Auto e Fisco: vari profili di incostituzionalità, di
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Auto e Fisco: vari profili di incostituzionalità, di
7277 APPROFONDIMENTO Auto e Fisco: vari profili di incostituzionalità di Giampiero Guarnerio Le modifiche normative sulle auto aziendali hanno inciso sulla determinazione del reddito imponibile di alcuni soggetti (autonomi) e non di altri (dipendenti), a scapito del principio di uguaglianza. Motivare tali modifiche con esigenze di gettito piuttosto che fondarle su una più accurata misurazione del parametro indice di capacità contributiva ne aggrava la irricevibilità. La previsione di parziale indeducibilità delle auto concesse in uso ai dipendenti determina un’imposta a carico del soggetto che è addirittura impossibilitato a realizzare il reddito in natura in esse sotteso. 1. Premessa L’esigenza di giustizia e di uguaglianza permea gli ordinamenti legislativi di tutte le comunità. Ciò dimostra, per chi non ne fosse convinto, che il tradimento di questi principi porta inevitabilmente alla disgregazione della società1. La nostra Costituzione scolpisce molto bene tali principi, che, per quanto riguarda il diritto tributario, potremmo riassumere negli artt. 3 (uguaglianza e ragionevolezza) e 53 (capacità contributiva). Articoli che muovono da due profili essenziali: x da un lato la proporzionalità dell’imposta, che deve essere tale da correlare il contributo di ciascuno allo Stato “in proporzione” alle proprie (effettive) capacità; x dall’altro la corretta ripartizione dell’onere 1 Per una disamina approfondita del tema della Giustizia tributaria e degli effetti della sua non corretta applicazione, si veda G. Falsitta, Giustizia Tributaria e Tirannia Fiscale, Giuffrè, Milano, 2008. tributario tra chi partecipa alla vita sociale. Una errata ripartizione si tradurrebbe in un ingiusto aggravio per taluni e in uno sgravio altrettanto ingiusto per altri2. A giudicare da quanto emerge dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale, il nostro ordinamento tributario sembrerebbe essere pressoché immune da difetti, giacché le pronunce di incostituzionalità in campo tributario sono alquanto rare. Anzi, sembra che la situazione sia persino in miglioramento, dato che le pronunce di incostituzionalità sono sempre più risalenti. Tuttavia, osserviamo una certa “fatica” da parte della Corte medesima nel fare salve le disposizioni tributarie, constatando che nell’ultimo ventennio la maggior parte delle decisioni si conclude con dichiarazioni di inammissibilità dei quesiti piuttosto che di infondatezza delle questioni sottoposte al suo esame. Il che appare un fatto quantomeno anomalo se si considera che il potere di sollevare questioni di incostituzionalità non è proprio del cittadino o della sua difesa tecnica professionale, ma è a sua volta di un giudice, cioè di un soggetto che ha particolare cognizione tecnica della materia e un approccio imparziale per definizione. Nonostante si sia ormai radicata la percezione che le probabilità di ottenere un giudizio di incostituzionalità siano scarsissime, la quantità di questioni che vengono sollevate dai giudici tributari sembra invece evidenziare che l’ordinamento tributario italiano non sia affatto indenne da ripetute violazioni dei principi di capacità contributiva e di uguaglianza/ragionevolezza. Soprattutto da quando è diventato di moda un certo modo di legiferare, che, seppur 2 G. Falsitta, op. cit., pag. XXII, Prefazione. 47-48/2013 fascicolo 1 il fisco - rivista online - utente $12243809 - tutti i diritti riservati - WKI Srl 7278 APPROFONDIMENTO – Reddito di lavoro autonomo animato da intenzioni apparentemente oneste, si rivela ingiustificato e ingiustamente punitivo per chi ne viene colpito. Ci riferiamo alla subdola “creazione degli ‘estrogeni tributari’, delle aliquote, cioè, in apparenza moderate che vanno, però, a scaricarsi su una base imponibile costruita con regole artificiose e fittizie, scompagnate da ogni logica economica, di cui pullula, a scopo di ‘illusione finanziaria’ (ossia di raggiro), oppure di sanzione impropria, il sistema italiano di tassazione reddituale e l’imposizione patrimoniale”3, con presumibili effetti catastrofici sul sistema. Una dimostrazione indiretta del fenomeno si ha osservando l’andamento del PIL nazionale messo a raffronto con l’andamento del PIL di vari paesi: da quando è stata introdotta l’Irap (l’archetipo dell’imposta che colpisce una capacità contributiva tanto artificiosa quanto virtuale), la crescita del PIL italiano è inferiore a quello medio di confronto4. 