico "famiglia". La tradizionale psicoterapia di questo
settore deve tener conto di "strani" e complicati sviluppi.
Pur restando costante l'approccio di fondo (cioè il trattamento di un sistema comunicativoaffettivo), si ha a che fare con sub-sistemi. La famiglia non è solo più nucleare, è addirittura
sub-nucleare; e quest'ultima assume varie forme: coppia senza figli (intesa come famiglia
incompleta), un solo genitore con figlio/figli, single (ovvero famiglia unipersonale).
Ed esiste anche la famiglia inter-sistemica, inter-nucleare: quella composta ex novo dalla
fusione di "pezzi" provenienti dalla disgregazione di vecchi sistemi/nuclei. Il carattere "misto" di
queste unità comporta interessanti variazioni nell'intervento clinico.
E le coppie a termine, ovvero le coppie a tempo determinato, quelle dove implicitamente o
addirittura esplicitamente viene prevista la "morte" della diade, non comportano forse una
profonda ristrutturazione nel fare e nel saper fare del terapeuta di coppia?
E come dimenticare i recenti sviluppi di tradizionali malattie fisiche (ad esempio il cancro) e
l'esplosione di nuove malattie fisiche (ad esempio l'AIDS)? Nell'uno come nell'altro caso, la
psicoterapia riesce oggi ad avere una rilevante incidenza, ma deve anche "inventarsi" quasi
giorno per giorno. Chi l'avrebbe mai detto, sino a dieci anni fa, che psicologia e medicina
avrebbero avuto un punto d'incontro così unificante e fecondo proprio dove la corporeità e la
sofferenza sono così marcate?
Infine, fra i vari "similia" si situa, quale pregnante esempio, una situazione a cavallo fra
un'area psicologica non clinica e l'area psicologica clinica. E' abbastanza frequente l'intervento
di uno psicologo del lavoro, il quale - chiamato a gestire l'ambito gruppale del personale di una
azienda - vede progressivamente spostarsi i propri punti di riferimento da concetti organizzativi
(selezione, addestramento, gerarchia, comunicazione, rendimento, ecc.) a concetti via via
sempre più clinici (conflitto, benessere/malessere, burnout, stress, ansia, depressione, ecc.), il
che obbliga tale psicologo ad una preparazione sempre più corposa ed articolata.
Si assiste oggigiorno ad una grande espansione della psicologia clinica, e quindi a grandi
squilibri: convivono ricchezze consolidate e improvvise povertà, come in tutti i sistemi
complessi.
Prova ne è che lo stesso operatore con anni di sicura esperienza professionale nel
problema/settore A, se cambia e si cimenta nel problema/settore B, rischia imprevisti fallimenti
(e anche una caduta di immagine...). Allora è costretto ad aggiornarsi, a ricorrere nuovamente
alla formazione, ma a quale formazione se questa a sua volta non è rimasta al passo con i
tempi?
2.8. Gli sviluppi del setting: individuale, duale, familiare, gruppale, di rete, di
comunità, etc.
Elasticità, duttilità, flessibilità, adattabilità, vivacità: sono numerose le parole d'ordine
(peraltro con un sostanzialmente unico significato) per uno psicologo clinico che sappia stare al
passo con i tempi.
Il setting (questo conglomerato soggettivo spazio-temporo-relazionale del trattamento dove
si articolano e spiccano elementi cognitivi ed emotivo-affettivi) si è venuto modificando ed
ampliando nel corso della storia della psicoterapia. Dall'individuo si è passati al gruppo
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artificiale ed al gruppo naturale secondario; si è valorizzata la famiglia (che è un gruppo
naturale primario) ed al suo interno si è ritagliata la relazione partner-partner (cioè la coppia);
si è esteso l'intervento plurale mediante l'approccio di rete nonché calando l'operatore
psicoclinico nella comunità (variamente intesa).
Ciò ha visto trasformarsi alcuni elementi portanti della psicoterapia: dall'alleanza
terapeutica al nesso fra relazione e campo, dall'azione-reazione fra utente ed operatore al
nesso fra transfert e controtransfert.
