Pierin Fagiolo - Comune di Reggio Emilia

Transcript

Pierin Fagiolo - Comune di Reggio Emilia
“…Io avevo una nonna analfabeta che era
una grande raccontatrice di favole...
Quello che io mi ricordo, non sono tanto i racconti
che mi faceva, ma il fatto di stare seduto, per ore,
ad ascoltarla. Perdevamo del tempo insieme.
Questo secondo me è l’atto del narrare: perdere
del tempo insieme... Proprio nel senso di perdersi
nel tempo e di perdere tempo”.
Marco Baliani
Pierin Fagiolo
e altre storie di qui e d’altrove
leggende
storie
favole
fiabe
Reggio Emilia, marzo 2006
REGGIO NARRA
Far perdere tempo alla citta’
Questo l’intento del libro Pierin Fagiolo, distribuito gratuitamente a tutti i
bambini delle scuole dell’infanzia: far perdere tempo alla città.
Nel senso di consentire a bambini e adulti di uscire dal primato del tempo
dedicato esclusivamente al lavoro e di ritrovare invece il tempo della relazione
e del dialogo.
Insomma nel senso di donarsi il tempo del narrare e del leggere.
Per questo l’offerta ai bambini reggiani di un libro di favole risulterà
impegnativo soprattutto per i genitori, i nonni e gli insegnanti, che sono
invitati a riscoprire il valore e il fascino della narrazione e quindi ad impegnarsi
in un mese di “lettura condivisa” dello stesso testo.
La proposta di leggere insieme, in tanti, nello stesso mese (21 marzo–21
aprile 2006) lo stesso libro può rappresentare una originale opportunità per
condividere storie, emozioni e immaginari e per attivare dialoghi e relazioni.
Come dice il principio ispiratore di analoghe esperienze attuate altrove “Se
una comunità legge lo stesso libro, quando lo finisce è più unita”.
Questo perché il libro e la narrazione hanno la forza di costruire coesione
emozionale e senso di appartenenza.
Infatti l’offerta a migliaia di famiglie del Libro Pierin Fagiolo ha lo scopo di
aiutare bambini ed adulti a ritrovarsi insieme attorno ad un racconto,
riscoprendo il fascino dell’ascolto e del narrare.
Se una generazione di bambini e genitori riesce a coltivare immaginari comuni
e a creare una memoria condivisa di fantasie e di sogni, allora si può ritenere
che una città abbia svolto degnamente il proprio ruolo di comunità educante.
Oggi le uniche occasioni in cui un medesimo patrimonio di storie riesce a
coinvolgere un gran numero di persone sono offerte dai media televisivi.
Se si dimostrasse che anche un libro è in grado di ricreare coinvolgimento e
partecipazione, allora si potrebbe dire che anche la lettura e la narrazione
sanno riempire i sogni ad occhi aperti di una collettività e questo potrebbe
dare speranza a tutti coloro che credono alla cultura come arricchimento e
non come spettacolo.
Il libro, che contiene una decina di fiabe, è dedicato a Pierin Fagiolo, il
personaggio più gettonato delle favole tradizionali reggiane, sicuramente quello
che ha accompagnato l’immaginario fantastico di tante generazioni di bambini.
Pierin Fagiolo
e altre storie di qui e d’altrove
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Pubblicazione edita da
Scuole e Nidi d’infanzia
Istituzione del Comune di Reggio Emilia
A cura di
Indice
Sergio Spaggiari
Introduzione
con la collaborazione di
Pierin Fagiolo
pag 7
La favola del topolino
pag 15
Paola Ferretti e Antonia Monticelli del Laboratorio Teatrale Gianni Rodari.
I testi delle fiabe sono adattamenti e rielaborazioni dalla tradizione letteraria
ed orale.
‘La Principessa Carolina’ è tratta dal libro ‘Sette fiabe per sette giorni’ di
Francesco Fornaciari, edito da Rotary Club di Reggio Emilia.