2. Il caso dei costi auto L’attuale formulazione dell’art. 164 del D.P.R. n. 917/1986 consente una deduzione oltremodo limitata dei costi per autovetture. Tralasciando per semplicità il caso dell’utilizzo esclusivo di tali beni nell’attività propria dell’impresa5, e quello degli agenti e rappresentanti di commercio, i costi per l’impiego delle auto soffrono delle seguenti limitazioni: x indeducibilità dell’80% del costo di acquisto, con il tetto di € 18.075,99, laddove impiegate esclusivamente o promiscuamente nell’attività d’impresa o di lavoro autonomo (c.d. auto “aziendali”); x indeducibilità del 30% del costo di acquisto per i veicoli concessi in uso promiscuo ai dipendenti per la maggior parte del periodo d’imposta. Su tali veicoli, inoltre, viene 3 G. Falsitta, op. cit., pag. XXIII, Prefazione. 4 Dati elaborati su fonte FMI, in dollari internazionali, PIL misurato a Parità di potere d’acquisto. Nel periodo dal 1980 al 1997, il PIL nazionale è mediamente cresciuto dello 0,9% in meno della media mondiale, dello 0,2% in meno della media dell’area Euro, dello 0,1% in meno della media dell’UE, dello 0,9% della media paesi G7. Nel periodo dal 1998 al 2013 (2013 previsione FMI) dopo l’introduzione dell’Irap il divario negativo aumenta rispettivamente al 3,1%, al 0,9%, all’1,2% e all’1,3%. 5 Sull’interpretazione del termine “attività propria dell’impresa” vi sarebbe molto da argomentare. Ma ai fini della presente trattazione diamo per corretta l’interpretazione restrittiva fornita dall’Amministrazione finanziaria. calcolato a titolo di “fringe benefit” un compenso in natura tassato in capo al dipendente nella misura del 30% del relativo costo. Le domande a cui vogliamo dare una risposta sono le seguenti: x l’aumento della indeducibilità del costo delle auto aziendali, cresciuto (con varie manovre) dal 50% all’80%, e il “tetto” di € 18.075,99 rispettano il principio della capacità contributiva?; x il differente trattamento fiscale dell’“autoconsumo” in capo al dipendente (30% - senza tetto) e in capo all’imprenditore o lavoratore autonomo (80% con tetto) rispetta il principio della capacità contributiva e quello di uguaglianza?; x l’indeducibilità parziale in capo al datore di lavoro dei costi delle auto date in uso promiscuo ai dipendenti rispetta il principio di capacità contributiva e di uguaglianza, considerato che in tali casi l’autoconsumo è ipotizzabile soltanto in capo al dipendente e non al datore di lavoro? Occupandosi del tema della capacità contributiva, la Corte Costituzionale ha sempre precisato che rientra nella piena discrezionalità del legislatore l’individuazione del parametro indicatore della capacità contributiva, con il solo limite della non arbitrarietà6. Concetto di arbitrarietà che è usualmente interpretato in modo molto restrittivo. Diversamente, la Corte si è dimostrata più sensibile al rispetto del principio di uguaglianza, che tutto sommato è assai connesso a quello della capacità contributiva: a parità di capacità deve sussistere analoga tassazione, e a diversa capacità non può corrispondere medesima tassazione7. Dunque, il vero parametro per valutare se una norma rispetti il principio della capacità contributiva è se il fatto generatore sia determinato in modo arbitrario o irragionevole, pur 6 Cost., n. 426/2002, in banca dati “fisconline”: “[…] rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale (sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 159 del 1985)”. 7 Cfr. Cost., n. 328/2002, in banca dati “fisconline”, laddove la pronuncia di incostituzionalità, sebbene sollevata in ordine agli artt. 3 e 53 della Costituzione, è stata motivata essenzialmente dal mancato rispetto del principio di uguaglianza. 