Pierin Fagiolo - Comune di Reggio Emilia
Transcript
Pierin Fagiolo - Comune di Reggio Emilia
“…Io avevo una nonna analfabeta che era una grande raccontatrice di favole... Quello che io mi ricordo, non sono tanto i racconti che mi faceva, ma il fatto di stare seduto, per ore, ad ascoltarla. Perdevamo del tempo insieme. Questo secondo me è l’atto del narrare: perdere del tempo insieme... Proprio nel senso di perdersi nel tempo e di perdere tempo”. Marco Baliani Pierin Fagiolo e altre storie di qui e d’altrove leggende storie favole fiabe Reggio Emilia, marzo 2006 REGGIO NARRA Far perdere tempo alla citta’ Questo l’intento del libro Pierin Fagiolo, distribuito gratuitamente a tutti i bambini delle scuole dell’infanzia: far perdere tempo alla città. Nel senso di consentire a bambini e adulti di uscire dal primato del tempo dedicato esclusivamente al lavoro e di ritrovare invece il tempo della relazione e del dialogo. Insomma nel senso di donarsi il tempo del narrare e del leggere. Per questo l’offerta ai bambini reggiani di un libro di favole risulterà impegnativo soprattutto per i genitori, i nonni e gli insegnanti, che sono invitati a riscoprire il valore e il fascino della narrazione e quindi ad impegnarsi in un mese di “lettura condivisa” dello stesso testo. La proposta di leggere insieme, in tanti, nello stesso mese (21 marzo–21 aprile 2006) lo stesso libro può rappresentare una originale opportunità per condividere storie, emozioni e immaginari e per attivare dialoghi e relazioni. Come dice il principio ispiratore di analoghe esperienze attuate altrove “Se una comunità legge lo stesso libro, quando lo finisce è più unita”. Questo perché il libro e la narrazione hanno la forza di costruire coesione emozionale e senso di appartenenza. Infatti l’offerta a migliaia di famiglie del Libro Pierin Fagiolo ha lo scopo di aiutare bambini ed adulti a ritrovarsi insieme attorno ad un racconto, riscoprendo il fascino dell’ascolto e del narrare. Se una generazione di bambini e genitori riesce a coltivare immaginari comuni e a creare una memoria condivisa di fantasie e di sogni, allora si può ritenere che una città abbia svolto degnamente il proprio ruolo di comunità educante. Oggi le uniche occasioni in cui un medesimo patrimonio di storie riesce a coinvolgere un gran numero di persone sono offerte dai media televisivi. Se si dimostrasse che anche un libro è in grado di ricreare coinvolgimento e partecipazione, allora si potrebbe dire che anche la lettura e la narrazione sanno riempire i sogni ad occhi aperti di una collettività e questo potrebbe dare speranza a tutti coloro che credono alla cultura come arricchimento e non come spettacolo. Il libro, che contiene una decina di fiabe, è dedicato a Pierin Fagiolo, il personaggio più gettonato delle favole tradizionali reggiane, sicuramente quello che ha accompagnato l’immaginario fantastico di tante generazioni di bambini. Pierin Fagiolo e altre storie di qui e d’altrove 1 Pubblicazione edita da Scuole e Nidi d’infanzia Istituzione del Comune di Reggio Emilia A cura di Indice Sergio Spaggiari Introduzione con la collaborazione di Pierin Fagiolo pag 7 La favola del topolino pag 15 Paola Ferretti e Antonia Monticelli del Laboratorio Teatrale Gianni Rodari. I testi delle fiabe sono adattamenti e rielaborazioni dalla tradizione letteraria ed orale. ‘La Principessa Carolina’ è tratta dal libro ‘Sette fiabe per sette giorni’ di Francesco Fornaciari, edito da Rotary Club di Reggio Emilia. La favola ‘I tre anelli’ è stata scritta da Annalisa Rabotti, traendo spunto da ‘Nathan il saggio’ di G.E. Lessing e dal ‘Decamerone’ di Boccaccio. di Nicola Barbieri La Principessa Carolina Il Pesciolino d’oro di Francesco Fornaciari di Aleksandr Puskin pag 5 pag 19 pag 23 I musicanti di Brema di Aleksandr Puskin pag 28 Il Libro delle magie di Ludwig Bechstein pag 31 L’uccello dalle uova d’oro da Le mille e una notte pag 36 L’iniziativa Far perder tempo alla città è promossa dall’Istituzione Scuole e nidi d’infanzia del Comune di Reggio Emilia e dall’Associazione Amici di Reggio Children in collaborazione con FISM (Fed. Scuole Materne Cattoliche) Il Principe serpente di Gianbattista Basile pag 41 Paradiso e Inferno pag 50 La Scimmia e il Leone pag 52 Giufa’ e la statua di gesso pag 54 Giufa’ e il chiodo pag 56 I tre anelli pag 57 Impaginazione grafica Roberta Vignali Disegni bambini della scuola comunale dell’infanzia Belvedere di Reggio Emilia Diffusione distribuzione gratuita ai bambini delle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia Stampato da Centrostampa Gaf - Reggio Emilia 2 3 Tutti sanno che quando un racconto inizia con “C’era una volta…” ci si trova immersi in una fiaba: è l’inizio di un viaggio che trasporta l’ascoltatore in una dimensione nuova, caratterizzata da uno spazio indefinito, da un tempo senza tempo, da un’atmosfera “straordinaria” popolata di animali tronfi come leoni e astuti come scimmie, di streghe che vogliono mangiare Pierin Fagiolo, di finti tonti come Giufà. Le prime parole di una fiaba rimandano ad una comunità che s’incontra, una volta in una stalla, davanti a un focolare, su di un’aia; ora in una ludoteca, in una sala cinematografica o in un auditorium. Quando l’accattivante voce di chi narra si impone sulle altre, inizia a dipanare storie di eventi lontani, nelle quali echeggiano ancora i suoni e le voci che esprimevano il ritmo delle stagioni, le danze di caccia, le feste del raccolto, la celebrazione della trasgressione carnevalesca. Il prevalente contenuto immaginario della fiaba ha poi lo scopo principale di suscitare sentimenti forti nell’ascoltatore, bambino o adulto che sia: dare una sensazione di piacere, suscitare meraviglia, far sperimentare le emozioni fondamentali della paura e della gioia liberatoria. Se l’origine della fiaba si perde nella antichità del mito e della tradizione orale, in quell’immaginario collettivo che fa parte della cultura e del folklore dei popoli, la sua continua riproposizione narrativa la rende sempre nuova e sempre proiettata al futuro, proprio come il principe Sauro e la principessa Colombina, che vogliono solo vivere insieme felici e contenti: il loro desiderio diventa anche il nostro. Se poi il futuro è un futuro di pace e di fraterna condivisione, come quello prefigurato dal paradiso delle fiaba cinese, meglio ancora! 4 Nicola Barbieri 5 Pierin Fagiolo C’era una volta e che avevano . Vivevano in uno stato di grande miseria e spesso i figli non avevano da mangiare e si lamentavano. Un giorno il papà disse alla moglie: “Siamo veramente tanto poveri e spesso non riusciamo neanche a dar da mangiare ai nostri figli. Io sono proprio disperato, è una sofferenza che non sopporto più. Dimmi tu, cosa possiamo fare?” “Cominciamo a mandarli tutti a lavorare, dal più grande al più piccolo. Solo così potremo continuare a vivere.” Allora il padre, rasserenato, disse: “Hai ragione, cominciamo a mandarli a lavorare da qualche parte!” Il più grande lo mandarono a lavorare da un contadino, un altro lo misero a portar fuori i maiali, un altro ancora a dar da mangiare e pulire le vacche, uno ad accudire il pollaio, un altro a lavorare nell’orto. Alla fine tutti i figli avevano qualcosa da fare. , che era il piu’ piccolo di tutti, lo misero sopra ad un gigantesco albero di pere affinché guardasse che nessuno venisse a rubarle. Raggiunti i rami più alti del pero, rimase là per alcune ore, poi vide arrivare ai piedi del pero una vecchia strega che subito gli disse: “Guarda, guarda... c’è Pierin Fagiolo! Pierino, mi dai un perino?” Allora le rispose Pierino: “No, che sei quella brutta vecchia che mi vuol mangiare” “Dai, Pierino, dammi un perino che ho fame.” “No che non te lo do! Mio papà mi ha detto di no!” “Dai, Pierino, buttamelo giù nel grembiule!” un papa’ una mamma tanti figli Pierino 6 Pierin Fagiolo 7 “No, che è tutto pisciolento!” “Buttamelo allora nella camicia!” “No, che è tutta cagolenta!” “Dai che lo prendo col fazzoletto!” “No che è tutto caccolento!” “Beh, allora…. allungamelo!” Pierino, veramente stupido, si lasciò convincere e allungò giù il perino, ma la strega prese lui per mano, lo tirò giù e lo mise subito dentro al sacco. Dopo aver chiuso ben bene il sacco, se lo mise sulla schiena e si incamminò verso casa, dove voleva andare a mangiarselo. Ma mentre andava a casa le venne mal di pancia: doveva subito andar di corpo, se no se la faceva addosso. La vecchia vide alcuni contadini che stavano zappando il terreno: “Ehi! Contadini! Mi tenete voi questo sacco che io devo andare a fare i miei bisogni?” “Va bene, mettetelo lì.. Ma andate ben lontana a cagare, perché non vogliamo sentire la puzza.” Come la vecchia strega si è allontanata, da dentro il sacco Pierin Fagiolo cominciò a gridare: “ Aiuto, aiuto, sono Pierino! Aprite il sacco!” Gli zappatori aprirono il sacco e videro che dentro c’era un bambino. Lo fecero venir fuori e riempirono il sacco con tanta terra. La vecchia, dopo aver fatto i bisogni, tornò indietro e prese il sacco che era ancora lì dove l’aveva lasciato. Così ringraziò: “Grazie, grazie, contadini!” E riprese la sua strada. Quando si trovò vicino a casa, incominciò ad urlare a sua figlia: “Minghèta, metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo! Dai, Minghèta, metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo!” E questo lo gridava da lontano, così quando arrivava a casa, il paiolo era già pronto per metterci dentro Pierin Fagiolo. 8 La Minghèta mise il paiolo sul fuoco e dopo un po’ l’acqua stava già bollendo. Giunta a casa la vecchia strega disse alla figlia: “Dai che bolle, dai che bolle!” Presero in mano il sacco e lo rovesciarono dentro il paiolo, credendo di buttarci dentro Pierino, ma invece nel paiolo ci cadde dentro tanta terra e l’acqua bollente spruzzò e scottò le due donne. Il giorno dopo la vecchiaccia, molto arrabbiata, era di nuovo sotto l’albero di pero, dove c’era ancora Pierin Fagiolo. Allora gli ha detto: “Pierino, ” mi dai un perino! “ No, perché sei una brutta vecchia e mi vuoi mettere nel sacco. Non te lo do neanche, ma neanche…” “Dai dammi un perino, dammi un perino”, e il bimbo si lasciò convincere e disse: “Dove te lo butto il perino?” “Buttamelo giù nel grembiule!” No, che è tutto pisciolento!” “Allora lo prendo con la camicia!” “No, che è tutta cagolenta!” “Dai.. buttalo nel mio fazzoletto!” “No che è tutto caccolento!” “ “Beh, allora… allungamelo!” Pierino, veramente stupido, allungò giù il perino, ma la strega lo prese per la mano, lo tirò giù e lo mise di nuovo dentro al sacco. Dopo aver chiuso ben bene il sacco, se lo mise sulla schiena e si incamminò verso casa. Ma lungo la strada le venne mal di pancia: se la stava ancora facendo addosso. Per fortuna lì vicino c’erano dei contadini. La vecchia li vide e disse loro: “Ehi! Zappatori! Mi guardate voi questo sacco che io devo andare a fare i miei bisogni?” “Va bene, mettetelo lì. Ma andate ben lontano a cagare, perché non vogliamo sentire la puzza”. Pierin Fagiolo 9 La vecchia strega andò lontano e si chinò dietro un albero. Ma i contadini avevano capito che dentro al sacco c’era ancora Pierin Fagiolo. Lo aprirono subito, liberarono il bambino e questa volta dentro al sacco ci misero un fascio di spine. La vecchia, finito di fare i suoi bisogni, ringraziò gli zappatori, prese il sacco e se lo mise sulle spalle e riprese la strada per andare a casa. Ma le spine nel sacco le pungevano la schiena e lei allora disse: “Graffia pure, graffia pure! Non mi graffierai più quando ti avrò mangiato!” Quando fu vicino a casa, cominciò ad gridare: “Minghèta metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo! Minghèta metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo!” La Minghèta, da parte sua, disse tra sè e sè: “Speriamo proprio che questa volta ce l’abbia davvero Pierin Fagiolo nel sacco.” Quando la vecchia arrivò in casa, l’acqua nella pentola bolliva già. La Minghèta le disse: “Corri qui che il paiolo bolle!” “Stavolta c’è: mi ha graffiato tutta la schiena lungo la strada!” Rovesciarono il sacco dentro al paiolo, ma dentro… c’erano solo le spine. E così si graffiarono anche le mani per tirarle fuori. Molto arrabbiate, promisero che si sarebbero vendicate. Infatti il giorno dopo la vecchia strega tornò sotto il pero e Pierin Fagiolo era di nuovo là sopra l’albero. Gli disse: “ , mi dai un perino?” “Proprio no, perché sei quella vecchiaccia cattiva che mi vuol mangiare”. “Ma dai… dammi un perino che ho fame, dammi un perino!” Alla fine, quello stupido di Pierin Fagiolo si lasciò ancora convincere e chiese alla vecchia: “Dove te lo getto?” Pierino 10 “Buttamelo nella camicia!” “No, che è tutta cagolenta!”