La favola ‘I tre anelli’ è stata scritta da Annalisa Rabotti, traendo spunto
da ‘Nathan il saggio’ di G.E. Lessing e dal ‘Decamerone’ di Boccaccio.
di Nicola Barbieri
La Principessa Carolina
Il Pesciolino d’oro
di Francesco Fornaciari
di Aleksandr Puskin
pag 5
pag 19
pag 23
I musicanti di Brema
di Aleksandr Puskin
pag 28
Il Libro delle magie
di Ludwig Bechstein
pag 31
L’uccello dalle uova d’oro da Le mille e una notte pag 36
L’iniziativa Far perder tempo alla città è promossa
dall’Istituzione Scuole e nidi d’infanzia del Comune di Reggio
Emilia e dall’Associazione Amici di Reggio Children
in collaborazione con FISM (Fed. Scuole Materne Cattoliche)
Il Principe serpente di Gianbattista Basile
pag 41
Paradiso e Inferno
pag 50
La Scimmia e il Leone
pag 52
Giufa’ e la statua di gesso
pag 54
Giufa’ e il chiodo
pag 56
I tre anelli
pag 57
Impaginazione grafica
Roberta Vignali
Disegni
bambini della scuola comunale dell’infanzia Belvedere di Reggio Emilia
Diffusione
distribuzione gratuita ai bambini delle scuole dell’infanzia di Reggio Emilia
Stampato da
Centrostampa Gaf - Reggio Emilia
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3
Tutti sanno che quando un racconto inizia con “C’era una
volta…” ci si trova immersi in una fiaba: è l’inizio di un viaggio
che trasporta l’ascoltatore in una dimensione nuova,
caratterizzata da uno spazio indefinito, da un tempo senza
tempo, da un’atmosfera “straordinaria” popolata di animali
tronfi come leoni e astuti come scimmie, di streghe che
vogliono mangiare Pierin Fagiolo, di finti tonti come Giufà.
Le prime parole di una fiaba rimandano ad una comunità
che s’incontra, una volta in una stalla, davanti a un focolare,
su di un’aia; ora in una ludoteca, in una sala cinematografica
o in un auditorium.
Quando l’accattivante voce di chi narra si impone sulle altre,
inizia a dipanare storie di eventi lontani, nelle quali
echeggiano ancora i suoni e le voci che esprimevano il ritmo
delle stagioni, le danze di caccia, le feste del raccolto, la
celebrazione della trasgressione carnevalesca.
Il prevalente contenuto immaginario della fiaba ha poi lo
scopo principale di suscitare sentimenti forti nell’ascoltatore,
bambino o adulto che sia: dare una sensazione di piacere,
suscitare meraviglia, far sperimentare le emozioni
fondamentali della paura e della gioia liberatoria.
Se l’origine della fiaba si perde nella antichità del mito e
della tradizione orale, in quell’immaginario collettivo che fa
parte della cultura e del folklore dei popoli, la sua continua
riproposizione narrativa la rende sempre nuova e sempre
proiettata al futuro, proprio come il principe Sauro e la
principessa Colombina, che vogliono solo vivere insieme felici
e contenti: il loro desiderio diventa anche il nostro.
Se poi il futuro è un futuro di pace e di fraterna condivisione, come
quello prefigurato dal paradiso delle fiaba cinese, meglio ancora!
4
Nicola Barbieri
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Pierin Fagiolo
C’era una volta
e
che avevano
.
Vivevano in uno stato di grande miseria e spesso i figli non
avevano da mangiare e si lamentavano. Un giorno il papà
disse alla moglie:
“Siamo veramente tanto poveri e spesso non riusciamo
neanche a dar da mangiare ai nostri figli. Io sono proprio
disperato, è una sofferenza che non sopporto più. Dimmi tu,
cosa possiamo fare?”
“Cominciamo a mandarli tutti a lavorare, dal più grande al
più piccolo. Solo così potremo continuare a vivere.”
Allora il padre, rasserenato, disse:
“Hai ragione, cominciamo a mandarli a lavorare da qualche
parte!”
Il più grande lo mandarono a lavorare da un contadino, un
altro lo misero a portar fuori i maiali, un altro ancora a dar
da mangiare e pulire le vacche, uno ad accudire il pollaio,
un altro a lavorare nell’orto. Alla fine tutti i figli avevano
qualcosa da fare.
, che era il piu’ piccolo di tutti, lo misero
sopra ad un gigantesco albero di pere affinché guardasse
che nessuno venisse a rubarle.
Raggiunti i rami più alti del pero, rimase là per alcune ore,
poi vide arrivare ai piedi del pero una vecchia strega che
subito gli disse:
“Guarda, guarda... c’è Pierin Fagiolo! Pierino, mi dai un
perino?”
Allora le rispose Pierino:
“No, che sei quella brutta vecchia che mi vuol mangiare”
“Dai, Pierino, dammi un perino che ho fame.”