47-48/2013 fascicolo 1 il fisco - rivista online - utente $12243809 - tutti i diritti riservati - WKI Srl 7279 Reddito di lavoro autonomo – APPROFONDIMENTO considerando che il legislatore ha la più ampia discrezionalità. Esaminando la vicenda dei costi per auto aziendali, è di tutta evidenza che il tema riguarda l’ipotesi dell’autoconsumo, ovverossia della possibilità che “il titolare” dell’impresa (si pensi essenzialmente all’imprenditore individuale, ma anche al lavoratore autonomo e al socio della società di capitali con compagine societaria familiare) possa far figurare il costo dell’auto come “uso aziendale” ma poi utilizzarla solo privatamente. Il fenomeno, astrattamente, è già espressamente regolato dall’art. 57 (per le imprese individuali), dall’art. 54 comma 3 (per i lavoratori autonomi) e dall’art. 85 comma 2 (per le società) del Tuir, in forza dei quali la destinazione a uso personale di beni aziendali provoca l’emersione di ricavi figurativi tassabili, ovvero una deducibilità di costi forfettariamente rideterminata nel 50% (per i lavoratori autonomi). Tuttavia, presumibilmente sulla scorta dell’esperienza di “abusi” passati, nel 1997 venne introdotto l’art. 121-bis del Tuir (ora 164) che, per la fattispecie individuata, stabiliva per tutti una percentuale di deducibilità del 50% con il “tetto” di 35 milioni delle vecchie lire. La ragionevolezza di una simile disposizione, che a nostro avviso assume una chiara natura antielusiva (si voleva evitare che, utilizzando le regole generali, comunque il contribuente potesse semplicemente sostenere che l’impiego dell’auto era esclusivamente aziendale, lasciando l’onere della prova all’amministrazione, ma anche trovare un aiuto nei consulenti fiscali che, di fronte a una chiara disposizione, avrebbero assunto una responsabilità rispetto al cliente nel “far passare” costi auto deducibili al 100%), sta nel parametro “salomonico” del 50% (tanto salomonico quanto poco discutibile da una e dall’altra parte) e nella possibilità comunque riconosciuta al contribuente di presentare domanda di interpello disapplicativo ex art. 37-bis, comma 8, del D.P.R. n. 600/1973 per ottenere la piena deducibilità nel caso di utilizzo esclusivamente aziendale o professionale8. Su questo impianto normativo, che tutto som8 Non la pensa così l’Amministrazione finanziaria, la quale ritiene che l’art. 164 abbia natura di norma “di sistema” e quindi non suscettibile di interpello disapplicativo. Assunto non condivisibile poiché sarebbe arbitrario – e quindi non costituzionale – impedire la deduzione integrale di un costo con una presunzione senza ammettere nemmeno la prova contraria. mato aveva risolto con ragionevolezza9 un annoso e persistente contenzioso, si sono innestate modifiche in ordine alle percentuali di deducibilità “a danno” dei contribuenti che non appaiono adeguatamente motivate. Nessuno dubita della correttezza dell’individuazione del “reddito fiscale” come parametro indice per la contribuzione quale “imposta sul reddito”, pur tuttavia la determinazione effettiva di tale parametro, come dice la Corte Costituzionale, non deve essere “arbitraria”, cioè non deve dipendere da una mera determinazione volontaria non fondata su una distinzione oggettiva. Altrimenti detto, le modifiche relative all’aliquota impositiva possono essere certamente fondate su una “mera esigenza di gettito”, giacché lo scopo esatto dell’aliquota è proprio quello di stabilire “quanta parte” della capacità contributiva già determinata deve contribuire alle spese dello stato. Al contrario, la misurazione del parametro indice della capacità contributiva – cioè del reddito imponibile – non può essere arbitrario, ma deve rispondere a criteri di oggettività e, soprattutto, di realità, giacché la capacità contributiva deve essere “attuale” e non ipotetica o falsata. 