Agenti dei calciatori-1

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Agenti dei calciatori-1
Football Supporter Europe (F.S.E.) Member
Roma, 27 febbraio 2015
Agenti di calciatori: deregulation totale ?
(Avv. Massimo Rossetti, Responsabile dell’Area Giuridico – Legale)
Dal primo aprile prossimo dovrebbe entrare in vigore una nuova disciplina FIFA dell’attività degli
agenti dei calciatori.
A quanto sembra (vedasi l’articolo di Carlo Laudisa a pag. 21 de “La Gazzetta Sportiva” del 18
gennaio scorso), gli agenti si chiamerebbero procuratori e per svolgere la loro attività non vi sarebbe
più bisogno di alcun esame abilitativo, con la possibilità di liberatamene cumulare incarichi sia da
calciatori sia da società di calcio.
A propria volta, la FIGC sarebbe impegnata a formulare un proprio, nuovo regolamento della
predetta attività.
Ciò premesso e in attesa di più analitiche, approfondite e meditate valutazioni, se e quando sia la
nuova disciplina FIFA sia la nuova regolamentazione FIGC saranno state emanate e rese note, per
l’intanto, alcune considerazioni si impongono.
Federsupporter, sin dal 2010, ha avuto modo di occuparsi ripetutamente degli aspetti concernenti la
figura, il ruolo e l’attività degli agenti di calciatori: sia sotto il profilo dell’ordinamento sportivo sia
di quello dell’ordinamento statale sia, in particolare, sotto il profilo tributario.
In questa sede, nel riportarmi integralmente a tutte le analisi in precedenza svolte, non posso
esimermi dall’esprimere forti interrogativi e perplessità circa le novità che si vorrebbero introdurre.
La figura dell’agente o, come sembra si chiamerà, di procuratore di calciatori è civilisticamente
inquadrabile nella categoria di prestatore d’opera intellettuale.
L’art. 2229 C.C., per tale categoria, stabilisce che “La legge determina le professioni intellettuali
per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi o elenchi”.
Mentre, quindi, la norma statale non esclude che prestazioni d’opera intellettuale possano esercitarsi
anche al di fuori di categorie individuate ex lege, la cui appartenenza comporta il superamento di
appositi esami abilitativi e l’iscrizione in appositi albi o elenchi professionali, le norme sportive
calcistiche, sia internazionali sia nazionali, prevedono, almeno finora, ai fini dell’esercizio
dell’attività di agente di calciatori, il superamento di un esame abilitativo e l’iscrizione in un
apposito elenco.
Viene da chiedersi, allora, quali siano i motivi che indurrebbero ora la FIFA a un così radicale
mutamento, per cui, in pratica, chiunque potrebbe – potrà – svolgere un’attività che oggettivamente
richiede specifici ed elevati requisiti di professionalità e di onorabilità.
Mutamento che non pare essere negli interessi, almeno di quelli ostensibili, né degli agenti, né dei
calciatori, né delle società.
Per quanto riguarda gli agenti, non può certamente giovare loro il fatto che la categoria non abbia
più né limiti né confini, con il rischio di un rigonfiamento a dismisura e del conseguente venir meno
della garanzia di elevati standard di professionalità, onorabilità, di deontologia, di dignità e lavoro.
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A questo proposito, si tenga presente che già oggi gli agenti lamentano di godere di scarsa stima e
prestigio, essendo spesso considerati alla stregua, non di professionisti, bensì di maneggioni e
faccendieri.
Non si comprende, poi, eliminato l’esame abilitativo per l’accesso alla professione e un apposito
elenco di iscrizione, che senso e utilità avrebbe il ricorso a crediti formativi che sono funzionali a
mantenere e ad accrescere nel tempo proprio quegli standard professionali iniziali minimi, che si
vorrebbero eliminare, asseverati dal superamento di un esame abilitativo e dall’iscrizione in un
apposito elenco.
D’altronde, già il Tar del Lazio, Sezione III, con sentenza n. 3925 del 16 dicembre 1999, aveva
riconosciuto all’ordinamento sportivo la facoltà di adottare una disciplina regolamentare che avesse
dettato condizioni e requisiti per l’esercizio dell’attività di agente, con la costituzione di un apposito
albo, dovendosi ritenere l’iscrizione in quest’ultimo come condizione essenziale e necessaria per
l’esercizio della predetta attività.