“No che non te lo do! Mio papà mi ha detto di no!”
“Dai, Pierino, buttamelo giù nel grembiule!”
un papa’ una mamma
tanti figli
Pierino
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Pierin Fagiolo 7
“No, che è tutto pisciolento!”
“Buttamelo allora nella camicia!”
“No, che è tutta cagolenta!”
“Dai che lo prendo col fazzoletto!”
“No che è tutto caccolento!”
“Beh, allora…. allungamelo!”
Pierino, veramente stupido, si lasciò convincere e allungò
giù il perino, ma la strega prese lui per mano, lo tirò giù e lo
mise subito dentro al sacco.
Dopo aver chiuso ben bene il sacco, se lo mise sulla schiena
e si incamminò verso casa, dove voleva andare a
mangiarselo.
Ma mentre andava a casa le venne mal di pancia: doveva
subito andar di corpo, se no se la faceva addosso. La vecchia
vide alcuni contadini che stavano zappando il terreno:
“Ehi! Contadini! Mi tenete voi questo sacco che io devo andare
a fare i miei bisogni?”
“Va bene, mettetelo lì.. Ma andate ben lontana a cagare,
perché non vogliamo sentire la puzza.”
Come la vecchia strega si è allontanata, da dentro il sacco
Pierin Fagiolo cominciò a gridare:
“
Aiuto, aiuto,
sono Pierino! Aprite il sacco!”
Gli zappatori aprirono il sacco e videro che dentro c’era un
bambino. Lo fecero venir fuori e riempirono il sacco con tanta
terra. La vecchia, dopo aver fatto i bisogni, tornò indietro e
prese il sacco che era ancora lì dove l’aveva lasciato. Così
ringraziò:
“Grazie, grazie, contadini!”
E riprese la sua strada. Quando si trovò vicino a casa,
incominciò ad urlare a sua figlia:
“Minghèta, metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo! Dai,
Minghèta, metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo!”
E questo lo gridava da lontano, così quando arrivava a casa,
il paiolo era già pronto per metterci dentro Pierin Fagiolo.
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La Minghèta mise il paiolo sul fuoco e dopo un po’ l’acqua
stava già bollendo.
Giunta a casa la vecchia strega disse alla figlia:
“Dai che bolle, dai che bolle!”
Presero in mano il sacco e lo rovesciarono dentro il paiolo,
credendo di buttarci dentro Pierino, ma invece nel paiolo ci
cadde dentro tanta terra e l’acqua bollente spruzzò e scottò
le due donne.
Il giorno dopo la vecchiaccia, molto arrabbiata, era di nuovo
sotto l’albero di pero, dove c’era ancora Pierin Fagiolo. Allora
gli ha detto:
“Pierino,
”
mi dai un perino!
“
No, perché sei una brutta vecchia e mi vuoi mettere nel
sacco. Non te lo do neanche, ma neanche…”
“Dai dammi un perino, dammi un perino”, e il bimbo si lasciò
convincere e disse:
“Dove te lo butto il perino?”
“Buttamelo giù nel grembiule!”
No, che è tutto pisciolento!”
“Allora lo prendo con la camicia!”
“No, che è tutta cagolenta!”
“Dai.. buttalo nel mio fazzoletto!”
“No che è tutto caccolento!”
“
“Beh, allora… allungamelo!”
Pierino, veramente stupido, allungò giù il perino, ma la strega
lo prese per la mano, lo tirò giù e lo mise di nuovo dentro al
sacco. Dopo aver chiuso ben bene il sacco, se lo mise sulla
schiena e si incamminò verso casa. Ma lungo la strada le
venne mal di pancia: se la stava ancora facendo addosso.
Per fortuna lì vicino c’erano dei contadini. La vecchia li vide e disse
loro:
“Ehi! Zappatori! Mi guardate voi questo sacco che io devo
andare a fare i miei bisogni?”
“Va bene, mettetelo lì. Ma andate ben lontano a cagare,
perché non vogliamo sentire la puzza”.
Pierin Fagiolo 9
La
vecchia strega
andò lontano e si chinò dietro un albero.
Ma i contadini avevano capito che dentro al sacco c’era ancora
Pierin Fagiolo. Lo aprirono subito, liberarono il bambino e
questa volta dentro al sacco ci misero un fascio di spine. La
vecchia, finito di fare i suoi bisogni, ringraziò gli zappatori,
prese il sacco e se lo mise sulle spalle e riprese la strada per
andare a casa.