Oggigiorno cambia sempre più velocemente il modo (e anche il tempo) dello "stare in
terapia" (o, se si vuole, dell'"essere in analisi"), con significative variazioni in merito alla
"presenza" (e quindi ai vissuti).
Il "tipo" di utenza (individuo, coppia, famiglia, gruppo, ecc.), per come si articola la
"sceneggiatura" del setting, costituisce uno stimolo continuo al progresso della professione di
psicologo clinico.
Talvolta, il trattamento vede nascere contesti artificiali e nuovi oggetti, come accade nella
terapia della famiglia: si può avere un genitore convivente con un figlio, entrambi in terapia con
l'altro genitore ex-coniuge non più convivente. Questo setting "strano" comporta nuove regole
di funzionamento per la "famiglia" e quindi nuove modalità strategiche per la diagnosi e la
cura.
Fra gli "eccetera" si situa ad esempio il setting per interposta persona, vale a dire la curiosa
- ma ormai sempre meno infrequente - situazione caratterizzata dall'assenza del paziente e
dalla presenza del co-paziente. Questa forma paradossale di psicoterapia (comportante fra
l'altro anche problemi di ordine deontologico) cerca di lavorare su un oggetto assente ma in
qualche modo influenzabile attraverso la mediazione di un oggetto presente, il che costituisce
un bel problema metodologico e formativo.
2.9. Psicoterapia e farmacoterapia
Il tempo presente vede una convergenza sempre più produttiva fra i due tradizionali
interventi, quello che ha come fattore terapeutico la psiche e quello che ha come fattore
terapeutico il farmaco.
E' ben vero che ogni tanto si hanno tentativi di riduzionismo (sull'uno e sull'altro versante,
più spesso in direzione biologica e quindi biochimica), ma il più delle volte sono mosse di
sapore ideologico-commerciale e non tanto di natura scientifica.
Di fatto, nella pratica clinica quotidiana degli operatori più sensibili ed attenti in campo
medico e in campo psicologico, si va verso una integrazione. Nonostante i paradossi e i
problemi (GAP-Group for the Advancement of Psychiatry, 1975), questa modalità operativa che
prevede terapie combinate (Del Corno, Lang e Taidelli, 1986) suscita sempre minori perplessità
e resistenze.
Sostanzialmente, quello che costituisce un innegabile progresso della "clinica" tout court l'integrazione collaborativa tra farmacoterapia e psicoterapia - dipende da due innovativi
fattori:
a) la sempre minore diffidenza reciproca fra medici e psicologi, con conseguente caduta
libera dei pregiudizi incrociati e simmetrici, anche in funzione della consapevolezza che non
esiste una autentica concorrenzialità di tipo economico fra le due categorie;
b) la sempre più accentuata diffusione delle "sindromi bidirezionali": per cui il
farmacoterapeuta tradizionale si rende conto di aver bisogno dello psicoterapeuta, mentre lo
psicoterapeuta tradizionale si rende conto di aver bisogno del farmacoterapeuta.
In modo razionale e realistico, ciascuno dei due operatori diventa consapevole dei propri
limiti e della complessità della malattia/malessere/disagio di cui il paziente è portatore. Superati gli anni della competizione, si va verso una corretta e proficua collaborazione. Il tutto fra
l'altro è stato da sempre facilitato da quei non pochi operatori abilitati sia alla professione
medica sia alla professione psicologica, i quali hanno sperimentato in prima persona i limiti
della conflittualità e i vantaggi della sinergia fra le due discipline.
In particolare, ponendo l'accento sul versante psicologico, lo psicoterapeuta si trova molto
più spesso che nel passato di fronte a "sindromi psichiche impegnative", non solo di tipo
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psicotico dove già il farmaco si rivelava indispensabile, ma anche di tipo nevrotico: queste
nuove realtà dello star male, pur psicogene in senso eziopatogenetico, si rivelano bisognose di
una "copertura" farmacologica utile (e talvolta indispensabile) per la cura psicologica, per la
talking cure. In altre e più semplici parole: la gente sta sempre peggio ed è quindi sempre
meno collaborativa con lo psicologo (per esempio nel tollerare livelli di ansia e depressione,
accettando così la sofferenza psichica e la sua elaborazione cognitivo-affettiva), per cui
l'effettuazione della psicoterapia può talvolta richiedere un supporto farmacologico in passato
non indispensabile.