E’ pur vero che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCOM), con
provvedimento n. 15477 del 24 maggio 2006, aveva ritenuto che l’obbligo per l’agente di
iscrizione in un apposito albo non rispondesse ad esigenze di necessità e proporzionalità, ma ciò sul
presupposto e sulla base che “la previsione di un esame per l’ottenimento della licenza rappresenta
uno strumento di per sé sufficiente a garantire l’accesso alla professione”.
Aggiungasi che la possibilità di cumulo indistinto di incarichi da calciatori e società non può che
aggravare il fenomeno, peraltro già esistente, di inestricabili conflitti di interessi e di opacità di
rapporti e di prestazioni.
Ma l’attività degli agenti di calciatori presenta da tempo un cruciale problema, tuttora rimasto
irrisolto, nonostante le reiterate sollecitazioni anche formali di Federsupporter (vedasi le lettere del
18 ottobre e del 15 novembre 2012) al competente Ministero del Lavoro delle Politiche Sociali,
concernenti la non conformità della suddetta attività alle norme dell’ordinamento statale che
disciplinano l’intermediazione di manodopera.
Al riguardo, è opportuno fare riferimento all’ampio e pregevole studio “La figura dell’agente
sportivo alla luce del diritto del lavoro interno e comunitario” dell’Avv. Paolo Amato, Dottore di
ricerca in Studi Giuridici Comparati ed Europei presso l’Università degli Studi di Trento, in “Sports
Law And Policy Centre”, 2011.
Nel citato studio, al paragrafo 5 “Profili di criticità connessi all’eventuale attività di intermediazione
di manodopera svolta dall’agente”, si afferma che “Una simile attività, così come definita dal citato
regolamento (Regolamento FIGC ndr), ed eventualmente posta in essere dall’agente, si avvicina
molto alla fattispecie dell’intermediazione di manodopera, vietata (e sanzionata) dalla legge”.
Più precisamente, l’Autore richiama il Decreto Legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (cosiddetta
“Legge Biagi”) che legittima l’esercizio dell’attività di intermediazione di manodopera soltanto da
parte di soggetti autorizzati dallo Stato che abilita operatori, pubblici e privati, denominati “Agenzie
per il lavoro” allo svolgimento di tale attività, in presenza di determinati requisiti di professionalità,
onorabilità e di possesso di risorse economiche, iscritti in un apposito albo.
Vale a dire che l’ordinamento statale consente solo a determinati soggetti autorizzati, che non
possono mai essere persone fisiche, di esercitare attività contrarie al generale divieto di
interposizione di manodopera, sanzionando anche penalmente soggetti non autorizzati e chi li
utilizza.
Sempre secondo il suddetto ordinamento, il compenso al soggetto intermediario autorizzato non può
essere corrisposto, in maniera assoluta e inderogabile, dal lavoratore (il calciatore professionista è,
per legge, la legge n. 91/1981, un lavoratore subordinato), mentre, secondo l’ordinamento sportivo
calcistico, il compenso all’agente del calciatore deve essere pagato da quest’ultimo.
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Né, in materia, come pure da me evidenziato in miei precedenti scritti consultabili sul sito
www.federsupporter.it, può invocarsi l’autonomia e specificità dell’ordinamento sportivo, onde
poter sostenere che le norme di quest’ultimo prevalgono su quelle statali.
Illuminante è, a questo proposito, quanto sancito dal Tribunale di Primo grado della CE, nella
sentenza concernente la causa T – 193/02 Laurent Piau/ Commissione delle Comunità Europee,
in cui è stato stabilito che l’attività di agenti di calciatori è “un’attività economica di prestazione di
servizi e non un’attività peculiare del mondo dello sport nel senso definito dalla giurisprudenza”
senza che, pertanto, “per essa valgano le peculiarità del mondo dello sport al quale, per l’appunto,
non appartiene”.
La stessa sentenza, con riferimento al rapporto tra norme FIFA e norme comunitarie, recita “Il
principio medesimo della regolamentazione di un’attività economica non concernente né le
peculiarità del mondo dello sport, né la libertà di organizzazione interna delle associazioni
sportive, da parte di un organismo di diritto che non ha ricevuto nessuna delega in tal senso
dall’autorità pubblica, com’è appunto la FIFA, non può essere prima facie ritenuto compatibile
con il diritto comunitario, visto che è questione segnatamente di rispettare libertà civili ed
economiche. Una regolamentazione siffatta, che disciplina un’attività economica toccando libertà
fondamentali, compete in linea di principio alle autorità pubbliche”.