Ma le spine nel sacco le pungevano la schiena e lei allora
disse:
“Graffia pure, graffia pure! Non mi graffierai più quando ti
avrò mangiato!”
Quando fu vicino a casa, cominciò ad gridare:
“Minghèta metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo! Minghèta
metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo!”
La Minghèta, da parte sua, disse tra sè e sè:
“Speriamo proprio che questa volta ce l’abbia davvero Pierin
Fagiolo nel sacco.”
Quando la vecchia arrivò in casa, l’acqua nella pentola bolliva
già. La Minghèta le disse:
“Corri qui che il paiolo bolle!”
“Stavolta c’è: mi ha graffiato tutta la schiena lungo la strada!”
Rovesciarono il sacco dentro al paiolo, ma dentro… c’erano
solo le spine.
E così si graffiarono anche le mani per tirarle fuori. Molto
arrabbiate, promisero che si sarebbero vendicate.
Infatti il giorno dopo la vecchia strega tornò sotto il pero e
Pierin Fagiolo era di nuovo là sopra l’albero.
Gli disse:
“
, mi dai un perino?”
“Proprio no, perché sei quella vecchiaccia cattiva che mi vuol
mangiare”.
“Ma dai… dammi un perino che ho fame, dammi un perino!”
Alla fine, quello stupido di Pierin Fagiolo si lasciò ancora
convincere e chiese alla vecchia:
“Dove te lo getto?”
Pierino
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“Buttamelo nella camicia!”
“No, che è tutta cagolenta!”.
“Buttamelo nel grembiule!”
“No che è tutto pisciolento!”
“Allora te lo prendo col fazzoletto!”
“No che è tutto caccolento!”
“Allora allungamelo giù”
“
, perché poi mi prendi
No
e mi metti dentro il sacco”.
“No, no che non ti porto via, non ho neanche il sacco”.
Allora lui, credulone, scese dall’albero per allungare il perino
alla vecchia, ma lei lo prese per la mano, lo tirò giù e lo mise
nel sacco che aveva nascosto sotto la grande sottana. Poi si
mise in strada, ma come al solito, le ritornò da cagare.
Lì poco distante c’erano ancora gli zappatori e lei disse:
“Contadini, per favore, mi guardate questo sacco che vado a
fare i miei bisogni? Faccio presto, faccio presto”.
“Sì, va bene, lasciatelo lì, ma andate lontano che non
vogliamo sentire la puzza. Se la sentiremo, apriremo il sacco”.
Ma gli zappatori, che avevano capito che dentro al sacco
c’era Pierin Fagiolo, aprirono il sacco e lo tirarono fuori. Poi
vi misero dentro una cagnolina. Poco dopo tornò la vecchia
che prese il sacco ringraziando:
“Grazie del favore, grazie e buongiorno”
E scappò veloce verso casa per andarsi a mangiare Pierin
Fagiolo che credeva fosse ancora nel sacco.
Con il sacco sulle spalle si mise a correre, ma la cagnolina,
dentro al sacco, graffiava con le unghie per uscire.
“Senti lì come graffia. Graffia pure, ma non graffierai più
quando saremo a casa”.
Essendo ormai vicino a casa, cominciò ad urlare:
“Minghèta metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo! Minghèta
metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo!”
Questa volta quando aprirono il sacco, la vecchia e la figlia
Minghèta fecero molta attenzione che non gli scappasse Pierin
Fagiolo e dissero:
Pierin Fagiolo 11
“E’ tanto che graffia, quello stupido lì, ma vedrai che adesso
… ce lo mangiamo!”.
Aprirono il sacco sul paiolo bollente, ma la cagnolina, molto
spaventata ed arrabbiata, fece un balzo fuori e saltò in faccia
alla vecchia, portandole via il naso con un morso.
La vecchia allora urlò:
“Cagna cagna tabachèra, porta il naso lì dov’era!
,
porta il naso lì dov’era!”
Ma la cagnolina riuscì a scappare via.
Il giorno dopo, la vecchia, anche senza naso, non si arrese e
tornò sotto il pero e vedendo che c’era Pierin Fagiolo, pensò:
“Quel Pierin Fagiolo lì, oggi lo prendo e vado a casa subito,
senza mai fermarmi lungo la strada.”
Poi, ad alta voce, disse, rivolto al bambino: “Pierino, mi dai
un perino?”