E' ben evidente come una tale sinergia fra le due tradizionali anime della clinica (la
medicina e la psicologia, il farmaco e la parola, l'agente chimico e l'agente relazionale) veda la
futura formazione degli operatori sanitari finalizzata sempre più ad integrare la
psicofarmacologia clinica con la psicoterapia (anche e soprattutto nel caso di due operatori ben
distinti, le cui specialità sono comunque differenti per ovvie ragioni di approfondimento).
2.10. Trans-teoresi e trans-versalità
Da tutto quanto descritto finora quale "novità" in termini di problemi e interventi, di settori
e quadri nosografici, di comportamenti e vissuti, scaturiscono ulteriori considerazioni in termini
di teoria e metodo, i quali vengono a sistematizzare il discorso della psicologia clinica /
psicoterapia di tipo complesso-multimodale.
Si è in presenza di fenomeni che sconvolgono i modelli consolidati, la cui trasmissione
comporta da sempre una didattica semplice (e semplificata, proprio per favorirne la
comprensibilità), che però non è più per niente attuale.
Si è di fronte - come lucidamente confermano i lavori di Prochaska e Di Clemente (1982),
Prochaska (1984), Prochaska e Di Clemente, (1984) - ad una trans-teoresi, che oltrepassa i
tradizionali confini.
L'operatore clinico moderno, man mano che lavora e che si muove nel reale mondo della
cura della psiche - posto davanti alla "cancellata verticale" dei vari modelli (psicoanalisi,
psicologia analitica, psicologia individuale, psicoterapia ad orientamento analitico,
gruppoanalisi, terapia sistemica, analisi transazionale, behavior therapy, terapia non direttiva,
ipnosi, training autogeno, terapia sessuologica, terapia bioenergetica, ecc.) - tende ad
assumere una identità complessa (Peirone, 1989), per cui effettua un movimento "transversale ".
Oggi, tale esigenza di "spostamento" (attraverso le teorie, attraverso i modelli, attraverso le
tecniche) appare sempre più ineludibile (Grasso e Zavattini, 1991).
2.11. Eclettismo: l'operatore psicoclinico multifaccia
L'eclettismo costituisce la teorizzazione in merito all'uso della psicoterapia eclettica (Garfield
e Kurtz, 1977; Garfield, 1980; Hart, 1983; Beutler, 1983 e 1986; Messer, 1986).
A sua volta, la psicoterapia eclettica è quanto tende ad emergere in merito alla costruzione
tattico-strategica (Thorne, 1973; Norcross, 1986a e 1986b; Norcross e Prochaska, 1988): in
particolare, si tratta della questione della "scelta" (Frank, 1982), ovvero il problema dello
"scegliere di fiore in fiore nel rigoglioso giardino della psicoterapia"...
Storicamente, gli operatori psicoclinici eclettici tendono a venir fuori nell'ambito di una
dimensione professionale molto avanzata. Ovviamente, ci si riferisce al contesto degli USA e
della APA (Prochaska e Norcross, 1983; Perlman, 1985). Molto opportunamente Barrom,
Shadish e Montgomery (1988) fanno notare, come tipiche di una situazione assai progredita, le
"costrizioni della realtà professionale", la quale ultima riplasma coloro che già si erano plasmati
con la formazione.
Ma anche in Italia ci si sta adeguando a tali tendenze, il che è confortante sul miglioramento
della nostra categoria professionale. Lo testimoniano le vicende recenti (1993 e 1994) con le
risultanze emerse dal lavoro degli Ordini Regionali degli Psicologi in merito all'attuazione
11
dell'art. 35 della Legge 56/1989 relativo alla psicoterapia, risultanze in precedenza già
anticipate sul piano della ricerca SIPs (Peirone, 1984; Lo Verso, Peirone, Piraino e Venza,
1987).