. “Buttamelo nel grembiule!” “No che è tutto pisciolento!” “Allora te lo prendo col fazzoletto!” “No che è tutto caccolento!” “Allora allungamelo giù” “ , perché poi mi prendi No e mi metti dentro il sacco”. “No, no che non ti porto via, non ho neanche il sacco”. Allora lui, credulone, scese dall’albero per allungare il perino alla vecchia, ma lei lo prese per la mano, lo tirò giù e lo mise nel sacco che aveva nascosto sotto la grande sottana. Poi si mise in strada, ma come al solito, le ritornò da cagare. Lì poco distante c’erano ancora gli zappatori e lei disse: “Contadini, per favore, mi guardate questo sacco che vado a fare i miei bisogni? Faccio presto, faccio presto”. “Sì, va bene, lasciatelo lì, ma andate lontano che non vogliamo sentire la puzza. Se la sentiremo, apriremo il sacco”. Ma gli zappatori, che avevano capito che dentro al sacco c’era Pierin Fagiolo, aprirono il sacco e lo tirarono fuori. Poi vi misero dentro una cagnolina. Poco dopo tornò la vecchia che prese il sacco ringraziando: “Grazie del favore, grazie e buongiorno” E scappò veloce verso casa per andarsi a mangiare Pierin Fagiolo che credeva fosse ancora nel sacco. Con il sacco sulle spalle si mise a correre, ma la cagnolina, dentro al sacco, graffiava con le unghie per uscire. “Senti lì come graffia. Graffia pure, ma non graffierai più quando saremo a casa”. Essendo ormai vicino a casa, cominciò ad urlare: “Minghèta metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo! Minghèta metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo!” Questa volta quando aprirono il sacco, la vecchia e la figlia Minghèta fecero molta attenzione che non gli scappasse Pierin Fagiolo e dissero: Pierin Fagiolo 11 “E’ tanto che graffia, quello stupido lì, ma vedrai che adesso … ce lo mangiamo!”. Aprirono il sacco sul paiolo bollente, ma la cagnolina, molto spaventata ed arrabbiata, fece un balzo fuori e saltò in faccia alla vecchia, portandole via il naso con un morso. La vecchia allora urlò: “Cagna cagna tabachèra, porta il naso lì dov’era! , porta il naso lì dov’era!” Ma la cagnolina riuscì a scappare via. Il giorno dopo, la vecchia, anche senza naso, non si arrese e tornò sotto il pero e vedendo che c’era Pierin Fagiolo, pensò: “Quel Pierin Fagiolo lì, oggi lo prendo e vado a casa subito, senza mai fermarmi lungo la strada.” Poi, ad alta voce, disse, rivolto al bambino: “Pierino, mi dai un perino?” “No, perché siete quella vecchiaccia che mi vuol mangiare”. Ma insistendo un po’: “Dammi un perino, dammi un perino”, quel credulone di Pierin Fagiolo si lasciò convincere ancora un’altra volta. “Allora, dove ve lo butto?” “Buttamelo nella camicia!” “No, che è tutta pisciolenta!”. “Buttamelo nel grembiule!” “No, che è tutto cagolento!” “Allora lo prendo con il fazzoletto!” “No, che è tutto caccolento!” “Allungamelo giù” “No, che mi prendi e mi metti nel sacco” “Ma quale sacco, non vedi che non ce l’ho! Allora lui si allungò un tantino per dargli il perino, ma la vecchia, rapidissima come sempre, lo prese per le mani e se lo mise dentro un sacco che nascondeva sotto la sottana. Poi corse subito verso casa,senza fermarsi. Quando fu vicino a casa sua, urlò alla Minghèta: “Minghèta, metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo! Minghèta, metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo!” Cagna cagna tabachera 12 Ma stavolta la Minghèta esclamò: “Sono tre giorni che mi dice di preparare il paiolo, ma Pierin Fagiolo non c’è mai. Mi sono stancata e non preparo niente.” Ma, quando la vecchia arrivò, videro che nel sacco c’era davvero Pierin Fagiolo. Pensarono allora di chiuderlo in una camera, intanto che l’acqua del paiolo arrivasse a bollire. Poi la vecchia andò al mercato a comprare il pane da mangiare con Pierin Fagiolo. Intanto la Minghèta, la figlia della vecchia strega, andò nella camera dove era rinchiuso Pierin Fagiolo. Vi entrò per far svestire il bimbo. Infatti nel paiolo ce lo dovevano mettere dentro nudo e non vestito. Così disse a Pierin Fagiolo: “Togliti i pantaloni”. Le rispose Pierin Fagiolo: “Se ti togli la tua vestina”. “Togliti il tuo giaccone” “Se tu ti togli il tuo maglione”. “Togliti la camicia”. “Se tu ti togli la tua camicia!” E mentre la figlia si volta per togliersi la camicia, Pierino prese un coltello e uccise la figlia della vecchia strega e la buttò dentro il paiolo con l’acqua bollente. Poi uscì di corsa dalla casa, prese una scala lunga lunga e con quella salì sul tetto. Intanto la vecchia, che era tornata a casa dal mercato, vide che nel paiolo bolliva della carne. Pensò che fosse quella di Pierin Fagiolo. La sentì e si accorse che la carne era già ben cotta e anche molto buona. La tirò su, la mise in tavola e poi si mise a mangiare. Era una carne tenera: “Com’è buono il mio Pierin Fagiolo, mi ha fatto un po’ arrabbiare, ma aveva proprio della carne tenera e buona”. Quando arrivò alla fine del pranzo, Pierin Fagiolo, che era sopra il tetto, cominciò a urlare: Cucu’ cucu’ “ , adesso sono quassu’! ”. Pierin Fagiolo 13 Ahhh! “Ma guarda dov’è andato quel birbante…. Ha ucciso la Minghèta e io l’ho mangiata! Adesso ti vengo a prendere. Come hai fatto ad andare sul tetto?” Allora Pierin Fagiolo rispose: “Sono salito sulla scala e con un salto ed una capriola sono venuto fin quassù”. La vecchia, desiderosa di vendicare la figlia morta, prese la scala lunga lunga e salì sul tetto. Ma Pierin Fagiolo spinse la scala e le fece fare un salto e una capriola in aria. Lei cadde per terra e morì. Pierin Fagiolo rimase l’unico padrone della grande casa della vecchia strega, dove c’erano galline, anitre, conigli, mucche, maiali e tanta terra con tanti alberi da frutto. Così, coltivando quella terra e allevando quegli animali, Pierin Fagiolo divenne un ricco contadino. La favola del topolino (La fola dal surghin) Un giorno un topolino andò a mangiare nel pollaio. Il gallo che lo ha visto si è arrabbiato e gli ha dato una beccata in testa. La testa del incominciò a sanguinare. “Cosa debbo fare alla mia testa che sanguina?” gli ha detto: Il “Vai dal sarto e fatti dare una pezzuolina per fasciare la tua testolina” Il topolino allora è andato dal sarto: “Sarto, mi dai una pezzuolina per fasciare la mia testolina?” “Io te la do, ma voglio del pelo” “Dove devo andare a prendere il pelo?” “Va dal cane”. “Cane, il pelo, che il pelo lo do al sarto, il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?” “Io te lo do, ma voglio del pane.” “ Dove devo andare a prendere il pane?” “Vai dal fornaio.” “Fornaio mi dai del pane, che il pane lo do al cane, il cane mi dà il pelo, il pelo lo do al sarto, il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?” “ , ma voglio della legna” “Dove devo andare a prendere della legna?” “Vai dal boscaiolo” “Boscaiolo, mi dai della legna, che la legna la do al fornaio, il fornaio mi dà il pane, il pane lo do al cane, il cane mi dà il pelo, topolino gallo mi dai Io te lo do 14 La favola del topolino 15 ? ? ? ? ? ? ? il pelo lo do al sarto, il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?” “Io te la do, ma voglio del latte.” “Dove devo andare a prendere il latte?” “Vai dalla mucca.” “Mucca, mi dai del latte, che il latte lo do al boscaiolo, il boscaiolo mi dà la legna, la legna la do al fornaio, il fornaio mi dà il pane, il pane lo do al cane, il cane mi dà il pelo, il pelo lo do al sarto, il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?” “Io te lo do, ma voglio del fieno” “ a prendere il fieno?” “Vai dal prato” “Prato, mi dai del fieno, che il fieno lo do alla mucca, la mucca mi dà il latte, il latte lo do al boscaiolo, il boscaiolo mi dà la legna, la legna la do al fornaio, il fornaio mi dà il pane, il pane lo do al cane, il cane mi dà il pelo, il pelo lo do al sarto, il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?” “Io te lo do, ma voglio dell’acqua” “Dove devo andare a prendere dell’acqua?” “Vai dal fosso” “Fosso mi dai dell’acqua, che l’acqua la do al prato, il prato mi dà il fieno, il fieno lo do alla mucca, la mucca mi dà il latte, Dove devo andare 16 il latte lo do al boscaiolo, il boscaiolo mi dà la legna, la legna la do al fornaio, il fornaio mi dà il pane, il pane lo do al cane, il cane mi dà il pelo, il pelo lo do al sarto, il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?” “Io te lo do, ma voglio un secchio” “Dove devo andare a prendere un secchio?” “Vai dal fabbro” “Fabbro, mi dai un secchio, che il secchio lo do al fosso, il fosso mi dà dell’acqua, l’acqua la do al prato, il prato mi dà il fieno, il fieno lo do alla mucca, la mucca mi dà il latte, il latte lo do al boscaiolo, il boscaiolo mi dà la legna, la legna la do al fornaio, il fornaio mi dà il pane, il pane lo do al cane, il cane mi dà il pelo, il pelo lo do al sarto, il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?” Il fabbro gliel’ha dato. Allora: il fabbro gli ha dato il secchio, il secchio l’ha dato al fosso, il fosso gli ha dato l’acqua, l’acqua l’ha data al prato, il prato gli ha dato il fieno, il fieno l’ha dato alla mucca, la mucca gli ha dato il latte, il latte l’ha dato al boscaiolo, il boscaiolo gli ha dato la legna, La favola del topolino 17 la legna l’ha data al fornaio, il fornaio gli ha dato il pane, il pane l’ha dato al cane, il cane gli ha dato il pelo, il pelo l’ha dato al sarto, il sarto gli ha dato la pezzuolina per fasciare la sua testolina. 