“No, perché siete quella vecchiaccia che mi vuol mangiare”.
Ma insistendo un po’: “Dammi un perino, dammi un perino”,
quel credulone di Pierin Fagiolo si lasciò convincere ancora
un’altra volta.
“Allora, dove ve lo butto?”
“Buttamelo nella camicia!”
“No, che è tutta pisciolenta!”.
“Buttamelo nel grembiule!”
“No, che è tutto cagolento!”
“Allora lo prendo con il fazzoletto!”
“No, che è tutto caccolento!”
“Allungamelo giù”
“No, che mi prendi e mi metti nel sacco”
“Ma quale sacco, non vedi che non ce l’ho!
Allora lui si allungò un tantino per dargli il perino, ma la
vecchia, rapidissima come sempre, lo prese per le mani e se
lo mise dentro un sacco che nascondeva sotto la sottana.
Poi corse subito verso casa,senza fermarsi. Quando fu vicino
a casa sua, urlò alla Minghèta:
“Minghèta, metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo! Minghèta,
metti su il paiolo che ho Pierin Fagiolo!”
Cagna cagna tabachera
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Ma stavolta la Minghèta esclamò:
“Sono tre giorni che mi dice di preparare il paiolo, ma Pierin
Fagiolo non c’è mai. Mi sono stancata e non preparo niente.”
Ma, quando la vecchia arrivò, videro che nel sacco c’era
davvero Pierin Fagiolo. Pensarono allora di chiuderlo in una
camera, intanto che l’acqua del paiolo arrivasse a bollire.
Poi la vecchia andò al mercato a comprare il pane da
mangiare con Pierin Fagiolo. Intanto la Minghèta, la figlia
della vecchia strega, andò nella camera dove era rinchiuso
Pierin Fagiolo.
Vi entrò per far svestire il bimbo. Infatti nel paiolo ce lo
dovevano mettere dentro nudo e non vestito.
Così disse a Pierin Fagiolo:
“Togliti i pantaloni”.
Le rispose Pierin Fagiolo:
“Se ti togli la tua vestina”.
“Togliti il tuo giaccone”
“Se tu ti togli il tuo maglione”.
“Togliti la camicia”.
“Se tu ti togli la tua camicia!”
E mentre la figlia si volta per togliersi la camicia, Pierino
prese un coltello e uccise la figlia della vecchia strega e la
buttò dentro il paiolo con l’acqua bollente.
Poi uscì di corsa dalla casa, prese una scala lunga lunga e
con quella salì sul tetto.
Intanto la vecchia, che era tornata a casa dal mercato, vide
che nel paiolo bolliva della carne. Pensò che fosse quella di
Pierin Fagiolo. La sentì e si accorse che la carne era già ben
cotta e anche molto buona. La tirò su, la mise in tavola e poi
si mise a mangiare. Era una carne tenera:
“Com’è buono il mio Pierin Fagiolo, mi ha fatto un po’
arrabbiare, ma aveva proprio della carne tenera e buona”.
Quando arrivò alla fine del pranzo, Pierin Fagiolo, che era
sopra il tetto, cominciò a urlare:
Cucu’ cucu’
“
, adesso sono
quassu’! ”.
Pierin Fagiolo 13
Ahhh!
“Ma guarda dov’è andato quel birbante….
Ha ucciso la Minghèta e io l’ho mangiata!
Adesso ti vengo a prendere. Come hai fatto ad andare sul
tetto?”
Allora Pierin Fagiolo rispose:
“Sono salito sulla scala e con un salto ed una capriola sono
venuto fin quassù”.
La vecchia, desiderosa di vendicare la figlia morta, prese la
scala lunga lunga e salì sul tetto. Ma Pierin Fagiolo spinse la
scala e le fece fare un salto e una capriola in aria.
Lei cadde per terra e morì.
Pierin Fagiolo rimase l’unico padrone della grande casa della
vecchia strega, dove c’erano galline, anitre, conigli, mucche,
maiali e tanta terra con tanti alberi da frutto.
Così, coltivando quella terra e allevando quegli animali, Pierin
Fagiolo divenne un ricco contadino.
La favola del topolino
(La fola dal surghin)
Un giorno un topolino andò a mangiare nel pollaio.
Il gallo che lo ha visto si è arrabbiato e gli ha dato una
beccata in testa.
La testa del
incominciò a sanguinare.