Lo psicologo clinico (e lo psicoterapeuta in particolare), quale singolo operatore, presenta
caratteristiche giustamente riconducibili ad un "Dr. Proteo Fregoli" (Peirone, 1987), specialista
multifaccia capace di trasformazioni per adeguare il proprio intervento e risultare giustamente
dinamico, muovendosi, alla bisogna, all'interno di diverse pluralità: approcci teorici, strumenti
operativi, utenze, settori di esercizio, aree di intervento.
L'ecletticità corrisponde in definitiva ad un modello trasversale, e quindi impuro (ma non
assurdo), ibrido (ma non sterile). Forse - anzi sicuramente per gli operatori più "svegli" e con
più esperienza pratica - la psicoterapia "bastarda" può essere più vivace, più intelligente, più
utile della psicoterapia "di pura razza". In fondo già Sigmund Freud, con la nota vicenda
dell'oro e del bronzo, lo aveva capito... Lo psicoterapeuta eclettico è polimorfo, ma non
perverso.
In definitiva, ci si muove, ci si orienta sempre più verso un operatore psicoclinico e
psicoterapeutico sfaccettato e multivalente, in particolare dirigendosi a creare un wide range
psychotherapist.
2.12. Multidisciplinarità e interdisciplinarità
Un particolare aspetto della azione psicoterapeutica complessa risiede nel duplice utilizzo di
più discipline.
L'utilizzo "multi" avviene da parte di più operatori.
L'utilizzo "inter" avviene da parte di un unico operatore.
Un esempio chiarificatore proviene dalla più avanzata sessuologia clinica (Peirone, 1985).
Multidisciplinare è il lavoro svolto congiuntamente da una équipe ricavata scegliendo fra svariati
operatori (terapeuta psicosessuale di coppia, counselor psicosessuale, co-terapeuta
psicosessuale di coppia, psicoterapeuta analitico/sistemico/comportamentista, ginecologo,
andrologo, urologo, endocrinologo, neurologo, medico generico, psichiatra, chirurgo sessuale).
Interdisciplinare è, fra gli altri, il lavoro del terapeuta psicosessuale di coppia impegnato a
districarsi fra l'approccio sessuologico, l'approccio behavioristico, l'approccio sistemico e
l'approccio dinamico-analitico. Pluridisciplinare, a sua volta, è il lavoro di sintesi fra
multidisciplinarità e interdisciplinarità.
Un altro esempio decisamente nuovo si ricava dalla oncologia clinica (intesa soprattutto
come pre- e post-intervento chirurgico, il quale spesso è il momento centrale). Qui spicca la
multidisciplinarità: ci sono il medico (chirurgia, elettrocoagulazione, irradiazioni,
chemioterapia), lo psicologo clinico (terapia d'appoggio, terapia intensiva), l'infermiere
professionale, il fisioterapista, il volontario (ospedaliero-domiciliare).
Un
altro
interessante
esempio
lo
si
ottiene
dal
trattamento
dell'anoressia/bulimia/bulimaressia e dei disturbi psicoalimentari. La presa in carico attuata
dalle più recenti metodiche appare decisamente multidisciplinare ed integrata: ci sono lo
psicoterapeuta, lo psichiatra, il nutrizionista-dietologo, il gastroenterologo, l'endocrinologo, il
ginecologo.
Un ulteriore esempio lo si trova nella psicoterapia della tossicodipendenza e dell'assunzione
di droghe. Per vincere la "dipendenza" (fisica e/o psichica) indotta da sostanze chimiche risulta
ottimale un approccio "pluri": al tempo stesso medico, psicodinamico-psicoanalitico, sistemico,
comportamentistico, direttivo (quest'ultimo è indispensabile!). Il modello più efficace, se non si
ricorre alla comunità terapeutica tradizionale, sembra essere quello della moderna "comunità a
cielo aperto", in grado di fornire una psicoterapia di rete non residenziale della droga, dove,
accanto ad una componente medica di minima (per la disintossicazione e il controllo dell'urina),
si sviluppa un intenso trattamento psicologico multidisciplinare, con il lavoro sull'individuo e sul
gruppo, con il lavoro sul gruppo familiare e sul gruppo dei ragazzi, con il lavoro sul
paziente e sui co-pazienti (genitori, fratelli, ulteriori parenti conviventi, partner).