3. L’iter parlamentare delle modifiche: motivazioni del legislatore Orbene, la prima modifica normativa intervenne nel corso del 2006: la percentuale di deducibilità del costo per le auto aziendali è stata ridotta dal 50% al 40%, e al contempo la percentuale di deducibilità per le auto date in uso ai dipendenti è scesa dal 100% al 90%. Le ragioni di tali modifiche, introdotte dal Ministro Visco10, non erano affatto fondate su constatazioni oggettive circa l’inadeguatezza del salomonico parametro del 50% a esprimere la reale capacità contributiva delle aziende, né dalla considerazione almeno ipotetica che i dipendenti utilizzassero le auto loro assegnate per uso aziendale e privato proprio anche per “portare a spasso” il titolare dell’impresa. Al contrario, e la circostanza venne pubblicamente dichiarata proprio dal Ministro, la modifica dei parametri era dovuta alla circostanza che il Governo Italiano è stato obbligato dalla nota sentenza della Corte di Giustizia Europea (caso “Stradasfalti”) – a riconoscere la detrazione, almeno parziale, dell’Iva sulle auto azienda9 Ragionevolezza che però avrebbe necessitato di una “manutenzione” del valore del “tetto”. 10 Lo stesso che introdusse l’Irap, con il quale evidentemente abbiamo visioni diverse. 47-48/2013 fascicolo 1 il fisco - rivista online - utente $12243809 - tutti i diritti riservati - WKI Srl 7280 APPROFONDIMENTO – Reddito di lavoro autonomo li. E venne “naturale” pensare di recuperare il gettito necessario per restituire l’imposta (finora illecitamente riscossa) dagli stessi soggetti cui doveva essere restituita11. E infatti, nelle relazioni rese al Parlamento non v’è traccia di motivazioni di tipo statistico a supporto della variazione del parametro/indice di capacità contributiva. Successivamente, in due tappe ravvicinate (dapprima con la “Riforma Fornero”, L. n. 92/2012, e poi con la Legge di Stabilità n. 228/2012) le percentuali sono state modificate nella misura attuale. La relazione governativa alla riforma Fornero, che ridusse la percentuale di deducibilità al 27,5% per le auto aziendali e al 70% per le auto date in uso promiscuo ai dipendenti, non dà alcuna indicazione sulle ragioni delle modifiche suindicate. Traccia di motivazione invece sussiste nel dossier di documentazione alla Camera dei Deputati12, alla cui pag. 185 si dà chiara indicazione che le disposizioni introdotte sono “volte a reperire maggiori entrate, destinate a confluire nella copertura degli oneri della legge”. Quanto alla successiva modifica apportata dalla Legge di Stabilità, che ha ridotto ulteriormente la percentuale di detraibilità delle auto aziendali al 20%, nessuna motivazione specifica è stata riferita nelle relazioni governative. Tuttavia, sia nella relazione introduttiva del Governo (del 16 ottobre 2012) che nel dossier preparato dal servizio studi alla Camera si indicano gli effetti finanziari della manovra, che viene descritta come “riduzione delle agevolazioni per l’acquisto di auto ad uso aziendale”. In pratica, nel primo provvedimento si è data quale motivazione la necessità di “fare cassa”, e nella seconda si è dipinto il provvedimento come “riduzione di agevolazione”, come se la deduzione anche di un solo punto percentuale del costo di un’auto aziendale fosse un regalo. Ed in tal modo si è viziata la volontà dei parlamentari, che hanno votato la legge pensando di eliminare un’agevolazione (decisione sì che può essere adottata senza troppe spiegazioni, al pari di un aumento di aliquota) e non di incidere sulle regole di determinazione del parametro/indice per 11 12 Con ciò, in buona sostanza, violando il principio comunitario che vuole che gli Stati Membri non possano introdurre imposte “a effetto equivalente” di quelle che sono state dichiarate non conformi al Trattato UE. Reperibile all’indirizzo: http://documenti.camera.it/leg16/dossier/testi/LA0619b.htm un migliore allineamento del parametro alla realtà. Chiarito dunque che non v’è traccia negli atti parlamentari di motivazioni fondate sulla necessità di adeguare il parametro/indice di capacità contributiva a canoni di più stretta attinenza alla realtà, mentre risulta invece acclarata la motivazione di “fare cassa” (nei primi due provvedimenti) o di ridurre un’apparente agevolazione (nel terzo), resta da valutare se, nonostante le motivazioni, l’impianto normativo regga il vaglio alla luce dei parametri costituzionali. 