“Cosa debbo fare alla mia testa che sanguina?”
gli ha detto:
Il
“Vai dal sarto e fatti dare una pezzuolina per fasciare la tua
testolina”
Il topolino allora è andato dal sarto:
“Sarto, mi dai una pezzuolina per fasciare la mia testolina?”
“Io te la do, ma voglio del pelo”
“Dove devo andare a prendere il pelo?”
“Va dal cane”.
“Cane,
il pelo,
che il pelo lo do al sarto,
il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?”
“Io te lo do, ma voglio del pane.”
“ Dove devo andare a prendere il pane?”
“Vai dal fornaio.”
“Fornaio mi dai del pane,
che il pane lo do al cane,
il cane mi dà il pelo,
il pelo lo do al sarto,
il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?”
“
, ma voglio della legna”
“Dove devo andare a prendere della legna?”
“Vai dal boscaiolo”
“Boscaiolo, mi dai della legna,
che la legna la do al fornaio,
il fornaio mi dà il pane,
il pane lo do al cane,
il cane mi dà il pelo,
topolino
gallo
mi dai
Io te lo do
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La favola del topolino 15
?
?
?
?
?
?
?
il pelo lo do al sarto,
il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?”
“Io te la do, ma voglio del latte.”
“Dove devo andare a prendere il latte?”
“Vai dalla mucca.”
“Mucca, mi dai del latte,
che il latte lo do al boscaiolo,
il boscaiolo mi dà la legna,
la legna la do al fornaio,
il fornaio mi dà il pane,
il pane lo do al cane,
il cane mi dà il pelo,
il pelo lo do al sarto,
il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?”
“Io te lo do, ma voglio del fieno”
“
a prendere il fieno?”
“Vai dal prato”
“Prato, mi dai del fieno,
che il fieno lo do alla mucca,
la mucca mi dà il latte,
il latte lo do al boscaiolo,
il boscaiolo mi dà la legna,
la legna la do al fornaio,
il fornaio mi dà il pane,
il pane lo do al cane,
il cane mi dà il pelo,
il pelo lo do al sarto,
il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?”
“Io te lo do, ma voglio dell’acqua”
“Dove devo andare a prendere dell’acqua?”
“Vai dal fosso”
“Fosso mi dai dell’acqua,
che l’acqua la do al prato,
il prato mi dà il fieno,
il fieno lo do alla mucca,
la mucca mi dà il latte,
Dove devo andare
16
il latte lo do al boscaiolo,
il boscaiolo mi dà la legna,
la legna la do al fornaio,
il fornaio mi dà il pane,
il pane lo do al cane,
il cane mi dà il pelo,
il pelo lo do al sarto,
il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?”
“Io te lo do, ma voglio un secchio”
“Dove devo andare a prendere un secchio?”
“Vai dal fabbro”
“Fabbro, mi dai un secchio,
che il secchio lo do al fosso,
il fosso mi dà dell’acqua,
l’acqua la do al prato,
il prato mi dà il fieno,
il fieno lo do alla mucca,
la mucca mi dà il latte,
il latte lo do al boscaiolo,
il boscaiolo mi dà la legna,
la legna la do al fornaio,
il fornaio mi dà il pane,
il pane lo do al cane,
il cane mi dà il pelo,
il pelo lo do al sarto,
il sarto mi dà la pezzuolina per fasciare la mia testolina?”
Il fabbro gliel’ha dato.
Allora: il fabbro gli ha dato il secchio,
il secchio l’ha dato al fosso,
il fosso gli ha dato l’acqua,
l’acqua l’ha data al prato,
il prato gli ha dato il fieno,
il fieno l’ha dato alla mucca,
la mucca gli ha dato il latte,
il latte l’ha dato al boscaiolo,
il boscaiolo gli ha dato la legna,
La favola del topolino 17
la legna l’ha data al fornaio,
il fornaio gli ha dato il pane,
il pane l’ha dato al cane,
il cane gli ha dato il pelo,
il pelo l’ha dato al sarto,
il sarto gli ha dato la pezzuolina
per fasciare la sua testolina.
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La Principessa Carolina
C’ era una volta, in un Regno lontano, che si chiamava
Regno di Mezzo,
fabbro
secchio
fosso
acqua
prato
fieno
mucca
latte
boscaiolo
legna
fornaio
pane
cane
pelo
sarto
pezzuolina
testolina
una principessa, molto, molto bella, che si chiamava Carolina,
ma che era sempre stata capricciosa, ma tanto capricciosa
che tutti la chiamavano ‘Carolina Noiosina’ e nessuno la
sopportava più .