12
Non c'è quasi bisogno di commentare, alla luce dei quattro suddetti esempi, quanto la
formazione dello psicologo clinico debba venire rivoluzionata per adeguarsi a certe realtà
professionali che sembrano avveniristiche ma già sono operative.
2.13. Trends di sviluppo tecnico-operativo nell'ottica della multimodalità
A questo punto, è chiarissimo che "multimodale" si riferisce a: "molti modi", "molti modi di
fare", "molti modi di fare psicoterapia".
Si può spaziare, all'interno di questo universo, a piacimento: dalla multimodalità nella
behavior therapy (Lazarus, 1976 e 1981) alla "alternanza" (Ancona, 1992) - o talvolta
interfaccia - fra medicina e psicologia.
Inoltre, multimodale è anche il problema della selezione del trattamento (Frances, Clarkin e
Perry, 1984).
Inoltre ancora, la multimodalità può voler dire tecniche differenti applicate a) in
contemporanea oppure b) in sequenza temporale progressiva (Pontalti e Menarini, 1989).
E così via...
Il concetto di multimodalità introduce tanto il concetto di selezione quanto il concetto di
integrazione. Li introduce inevitabilmente se si tratta di una multimodalità consapevole ed
autocritica.
L'integrazione, in particolare, costituisce il coronamento teorico della multimodalità.
Gli aspetti storici e di metodo in merito all'integrazione fra i vari modelli si ritrovano in vari
autori: Goldfried e Newman (1986), Wolfe e Goldfried (1988), Beitman, Goldfried e Norcross
(1989), e soprattutto Villegas i Besora (1990) il quale chiarisce la tripartizione multimodale:
sincretismo, eclettismo, integrazione.
E allora, risulta quanto mai stimolante muoversi nello studio dell'universo della psicoterapia
multimodale... Muoversi alla affascinante ricerca della genericità ed aspecificità (Lambert e De
Julio, 1978; Karasu, 1986; Orlinsky e Howard, 1987), dei fattori comuni ed impliciti (già dal
1936! con Rosenzweig), dell'equivalenza fra gli interventi (Stiles, Shapiro ed Elliot, 1986), del
linguaggio condiviso (Ryle, 1978 e 1987; Strong, 1987), del continuum cognitivo (Beck, 1984),
dei temi convergenti e comuni (Beutler, 1981; Bergin, 1982; Goldfried, 1982), del motore
unico: ad esempio la relazione terapeutica quale base-fondamento per esercitare in maniera
corretta ed efficace la psicoterapia eclettica (Patterson, 1985), dell'embricazione che permette
di identificare il vero (e forse comune ed unico) meccanismo d'azione della psicoterapia
(Migone, 1987).
Quale esempio di integrazione fra modelli (per la precisione, fra macro-modelli) si può
scegliere un classico, l'incontro fra terapia comportamentistica e terapia psicoanalitica, in altre
parole fra approccio behavioristico e approccio dinamico, fra superficie e profondità della psiche
(Woody, 1971; Wachtel, 1977; Marmor e Woods, 1980; Messer e Winokur, 1980; Arkowitz e
Messer, 1984; Messer, 1984; Brady, 1986).
Quali esempi incentrati sull'oggetto si possono citare l'integrazione lavorando con la coppia
(Peirone, 1988a, 1988b e 1996), l’integrazione lavorando con i soggetti di confine (Gold,
1990) e l'integrazione lavorando con gli psicotici in ambito multicontestuale (Siani, 1992; Siani
e Siciliani, 1992).
Le prospettive tecnico-operative per la multimodalità nella psicoterapia complessa
suggeriscono non un pedissequo eclettismo ingenuo bensì un costruttivo integrazionismo
metodologicamente pregnante (Giusti, Montanari e Montanarella, 1995).
La pratica quotidiana della psicoterapia multimodale avvalentesi sia dell’eclettismo sia
dell’integrazionismo (Erskine e Moursand, 1988; Beutler, Consoli e Williams, 1995) evidenzia
tanto la funzione del concreto agire da parte dell’operatore (Fensterheim e Glazer, 1983;
Rappaport, 1991) quanto la funzione della astratta teoria (Wachtel, 1983; Beutler, 1989;
Chambon e Marie-Cardine, 1992a), per cui il discorso di fondo è proprio quello del riavvicinamento collaborativo (Marie-Cardine, 1979; Lecomte e Castonguay, 1987; Mahrer,
1989) in vari modi ed a vari livelli inteso.