18 La Principessa Carolina C’ era una volta, in un Regno lontano, che si chiamava Regno di Mezzo, fabbro secchio fosso acqua prato fieno mucca latte boscaiolo legna fornaio pane cane pelo sarto pezzuolina testolina una principessa, molto, molto bella, che si chiamava Carolina, ma che era sempre stata capricciosa, ma tanto capricciosa che tutti la chiamavano ‘Carolina Noiosina’ e nessuno la sopportava più . Già da bambina era incontentabile e dispettosa e le sue pretese facevano impazzire tutta la corte e chiunque avesse a che fare con lei. Quando diventò grande, e i suoi genitori decisero di trovarle un marito, tutti, nel regno tirarono un sospiro di sollievo, forse, finalmente Carolina avrebbe trovato chi la metteva a posto. Furono perciò convocati i Principi dei tre Regni confinanti, il , che veniva dal Regno dell’ Est, là, verso il mare, dove il mattino diventa chiaro, il , che veniva dal Regno dell’ Ovest, sulle montagne, dove il sole tramonta e il , che veniva dal Regno del Sud, coperto di verdi pascoli e foreste. Nessuno ebbe però il coraggio di invitare anche il , del Regno del Nord, là dove non c’è mai il sole e dove la gente vive coperta di pellicce e parla una lingua strana. Per primo si presentò il biondo Principe Azzurro, e a lui Carolina chiese, come dono di nozze un draghetto verde a pallini rosa. Il principe partì e, dopo molto tempo ed innumerevoli traversie, tornò con quanto gli era stato richiesto. Quando però fu davanti a Carolina questa scoppiò a piangere e a gridare. “ No, no, non era questo che volevo, io lo volevo rosa a pallini verdi…” Il povero Principe Azzurro se ne tornò quindi, triste e Principe Azzurro Principe Rosso Principe Verde Principe Nero La Principessa Carolina 19 sconsolato, nel Regno dell’ Est. Fu poi la volta del Principe Rosso, dai capelli fulvi e dagli occhi blu come i laghi delle sue montagne e a lui, Carolina chiese un gatto giallo dagli occhi verdi. Al povero Principe non sembrava vero che gli venisse richiesta una prova così semplice. Per l’appunto, dalle sue parti, vivevano dei bellissimi gattoni gialli e, fra questi, era sicuro di poterne trovare uno con gli occhi verdi. Tornò infatti al castello di Carolina dopo non molto tempo, portando con sé un bellissimo gatto, giallo e con gli occhi verdi. Ma Carolina scoppiò a piangere e urlando a squarciagola gli disse che il gatto che lei voleva doveva essere “VERDE E CON GLI OCCHI GIALLI !!!” Il povero Principe ritornò a ovest, sulle sue montagne e nessuno lo rivide più. Giunse infine il Principe Verde, alto, snello e scuro di pelle e Carolina, dopo averlo ben squadrato, gli chiese, dato che sapeva che al suo paese ce ne erano molti, un bel cavallo bianco, ma con la criniera verde….. Il Principe partì con il suo seguito alla ricerca dello strano animale e, non si sa come, dopo molto tempo lo trovò. Tornò, trionfante nel Regno di Mezzo, sicuro di avere conquistato la bella Carolina Noiosina, ma, quando le portò il cavallo, Carolina cominciò ad inveire, a dare calci alle Il era preceduto da soldati coperti di pelli che inalberavano stendardi neri con il teschio e vessilli di pelliccia d’orso. Il Principe poi, ricoperto da una nera corazza, con un elmo sovrastato da un teschio, cavalcava il cavallo più grande che si fosse mai visto. I suoi zoccoli mandavano scintille sui ciottoli che calpestava, dalle frogie dilatate usciva un vapore sulfureo, gli occhi, sotto la bardatura da battaglia, erano iniettati di sangue e il morso era stretto da denti che parevano quelli di un drago. Giunsero così al castello, superarono il ponte levatoio e, una volta entrati nel cortile d’onore, il Principe, aiutato dai suoi scudieri, scese dal mostruoso destriero. Salito lo scalone con passi rimbombanti che sembravano colpi di ariete, spalancò la porta della sala del trono e, accompagnato dal gelido vento del suo paese, fece il suo ingresso fra i cortigiani che si schiacciavano contro le pareti. Il Re e la Regina lo guardavano preoccupati e anche Carolina non sembrava più tanto sicura di sé. Il Principe si inchinò, si tolse l’elmo, e tutti poterono vedere il suo bel volto, deformato però da una cicatrice che da sopra l’occhio sinistro, giungeva quasi fino alla bocca. E il Principe Nero domandò a Carolina cosa volesse da lui. Dopo un attimo di incertezza “La Luna, sedie, a tirare vasi ai cortigiani “ , era verde con la criniera bianca che lo volevo!” Il Principe Verde balzò in sella al suo cavallo bianco e galoppò fino a quando non fu nelle sue foreste. A questo punto il Re e la Regina si videro costretti ad invitare anche il Principe Nero e il suo arrivo fu preannunciato dal gelido vento del Nord, da nuvole cariche di grandine e neve e da un cupo rumore di tuono. Quando, in distanza, si vide avanzare l’orda che accompagnava il Principe, tutti si rifugiarono nelle case. disse la principessa. “E io te la darò”, rispose il Principe rimettendosi l’elmo e ripartendo con i suoi soldati ed il suo seguito. Passò così un certo tempo e la bella Carolina non sapeva se sperare nel ritorno del suo tetro pretendente o se la sua richiesta lo avesse convinto a tornare definitivamente fra i suoi ghiacci e le sue tempeste. Ma nel plenilunio di settembre, quando un enorme luna gialla era alta nel cielo, sentì la voce del Principe Nero che la chiamava dal parco del castello. No! No! No! 20 Principe Nero soltanto la Luna vorrei da te “ La Principessa Carolina 21 Incuriosita, scese dalle sue stanze e vide il Principe che le indicava la luna, ma non nel cielo, bensì riflessa nel laghetto del parco. Non fece neppure in tempo a stupirsi o a dire una delle sue solite cattiverie che si sentì sollevare dalle braccia poderose del Principe Nero e si trovò scaraventata nelle acque del laghetto. Si sollevò, arruffata e scarmigliata, si tolse una rana dai vestiti e un pesciolino dai capelli e vide il Principe che rideva e anche lei per la prima volta, dopo tanto tempo, cominciò a ridere, e risero il Re, la Regina, i cortigiani e tutto il popolo. E fu così che Carolina, messo finalmente giudizio, sposò il rude Principe del Nord e vissero insieme felici e contenti. Francesco Fornaciari Il pesciolino d’oro In riva al mare, c’era una volta una piccola e decrepita casetta. In questa casetta viveva . Vivevano in grande povertà: il vecchio fabbricava le reti e andava al mare per prendere i pesci. Ne prendeva solo quanto ne bastava per il vitto quotidiano. Una volta, chissà come, il vecchio gettò la sua rete, cominciò a tirare e si accorse che era molto pesante, come mai gli era capitato. Tira e tira, riuscì a tirar fuori la rete. Guardò: la rete era vuota; c’era solo un pesciolino, ma non un semplice pesciolino: era un tutto . Il pesciolino chiese al vecchio con voce umana: “Non prendermi, vecchietto! E’ meglio se mi lasci andare nel mare azzurro; io ti sarò riconoscente: farò tutto quello che mi chiederai”. Il vecchio pensò e ripensò, poi disse: “Che bisogno ho di te? Va’ pure a passeggio nel tuo mare!”. Gettò il pesciolino d’oro nel mare e tornò a casa. La vecchia moglie gli chiese: “Hai preso molti pesci, vecchio?” “In tutto ho preso solo un pesciolino d’oro, ma l’ho ributtato in mare. Mi ha chiesto e supplicato con insistenza: andare nell’azzurro mare ed io ti ricompenserò, un vecchio con pesciolino Lasciami sua moglie d’oro faro’ tutto quello che vorrai! Ho avuto compassione del pesce, non ho voluto niente da lui, e l’ho lasciato libero di nuotare in mare” “ Vecchio demonio! Ti era capitata tra le mani una vera fortuna e tu non hai saputo prenderla.” La vecchia si incattivì, insultò il vecchio da mattina a sera, non lo lasciò in pace: “Dovevi chiedergli almeno un po’ di pane. Qui abbiamo solo delle briciole secche: che mangerai?”. 22 Il pesciolino d’oro 23 Il vecchio non si trattenne, andò dal pesciolino d’oro per chiedergli del pane. Arrivò alla riva, e gridò con voce forte: “ Vieni fuori! Mettiti con la coda in mare e con la testa verso di me”. Il pesciolino nuotò a riva: “Di che cosa hai bisogno, vecchio?”. “La vecchia si è arrabbiata, mi ha mandato a chiedere del .” “Torna a casa: ci sarà del pane fin che ne vuoi”. Il vecchio tornò a casa: “E allora, vecchia, c’e il pane?”. “Di pane ce n’é finché vuoi. Ma ecco il guaio. Il mastello si è rotto, e non so dove lavare la biancheria. Va’ dal pesciolino e chiedigli un nuovo mastello.” Il vecchio andò al mare: “Pesciolino, pesciolino! Vieni fuori! Mettiti con la coda in mare e con la testa verso di me”. Il pesciolino arrivò: “Che vuoi, vecchio?” . “La vecchia non è contenta e mi ha mandato a chiedere un .” “Bene, avrai il nuovo mastello”. Il vecchio tornò a casa, stava ancora sulla porta, che la vecchia di nuovo si gettò contro di lui, lo investì gridando “Va dal pesce d’oro, chiedigli di costruirci una nuova casetta, non si può più vivere nella nostra, è così malandata che appena la guardi va in pezzi!” E il vecchio tornò sul mare: “Pesciolino, pesciolino! Vieni fuori! Mettiti con la coda in mare e con la testa verso di me!”. Il pesciolino arrivò nuotando, si mise con la testa verso di lui e la coda in mare. “Che cosa vuoi, vecchio?”. “Costruisci per noi una ; la vecchia non è contenta, si lamenta e grida, non mi lascia in pace; non voglio, dice, vivere più in questa brutta casetta, appena la guardi, va in pezzi!” “Non rattristarti, vecchio! Va’ a casa, e prega Dio. Tutto sarà fatto.” Tornò il vecchio. Nel suo cortile c’è una casetta nuova, di legno di quercia, tutta con trafori e ornamenti. Pesciolino, pesciolino! pane nuovo mastello nuova casetta 24 Gli corre incontro la vecchia, arrabbiata più di prima, impreca e urla più di prima: “Ah tu, vecchio cane, imbecille! Non sei capace di servirti della fortuna. Ti ho chiesto una casetta, e tu, ecco, sarà fatto! No, invece! Va’ di nuovo dal pesce d’oro e digli che io non sono contenta: non voglio più essere contadina, ma voglio diventare moglie del governatore, in modo che la gente mi obbedisca, e voglio che quando le persone mi incontrano mi facciano l’inchino fino alla cintola!”. Andò il vecchio al mare e gridò con grossa voce: “Pesciolino, pesciolino! Vieni fuori! Mettiti con la coda in mare e con la testa verso di me.” Nuotò a riva il pesciolino, si mise con la coda in mare e la testa verso il vecchio: “Che cosa vuoi, vecchio?” . Rispose il vecchio: “La vecchia non è contenta, non mi dà pace, è del tutto impazzita. Non vuole essere più contadina, ma ”. “Bene, non affliggerti! Torna a casa, prega Dio, tutto sarà fatto!” Tornò a casa il vecchio, e invece della nuova casetta di legno di quercia, adesso c’è un castello di pietra alto tre piani. Nel cortile i servitori corrono di qua e di là, in cucina i cuochi battono e lavorano, la vecchia in un prezioso abito di seta sta seduta su una grande poltrona e dà ordini a tutti i servitori e a tutte le damigelle. “Salute, moglie!” disse il vecchio. “Ah tu, rozzo ignorante! Come osi chiamar me tua moglie. Io sono la moglie del governatore! Ehi, gente, portate questo nella scuderia moglie del governatore! vecchio contadinaccio e frustatelo quanto più potete.” Subito i servitori accorsero, presero il vecchio per il bavero della camicia e lo trascinarono nella scuderia. Poi gli scudieri cominciarono a frustarlo, e lo frustarono a tal punto che egli a mala pena poteva reggersi sulle gambe. Dopo di che la vecchia gli diede l’incarico di portinaio, ordinò che gli fosse data una scopa e che pulisse il cortile. Il pesciolino d’oro 25 Ordinò anche che gli fosse dato da mangiare e da bere in cucina. Brutta vita per il vecchietto! Per tutto il giorno deve scopare il cortile, e non appena trovano che c’è qualche punto non pulito bene, subito nella scuderia, e giù frustate! “Che strega!” pensa il vecchio “Ha avuto tanta fortuna e tutto per merito mio e del mio amico pesciolino… e adesso non mi considera più neppure suo marito!” Passò ancora un po’ di tempo. La vecchia si annoiò di essere moglie del governatore, fece chiamare il vecchio e gli ordinò: “Va’, vecchio demonio, dal pesciolino d’oro, e digli che non voglio più essere moglie di governatore, ma voglio diventar regina !” 26 Andò il vecchio al mare: “Pesciolino, pesciolino! Vieni fuori! Mettiti con la coda in mare e con la testa verso di me”. Arrivò il pesciolino d’oro nuotando: “Di che cosa hai bisogno, vecchio?” “Ecco, mia moglie non è contenta, è del tutto impazzita, più di prima. Non si contenta più di essere la moglie del governatore, adesso vuole diventar regina.” “Non affliggerti, vecchio! Va’ a casa, e prega Dio. Tutto sarà fatto.” Il vecchio tornò a casa e invece del palazzo di prima trovò un gran palazzo reale, dal tetto d’ oro, con intorno sentinelle e cavalieri. Davanti al palazzo c’è un verde prato. Nel prato ci sono i soldati, in fila. La vecchia è vestita da regina, viene fuori sul balcone con principi e generali, e fa la rassegna delle truppe. Rullano i tamburi, suona la musica, i soldati gridano “Viva la regina!”. Passò ancora un po’ di tempo. La vecchia si annoiò di essere regina e ordinò di chiamare il vecchio, che si presentasse subito davanti ai suoi occhi . Ci fu una grande confusione, i generali si danno da fare, i cavalieri corrono, non sanno dove sbattere la testa: “Quale vecchio?”