Germania hub industriale dell`Unione
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Germania hub industriale dell`Unione
Germania hub industriale dell’Unione l’analisi MARCELLO DE CECCO La bilancia commerciale tedesca è in attivo, ininterrottamente, da cinquantotto anni. L’ultimo passivo rimonta al 1951. Da alcuni anni la Germania è anche il primo paese esportatore del mondo. Non lo sarà ancora per molto, si presume, ma già essere riuscito, con ottanta milioni di abitanti, a stabilire e mantenere questo primato contro la Cina che di abitanti ne ha ben più di un miliardo, gli Stati Uniti che ne hanno trecento e passa milioni e il Giappone che ne ha 120 milioni, è certamente un fenomeno da studiare, ora che in effetti l’economia mondiale, orfana dei consumatori americani, dipende da paesi assai più inclini al risparmio e al surplus di bilancia commerciale, quali sono appunto Germania, Cina e Giappone. In effetti la Germania, negli ultimi due decenni, ha sviluppato una struttura geografica e anche merceologica del commercio estero abbastanza simile a quella che aveva prima del 1914. E’ riuscita a costituire al centro dell’Europa un enorme blocco manifatturiero integrato, includendo via via tutte le aree industriali ad essa vicine in una rete produttiva le cui maglie sono divenute sempre più strette._La misura della integrazione del sistema produttivo che la Germania ha ricreato al centro dell’Europa dopo la caduta del muro di Berlino è data dal rango che nelle statistiche tedesche ricoprono piccoli paesi della Mitteleuropa come Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria. La Slovacchia, ad esempio, ha un valore di esportazioni e importazioni con la Germania uguale a quello della ben più grande e importante Corea del Sud. Giappone e Polonia esportano in Germania merci per più o meno lo stesso valore totale, malgrado che il Giappone abbia tre volte gli abitanti della Polonia e sia assai più sviluppato. La Polonia, inoltre, importa dalla Germania addirittura più della Cina. La Repubblica Ceca, che ha dieci milioni di abitanti, precede nelle importazioni dalla Germania sia il Giappone che la Corea che l’India, e segue, ma solo per pochi spiccioli, la Russia. E un paese piccolo e povero come la Romania precede nel commercio coi tedeschi giganti economici come Brasile, India, Arabia Saudita, Canada. Quanto a Belgio, Olanda, Austria e Svizzera anch’essi paesi piccoli, anche se ricchi e sviluppati, sono nelle primissime posizioni assolute come partner della Germania. L’Olanda è il secondo esportatore in Germania, e il quinto importatore da quel paese. Esportando gas naturale, l’Olanda riesce a mostrare una bilancia commerciale in virtuale pareggio col colosso esportatore tedesco, ma gli altri tre paesi appena nominati fanno parte di quelli che non riescono a evitare un forte deficit commerciale coi tedeschi. Da questa lunga enumerazione appare ancor meglio l’integrazione produttiva che ha avuto luogo al centro dell’Europa, con la Germania che fa da hub manifatturiero e commerciale ai paesi che abbiamo nominato. Ciascuno di questi paesi, nella classifica mondiale per esportazioni e importazioni, occupa posizioni assai inferiori a quelle che ha come partner commerciale della Germania. E quasi tutti, poiché o adottano l’euro o hanno monete ad esso agganciate, hanno poco da preoccuparsi dello squilibrio dei loro conti con i tedeschi. Il surplus di bilancia commerciale tedesco è ottenuto quasi tutto nei confronti degli altri paesi europei. Mentre Cina, Giappone e tigri asiatiche mostrano tutti surplus corposi con la Germania, nel 2007, ad esempio, il primo partner commerciale della Germania era la Francia (novità importante rispetto al 1914). Essa mostrava un deficit commerciale verso i tedeschi di ben trenta miliardi di euro, cioè un terzo dell’ammontare delle sue importazioni dalla Germania. Lo stesso squilibrio mostravano i conti di altri grandi partner come Italia e Regno Unito. Squilibrio ancor maggiore mostrava la Spagna, che nel 2007 importava dalla Germania il doppio di quanto esportava verso quel paese. Unica eccezione, dal punto di vista della distanza geografica, gli Stati Uniti, che nel 2007 erano il secondo partner tedesco per le importazioni e il quarto per le esportazioni, ma con un deficit proporzionalmente secondo solo a quello spagnolo. Il processo di integrazione manifatturiera della Mitteleuropa organizzato dai tedeschi vede come protagonista un prodotto di assoluta rilevanza nel commercio e nella crescita mondiale. Si tratta dell’automobile, la cui produzione i tedeschi, peraltro imitati dagli altri massimi produttori mondiali hanno, dopo la caduta del muro di Berlino, delocalizzato massicciamente nei paesi ricordati, avendo iniziato prima a farlo in paesi a loro limitrofi come Austria e Belgio o in paesi in rapido sviluppo del Sud Europa come Spagna e Portogallo. Oltre