4. Variazione del parametro/indice: discrezionalità o arbitrarietà? Un primo profilo di analisi è quello della natura discrezionale (e quindi legittima) o arbitraria (e quindi illegittima) delle rettifiche apportate. Per quanto concerne i lavoratori autonomi (professionisti o imprenditori individuali), va innanzitutto osservato che la loro capacità contributiva deve essere messa a confronto con la capacità contributiva di altri soggetti che sono colpiti dalla medesima imposta, quali ad es. i pensionati e i dipendenti. Per il principio di uguaglianza, a parità di capacità contributiva (e quindi di reddito realizzato), deve corrispondere un identico onere tributario – trattandosi della stessa imposta. Ebbene, per quanto riguarda i pensionati, non essendo in una posizione “attiva”, non hanno alcuna spesa da sostenere per percepire il relativo reddito. Ragion per cui la deduzione di una parte dei costi che sostengono per l’utilizzo dell’autovettura non sarebbe riconducibile a una misurazione della propria capacità contributiva. Tuttalpiù, sarebbe riconducibile a un’agevolazione. Per quanto riguarda i dipendenti, occorre distinguere se hanno o non hanno ottenuto dal datore di lavoro un veicolo a uso anche personale (o promiscuo). Nel caso non avessero l’auto in uso promiscuo, si troverebbero nello stesso caso dei pensionati: salvo che per la spesa necessaria per recarsi sul luogo di lavoro (che peraltro è forfettariamente riconosciuta nelle “detrazioni per lavoro dipendente” ex art. 13 Tuir (che nella versione precedente conteneva la specifica indicazione “anche a fronte delle spese inerenti alla produzione del reddito”), non necessitano di sostenere una spesa per auto “per ragioni di produzione del reddito”. Nella eventualità che fosse richiesto loro di 47-48/2013 fascicolo 1 il fisco - rivista online - utente $12243809 - tutti i diritti riservati - WKI Srl 7281 Reddito di lavoro autonomo – APPROFONDIMENTO utilizzare l’auto “privata” per ragioni di lavoro, possono contare sul risarcimento integrale della spesa “a piè di lista”, senza oneri tributari, a carico del datore di lavoro. Con queste regole, dunque, il dipendente non ha ragione di ottenere il riconoscimento tributario di un costo di utilizzo dell’auto, non essendovi un legame nemmeno potenziale di inerenza tra la spesa e il ricavo (stipendio). Nel caso avessero in uso l’auto aziendale, l’art. 51 del Tuir determina nel 30% del costo del veicolo quale componente a uso privato, su cui viene calcolata la propria “capacità contributiva” e, conseguentemente, versata l’imposta. In pratica, quale che sia la necessità aziendale, la legge presume in capo al dipendente una quota di utilizzo privato pari al 30% del costo sostenuto, senza limite dimensionale o di valore dell’auto medesima13. Come in tutte le determinazioni forfettarie, si potrebbe discutere se tale percentuale forfettaria esprima correttamente il valore della capacità contributiva che – astrattamente – è certamente esistente. Tuttavia si può trarre una prima conclusione: se, già all’epoca in cui la regola venne introdotta, esisteva nell’ordinamento una presunzione generale per lavoratori autonomi e imprenditori di impiego privato di beni suscettibili di essere utilizzati promiscuamente pari al 50%, percentuale spesso confermata dal legislatore anche in casi espressamente regolati (es. telefonini, spese abitazione utilizzata anche come ufficio, le stesse spese auto), se dubbio poteva esservi circa la effettiva ragionevolezza del parametro del 30% a esprimere la corretta capacità contributiva, dubbio doveva essere che fosse sottostimata, piuttosto che sovrastimata, in favore del contribuente. Non che mancassero allo Stato le informazioni utili per effettuare un’indagine statistica quantomeno di massima (ad esempio analizzando i flussi di traffico autostradale tra orari lavorativi e orari feriali). Tuttavia, rinunciando a ulteriori indagini, e in assenza di “lamentele” dell’una (dipendenti) o dell’altra (autonomi) parte sociale, tali percentuali potevano considerarsi “statisticamente