Naturalmente questi principi vanno estesi al rapporto che intercorre, ai fini della disciplina
dell’attività in oggetto, tra norme sportive nazionali e norme statali nazionali.
Ma v’è di più.
Come sottolineato nella lettera di Federsupporter del 18 ottobre 2012 all’allora Ministro del Lavoro
e delle Politiche Sociali, la stessa FIFA, evidentemente alla luce dei principi enunciati nella predetta
sentenza, nella propria regolamentazione della attività degli agenti, prevede espressamente che essa
non esonera dall’obbligo di osservanza della legislazione nazionale applicabile nel territorio di ogni
singola Federazione, “con particolare riferimento alle leggi in materia occupazionale”.
Sicchè è lo stesso ordinamento sportivo che prescrive la conformità e conformazione dell’attività
degli agenti all’ordinamento statale applicabile nella predetta materia nel territorio di ogni singola
Federazione.
Non v’è dubbio, dunque, che il problema, posto da Federsupporter sin dal 2010, dovrebbe – deve –
essere finalmente affrontato e risolto nella necessaria, competente sede legislativa.
O stabilendo espressamente l’eccettuazione dell’attività degli agenti di sportivi professionisti, in
generale, dalle norme regolanti il mercato di lavoro e l’intermediazione di manodopera, ovvero
disciplinando l’esercizio di tale attività secondo proprie, specifiche statuizioni.
In quest’ultimo modo, non violando l’autonomia dell’ordinamento sportivo, poiché, come si è visto,
quella di cui trattasi è un’attività economica che non riguarda né la peculiarità del mondo dello sport
né la libertà di organizzazione interna delle associazioni sportive.
Attività economica certamente non marginale e irrilevante, se si pensa che, secondo il “Global
Transfer Market Report 2015”, che la FIFA ha presentato il 28 gennaio scorso, il costo
complessivo dei compensi agli intermediari nel 2014 è stato di ben 236 milioni di dollari su un
totale acquisti delle prestazioni di calciatori di 4.063 milioni di dollari.
L’Italia che, sull’entità totale dei suddetti acquisti, si colloca in Europa dopo Inghilterra, Spagna e
Germania e poco prima della Francia, risulta, invece, quanto al costo totale delle commissioni per
intermediari, al secondo posto subito dopo l’Inghilterra, con una spesa complessiva di 36 milioni di
dollari su un totale europeo, allo stesso titolo, pari a 236 milioni di dollari: vale a dire per circa oltre
il 15 %.
I club italiani, pertanto, in rapporto al volume di affari relativo al mercato delle prestazioni dei
calciatori, sono quelli che, a livello europeo, più spendono per commissioni a intermediari.
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Se si tiene conto di ciò, appare ancora più grave il problema della diffusa e frequente opacità dei
rapporti che intercorrono tra intermediari (soggetti spesso neppure agenti autorizzati o che si
servono di questi ultimi come prestanome), calciatori e società.
Nel febbraio 2012 risultavano sottoposti a procedimenti disciplinari sportivi, finiti quasi tutti con
condanne o patteggiamenti, per plurime violazioni del Codice di Giustizia Sportiva e del
Regolamento Agenti FIGC, ben 8 società di Serie A, 5 di Serie B, 15 dirigenti e 10 calciatori, tra
Serie A e B, nonché 25 agenti.
Da ultimo, è notizia del 25 febbraio scorso, che il calciatore della Lazio, Onazi, l’agente Kevin
Fioranelli ( fratello di Jesse Fioranelli, match analist della stessa Lazio), il direttore sportivo, Igli
Tare, il segretario generale, Armando Calveri, del Club, nonché quest’ultimo, per responsabilità
oggettiva, sono stati deferiti dalla Procura federale della FIGC al Tribunale federale nazionale, oltre
che per omesso mandato del calciatore all’agente, per conflitto di interessi.
Ma, cosa ancor più grave, risultavano in essere indagini promosse da alcune Procure della
Repubblica per l’accertamento di eventuali reati tributari e per il reato di riciclaggio in connessione
con le suddette attività di intermediazione.
In precedenza, Commissioni Tributarie e la stessa Corte di Cassazione in specie con la sentenza
n. 4937, Sezione Tributaria, dell’ 11 novembre 2009/ 26 febbraio 2010, avevano accertato
rilevanti fenomeni di evasione ed elusione fiscale cui attività di intermediazione e ricerca di
calciatori si erano prestate.