all’assemblaggio di automobili, i tedeschi, imitati dalle altre principali marche mondiali, hanno cominciato a spostare verso i paesi della Mitteleuropa anche la fabbricazione di parti di auto. Una intera filiera industriale si è così dispiegata tra i paesi della Mitteleuropa, integrando anche i paesi latini come Spagna, Francia e Italia. Gli ultimi due giocano ancora ruoli indipendenti in tale filiera, ma con crescente fatica. Ed è proprio il caso eclatante della filiera automobilistica a mostrarci alcune delle difficoltà nelle quali potrà trovarsi il modello di integrazione produttiva e commerciale europea promosso dalla Germania dopo la fine dell’impero sovietico. Questo modello si è venuto imponendo mano a mano che più chiaramente si mostrava anche un altro fenomeno, che è quello della incapacità tedesca di far crescere i propri consumi interni. La spia di tale fenomeno, oltre alle statistiche comparate, che lo mostrano nitidamente, è data proprio dalla crescita assolutamente abnorme del surplus del commercio estero tedesco che ha avuto luogo a partire dal nuovo millennio. Esso è in media triplicato rispetto a quel che era nel decennio precedente. Il surplus sempre crescente della Germania, costituendo la parte principale del surplus dell’intera area dell’Euro nei confronti del resto del mondo, ha indotto la forza crescente della moneta unica europea rispetto a quella dei paesi grandi esportatori come Giappone e Cina. E’ certo vero che tale forza dipende anche dal livello relativamente elevato del tasso di interesse della Banca Centrale Europea, ma questo è anch’esso ereditato dall’abitudine della Bundesbank, in tutto il dopoguerra, di preferire tassi di interesse relativamente alti, per tenere a bada salari e profitti in Germania e preservare così la competitività dell’industria tedesca. Questo è possibile anche perché la disoccupazione alta che ne deriva è compensata, in Germania, da ammortizzatori sociali molto elevati. Nella crisi profonda che ha assalito il mondo intero partendo dagli Stati Uniti, dopo l’industria edilizia e quella finanziaria la vittima più illustre è stata e sarà ancora nel prossimo futuro quella automobilistica, per l’importanza del credito nel sostenere la domanda di case e automobili. I dati sulla riduzione di attività delle fabbriche europee di auto sono già assolutamente nefasti. Essi mostrano chiaramente che una ondata di ristrutturazioni e razionalizzazioni, accompagnata da fusioni e acquisizioni, si annuncia in Europa. Avrà dimensioni molto notevoli. Dato che i produttori più potenti ed efficienti di auto in Europa sono i tedeschi, saranno loro i protagonisti della razionalizzazione produttiva del settore. Una politica monetaria meno che espansiva da parte della Bce contribuirà potentemente ad accelerare tale movimento e a indirizzarlo in una direzione favorevole ai produttori tedeschi. Le conseguenze per i produttori latini (compresi i francesi) non potranno tardare, e rischiano di essere pesanti, anche per i produttori di parti e componenti, perché anche tra loro i tedeschi conducono le danze in termini di potere di mercato ed efficienza. P oiché si tratta, in tutta l’Europa ormai, di un mercato di sostituzione, le decisioni di acquisto di nuove automobili possono essere influenzate dalla variazione di norme ecologiche ma anche delle condizioni alle quali è concesso il credito per le vendite a rate. La domanda di automobili può quindi essere fortemente influenzata dalla politica monetaria, da quella di bilancio dei vari paesi e dalle disposizioni legislative in materia di emissioni di CO2. Ma anche condizioni creditizie ultrafavorevoli devono fare i conti con le disponibilità di reddito dei cittadini, e con il loro forte indebitamento pregresso, risultato di quasi un decennio di credito facilissimo. Dal settore delle automobili e dei loro componenti, la razionalizzazione si estenderà probabilmente anche a quello delle macchine utensili e dei macchinari in generale. Anche qui dominano i produttori tedeschi, integrati come abbiamo già detto con fabbriche che hanno aperto nella Mitteleuropa. Qui rischiano di passare brutti momenti i produttori italiani del settore, che non sono veramente integrati con quelli tedeschi, ma mantengono una propria autonomia sia proprietaria che produttiva. Se il cambio dell’Euro resta elevato saranno svantaggiati nelle esportazioni verso i paesi nonEuro, poiché le condizioni di costo che sostengono in Italia sono peggiori di quelle che fronteggiano i tedeschi, che hanno delocalizzato nella Mitteleuropa parecchie fasi produttive e che sono generalmente più grandi dei loro concorrenti italiani. Gli italiani che producono macchine più semplici, inoltre, devono vedersela con i cinesi, in produzioni da tempo abbandonate dai tedeschi perché a valore aggiunto troppo basso per i loro salari. Affari e Finanza, la Repubblica 19.1.2009