Il diventare psicologi clinici (Woody e Robertson, 1988) e in particolare il formarsi quali
psicoterapeuti eclettici (Robertson, 1986) tende a favorire una chiarificazione epistemologica
13
(Liddle, 1982). In altre parole, spinge ad una attenta valutazione critica di ciò che si fa, di ciò
che si è, di ciò che si insegna, di ciò che si impara: in maniera tale da curare ecletticamente
(Palmer, 1980; Murgatroyd e Apter, 1986) con piena consapevolezza di cosa ciò significhi in
termini di miti e realtà (Lecomte, 1987) nonché di posta in gioco (Duruz, 1993).
Il tutto con la giusta dose di “irriverenza” (Cecchin, Ray e Lane, 1993) nei confronti di
modelli rigidi e precostituiti... anche per evitare di stravolgere il paziente “adattandolo” (!?) secondo il curioso e iatrogeno metodo del brigante Procuste! - allo strumento terapeutico
(Chambon e Marie-Cardine, 1992b)...
Alla luce di quanto delineato, occorre allora una ben delineata politica formativa: un ben
preciso progetto che porti ad una formazione elastica, a questo punto lunga ed implicante pure
un attento lavoro su di sé (anche per chi si specializzi comunque negli approcci superficiali e
brevi), incentrata sulla capacità relazionale interindividuale-intergruppale, con grande
flessibilità nell'acquisire la padronanza di tecniche ben precise (sempre più differenziate e
sempre più articolate).
3. Necessità di sviluppo dei criteri di formazione per lo psicologo clinico ecletticointegrato
3.1. Nuove tendenze professionali? Ergo, nuove tendenze formative!
Pur nella sommaria brevità della elencazione-descrizione, il paragrafo precedente dà la
misura essenziale della vastità e profondità dei rivolgimenti che da qualche tempo si stanno
producendo nella prassi psicoclinica, marcatamente negli ultimissimi anni.
Di fronte ad eventi di tale portata tecnica (ed ancor più metodologica) si comprende come
ne risulti inevitabilmente investita e responsabilizzata la formazione, pena la sua obsolescenza
se essa non si sapesse prontamente adattare.
Come si è visto dal rapido excursus, la psicoterapia "spinge" sotto l'urgenza di problemi che
nascono giorno per giorno. La formazione dovrebbe stare al passo, recuperando il ritardo accumulato. E' un "dovere", in termini di etica generale nonché di correttezza deontologica.
New trends nella professione? New trends anche nella formazione! Occorre innovare le
strutture e le funzioni formative in rapporto alla pluralità-molteplicità-complessità sia
dell'oggetto sia del metodo.
Anche solo limitandoci al caso italiano, è evidente come negli ultimi quindici anni le
dinamiche del "mercato della formazione in psicoterapia" (Fornari, 1981; Migone, 1984;
Canestrari, 1986; Lo Verso e Peirone, 1989; Saviane Kaneklin, Festini Cucco, Fischetti, Malagoli
Togliatti e Rispoli, 1991) rispecchino le suddette caratteristiche. In particolare (Vogelsang,
Barletta e Brunetti, 1987; Filippeschi e Celano, 1988; Lombardo, Stampa, Cavalieri, Ciuffo e
Farnese, 1991), è riscontrabile come l'offerta di formazione stia, sempre meno lentamente e
con sempre minore ritardo rispetto all'estero, evolvendosi verso una "miscellanea" già
all'interno del programma della singola scuola che vende "addestramento psicoclinico".
Con una felice espressione Benvenuto e Nicolaus (1990) parlano di "bottega dell'anima". Le
esigenze formative dettate dall'avvento dell'eclettismo critico-integrativo si avvertono proprio a
partire dalla ricchezza che emana da quella officina, da quel laboratorio ove si plasma e si
riplasma l'essere umano.