Al punto che nella richiamata sentenza si parla di “complessi meccanismi simulatori e
interpositivi”.
Tuttavia e a onta di quanto sopra, con la legge di stabilità per il 2014, il legislatore ha legalizzato
parzialmente i rilevati fenomeni di evasione ed elusione fiscale.
Infatti, come articolatamente spiegato nelle mie note del 10 gennaio 2014, pure consultabili sul sito
www.federsupporter.it, mediante una modifica (comma 4 bis) apportata all’art. 51 del Testo Unico
delle Imposte sui Redditi (DPR 22 dicembre 1986, n. 917), è stato previsto che “Il costo dell’attività
di assistenza sostenuto dalle società sportive professionistiche nell’ambito delle trattative aventi ad
oggetto le prestazioni sportive degli atleti professionisti” rientra nel reddito imponibile di tali atleti
solo “nella misura del 15%, al netto delle somme versate dall’atleta professionista ai propri agenti
per l’attività di assistenza nelle medesime trattative”.
La qualcosa vuol dire che il costo, assunto a proprio carico dal club per l’attività di intermediazione
svolta dall’agente a favore dell’atleta professionista, costituisce reddito imponibile per quest’ultimo,
non per l’intero, bensì soltanto nella misura del 15%, al netto di ciò che eventualmente l’atleta abbia
corrisposto all’agente a proprio carico.
Ne consegue che, per la società, quanto dovuto dall’atleta e da essa assunto a proprio carico sarà
deducibile dal reddito d’impresa e sarà detraibile, ai fini Irap ed Iva, per l’85% del totale, mentre, ai
medesimi fini, non sarebbe stato detraibile per il 100%, in quanto i cosiddetti “fringe benefit”, cioè
a dire le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta dal
lavoratore erogati dal datore di lavoro anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al
rapporto di lavoro, sono considerati privi dell’inerenza all’attività imprenditoriale.
La soluzione adottata si pone, peraltro, in netto contrasto con la Circolare n. 37/E del 20 dicembre
2013 dell’Agenzia delle Entrate, che, proprio nell’ambito dell’esame di questioni fiscali emerse
nel corso del Tavolo Tecnico tra la stessa agenzia, la FIGC e le Leghe, aveva ribadito l’applicabilità
ai calciatori professionisti, poiché lavoratori subordinati, dell’art. 51 del Testo Unico sulle Imposte
dei Redditi, addirittura ricomprendendo nella nozione di lavoro dipendente dei predetti calciatori le
spese di vitto e alloggio dei medesimi assunte carico delle società, a eccezione delle spese relative
ad attività svolte fuori dalla sede lavorativa indicata nel contratto di lavoro (sede di ritiri pre
campionato e pre partita).
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A maggior ragione, quindi, avrebbero dovuto e dovrebbero essere ricompresi, per intero, nel reddito
imponibile del calciatore i compensi pagati dalle società agli agenti di questi ultimi per l’attività
svolta a favore degli stessi.
Non si capisce e non si giustifica, in definitiva, l’evidente disparità di trattamento tributario tra lo
sportivo professionista lavoratore subordinato e tutti gli altri lavoratori subordinati, nonché tra
società sportive professionistiche datrici di lavoro e tutti gli altri datori di lavoro.
Lo sportivo professionista, da un lato, per il quale i compensi dovuti al proprio agente, assunti a
carico della società, sono considerati reddito imponibile ai fini Irpef solo per il 15%, mentre
dall’altro, per ogni altro lavoratore dipendente, nei confronti del quale, per esempio, il datore di
lavoro abbia assunto a proprio carico le spese legali e notarili per l’acquisto della casa del
dipendente stesso, sono considerate, per intero, reddito imponibile ai fini Irpef del medesimo
lavoratore e, mentre, nel primo caso, i compensi all’agente sono, per la società, detraibili, ai fini
Irap ed Iva, per l’ 85%, nel secondo caso, le spese assunte a proprio carico dal datore di lavoro non
sono detraibili, agli stessi fini, nella loro interezza.
Ne derivano forti dubbi di legittimità costituzionale della norma introdotta con la legge di
stabilità per il 2014: sia sotto il profilo di irragionevolezza intrinseca della norma sia, per
l’appunto, sotto il profilo di evidente ed ingiustificata disparità di trattamento tributario a
parità di condizioni.
Avv. Massimo Rossetti
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