. A gran fatica riuscirono a trovarlo nel cortile delle immondizie, e lo portarono dalla regina. “Ascolta, vecchio demonio!” gli dice la vecchia “Va’ dal pesciolino d’oro a dirgli che non voglio più essere regina, ma voglio diventare la signora dei mari, in modo che tutti i mari e tutti i pesci mi ubbidiscano.” Il vecchio tentò di rifiutarsi, ma che vuoi farci? La regina ti fa staccar la testa! Con il cuore stretto, andò al mare e disse: «Pesciolino, pesciolino. Vieni fuori! mettiti con la coda in mare e la testa verso di me”. Ma il pesciolino d’oro non si vede, proprio non si vede! Il vecchio lo chiama una seconda volta. Di nuovo, niente! Lo chiama una terza volta, e a un tratto il mare si gonfia e muggisce, come se si fosse arrabbiato; prima era tutto sereno, pulito, e ora tutto nero e tempestoso. Tra la furia delle onde apparve il pesciolino d’oro che nuotò fino a riva e si fermò davanti al vecchio: “Che vuoi, vecchio?” “La vecchia non è contenta, è diventata ancora più pazza; non vuole più essere regina, vuole essere la signora del mare, dominare su tutte le acque, comandare a tutti i pesci.” Il pesciolino d’oro non disse nulla al vecchio, si voltò e sprofondò nel mare. Il vecchio urlò: “Pesciolino, non scappare!”. Ma il pesciolino non tornò e il vecchio sconsolato andò a casa, guardò e non credette ai suoi occhi: il palazzo dal tetto d’oro non c’era più, il castello alto tre piani era come se non ci fosse mai stato, la bella casetta di legna di quercia era scomparsa e al loro posto era tornata la vecchia casetta decrepita, e davanti alla vecchia casetta stava seduta sua moglie, con il suo vecchio vestito stracciato e la testa tra le mani. “Cosa hai pescato oggi, marito mio?” , il vecchio ritornò alla sua pesca in mare; solo che, per quante volte gettasse le reti in acqua, non riuscì più a prendere il pesciolino d’oro. Ritornarono a vivere come prima Aleksandr Puskin Il pesciolino d’oro 27 I musicanti di Brema vecchio asino C’era una volta un che aveva lavorato sodo per tutta la vita. Ormai non era più capace di portare pesi e si stancava facilmente, per questo il suo padrone aveva deciso di relegarlo in un angolo della stalla ad aspettare la morte. L’asino però non voleva trascorrere così gli ultimi anni della sua vita. Decise di andarsene in città, a Brema, dove sperava di poter vivere facendo il musicista. Si era incamminato da poco quando incontrò un , magro e ansante. “Come mai hai il fiatone?” gli chiese. “Sono dovuto scappare in tutta fretta per salvare la pelle” gli rispose il cane. “Il mio padrone voleva uccidermi, perché ora che sono vecchio non gli servo più”. “Purtroppo è vero - continuò - non sono più capace di rincorrere la selvaggina come una volta, e sono così debole che non spavento più nessuno. Ma ora come farò a procurarmi da mangiare?” concluse depresso. “Vieni a Brema con me” suggerì l’asino. “Laggiù faremo fortuna con la musica: io suonerò il liuto e tu mi darai il ritmo con il tamburo” Il cane accettò la proposta e s’incamminò con il nuovo amico. Non avevano percorso molta strada che s’imbatterono in cane gatto 28 un che miagolava disperato. “Cosa ti è successo per lamentarti in questa maniera?” gli chiese l’asino. “Sono vecchio e soffro d’artrite, per questo non sono più agile come una volta e devo stare al caldo. Ma vedendomi riposare vicino al caminetto, ieri il mio padrone si è infuriato, mi ha accusato di essere un fannullone, mi ha rimproverato di non saper acciuffare nemmeno un topolino e mi ha cacciato da casa. Senza pietà! Pensare che l’ho servito fedelmente per tutta la vita!… Ora non so proprio dove andare, non so proprio come sbarcare il lunario!” rispose singhiozzando il gatto. “Allora vieni a fare il musicista con noi a Brema” gli dissero insieme l’asino e il cane. Il gatto non se lo fece ripetere due volte e pieno di speranza si unì a loro. Passando davanti ad una fattoria, furono distratti da gallo un che schiamazzava rincorso da una contadina. “Mi vuole tirare il collo! Vuole me perché non ha un tacchino da cucinare per il pranzo della domenica! Mi vuole tirare il collo!” urlava il gallo terrorizzato. I tre compari gli gridarono: “Vieni con noi! Con la tua bella voce conquisteremo tutta la città di Brema!” Non ebbero il tempo di aggiungere altro che, appollaiato sulla schiena dell’asino, sentirono il gallo che li incitava: “Corriamo, corriamo, prima che la padrona mi acchiappi!” Una corsa disperata fin nel folto del bosco. Lì finalmente ripresero fiato! Ormai si era fatto buio e, si sa, di notte non è prudente viaggiare. Dovevano cercare qualcosa da mangiare e un posto per dormire almeno per quella notte. Rifocillati e riposati, l’indomani sarebbero ripartiti per Brema. Fu allora che sentirono dei rumori… Nascosti tra i cespugli, si guardarono intorno … videro una casa: ecco da dove arrivavano brusio, risate e … un profumo d’arrosto! Erano così stanchi e così affamati! Cercando di non fare rumore si avvicinarono alla casa e, con cautela, sempre senza farsi scorgere, guardarono all’interno attraverso la finestra. Non potevano credere ai loro occhi! In mezzo alla stanza c’era un tavolo colmo di buone cose: un tacchino ripieno, mortadelle invitanti, formaggi di tutti i tipi, pane d’ogni forma, torte stupende, frutta profumata,… I musicanti di Brema 29 “Potremmo chiedere ospitalità …” non ebbero il tempo di aggiungere altro, che i quattro amici videro avvicinarsi al tavolo quattro ceffi paurosi. Dunque quello era il covo dei briganti! Se quei tipacci li avessero visti, sarebbe stata la loro fine! Si sa che la fame aguzza l’ingegno! Nascosti tra i cespugli, l’asino, il cane, il gatto e il gallo studiarono un piano diabolico, che avrebbe spaventato quei briganti, così da obbligarli a scappare dal loro covo e da lasciare tutto quel ben di dio da mangiare a loro completa disposizione. Nel buio e nella tranquillità della notte, interrotti solo dalla luce che irradiava dall’interno della casa e dal vociare sguaiato dei briganti, si avvicinarono alla finestra. In silenzio perfetto l’asino appoggiò le zampe sul davanzale, il cane balzò sul dorso dell’asino, il gatto si arrampicò fin sulla testa del cane e il gallo si appollaiò sulle spalle del gatto. Quindi ad un cenno dell’asino, diedero inizio al loro primo concerto… e fu tutto un ragliare, abbaiare, miagolare e schiamazzare. Un inferno! Terrorizzati, i quattro briganti cercarono la salvezza fuori dalla casa, ma all’uscita furono investiti da un animale che calciava, uno che graffiava, un altro che mordeva e un altro ancora che beccava! Un INFERNO! Scapparono per non tornare mai più in quel luogo maledetto! I quattro amici non ci pensarono due volte: si precipitarono dentro la casa, senza esitare si sedettero intorno al tavolo … e si misero a mangiare salame, carne, formaggi, pane, torte e frutta fresca … e credo che siano ancora lì che mangiano e ridono, che ridono e mangiano … Lì era il Paradiso! fratelli Grimm 30 Il libro delle magie un mago C’era una volta che era molto abile nel fare gli incantesimi. Da molti anni ormai abitava in una capanna in mezzo al bosco ed era molto infelice perché, sentendosi ormai vecchio e vicino a morire, non sapeva a chi trasmettere l’arte della sua magia. Un giorno vide, per caso, due bambini che giocavano in un prato: erano e , piccoli, vispi e belli. “Ecco i bambini che fanno al caso mio! Li prenderò e insegnerò loro l’arte della stregoneria” pensò subito il mago. E, fabbricata una rete di capelli, li catturò e li portò nella sua capanna. I piccoli, spaventatissimi, avrebbero voluto fuggire, ma il mago li teneva prigionieri e li sorvegliava molto attentamente e non si allontanava quasi mai da casa; soltanto qualche volta si divertiva ad andare a pescare. Un giorno che il mago era andato al fiume a pescare, la sorellina buttò le braccia al collo del fratello e piangendo disse: “Il mago se ne andato a pescare; fuggiamo prima che torni!” Ma il fratellino, che era più saggio, le rispose: “Non hai sentito che terribili minacce ci ha fatto l’altro giorno prima di uscire? Eppoi quel mago è così sapiente che, con le sue magie, ci ritroverebbe subito! No, no! Aspettiamo un po’: per ora non possiamo proprio far nulla!” Passò qualche giorno e il mago andò di nuovo a pescare e i bambini rimasero soli nella capanna. A un tratto il fratellino guardò in alto e vide sullo scaffale un fratellino una sorellina un grosso libro nero . “E’ certo il Libro delle magie e degli incantesimi – disse il fratellino.” E, appena lo ebbe preso in mano, continuò: Il libro delle magie 31 “Guarda qui! Ci sono scritti tutti gli incantesimi che servono al mago per le sue stregonerie … ho deciso” disse dopo un po’ alla sorellina che lo guardava meravigliata “ogni volta che il mago andrà a pescare, io mi metterò in un angolo a studiare il Libro delle magie e cercherò di imparare qualche . Così, quando ne avrò imparate molte, forse troveremo il modo di scappare.” Il bambino per una settimana intera, studiò il Libro delle magie e, poiché aveva buona memoria, imparò molti segreti della magia. Al mattino del settimo giorno, quando, come al solito, il mago se ne andò a pescare, il fratellino disse: “E’ arrivato il momento giusto! formula magica Possiamo scappare! Grazie al cielo ho imparato alcuni incantesimi che potranno esserci utili in caso di pericolo.” E presisi per mano, uscirono dalla capanna e scapparono lungo il sentiero del bosco. Il mago intanto, seduto sulla sponda del fiume, si affaticava a pescare senza prendere neanche un pesce! Arrivò la sera e il mago tornò a casa tutto infreddolito e di cattivo umore. Appena entrato nella capanna, si guardò attorno, ma non vide i bambini. Scrutò in tutti gli angoli, cercò sotto la tavola e sotto il letto, ma erano proprio spariti! “Me la pagheranno cara! – urlò più che mai infuriato. - Olà Olè! venga a me la mia bacchetta magica!” Subito la bacchetta magica gli saltò fra le mani e gli indicò la direzione che i bambini avevano preso. Il mago si mise a correre; oramai stava per raggiungere i piccoli, quando il fratellino disperato cercò di salvarsi provando a ripetere una formula magica che aveva imparato da Libro delle magie: Libro, Librone, per il sangue del drago, “ per la barba del mago, trasformami all’istante in un bel lago.” Immediatamente il fratellino fu trasformato in un lago azzurro, 32 e la sorellina fu trasformata in un pesciolino che guizzava nell’acqua. Giunto sulla riva del lago, il mago lo guardò con sospetto. Non era mago per nulla, e subito immaginò che cosa era successo. “Voi volete sfuggirmi – brontolò – ma vi acchiappo lo stesso.” E in tutta fretta ritornò a casa per prendere canne e reti e pescare così il pesciolino. Non appena si fu allontanato, il bambino disse: “ .” E per magia i bambini ripresero le loro sembianze. Cercarono un cespuglio folto, vi si nascosero sotto e dormirono tutta la notte. Al mattino ripresero il viaggio camminando per tutta la giornata. Intanto il mago, munito di reti e di lenze, era giunto nel posto dove aveva veduto il lago, ma, con sua grande sorpresa, non lo trovò più. C’era soltanto un prato melmoso dove saltellavano rospi e ranocchie. Tutto infuriato gettò via reti e canne, poi, interrogata la bacchetta magica e avuta da lei la direzione, riprese l’inseguimento dei fratellini. Verso sera i ragazzi udirono il rimbombo dei suoi passi che si avvicinava. “Siamo perduti! Ci sta raggiungendo!” singhiozzò la sorellina terrorizzata voltandosi indietro. Ma il fratellino la rincuorò di nuovo: “Non piangere. Conosco un’altra formula magica e spero che funzioni anche questa volta.” Tracciò un segno nell’aria e disse: “ , ferma lo stregone che viene in tutta fretta e in una bianca chiesetta.” Subito diventò una chiesetta bianca, di