3.2. Spezzettare, scegliere, integrare
Analogamente alla pratica ed ai suoi stratagemmi operativi - fondati sulla capacità di
"spezzettare", "scegliere" ed "integrare" fra loro a livello micro i paradigmi di fondo per
ricavarne gli strumenti quotidiani - l'apparato teorico-metodologico della formazione, cioè
qualcosa che si situa a livello macro, si converte in un meta-modello teorico.
Se l'operatore riduce in briciole sempre più minute l'enorme bagaglio tecnico a sua
disposizione, al fine di meglio selezionare e miscelare, la "scuola" tout court di psicologia clinica
14
tende a rimodellare la formazione con una didattica altrettanto capace di "scucire e ricucire" i
grandi discorsi, i grandi temi, esattamente lungo la stessa linea che ha portato a modificare i
contenuti (e gli stessi ruoli) della professione.
L'operatore, insomma, deve saper attuare la scomposizione-ricomposizione dei modelli.
Lo "sbriciolamento" (ma anche l'attenzione verso l'"incollaggio") è testimoniato dal sempre
più frequente uso del plurale: le formazioni (Galli, 1981), le psicologie, "le" psicologie cliniche
(e non "la" psicologia clinica), i percorsi... al punto da arrivare, conseguentemente e
giustamente, alla trasformazione della formazione (Canestrari e Godino, 1991).
Con il dinamismo emergente, gli sviluppi e le prospettive future (Rispoli, 1994) tracciano un
cammino ormai nitido: si va verso una elaborazione di criteri e paradigmi formativopsicoterapeutici (Bonasia, Grasso, Lai, Lo Verso, Peirone e Romano, 1998) che siano al tempo
stesso innovativi ed all'altezza dei compiti, in modo da assicurare una reale "competenza" dello
psicologo clinico (AA. VV., 1991b; Circolo del Cedro, 1992).
Si può già quasi parlare di "irreversibilità" di un simile processo, il quale conduce a
privilegiare la competenza centrata sull'azione e sui risultati, il che salda - in modo nettamente
più stretto che nel passato - l'operatività con l'addestramento.
3.3. Distruzione e ri-costruzione
Diventando giorno dopo giorno sempre più articolato l'universo delle procedure - per
adeguarsi alla variabilità di "cosa si fa", di "cosa su cui si fa" e di "cosa si ottiene se si fa" - ne
deriva un accrescimento delle risorse su "come si fa". Ma un incremento di metodo equivale
anche ad un incremento di "controllo", e cioè di verificazione/falsificazione della psicologia
clinica, tanto più se essa esplicitamente si connota come "eclettica".
Lo psicoterapeuta eclettico-critico è un grande "falsificatore". Se non è metodologicamente
preparato, rischia di essere un "falsario"; ma se lo è, lavora in gran parte ad eliminare
"tentativi fallimentari", e a cercarne-costruirne di efficaci.
Falsificare equivale a distruggere. Nella fattispecie, equivale anche a "falsificare" (rendere
falsi, togliere di mezzo) i tradizionalismi, gli scolasticismi... La scienza è distruttiva, ma proprio
per questo innovativa (e in grado di progredire)...
E una formazione in linea con i tempi deve saper distruggere, per poi ricostruire.
Anche solo nel passare dal facile al difficile e viceversa: basti vedere certi problemi che
sorgono nell'insegnamento della psicologia clinica, nel muoversi fra la semplificazione e la complicazione, negli scambi e nelle alternanze fra linguaggio quotidiano e linguaggio scientifico. Ad
esempio, come fa notare Jervis (1991), nell'addestramento psicoclinico di tutti i giorni è
cruciale la capacità di passare dai libri all'esperienza, dalla teoria alla prassi: distruggere un
linguaggio consolidato e costruirne (o recuperarne) un altro...
Da tutto ciò può logicamente derivarne sconcerto, e quindi ricerca di identità (Battacchi,
1986; Migone, 1991), più o meno inquietante, più o meno angosciante... "Chi sono io, in
qualità di psicologo clinico?, in qualità della formazione da me fruita?".
Occorre una sapiente (e misurata) oscillazione fra analisi e sintesi. Passare dal micro al
macro, e viceversa. E anche mandare in pezzi e re-incollare.