buoni indicatori” della situazione reale. Passando a esaminare la situazione dei lavoratori autonomi, distinguiamo l’analisi tra coloro 13 La determinazione del costo è effettuata forfettariamente sulla base delle tariffe ACI, che, per esperienza pratica, sembrano piuttosto generose per il dipendente. Ma questo è un altro discorso. che non necessitano dell’utilizzo dell’auto e coloro che ne hanno necessità. Per quanto riguarda i primi, non vi sarebbe ragione di concedere una deduzione, per quanto forfettaria e limitata, della spesa per auto. Anche se occorre tener presente che residuerebbe una disparità di trattamento rispetto al caso del lavoratore dipendente, perché a differenza di quest’ultimo, non sarebbe nemmeno coperto il costo del trasferimento casa/ufficio. Si potrebbe ipotizzare che l’autonomo sia tentato ugualmente di detrarre la spesa per l’utilizzo dell’auto anche quando non ne ha assolutamente bisogno. Ma una simile circostanza può essere facilmente verificata osservando le modalità operative di svolgimento della professione. Per fare qualche esempio, un medico che effettua visite a domicilio, o un revisore che svolge gran parte dell’attività presso le sedi dei clienti, o un avvocato penalista che difende clienti presso vari tribunali, o un idraulico, o un commerciante avranno giocoforza necessità di impiegare l’autovettura. Meno probabile che questo si verifichi per un dentista. Peraltro le disposizioni generali (ma non l’art. 164 del Tuir) sono già scritte sulla base di questi principi, prevedendo la deduzione al 50% dei costi di utilizzo solo per i beni impiegati “promiscuamente” per l’attività e per l’uso personale, e non anche per quelli impiegati esclusivamente a titolo personale. Per quanto riguarda i secondi, invece, la deduzione va riconosciuta. La misura della deduzione ovviamente deve essere parametrata all’effettivo impiego professionale. Tuttavia, volendo forfetizzarla, e in assenza delle “rilevazioni statistiche medie” sul traffico veicolare, è accettabile affidarsi a criteri forfettari, purché non arbitrari. Ebbene, considerato che la percentuale di indeducibilità – che per tutti gli altri beni a uso promiscuo è pari al 50% – è stata via aumentata sino all’80%, con anche un limite nel valore assoluto riconosciuto, mentre in analoghe circostanze per i dipendenti la percentuale di indeducibilità è pari al 30%, senza alcun vincolo di valore, la violazione del principio di uguaglianza e di capacità contributiva tra le due situazioni appare in tutta la sua evidenza. Evidenza che si rafforza proprio constatando come tali aggravi discriminatori non siano stati motivati da ragioni legate a una più corretta valutazione estimativa della capacità contributiva sottesa all’autoconsumo di tali beni tra le due categorie. Anzi: gli aggravi portati dai primi due interventi legislativi a carico della sola categoria dei lavora47-48/2013 fascicolo 1 il fisco - rivista online - utente $12243809 - tutti i diritti riservati - WKI Srl 7282 APPROFONDIMENTO – Reddito di lavoro autonomo to portare a un adeguamento sia in ragione dell’inflazione monetaria, sia perché l’introduzione sempre più stringente di norme antinfortunistiche presuppongono che i veicoli non appartengano alle categorie più economiche, ma che invece siano dotati dei dispositivi più moderni disponibili per la tutela dell’integrità dei lavoratori (ABS, ASR, Airbag, Radar anticollisione, segnalatore cambio di corsia involontario, dispositivi “antisonno” e “salvapedone”, navigatore, telefono per chiamate d’emergenza, etc…). Per fare un esempio pratico, ipotizzando il caso di un veicolo “medio” dal costo di € 35.000, e utilizzando la nota metodologica di ACI per il calcolo dei costi effettivi, si ottiene: tori autonomi sono stati apertamente motivati da banali esigenze di cassa, che come tali avrebbero caso mai dovuto pesare allo stesso modo per entrambe le categorie. Addirittura, per il terzo intervento, si è data una visione distorta al Parlamento, tradendone la fiducia e quindi viziandone la decisione, equivocando apertamente questione dipingendo la deduzione di un costo “inerente” come una “agevolazione fiscale”. Per non parlare del “tetto” massimo di deducibilità del valore dell’auto, applicabile agli autonomi ma non ai dipendenti. Tetto che peraltro non è mai stato aggiornato dai tempi della sua introduzione (1997), laddove invece vi sono plausibili e più che ragionevoli motivi che avrebbero dovuKm annui 15.000 Dipendente Autonomo Autonomo Costi effettivi Costi effettivi costi deducibili Costo 35000 Tetto costo fiscale 35000 18075,99 Importo deducibile in ammortamento (20%) Costo per interessi annuo 1497 1497 299,4 1968,345 1968,345 1807,599 2600 2600 520 327 327 65,4 Carburante 2384,295 2384,295 476,859 Pneumatici 440,25 440,25 88,05 Manutenzione/riparazione 1168,2 1168,2 233,64 10385,09 10385,09 3191,548 Costo capitale* Assicurazione annua Bollo annuo Totale costo annuo effettivo Fringe benefit/costo non deducibile Imposta (40%) 2804 7193,542 1121,6 2877,4168 * ACI ipotizza che l’auto sia impiegabile per 10 anni In pratica, la quota parte di impiego personale comporta per il dipendente un’imposta pari a € 1.121,60, e per il lavoratore autonomo di € 2.844,41, con un aggravio fiscale non spiegato, né spiegabile, pari al 157%. L’obiezione “atecnica” che potrebbe essere formulata è che il lavoratore autonomo “fa il nero”, e quindi il diverso trattamento è giustificato dalle diverse opportunità “truffaldine”. Ciò sarebbe corretto se, tuttavia, l’erario accettasse il “nero” come sistema. Ma sinché – giustamente – lo persegue, applicando le doverose sanzioni per i trasgressori, l’argomento non regge. E peraltro non si può nemmeno escludere che pure il dipenden- 47-48/2013 fascicolo 1 il fisco - rivista online - utente $12243809 - tutti i diritti riservati - WKI Srl 7283 Reddito di lavoro autonomo – APPROFONDIMENTO te percepisca una parte di stipendio “fuori busta”. Si dimostra, dunque, che, a parità di situazione – vale a dire di impiego dell’auto promiscuamente per l’attività e per uso personale – il trattamento fiscale per il lavoratore autonomo/imprenditore è decisamente peggiorativo, e perciò lede il principio di uguaglianza. Ovvero, l’emergente disuguaglianza è essa stessa sintomatica dell’errore nella misurazione della capacità contributiva del lavoratore autonomo/imprenditore. Mutatis mutandis, la situazione si ripete anche considerando la situazione delle auto impiegate o intestate dalle società, applicando i medesimi ragionamenti sopra esposti per l’imprenditore individuale al socio lavoratore. 5. Lo spostamento della capacità contributiva dal dipendente al datore di lavoro Un ulteriore profilo di incostituzionalità riguarda l’interrogativo sopra esposto sub C): è coerente con il principio della capacità contributiva che il costo dell’auto concessa in uso promiscuo al dipendente sia solo parzialmente deducibile in capo al datore di lavoro? Come già detto, il canone interpretativo della Corte Costituzionale rispetto al vincolo della capacità contributiva è quello della arbitrarietà ovvero della discriminazione ingiustificata. La “ratio” sottostante alle limitazioni di deducibilità di costi realmente sostenuti è sempre riconducibile alla totale o parziale “non inerenza” del costo rispetto all’attività che genera ricavi. Limitazioni diverse, ovvero limitazioni che fossero motivate da ragioni diverse da quelle collegate al fatto che il costo non è necessario e nemmeno utile al perseguimento dei ricavi14, sarebbero arbitrarie, in quanto consentirebbero una sorta di “arricchimento indebito” per l’erario che può godere del contributo alla realizzazione dei ricavi fornito – anche indirettamente – dall’utilizzo del bene, senza partecipare all’onere relativo. Ovvero, sotto un altro aspetto, 14 In realtà possono sussistere alcune ragioni di indeducibilità che solo apparentemente sono diverse da quelle dell’inerenza, come ad esempio le limitazioni alla deduzione degli accantonamento ai fondi rischi, oppure alle aliquote di ammortamento. Ma tali ragioni, purchè non arbitrarie, sono motivate da esigenze di certezza e obiettiva determinabilità, ovvero da salvaguardia erariale rispetto a possibili comportamenti