quelle che si vedono spesso lungo le strade di campagna, e la sorellina divenne un bellissimo angelo dipinto in un quadro. Quando il mago arrivò, incominciò a imprecare, pieno di rabbia. Ma come catturare un angelo dipinto? E come distruggere la chiesetta, visto che da sempre gli stregoni hanno paura delle immagini sacre? Inoltre l’angelo teneva una mano alzata in un atteggiamento dolcissimo, ma che a lui sembrava soltanto minaccioso. Libro Librone fammi tornar bambino Libro, Librone mutami Il libro delle magie 33 Egli fece tre o quattro volte il giro della chiesetta e concluse che non gli restava altro da fare che incendiarla. “Non posso ridurvi in un mucchio di calcinacci – imprecò – vi brucero’ ma e vi ridurrò in un mucchio di cenere!” Detto fatto incominciò a raccogliere nei dintorni rami ed erba secca e con quelli circondò la chiesetta; ma quando fu per appiccarvi il fuoco si accorse che non aveva fiammiferi. Non gli restava che tornare a casa a prenderli, e subito si incamminò sbuffando e borbottando. Non appena fu lontano, il fratellino e la sorellina dissero: “Libro Librone facci tornare bambini!” E così immediatamente ripresero il loro solito aspetto e, poiché erano molto stanchi, cercarono un angolo ben riparato e dormirono saporitamente fino all’alba. Quando il mago, portando i fiammiferi e una grossa fascina, giunse sul luogo dove c’era la chiesetta, trovò soltanto un grosso macigno. Lo stregone furibondo si fece dire dalla bacchetta magica da che parte erano andati i fratellini e riprese l’inseguimento finché, verso sera, fu di nuovo alle spalle dei due ragazzi. Il fratellino, appena udì i passi pesanti del mago, tracciò un segno e disse: “ per la farina del mio fornaio, .” E subito si trasformò in un granaio dentro al quale stava un grosso mucchio di grano e la bambina, sua sorella, divenne un piccolo chicco d’oro, mescolato a tutti gli altri. Quando lo stregone arrivò urlò di rabbia. Era stato giocato un’altra volta! Poi a poco a poco si calmò e incominciò a riflettere. “Questa volta, invece di arrabbiarmi tanto, farei bene a cercare un rimedio infallibile”, pensò. Infine i suoi occhi videro il chicco di grano tutto d’oro e tutto trionfante disse: “Eccolo. Ho trovato!” esclamò. Pronunciò alcune parole magiche, e subito si trasformò in un , che veniva avanti di gran corsa l’aveva Libro, Librone, mi piacerebbe diventar granaio gallo nero 34 già avvistato e stava per beccarselo, quando il fratellino pronunciò mentalmente l’ultima formula magica di cui si ricordava: “ , non avere troppa fretta! Lo sai già quel che ti aspetta, ecco una volpe e un cane nero!” Subito sulla porta del granaio apparve un grosso cane nero che, mettendo in mostra due file di denti aguzzi, incominciò a correre verso il gallo. Non appena lo vide, il gallo, tutto spaventato, si diede alla fuga nella direzione opposta, ma dall’altra parte ecco apparire una volpe dal pelo rosso che, con gli occhi infiammati e la bocca aperta, si avventò su di lui. Il gallo non sapeva più da che parte scappare, di qua c’era la volpe, di là c’era il cane nero; il gallo spaventato svolazzava di qua e di là perdendo le penne, e non aveva più in mente né il chicco di grano, né, cosa peggiore, le formule magiche che avrebbero potuto salvarlo. Fu la volpe ad avere la meglio balzata sul gallo ne fece , leccandosi poi le labbra con molto gusto. I due bambini, contenti che il mago fosse stato mangiato, dissero ancora la formula magica: “Libro Librone facci tornar bambini!” Immediatamente ripresero il loro aspetto naturale e da capo si incamminarono verso casa, questa volta allegramente, perché non avevano da temere più nulla. I genitori, che per tanti giorni li avevano aspettati e che poi li avevano creduti ormai morti, li accolsero con gioia e grandi feste. Da quel giorno tutti insieme Gallo nero, gallo nero un sol boccone vissero felici e contenti e del cattivo stregone nessuno udì più parlare. Ludwig Bechstein Il libro delle magie 35 L’uccello dalle uova d’oro povero taglialegna C’era una volta in Oriente un sposato e . L’uomo era veramente povero e per riuscire a sopravvivere era costretto a lavorare duramente ogni giorno. Tutti i giorni si recava nel bosco, tagliava più legna che poteva e poi la trasportava in spalla fino in città nel negozio del fornaio che, in cambio della legna, gli dava due pezzi di pane e un po’ di denaro. Un giorno il taglialegna, al lavoro nel bosco come sempre, vide un che si lasciò prendere senza difficoltà. L’uomo pensò allora di portare subito l’animale ai suoi figli, in modo che questi potessero giocarci e divertirsi. Prese così la via del ritorno, ma quando arrivò a casa in anticipo, senza pane né soldi, la moglie subito gli chiese cosa fosse accaduto. L’uomo si limitò a far vedere l’uccello che aveva appena regalato ai figli, ma la moglie, gridò infuriata così forte sino a che lui non tornò nel bosco a finire il suo lavoro. Intanto i bambini avevano cominciato a giocare con l’uccello che, contento del nido che i due gli avevano fatto con una cassettina, iniziò a cantare armoniosamente. La mattina dopo i due bambini trovarono nella cassettina un con due figli grazioso e mansueto uccello o uov d’oro e subito lo fecero vedere al padre. L’uomo, tutto felice ed entusiasta, corse subito in città al bazar, nel negozio di un mercante d’oro per vendere l’uovo dorato ad un buon prezzo. Con i soldi ricavati poté finalmente comprare cibi e vestiti di qualità e, ben soddisfatto, portò tutto a casa. La mattina seguente i bimbi trovarono un altro uovo d’oro nella cassettina dell’uccello regalato dal padre; anche questa 36 volta il taglialegna andò dal mercante d’oro e guadagnò di nuovo . La cosa si ripeté per diverso tempo. Continuò a ripetersi per così tanto tempo che l’uomo poté acquistare una bella e spaziosa casa, terreni, bestiame, mandare i figli a scuola e condurre una vita felice e contenta. Un giorno però disse alla moglie: “Cara, finalmente ora abbiamo tutto ciò che serve per vivere serenamente. Non ci manca nulla. Tuttavia c’è una cosa che io desidero fare più di qualsiasi altra cosa, vale a dire andare in pellegrinaggio alla Mecca, a pregare nel luogo della Grazia. Tu qui ormai hai tutto, quindi posso permettermi di assentarmi per un po’ di tempo e, se Dio vuole, presto tornerò da te sano e salvo”. Detto questo, salutò la moglie e i figli, ordinò alla schiava più fedele di portare tutti i giorni l’uovo d’oro al bazar dal mercante e partì per il fino in Arabia. Per qualche giorno tutto andò bene, ma poi la moglie fu assalita dalla curiosità e una mattina volle accompagnare la schiava dal mercante d’oro cui vendeva le uova dorate. Appena il mercante vide la donna, fu totalmente rapito dalla sua bellezza e anche lui piacque alla donna. Allora l’uomo chiese alla donna da dove provenissero tutte quelle uova che gli portavano in continuazione e lei rispose: “A casa abbiamo un grazioso uccello che ogni giorno depone uova d’oro”. “Mi piacerebbe proprio vederlo, un simile uccello”, disse il mercante. La donna allora lo portò con sé a casa e gli fece vedere l’uccello. Appena l’uccello vide i due intonò una canzone: parecchi soldi lungo viaggio Chi mangia la mia testa diventera’ re, chi mangia il mio cuore diventera’ giudice supremo”. “ L’uccello dalle uova d’oro 37 mercante Udite queste parole, il si fece molto più carino e intraprendente con la donna e le disse: “Tuo marito è partito per un lungo viaggio. Chissà se tornerà mai. ”. La donna disse subito di sì. Fu allora stabilito il giorno delle nozze e il mercante d’oro chiese che quell’uccello gli fosse cucinato e servito per il pranzo. La donna allora, ordinò alla schiava di uccidere la bestiola e cucinarla. Nel frattempo tornarono da scuola i due figli che si recarono in cucina e vedendo il cibo sul fuoco, si misero a piluccare qualcosa: uno prese la testa, l’altro il cuore, e mangiarono tutti e due. Quando fu servito l’ , il mercante cercò invano la testa e il cuore. Arrabbiato per non averli trovati, fece allora chiamare la schiava e le chiese: “Non sei stata attenta all’arrosto? Mancano due pezzetti!”. “Nessuno è entrato in cucina, tranne me e i vostri figli”, rispose la schiava. Allora la madre fece chiamare i figli che subito ammisero di avere mangiato i due pezzetti dell’arrosto. A questo punto, sempre più arrabbiato, il mercante pretese che i figli fossero uccisi e sacrificati perché voleva avere ciò che c’era nella loro pancia: la testa e il cuore dell’uccello. La donna ubbidì e, chiamata la schiava, le ordinò di portare i figli nel bosco, ucciderli e prendere così dalla loro pancia la testa e il cuore dell’uccello. Quando essi furono nel bosco, la schiava disse: “Io non ce la faccio ad uccidervi. Catturate un uccello che assomigli al vostro, e io prenderò il suo cuore e la testa e li porterò a casa!”. I due giovani seguirono subito il consiglio della schiava, catturarono un uccello, lo diedero alla schiava e scapparono lontano e giurarono che non sarebbero mai più tornati indietro. Io ti vorrei sposare! uccello arrosto 38 La schiava intanto portò a casa testa e cuore dell’uccello e li diede al mercante che però si accorse dell’inganno e, furibondo, gridò: “Non sono loro! Non sono la testa e il cuore dell’uccello dalle uova d’oro. Mi hai ingannato” Allora la moglie del mercante maledisse la schiava e la cacciò da casa. La donna e il mercante vissero insieme per alcuni anni. Nel frattempo i avevano continuato a vagare sino a giungere nella due ragazzi citta’ piu’ grande del paese, in cui era appena morto il re. In quella città era appena stato deciso che ‘chi per primo attraverserà il mattino seguente la porta per entrare in città, sarà il nuovo re!’. I due ragazzi furono i primi a varcare la porta della città e subito furono presi dalle guardie e condotti al palazzo. Qui vennero presentati all’assemblea e tutti furono contenti dei due bei giovanotti. Il maggiore fu fatto re e suo fratello minore giudice supremo. I due governarono con piena soddisfazione di tutti gli abitanti. Mai furono trovati un migliore o un più giusto. Dopo alcuni anni il padre di quei due ragazzi tornò finalmente dal suo lungo ed estenuante viaggio alla Mecca. Fu però assai triste nel trovare la sua casa abbandonata. Chiese notizie in giro e venne a sapere che sua moglie era andata a stare in casa di un mercante. Nessuno invece aveva più visto i suoi due figli. Allora l’uomo si recò davanti alla casa del mercante d’oro e fece un gran baccano reclamando la propria moglie. Questa però prese ad insultarlo e gridò: “Portate via questo tizio, io non lo conosco. Non è mio marito! Deve essere impazzito.” Dal momento che l’uomo non voleva quietarsi, il mercante fece chiamare le guardie del mercato e fece imprigionare re giudice L’uccello dalle uova d’oro 39 l’uomo che però continuò a gridare ad alta voce che quella donna era sua moglie. Fu allora condotto davanti al giudice. Il giudice però non se la sentì di emettere una sentenza e dispose che i tre fossero condotti davanti al giudice supremo della capitale, il giudice più giusto che esistesse. I tre furono così condotti davanti al cospetto del re e di suo fratello giudice. I due fratelli subito riconobbero i loro genitori, ma non dissero nulla. La donna continuava a lamentarsi, a ripetere che non conosceva quell’uomo e che forse era impazzito se pretendeva che lei fosse sua moglie. Il marito invece continuava a far valere le sue ragioni e a esigere da lei notizie dei suoi figli. Quando i due figli udirono la madre che giurava così falsamente, furono così sconvolti che non esitarono a raccontare come le cose erano andate veramente. Abbracciarono quindi il padre e lo presero a vivere con loro. Quanto alla al , li condannarono: i due vennero legati