Occorre sapersi muovere fra unitarietà e dis-unitarietà, identità e dis-identità, come
sottilmente insegna Lai (1988), operando i necessari e creativi "salti mutativi fra una tecnica e
l'altra".
3.4. "Teaching-learning by doing"... con metodo!
Vengono in definitiva a delinearsi prospettive di insegnamento e apprendimento della
psicologia clinica e della psicoterapia alla luce di un’impostazione maggiormente e decisamente
"operativa" di queste ultime.
Il "fare" fa sentire sempre di più il proprio peso sul "saper fare", andando a retroagire e a
modificare ciò che sta a monte.
15
Ciò che va assolutamente capito, tanto da chi insegna quanto da chi apprende, è
l'importanza di una nuova sensibilità metodologica nel professionista, in colui che "opera".
L'autentico equilibrio dell'operatore psicoclinico, in particolare nel suo momento di massima
focalizzazione-specializzazione-responsabilizzazione costituito dalla prassi terapeutica, risiede
nel non ritenere univoca ed assoluta alcuna "tecnica", alcuna "tattica", alcuna "strategia".
Ci sono a disposizione tanti, tantissimi strumenti: un numero tale che nessun
professionista, per quanto preparato, per quanto serio, può e potrà mai padroneggiare nella
sua interezza. Questa pluralità, questa molteplicità è un rischio: si tratta di una ricchezza di cui
non bisogna abusare.
Molto modestamente, ma con acuta consapevolezza, occorre imparare a "districarsi" nella
fecondissima giungla degli strumenti, sempre pronti nella veste di "driver" a "sterzare", in ogni
momento ed alla bisogna imposta dal caso.
Realismo e costruttivismo; pragmatismo ed epistemologia: il loro sapiente dosaggio è in
grado di portare a far diagnosi e far terapia in campo psicologico, imparando a raggiungere le
soluzioni nonché privilegiando, fra le soluzioni possibili, quelle migliori e quelle più convenienti,
il che rimanda a quale chiave di lettura del problema sia da adottare... e a far fuoco con la
legna che si ha oppure a cercare la legna adatta al fuoco che si vuol fare...
Ma per far tutto questo occorre "scegliere" (e quindi saper scegliere); occorre "assemblare"
(e quindi saper assemblare); occorre "dosare" (e quindi saper dosare). E' necessaria allora una
formazione finalizzata a produrre uno psicologo clinico capace di procedere in modo altamente
dinamico e flessibile, sia sul piano concreto (nel confronti dell'utente) sia sul piano astratto (nei
confronti dalla metodologia).
E il metodo in questione non può essere a questo punto che un modo di pensare e ripensare
il proprio fare, partendo da teorie ben specificate ma non rigide, capaci di formulare una
diagnosi attenta soggetta a rivedibilità; e in più misurando e rimisurando, imparando a far
interagire la realtà problematica con il quadro nosografico e con lo strumento attivato e con gli
effetti derivanti, aggiustando di volta in volta il tiro, puntando ad effettivi (e non fantasiosi,
illusori) risultati.
Sforzandosi di lavorare con la modestia e l'umiltà tipiche del ricercatore, il moderno
operatore psicoclinico punta a "far bene", il che implica sia il controllo del lavoro sia
l'eliminazione degli errori sia l'apprendimento dagli errori: la qual cosa si converte
inevitabilmente nel rendere plurale e complessa l'intera materia.
D'altra parte, il molteplice e il difficile stimolano l'intelligenza... e se lo psicologo clinico non
è "intelligente", che psicologo è?
La sfida è tracciata. Il futuro chiama: the challenge is open... e non ci si può tirare indietro.
Se il fare quotidiano della psicoterapia (e dell'intera psicologia clinica) si orienta sempre più
verso una apertura del metodo direttamente proporzionale alla sua potenza-efficacia,
l'insegnamento-apprendimento della disciplina deve - pur nella immancabile "lentezza" tipica
della didattica e degli apparati scolastici - orientarsi (come ideale regolativo ma anche come
realtà pratica) verso una multimodalità oscillante e transversale il cui motore risiede
nell'apertura che caratterizza l'eclettico integrazionismo di tipo critico ed auto-correttivo.
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