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n° 331 - luglio 2007 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Il Guercino Tra la formazione in ambito barocco avvenuta in area padana e l’incontro con il classicismo romano, il percorso di uno dei maestri del Seicento Della formazione e dell’attività iniziale del Barbieri sappiamo ben poco, forse perché il pittore trascorse adolescenza e parte della giovinezza in una città di provincia, Cento, dove non esisteva una personalità artistica di rilievo né una scuola locale. Nato intorno al 1591, non si conoscono sue opere precedenti al 1612, presumibile data dell’affresco con Due angeli reggenti il sudario di Santa Veronica con l’immagine di Cristo, entro finta architettura, di cui un frammento è sopravvissuto all’incendio che nel 1613 devastò la chiesa dei Servi a Cento, per la quale era stato eseguito: certo è che nei primi anni del suo percorso creativo, il Barbieri fu impegnato prevalentemente nella esecuzione di opere a fresco, in particolare la decorazione di abitazioni delle preminenti famiglie centesi, mentre negli anni maturi si dedicò esclusivamente alla pittura ad olio. Le commissioni per opere importanti iniziano ad essergli affidate intorno al 1615, e che in questo periodo l’artista fosse già conosciuto e apprezzato lo ricaviamo da testimonianze dirette dei contemporanei. Infatti nel 1617 Ludovico Carracci - che rappresentò uno dei modelli per lo stile degli anni giovanili di Guercino - si esprime in una lettera da Bologna con toni molto lusinghieri sul conto del giovane pittore: «Qua vi è un giovane di patria di Cento, che dipinge con somma felicità di invenzione. È gran disegnatore, e felicissimo coloritore: è mostro di natura e miracolo da far stupire chi vede le sue opere. Non dico nulla: ei fa rimanere stupidi li primi pittori». Che gli inizi della sua attività guardassero alla pittura di Ludovico Carracci fu proprio Guercino ad affermarlo e del resto, senza arrivare fino a Bologna, a Cento poteva ammirare la pala per l’altare della chiesa dei Cappuccini che Ludovico aveva dipinto nel 1591; comunque, nonostante questa riconosciuta filiazione, fra il 1617 e il 1620, quando a Bologna dipingeva per il cardinal Ludovisi, l’artista aveva ormai acquisito una sua ben delineata personalità. Sir Denis Mahon vede affiorare in questi anni «una straordinaria vivacità nel vario uso dei contrasti di luce e d’ombra, adoperata con una fluidità di tocco che impedisce al peso che sentiamo nelle forme di diventare un dato di fatto piuttosto Giuseppe resiste alla moglie di Putifarre - Washington D.C. The National Gallery of Art che un suggerimento indiretto». La descrizione si addice perfettamente alla tela con Susanna e i vecchioni, ultimo dei tre dipinti commissionati dal Ludovisi, nel quale la resa della natura appare diretta, senza risentire le costrizioni e i legami degli schemi stilistici correnti; elemento questo che identifica Guercino come pittore originale fino dagli anni giovanili e poco influenzato dai precedenti, ancorché illustri. La Vestizione di San Gugliemo, del 1620, rappresenta il culmine di questa fase stilistica: il grande quadro, considerato fin dal primo momento tra i capolavori assoluti della pittura dell’epoca, fu ap- pag. 2 prezzato dalla critica con elogi entusiastici, e posto a confronto con la pittura di Ludovico Carracci. Pur nella solidità con cui sono costruite le figure, strette e intrecciate in uno spazio limitato, la Vestizione mantiene un ritmo fluido, accentuato dagli intensi e mutevoli effetti di luce e dal colore, vellutato e profondo: caratteristiche comuni al Giacobbe che benedice i figli di Giuseppe, dipinto lo stesso anno a Ferrara per il Cardinale Serra, in cui l’impostazione delle figure, di scorcio e in movimento, appare in completa antitesi