alla coda di due muli e trascinati in lungo e in largo per le strade della città, finché non madre e mercante morirono. da 40 Le Mille e una notte Il principe serpente C’era una volta, tanto tempo fa, nel lontano reame di Castelvetro, una casina su un poggio, una contadina dove col suo marito ortolano viveva che tanto . avere Un giorno il marito era andato nel bosco a tagliare della legna, quando la portò a casa, dalla legna scappò fuori un piccolo e innocuo serpentello. A vedere un serpente la moglie s’impaurì, tanto che quasi quasi sveniva, ma poi si fece coraggio, lo guardò negli occhi, che gli sembravano tanto dolci e buoni, ed anche a lui ebbe il coraggio di dire: “Vorrei tanto un bambino!” A queste parole il serpentello disse: “Pigliati me come figliolo, farai un buon affare e io ti vorrò bene come a una mamma”. Lei rispose:”Non fosse per altro, perché sei così dolce ed amoroso sono felice di accettarti in casa mia”. Così gli assegnò per camerina un buco nel muro, e, come si fa per un figliolo, gli dava da mangiare con immenso affetto dei pezzettini di tutto quello che mangiava lei. Giorno dopo giorno il serpente cresceva, e quando fu grande disse all’ortolano: “Babbo mio, mi voglio sposare”. “Di sicuro”, disse il babbo, “cercheremo una bella serpe come te e faremo il matrimonio”. “Ma che serpe? cosa ho da spartire io con vipere e bisce? Io voglio la principessa, quindi va’ dal re e digli che un serpente vuole sposare sua figlia Colombina”. L’ortolano non se ne intendeva di queste cose, ma andò difilato dal re e gli fece la richiesta dicendo: “Ambasciator non porta pena, chi la fa l’aspetti e rosso di sera bel tempo si spera. desiderava un bambino Il principe serpente 41 Allora, devi sapere, maestà, che il serpente, mio figlio che io ho cresciuto come fosse , vuole tua figlia in sposa, e io, siccome sono un contadino, ti propongo di fare il matrimonio tra il mio serpente e la tua bella Colombina”. Il re, che a lume di naso vide che era un po’ tonto e un po’ matto, per levarselo di torno disse: “Di’ a questo tuo serpente che se mi farà diventare d’oro tutti i frutti del giardino reale, gli farò sposare mia figlia. Vai, vai!”, e con una risata lo mandò via. Quando il contadino riferì la risposta al serpente, il serpente gli disse: “Bene! Il re crede che sia una cosa impossibile: ma non per me! Va’ domattina, e raccogli tutti o o i n cci li di frutta che trovi per la città, seminali nel giardino, e si vedranno meraviglie!” Appena si alzò il sole il contadino prese un bel cestino e si mise all’opera. Cammina cammina, andò per le strade e le piazze della città a raccogliere noccioli di pesche, albicocche, ciliegine, amarene, nespole, e tutti gli altri noccioli che trovò. Poi andò nel giardino reale e li seminò, come gli aveva insegnato il serpente. Immediatamente germogliarono, e in un batter d’occhio crescevano i tronchi delle piante, i rami, i fiori e i frutti d’oro scintillante; quando il re si affacciò alla finestra vide questo spettacolo e non stava più nella pelle dalla gran meraviglia. Ma quando il contadino, mandato dal serpente, andò a chiedergli la principessa Colombina, il disse: “Non avere tanta fretta, io concedergli : voglio che ricopra tutte le mura e il terreno del parco di pietre preziose”. L’ortolano tornò dal serpente a riferire questa nuova richiesta, e il serpente gli disse: re voglio un’altra cosa per la mano di mia figlia 42 “Benissimo! Va’ domattina, e raccogli tutti i cocci che ci sono per terra, gettali intorno al muro e nei sentieri del parco, e vediamo se riusciamo ad accontentare il re”. Il mattino seguente il contadino si mise un paniere sotto il braccio e andò tra le case a raccogliere vetri di bicchieri rotti, minuzzoli di tappi e coperchi, cocci di pentole e tegami, bordi di vassoi, manici di brocche, orli di vasi da notte, mettendo insieme lampade sciupate, tazze sbeccate, vasi da fiori incrinati e tutti i pezzi di piatti e scodelle che trovò per le strade. Appena li ebbe gettati dove gli aveva detto il serpente, si vide il parco rivestito di smeraldi e topazi, intonacato di rubini e diamanti, in uno splendore abbagliante. Tutti quelli che passavano di lì si fermavano affascinati col cuore ricolmo di meraviglia. Vedendo questo miracolo il re rimase estasiato, e non sapeva se dormiva o era desto, ma quando sentì che il serpente gli chiedeva ancora di mantenere la promessa, disse: “Tutto quello che il serpente mi ha procurato fino a ora è inutile, se non mi fa diventare d’oro tutto il palazzo reale”. Ancora una volta l’ortolano tornò dal serpente a riferire il terzo desiderio del re, e il serpente gli disse: “Bene, bene! Va’ e raccogli un gran fascio di erbe d’ogni specie, strofinale contro le fondamenta del palazzo, e vediamo se accontentiamo questo re”, Senza metter tempo in mezzo l’ortolano fece un gran fascio di menta, rucola, erba Luigia, prezzemolo, basilico, timo e tutte le altre erbe che trovò, poi andò a strofinarle alla base del palazzo. Il principe serpente 43 All’improvviso il Palazzo Reale di Castelvetro cominciò a brillare dappertutto, come se si fosse scoperto un tesoro, sufficiente a far diventare ricchi tutti i poveri del reame. Quando l’ortolano venne a chiedere per il serpente la mano di Colombina, il re, rendendosi conto che non c’era più nulla da fare, chiamò la principessa e le disse: “ , per prendere in giro un tuo pretendente che ti vuol sposare, gli ho chiesto dei compiti impossibili, ma non sono riuscito ad ingannarlo. E’ riuscito a fare tutto quello che gli ho chiesto, e ora devo mantenere la parola data. Figlia mia Lo devi sposare! Ti prego, figlia cara, non farmi tradire la mia parola, e accetta il marito al quale ti ho promesso”. “Sia quello che vuoi tu, mio signor padre”, rispose la principessa, “non mi sogno neanche lontanamente di cambiare quello che hai fissato per le mie nozze. Spero solo che sia un bel giovane!”. Allora il re disse all’ortolano che il serpente poteva venire a sposare la principessa. Appena il serpente lo seppe partì su un carro d’oro, trainato da quattro elefanti tutti d’oro. Quando arrivò in città la gente che lo vedeva passare così grosso e terribile fuggiva terrorizzata: “ Ohhhh! un serpente vuol sposare la principessa!!” 44 I nobili di corte appena entrò nel palazzo reale cominciarono a tremare: “Ohhhh! Un serpente vuol sposare la principessa!!” Anche i servitori e le cameriere se la davano a gambe urlando:”Ohhhh! Un serpente vuol sposare la principessa!” Il re e la regina, quando lo videro, sconvolti dalla paura gridarono: “Fuggi Colombina, fuggi, si salvi chi può!” e andarono a rinchiudersi in uno stanzino mentre la principessa, senza batter ciglio, diceva: “Perché dovrei scappare dallo sposo che mi avete dato?”. Ed intanto il serpente entrò nella stanza della principessa. Ma appena chiuse la porta, con un rapido movimento delle mani, si tolse di dosso la pelle di serpente e si trasformò in un giovane con i capelli biondi come oro fino, con occhi tanto belli da innamorare tutte le donne. Salutò la Principessa con un inchino e le sussurrò: “Colombina sono il tuo sposo”. Il re uscì dallo stanzino e vedendo che il serpente si era chiuso nella stanza con la principessa, disse alla regina: “Che il Cielo dia pace all’anima innocente di nostra figlia, perché di sicuro quel serpente maledetto a quest’ora l’avrà ingoiata tutta intera”. E avvicinandosi alla porta della camera degli sposi si chinò a guardare dal buco della chiave. Appena vide la bellezza e la nobiltà di quel giovane diede un calcio alla porta, entrò con la regina, raccolsero subito la pelle di serpente e senza pensarci la bruciarono. Quando la pelle fu bruciata si sentì un urlo terrificante: “Ah, sciagurati!” gridò il principe serpente “Cosa mi avete fatto?” pertanto e volò alla finestra, batté e ribatté contro i vetri finché li ruppe e fuggì, ferito e insanguinato. La principessa in pochi istanti era passata dalla gioia alla disperazione, si era sentita prima felice tra le braccia di un bellissimo principe, poi disgraziata perché era volato via; così piangeva, si graffiava il viso e si strappava i capelli, rimproverando il padre e la madre che per la fretta di bruciare la pelle del serpente avevano mandato in fumo il suo matrimonio. Il re e la regina le dissero che avevano agito per il suo bene, le chiesero perdono e cercavano di consolarla, ma lei non smise di piangere, e a notte fonda, con un dolore che aumentava ora dopo ora, decise di andare per il mondo a cercare il suo sposo. Si trasformo’ in una colomba Il principe serpente 45 Mise in una borsetta le sue cose più preziose, uscì da una porticina secondaria, percorse le vie della città, verso i campi, e continuò a camminare al lume della luna. Ad un certo punto una volpe si mise a trotterellare accanto a lei, e le chiese se voleva una compagna di strada. La principessa le rispose: “Ne sarei felice, perché sono sola, e non conosco la via”. Andando e andando arrivarono a un fittofitto bosco cosi’ fitto fittofitto che nemmeno i raggi della luna riuscivano a illuminare i loro passi, così si fermarono a riposare sotto un albero accanto a una fontana d’acqua freschissima. Dormirono su un letto di erba soffice fino al mattino, poi si svegliarono all’alba, e mentre si scaldavano ai primi raggi di sole apparvero all’improvviso in cielo e tra i rami tanti uccelli fischiettanti e gorgheggianti. La principessa confidò alla volpe che le piaceva molto ascoltare il canto degli uccelli, e la volpe le disse: “Ti piacerebbe anche di più se tu capissi quello che si stanno dicendo”. Siccome la principessa era molto curiosa, chiese alla volpe di rivelarle i discorsi degli uccelli, e questa, dopo essersi fatta pregare a lungo, le disse: “Stanno parlando di una disgrazia, accaduta a un principe, che era così bello che un’orca si era innamorata perdutamente di lui. Siccome lui non aveva voluto saperne del suo amore, l’orca lo aveva trasformato in un serpente: incantesimo l’ non si sarebbe mai spezzato se il serpente non avesse sposato una fanciulla di sangue reale. Gli uccelli dicono anche che c’era riuscito, ma quando aveva appena lasciato la pelle di serpente il re e la regina l’hanno bruciata, allora lui si è trasformato in colomba, e fuggendo da una vetrata si è ferito tanto gravemente che sta per morire”. Sentendo che si parlava proprio della sua storia e della sua disgrazia, la principessa domandò chi era questo principe, e 46 se c’era un modo per guarirlo La volpe rispose che si trattava di , unico di Belcolle. Quanto al rimedio per guarirlo, gli uccelli dicevano di sì, che c’era una possibilità di salvarlo: l’unico farmaco capace di far chiudere le ferite e di non farlo morire, era proprio il sangue degli uccelli che raccontavano la storia. La principessa allora chiese alla volpe di acchiappare quegli uccelli per mettere il loro sangue in una ampollina, così sarebbe andata di corsa dal re di Belcolle a curare il principe, sperando in una bella ricompensa. “Piano” disse la volpe, “aspettiamo che scenda la notte, e appena gli uccelli si addormentano ci penso io, salgo sull’albero e li acchiappo uno ad uno”. Passarono quella giornata chiacchierando, poi venne la sera, e poi la notte. Allora la volpe, controllando che gli uccelli si fossero addormentati sui rami, salì quatta quatta e li catturò uno dopo l’altro, poi li uccise e riempì col loro sangue un’ampollina che la principessa aveva portato con sé. La principessa non stava in sé dalla gioia, ringraziò la volpe, la salutò abbracciandola e con l’ampollina in mano corse nella capitale del reame di Belcolle, dove voleva salvare il suo Principe ferito. Arrivata davanti al Palazzo Reale la Principessa Colombina si coprì il capo con un velo per non farsi riconoscere e bussò alle porte del palazzo, poi chiese a una guardia di avvertire il re che era arrivato chi poteva guarire il principe. Il re scese di corsa e quando vide una fanciulla rimase meravigliato e le chiese come pensava di poter riuscire dove i migliori medici avevano fallito. rispose: “Ho i miei segreti, Maestà, ma voglio che mi promettiate che figlio del re Sauro Colombina se riusciro’ a guarire vostro figlio lo concederete a me come sposo”. Il principe serpente 47 Il re, che aveva già cominciato a piangere la morte del figlio, le disse:“Se tu me lo rendi bello e guarito, guarito e bello io te lo farò sposare, perché se tu mi darai un figlio io ti darò un marito”. Salirono insieme nella camera dove il principe giaceva sul letto con gli occhi chiusi, già pallido come un cadavere, e Colombina senza perdere tempo medicò le sue ferite con il sangue dell’ampollina. Allora , sentì che il calore della vita tornava a scorrergli nelle vene e si alzò perfettamente guarito. Il re lo abbracciò piangendo di gioia, poi indicò la fanciulla che era in un angolo della camera, nell’ombra, e gli disse: “Figlio mio, sembravi morto e ora sei vivo per merito di quella fanciulla. In cambio della tua guarigione, le ho promesso che l’ avresti sposata.” “O padre mio,” rispose il principe, “vorrei tanto accontentarti, ma io con una principessa che amo e spero che la fanciulla che mi ha salvato non vorrà farmi tradire la mia sposa”. Colombina, sentendo quanto il principe Sauro fosse ancora innamorato di lei, sentì una gioia immensa, e arrossendo gli chiese: “Ma se la tua sposa ti avesse dimenticato… allora vorresti sposare me?” “Mai potrò cancellare” rispose Sauro “la bella immagine che ho nel cuore, e preferirei morire piuttosto che rinunciare a Colombina!”