elusivi. Si pensi all’amministratore che prudentemente, ma in realtà per risparmiare imposte, calcolasse aliquote di ammortamento eccessive. vi sarebbe un arricchimento indebito da parte di alcuni cittadini che godrebbero ingiustificatamente del fatto che altri cittadini, hanno pagato imposte su una capacità contributiva ingiustificatamente accresciuta rispetto a quella vera. Osserviamo che nel contratto tipico che regola il rapporto di lavoro dipendente la concessione in uso di un veicolo aziendale costituisce parte integrante della retribuzione. Ed anzi potremmo dire decisivo, giacché, a parità di stipendio, il dipendente preferirà lavorare per il datore di lavoro che gli concede questo “benefit”. Normalmente non vengono concordate clausole che obblighino il dipendente a lasciare l’auto aziendale nella disponibilità personale del datore di lavoro. Più chiaramente, il dipendente non è tenuto anche a “lasciare le chiavi” al datore di lavoro il sabato e la domenica, proprio perché è lui, e solo lui, che ha diritto a impiegare l’auto a titolo personale e versa un’apposita imposta in cambio di tale utilizzo. La norma in esame, dunque, nella misura in cui colpisce anche il datore di lavoro con una ulteriore indeducibilità del costo auto (cioè aumentando l’indice di capacità contributiva del datore di lavoro per un potenziale utilizzo estraneo al fine aziendale senza che questo nemmeno abbia la possibilità teorica di beneficiare di tale consumo personale) realizza un vero e proprio spostamento di capacità contributiva ingiustificato dal lavoratore al datore di lavoro. Se non anche una forma di doppia imposizione che pure è proibita sia dai principi costituzionali che dall’art 163 del Tuir. C’è da chiedersi se il mero fatto che il datore di lavoro sia disposto a concedere l’utilizzo dell’auto al dipendente, conoscendo comunque l’aggravio fiscale che subirà in proprio sia, a sua volta, un fenomeno suscettibile di essere indicatore di una ulteriore capacità contributiva. Osserviamo sul punto che certamente questo non è il caso per le situazioni che vengono colpite dalla norma ma che preesistevano15: l’aggravio non era prevedibile, e pertanto si verterebbe in una applicazione retroattiva non giustificabile. Ma anche sotto questo angolo di visuale persisterebbe una violazione del principio di uguaglianza. In effetti, il valore della retribuzione in natura che corrisponde al diritto per il dipendente al15 Non solo quindi ai casi in cui una specifica auto viene concessa al dipendente, ma a tutti i casi in cui il contratto di lavoro sia stato firmato prima dell’introduzione della norma e preveda il diritto del dipendente a ottenere l’auto. 47-48/2013 fascicolo 1 il fisco - rivista online - utente $12243809 - tutti i diritti riservati - WKI Srl 7284 APPROFONDIMENTO – Reddito di lavoro autonomo l’impiego di un veicolo aziendale per fini privati può essere stimato numericamente. E difatti, ancorché in modo forfettario, il Fisco lo ha stimato in misura esatta: non vediamo per quale ragione tale stima non sia possibile anche nell’ambito della trattativa sul compenso tra datore di lavoro e lavoratore per arrivare a un punto di equivalenza. Ovvero raggiungerlo in base a una stima peritale. Ebbene, ipotizzando di determinare il valore dell’impiego privato da parte del dipendente in una certa misura, cosa accadrebbe al datore di lavoro se riconoscesse al dipendente il medesimo valore economico sotto forma di retribuzio- ne in denaro invece che in natura? Nessun dubbio vi sarebbe che l’intero costo del compenso erogato al dipendente sia pienamente deducibile16. E allora, quale sarebbe la ragione “non arbitraria” per la quale se una certa remunerazione viene erogata in natura il datore di lavoro soffrirebbe un aggravio fiscale rispetto al caso in cui la stessa remunerazione venisse erogata in denaro? 16 A nostra memoria, ancora non si è assistito a valutazioni di congruità sugli stipendi dei dipendenti, che porti a una parziale indeducibilità. Ma attendiamo smentite. 47-48/2013 fascicolo 1 il fisco - rivista online - utente $12243809 - tutti i diritti riservati - WKI Srl