con quell’ “idealismo classico” con il quale Guercino si trovò a dover fare i conti dopo l’arrivo a Roma. Nel 1621, infatti, il cardinale Ludovisi, asceso al soglio pontificio come Gregorio XV, chiamò a sé Guercino per la decorazione a fresco del Casino di campagna al Pincio, offrendo al pittore l’occasione per affrontare una tecnica abbandonata da vari anni. L’esperienza romana segnò un momento fondamentale nell’evoluzione del Barbieri, sia per l’ingresso in un ambiente completamente diverso da quello emiliano, sia per l’incontro con le opere di Caravaggio e Domenichino: all’influenza di quest’ultimo - che si trovava alla corte di Gregorio XV come architetto di palazzo - rimanda la Presentazione di Gesù al tempio, dipinto che risultò il preferito del Guercino che lo tenne sempre con sé, appeso presso il proprio letto «per sua di- mestica divozione». In quest’opera i caratteri stilistici di area settentrionale dovuti alla formazione dell’artista si fondono con l’impostazione classica che gli derivava dal contatto con la cultura figurativa romana. Nella Liberazione di San Pietro, dipinta intorno al 1622, la luce è usata per dare rilievo alle forme, piuttosto che frantumarle come avveniva nelle opere del periodo precedente, e il colore tende ad accentuare il tono drammatico della struttura narrativa, come avverrà nelle opere successive. La Liberazione appartiene in effetti ad un periodo di transizione, nel quale i caratteri che impronteranno lo stile maturo di Guercino non si sono ancora del tutto affermati, e non si è quindi pienamente verificato il passaggio dallo stile “barocco” della produzione giovanile alla “classicità” dell’età matura e delle opere più tarde. Nel 1623, dopo l’improvvisa morte di Papa Gregorio, Guercino tornò a Cento, dove avviò una bottega destinata a continuare l’attività fino agli inizi del secolo successivo, coinvolgendo una cerchia di nipoti e parenti che affiancarono il maestro ripetendone modelli e invenzioni ed eseguendo anche copie delle sue opere più importanti in una sorta di “impresa a conduzione familiare”. Il problema dell’evoluzione stilistica dell’artista, che ha lungamente interessato la critica, ha subito una revisione dopo il restauro a cui sono state sottoposte molte opere, La presentazione di Gesù al tempio - Londra, National Gallery soprattutto quelle della tarda maturità, sottovalutate fino a tempi recenti a causa della patina scura che ne aveva resa difficile la leggibilità; scriveva infatti nel 1808 il biografo Jacopo Alessandro Calvi a proposito del colore nella pittura del Barbieri: «sempre, e più forse nell’ultima sua maniera, ha usate così saporite e lucide e naturali tinte, che formano un magico incanto»; Giuseppe resiste alla moglie di Putifarre, così come Amnon scaccia Tamar dopo averla sedotta - dipinti nello stesso anno a formare una coppia - rappresenta un chiaro esempio di quell’uso delle “lucide tinte” a cui fa riferimento il Calvi, sia nell’azzurro intenso del drappo, sia nel rendere la superficie cangiante pag. 3 del cuscino e il biancore eburneo delle carni. La stessa tavolozza di colori lapidei, con il contrappunto fra porpora e lapislazzuli, si ritrova in Susanna e i vecchioni, dipinto intorno al 1650, nel quale ritorna anche un altro elemento caratteristico della produzione matura, la predilezione per le mezze figure. A partire da questo quadro il Guercino sembra essersi rivolto definitivamente ad uno stile raffinato, caratterizzato da colori più delicati e da un tocco più fine, mentre l’attenzione per l’elemento paesaggistico riconduce ancora una volta ad un’impostazione di fondo il cui spirito rimane sempre e comunque - pur in un tempo nel quale la passionalità “barocca” dell’età giovanile è ormai decantata in elegante compostezza quello di un lirico naturalismo. ilaria occhipinti