. non resisteva più: aprì le finestre che erano socchiuse, si levò il velo che le copriva il volto e . Il principe Sauro pieno di meraviglia strinse Colombina a sé, poi con una grande felicità raccontarono al re tutto quello che era successo e quanto avevano sofferto. Sauro apri’ gli occhi sono gia’ sposato La principessa si fece riconoscere 48 Quello stesso giorno mandarono a chiamare il padre e la madre di Colombina ed annunciarono una gran cerimonia per festeggiare l’amore del principe Sauro e della principessa Colombina. E non si dimenticarono della contadina e dell’ortolano che avevano curato il serpente come un figlio, e quando si riunirono in festa la gioia fece dimenticare a tutti le pene passate. E vissero felici e contenti. per sempre per sempre Gianbattista Basile sempre per per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre per sempre Il principe serpente 49 Paradiso e Inferno Dopo vita una lunga e coraggiosa, un valoroso morì senza rimpianti e senza sofferenze. Per la sua bontà e la sua onestà fu destinato ad andare in paradiso. Siccome era un uomo molto curioso, prima di entrare in principe cinese paradiso chiese di poter dare un’occhiata anche all’ . Un angelo lo accontentò. Così il valoroso principe entrò per un attimo all’inferno. E vide un vastissimo salone da pranzo che aveva al centro una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente e di golosità inimmaginabili (arrosti, salumi, formaggi, torte, frutta). Ma gli abitanti dell’inferno, che sedevano tutt’intorno, erano smunti, pallidi, lividi e scheletriti da far pietà. Insomma erano condannati a soffrire anche davanti a tante cose buone e dolci da mangiare. “Com’è possibile soffrire?” chiese il principe alla sua guida, “con tutto quel ben di Dio davanti!” “Soffrono perché non riescono a mangiare. Come vedi sul tavolo ci sono solo forchette e cucchiai lunghi due metri e devono essere rigorosamente impugnati all’estremità per portarsi il cibo alla bocca. Ma per quante prove facciano, con posate così lunghe, non riescono a mangiare“. Il coraggioso principe cinese rabbrividì. Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppure una briciola sotto ai denti. Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso. Qui lo attendeva una sorpresa. Quando entrò si accorse subito che in paradiso c’era un grandissimo salone da pranzo assolutamente uguale a quello dell’inferno! inferno 50 Dentro l’immenso salone c’era un’infinita tavolata con sopra un’identica sfilata di piatti deliziosi (arrosti, salumi, formaggi, torte, frutta)… proprio come all’inferno. Non solo: sulla tavola c’erano le stesse posate lunghe due metri, da impugnare all’estremità per portarsi il cibo alla bocca… proprio come all’inferno. C’era una sola differenza: qui la gente intorno al tavolo era allegra, grassottella, sprizzante di gioia. “Ma com’è possibile che qui in paradiso la gente sia felice se hanno le stesse condizioni dell’inferno?”, chiese stupito il coraggioso principe. L’ allora sorrise: “All’ ognuno pensa per sé. Ognuno si affanna da solo a prendere il cibo, con le lunghe posate, per portarlo alla propria bocca. , come sono sempre stati nella loro vita. Qui in , al contrario, tutti collaborano tra di loro. E ciascuno prende il cibo con le lunghe posate e poi si preoccupa di imboccare il proprio vicino. Insomma …e tutti riescono a mangiare. Questa è la inferno Sono egoisti angelo paradiso ognuno aiuta l’altro grande differenza tra il Paradiso e l’Inferno.” Paradiso e Inferno 51 La scimmia e il leone altro leone Africa C’era una volta, in , in una grande e profonda foresta che, credendosi il Re degli animali, si divertiva a terrorizzare tutti gli animali. Era , perché li uccideva non per fame ma per fare loro del male. Gli animali, stanchi di vivere ogni giorno con la paura di essere mangiati, si riunirono per vedere se riuscivano a fare qualcosa per cambiare la loro situazione. Andarono dal leone, lo salutarono con un inchino e gli dissero: “O potente leone, tu ci stai uccidendo tutti perché ti mangi sia gli animali piccoli che quelli grandi, senza pietà e senza distinzione”. Poi aggiunsero: “Ti proponiamo una cosa: ogni giorno al mattino, quando sorge il sole, ti manderemo uno di noi a scelta. Tu potrai mangiarlo, ma poi, fino a sera, dovrai lasciare in pace tutti gli altri!” Il leone accettò la proposta. Il primo mattino toccò all’ che era convinto di essere talmente grande e forte da spaventare il leone. Ma il leone lo attaccò alle spalle e riuscì a vincerlo ed ucciderlo. Poi per tutta la giornata se ne restò tranquillo ad aspettare il prossimo animale. Il secondo mattino fu scelta la . La lepre, giunta davanti al leone, cercò di scappare. Ma anche se la lepre era molto veloce, il leone riuscì a prenderla e a mangiarsela in un sol boccone. Il terzo giorno, al mattino, il leone non vide arrivare nessuno. Era il turno della che però andò dal leone solo verso mezzogiorno. un leone feroce e brutale elefante lepre scimmia 52 La scimmia, in ritardo, arrivò di fronte al leone, dicendogli: “Sarei voluta arrivare prima, ma questa mattina ho incontrato l’ della foresta…e mi ha trattenuto un po’. Scusami per il ritardo”. Il leone, dimenticando la fame, si incuriosì: “come, c’è un altro leone nella foresta?” “Sì, mio sovrano c’è un altro leone che dice di essere il vero Re della foresta. Poco fa mi ha detto che appena ti incontra ti fa a pezzi!” Il leone, per niente intimorito, decise di andare a cercarlo: “Dimmi dov’è!”, intimò alla scimmia. La scimmia allora, con astuzia, accompagnò il leone fino ad una radura dove c’era un pieno d’acqua e poi disse, indicandogli il pozzo: “E’ qui dentro!” Il leone guardò dentro e in fondo al pozzo vide la faccia di un altro leone che lo guardava. “Chi sei tu?” disse. E una voce, come un’eco, rispose: “Chi sei tu?” “Io sono il leone”. Gridò a quel leone che vedeva nel pozzo. “Io sono il leone”. Sentì come risposta. “Io sono il Re degli animali”. “Io sono il Re degli animali”. “Non è vero!” “Non è vero!” “Tu sei un bugiardo!” “Tu sei un bugiardo!” disse la voce in fondo al pozzo. Allora il leone arrabbiatissimo o profondissimo pozzo si butto’ dentro … contro l’altro leone che lo guardava dal fondo. E fu così che il leone morì, annegando nell’acqua profonda del pozzo. E fu così che gli animali della foresta furono salvati dalla furbizia di una piccola scimmia. La scimmia e il leone 53 Giufa’ e la statua di gesso C’era una mamma che aveva un Giufa’ figlio sciocco, pigro e mariolo. Si chiamava . La mamma, che era povera, aveva un pezzo di tela, e disse a Giufà: “Prendi questa tela e valla a vendere; però se ti capita un chiacchierone, non gliela dare: non ti fidare di chi parla e parla, dalla a qualcuno di poche parole.” Giufà prende la tela e comincia a strillare nel paese: “Chi compra la tela? Chi compra la tela?” Lo ferma una donna e gli dice: “Fammela vedere”. Guarda la tela e poi domanda: “Quanto costa questa tela?”. “Tu chiacchieri troppo”, fa Giufà, “alla gente chiacchierona mia madre non vuol venderla”, e va via. Trovò un contadino:” Quanto costa ?”, “Dieci scudi”, “No: è troppo!” “ , : non ve la do”. Così tutti quelli che lo chiamavano o gli si avvicinavano gli pareva parlassero troppo e non la volle vendere a nessuno. Cammina di qua, cammina di là, si infilò in un cortile. In mezzo al cortile c’era una , e Giufà le disse: “Vuoi comprare la tela?” Attese un po’, poi ripeté:”La vuoi comprare la tela?”. Visto che non riceveva nessuna risposta:”Oh, vedi che ho trovato qualcuno di ! Adesso sì che gli venderò la tela”. E l’avvolge addosso alla statua. “Fa dieci scudi. D’accordo? Allora i soldi vengo a prenderli domani” e se ne andò a casa. Chiacchierate chiacchierate La madre appena lo vide gli domandò della tela. “L’ho venduta”. “E i quattrini?” “Vado a prenderli domani” “Ma è persona fidata?” “E’ una donna proprio come volevi tu: figurati che non mi ha detto neppure una parola”. La mattina andò per prendere i quattrini. Trovò la statua, ma la tela era sparita. Giufà disse:”Pagamela”. E meno riceveva risposta, più s’arrabbiava. “La tela te la sei presa, no? E i quattrini non me li vuoi dare? Ti faccio vedere io, allora!” Prese una zappa e menò una zappata alla statua da mandarla in cocci. Dentro alla statua c’era una o o oo pent la piena di m nete d’ r . Se la mise nel sacco e andò da sua madre. “Mamma, non mi voleva dare i denari, l’ho presa a zappate e m’ha dato questi”. La mamma che era all’erta gli disse:” Dammi qua, e non raccontarlo a nessuno”. statua di gesso poche parole 54 Giufa’ e la statua di gesso 55 I tre anelli Giufa’ e il chiodo casa Giufà rimase senza denaro e decise di la sua . All’uomo venuto per acquistarla disse: “Ti vendo tutta la casa, questo piantato nel muro.” L’acquirente replicò: “Se questa è l’unica condizione, accetto senza riserve e acquistò la casa”. Trascorse una settimana. Una mattina Giufà bussò alla porta di casa. Una volta entrato si diresse verso il chiodo e vi appese un ; quindi dopo aver salutato il nuovo proprietario, se ne andò. Passò qualche giorno, ed ecco che Giufà si ripresentò nuovamente, questa volta per appendere al chiodo un vecchio burnuss, un di lana, lungo, con cappuccio. Da quel momento le visite di Giufà si fecero sempre più frequenti, finché una sera, sotto gli occhi esterrefatti degli inquilini di casa egli trascinò con sé la di un asino e la appese al chiodo. Il proprietario della casa, non sopportando più le continue intrusioni, cominciò ad urlare: “Come ti permetti di appestare la mia dimora con questi rifiuti?”Rispose Giufà: “Amico, io ti ho venduto la casa, ma vendere eccetto chiodo sacco mantello carogna puzzolente non il chiodo, perciò vi appendo quello che voglio. Se non sei d’accordo vattene, ma sappi che non ti restituirò un soldo”. L’uomo fu costretto ad andarsene e Giufà riebbe la casa senza restituire un soldo. 56 Questa che vi vado a raccontare è una , antichissima, lontana nel tempo e nello spazio…una storia che ha viaggiato molto viaggera’viaggera’viagger e che … viaggera’viaggera’viaggera’ una storia di uomini, di poteri e…di anelli. Una storia che comincia, come tutte le storie cominciano, proprio così: storia antica ancora viaggera’ C’era una volta, in un paese lontano, lontano, ma proprio lontano che più lontano non si può, un uomo ricco, ricco, ma proprio ricco, che più ricco non si può. Abitava in una reggia bellissima, adorna di ori e di argenti, di pietre preziose, di gemme luccicanti e di sfavillanti pizzi. Riceveva molti ospiti, organizzava banchetti e feste conviviali a cui amava invitare i suoi più cari amici. Era un . E nonostante fosse già molto ricco aveva desiderio di avere molto di più. Di essere ancora più ricco. Ricchissimo. Ma come poteva fare per di quello che era già? Cominciò a pensare. Trascorse molti giorni nel suo castello, solo, a pensare. Dopo aver pensato per giorni e per notti senza mai fermarsi, al nostro sultano venne in mente un pensiero. Un’idea, la possiamo chiamare. “Proprio un bel pensiero,” disse tra sé e sé. “Convocherò nel mio palazzo quel giudeo che vive in città: dicono che ha molti, moltissimi soldi… Dicono anche che è molto saggio, infatti lo chiamano Nathan il saggio. Forse però io potrei trarlo in inganno. Gli farò una domanda e gli dirò: Attento, se sbagli la risposta, mi dovrai consegnare una grande quantità di monete”. sultano diventare piu’ ricco I tre anelli 57 Il sultano aveva, infatti, l’intenzione di proporre al giudeo un . Gli avrebbe chiesto: “Tra le religioni che conosciamo, quella cristiana, quella ebrea e quella mussulmana, quale è la migliore?,insomma quale è la vera fede?”. Se l’ebreo avesse risposto “La religione migliore è la mia, la giudea”, il sultano, in quanto mussulmano, si sarebbe sentito profondamente offeso e lo avrebbe accusato di peccare contro la religione mussulmana; se avesse, invece, risposto, “la fede migliore è la tua, la musulmana”, lo avrebbe accusato di essere un traditore della fede giudea. In questo modo, non ci sarebbe stata dilemma difficilissimo ? nessuna risposta corretta e, quindi, il giudeo avrebbe dovuto accogliere la pretesa del sultano: cedergli i tanti denari richiesti. Ma quando il Sultano pose al ricco e saggio giudeo la domanda: “allora dimmi, quale sarebbe, secondo te, la fede migliore?” Il giudeo rispose come mai il potente sultano avrebbe immaginato. “Mio caro e potente sultano, nessuno le ha mai raccontato storie?” “No,” rispose il sultano, “nessuno mai. Ma io amo le storie. Racconta pure, ma mi raccomando, rispondi anche alla mia domanda!” Così il saggio giudeo proseguì raccontando questa storia: “Tanto, tanto, ma proprio tanto tempo fa, in Oriente viveva in un bellissimo castello un re. Un re strano. Un re senza la corona. Un re che possedeva, però, come segno di potere, anello un . Un anello di inestimabile valore. La sua pietra brillava anche alla luce fioca della luna. potere segreto : Era un anello unico ed aveva un rendere grato a Dio e agli uomini chiunque lo portasse con amore. 58 Quel re lasciò l’anello al suo figlio più amato; e lasciò scritto che a sua volta quel figlio lo lasciasse al suo figlio più amato; e che ogni volta il più amato dei figli diventasse, ricevendo l’anello dal padre, il capo della famiglia, il padrone della casa e il signore della città. E l’anello così di figlio in figlio giunse alla fine a un padre di tre figli. “Senti un po’ giudeo racconta-storie, sbrigati, su… non ho tempo da perdere!” lo interruppe il sultano. Ma Nathan, il saggio, continuò a raccontare. “Tre figli meravigliosi ognuno per le sue qualità. Uno era amorevole, disponibile, presente in ogni situazione difficile. L’altro era saggio, razionale, colto. L’ultimo era coraggioso, impulsivo ma con giudizio, attento ai deboli e ai piccoli. Questo padre amava i tre figli tutti nello stesso modo, senza fare differenze e non era capace di dedicare il suo amore ad uno solo di essi. Il re e i suoi tre figli trascorsero una vita serena e felice. Ma il re diventò, con gli anni, sempre più vecchio. Sentiva che avvicinandosi l’ora della morte doveva decidere a chi, dei tre figli, consegnare l’anello. Ma era in imbarazzo, perché mai avrebbe voluto sceglierne uno ed offendere gli altri due. Insomma non era capace di decidere quale figlio fosse il più amato, perchè proprio non riusciva a fare distinzioni. Pensò molto, il saggio re. E poi trovò una soluzione. Chiamò in segreto un gioielliere, il più bravo della città, e gli ordinò altri due anelli uguali al suo. Disse anche al gioielliere di non risparmiare né soldi e né fatiche, perché voleva assolutamente che i fossero alla fine tre anelli perfettamente uguali. E il gioielliere ci riuscì. Infatti il saggio re ricevette, dopo brevissimo tempo, due anelli forgiati in maniera identica all’originale. Neppure lui fu in grado di riconoscere quello vero. Nessuno sarebbe stato in grado di distinguere i tre anelli. I tre anelli 59 Fu felice, il re saggio. Fu felice di morire senza il peso della scelta. E così, sul punto di morte, il saggio re chiamò, ad uno ad uno, separatamente i suoi tre figli. Convocò il primo nella sua stanza privata. Gli disse: “Figlio caro, ricevi questo . È il segno della . È il segno dell’ . Ha un potere segreto: rende grato a Dio e agli uomini chiunque lo porti. Conservalo con responsabilità e tutti ti ameranno. Ricorda sempre queste parole. Buona fortuna.” Una brezza leggera, fresca, pulita riempì la stanza di luce. vita anello amore Il primo figlio uscì dalla stanza del padre e, dopo di lui, entrò il secondo e, per ultimo, il terzo. Il saggio re ripeté ad ognuno dei suoi figli quelle parole. Quando ebbe consegnato tutti e tre gli anelli, chiuse gli occhi e, sereno, morì. Il primo dei tre fratelli non poteva credere alle sue orecchie. Era lui il figlio scelto, allora? Non ebbe ancora finito di mettere ordine tra i suoi pensieri, quando si rese conto che anche gli altri suoi fratelli uscivano dalla stanza del padre con un lucentissimo anello al dito. “ 60 Anche voi l’anello? ” dissero tutti e tre in coro. Silenzio. Nessuno aveva il coraggio di pronunciare parola. Erano arrabbiatissimi con il padre. Non riuscivano a capire il senso di quella messa in scena. I loro sguardi si incrociavano reciprocamente, con freddezza e determinazione. “Sono io ad avere l’anello giusto, l’unico e vero anello di mio padre. Spetta a me l’eredità!” disse il primo. Ma la sua convinzione non servì a tener quieti gli animi degli altri due giovani che, immediatamente, si misero ad urlare e a rivendicare le proprie eredità. I tre fratelli si sospettavano reciprocamente, litigarono e si accusarono a lungo. parole di offesa Non si sentivano che e di vendetta. Parole che mai il padre avrebbe voluto sentire pronunciare nel suo castello dai suoi amati figli. Anche gli abitanti del paese cominciarono a non capire più: soprattutto, non sapevano più chi ascoltare, chi seguire, chi diceva la verità e chi mentiva. La situazione era molto grave e la soluzione lontana. Infatti era impossibile provare quale fosse l’anello vero. Fino a che, uno dei tre fratelli, pensò che forse un giudice avrebbe potuto dare loro una mano. Il li ascoltò, uno ad uno e insieme. Prese tempo per pensare. Poi disse: “Mi avete detto che l’anello vero ha il magico potere di rendere amato e grato a Dio e agli uomini chiunque lo porti. Sia questo quindi a decidere! Su, ditemi: chi di voi è il più amato dagli altri due? Come vedete nessuno risponde. Ciascuno di voi ama solo se stesso? E se nessuno di questi tre anelli fosse quello giusto? Se l’anello giusto fosse andato perduto? Ma vi domando ancora: se l’anello giusto fosse al dito di uno di voi...perchè vostro padre non ve l’avrebbe detto? giudice Allora vi do un consiglio . Ognuno di voi sia certo e sicuro di aver ricevuto quello autentico! Vostro padre, saggio e buon re del nostro paese, non ha voluto umiliare e rattristare due di voi concedendo ad uno solo la sua eredità. Ha scelto, invece, di donarla a amore che tutti e tre, perché profondo e sincero è stato l’ il dono piu’ grande provava per tutti voi. Questo è piu’ grande . I tre anelli 61 coraggio sapienza Sforzatevi di imitare, con e , l’amore del padre vostro. Alimentate la sua grande bontà nell’ amicizia pace e nella .” Dopo queste parole, i tre fratelli sentirono qualcosa nell’aria. Un vento leggero, fresco, che ricordava tanto quella brezza leggera, fresca, pulita che, qualche giorno prima, riempì di luce la stanza del padre. Allora i fratelli capirono. Allora compresero che un dono così grande non poteva essere rivolto solo ad uno di loro. Un dono così grande doveva essere condiviso e rispettato.” Giudeo racconta-storie! Ti rendi conto che non hai ancora risposto alla mia domanda? Avanti, lascia da parte queste fantasie di anelli fratelli e re…rispondi al tuo sultano, piuttosto! Quale è la vera fede? Quella cristiana, quella giudea e quella mussulmana?” “Mio sultano, prova a riascoltare questa storia. Ascoltala e . troverai la risposta rifletti alla tua domanda. E Anche se sono Nathan il saggio, non so dare, alla tua domanda, altra risposta che questa. Forse fra mille anni ci sarà un uomo più saggio di me che saprà rispondere al tuo dilemma. Intanto, nell’attesa, troviamo il coraggio di continuare a parlarci e a rispettarci.” E così il giudeo se ne andò, con i suoi averi e i suoi denari. E il nostro sultano rimase nella sua reggia, ricco come prima, ma con . un amico in piu’ un amico in piu 62 un amico in piu un amico in I tre anelli 63 reggionarra L’Unesco ha proclamato il 23 aprile “Giornata Mondiale del Libro” per valorizzare il libro e la lettura come strumenti di diffusione e promozione della cultura. La data prescelta rappresenta un omaggio a tre fra i più grandi scrittori di tutti i tempi che vennero a mancare proprio in quella data nel 1616: Shakespeare, Cervantes e de la Vega. Per questo Reggio Emilia ha scelto il 22 e il 23 aprile 2006 per promuovere l’iniziativa REGGIONARRA. REGGIONARRA è un appuntamento in cui un’intera città trasforma i suoi luoghi più suggestivi ed accoglienti in spazi narrativi dedicati all’ascolto di storie, di letture animate e di favole. Insomma Reggio Emilia vuole diventare, in quei giorni, un insolito palcoscenico di narrazioni per adulti e bambini, per offrire un inatteso itinerario letterario a tutti coloro che amano farsi catturare dai sogni e dalle suggestioni dei racconti e delle fiabe. I portici, i cortili, i chiostri, le strade, le piazzette, i palazzi antichi e moderni, i luoghi sacri e i luoghi profani, i musei, le sale civiche, le gallerie, le biblioteche, le librerie e ogni altro angolo cittadino capace di offrire atmosfere magiche ed incantate, ospiteranno eventi di narrazione. Lo scopo è quello di riscoprire e di rigenerare, nei bambini e negli adulti, il gusto dell’ascolto e il piacere del narrare, per ridare senso e fascino alle parole dette, lette, scritte e ascoltate. Decine e decine di narratori… insegnanti, genitori, scrittori e attori daranno vita alla città delle storie, attraversando i più significativi percorsi della letteratura fantastica internazionale. REGGIONARRA vuole essere una straordinaria occasione d’incontro e di spettacolo, in cui la musica delle parole e la magia delle storie possano dare inizio ad inedite possibilità di scambio e di interazione sociale ed emozionale: molti infatti credono che ascoltare storie sia la strada principe per conoscere e per aprirsi al nuovo e al diverso. REGGIONARRA è insomma un appuntamento con la fantasia, con la vita e con la cultura, è un omaggio al sogno e alla meraviglia a cui i bambini e le famiglie non possono mancare. Scuole e nidi d’infanzia Istituzione del Comune di Reggio Emilia Associazione Amici di Reggio Children