Già da bambina era incontentabile e dispettosa e le sue
pretese facevano impazzire tutta la corte e chiunque avesse
a che fare con lei.
Quando diventò grande, e i suoi genitori decisero di trovarle
un marito, tutti, nel regno tirarono un sospiro di sollievo, forse,
finalmente Carolina avrebbe trovato chi la metteva a posto.
Furono perciò convocati i Principi dei tre Regni confinanti,
il
, che veniva dal Regno dell’
Est, là, verso il mare, dove il mattino diventa chiaro,
il
, che veniva dal Regno dell’ Ovest,
sulle montagne, dove il sole tramonta e
il
, che veniva dal Regno del Sud,
coperto di verdi pascoli e foreste.
Nessuno ebbe però il coraggio di invitare anche
il
, del Regno del Nord, là dove non
c’è mai il sole e dove la gente vive coperta di pellicce e parla
una lingua strana.
Per primo si presentò il biondo Principe Azzurro, e a lui
Carolina chiese, come dono di nozze un draghetto verde a
pallini rosa.
Il principe partì e, dopo molto tempo ed innumerevoli
traversie, tornò con quanto gli era stato richiesto.
Quando però fu davanti a Carolina questa scoppiò a piangere
e a gridare. “ No, no, non era questo che volevo, io lo volevo
rosa a pallini verdi…”
Il povero Principe Azzurro se ne tornò quindi, triste e
Principe Azzurro
Principe Rosso
Principe Verde
Principe Nero
La Principessa Carolina 19
sconsolato, nel Regno dell’ Est.
Fu poi la volta del Principe Rosso, dai capelli fulvi e dagli
occhi blu come i laghi delle sue montagne e a lui, Carolina
chiese un gatto giallo dagli occhi verdi.
Al povero Principe non sembrava vero che gli venisse richiesta
una prova così semplice.
Per l’appunto, dalle sue parti, vivevano dei bellissimi gattoni
gialli e, fra questi, era sicuro di poterne trovare uno con gli
occhi verdi.
Tornò infatti al castello di Carolina dopo non molto tempo,
portando con sé un bellissimo gatto, giallo e con gli occhi
verdi.
Ma Carolina scoppiò a piangere e urlando a squarciagola gli
disse che il gatto che lei voleva doveva essere “VERDE E
CON GLI OCCHI GIALLI !!!”
Il povero Principe ritornò a ovest, sulle sue montagne e
nessuno lo rivide più.
Giunse infine il Principe Verde, alto, snello e scuro di pelle e
Carolina, dopo averlo ben squadrato, gli chiese, dato che
sapeva che al suo paese ce ne erano molti, un bel cavallo
bianco, ma con la criniera verde…..
Il Principe partì con il suo seguito alla ricerca dello strano
animale e, non si sa come, dopo molto tempo lo trovò.
Tornò, trionfante nel Regno di Mezzo, sicuro di avere
conquistato la bella Carolina Noiosina, ma, quando le portò
il cavallo, Carolina cominciò ad inveire, a dare calci alle
Il
era preceduto da soldati coperti di
pelli che inalberavano stendardi neri con il teschio e vessilli
di pelliccia d’orso.
Il Principe poi, ricoperto da una nera corazza, con un elmo
sovrastato da un teschio, cavalcava il cavallo più grande che
si fosse mai visto.
I suoi zoccoli mandavano scintille sui ciottoli che calpestava,
dalle frogie dilatate usciva un vapore sulfureo, gli occhi, sotto
la bardatura da battaglia, erano iniettati di sangue e il morso
era stretto da denti che parevano quelli di un drago.
Giunsero così al castello, superarono il ponte levatoio e, una
volta entrati nel cortile d’onore, il Principe, aiutato dai suoi
scudieri, scese dal mostruoso destriero.
Salito lo scalone con passi rimbombanti che sembravano
colpi di ariete, spalancò la porta della sala del trono e,
accompagnato dal gelido vento del suo paese, fece il suo
ingresso fra i cortigiani che si schiacciavano contro le pareti.
Il Re e la Regina lo guardavano preoccupati e anche Carolina
non sembrava più tanto sicura di sé.
Il Principe si inchinò, si tolse l’elmo, e tutti poterono vedere
il suo bel volto, deformato però da una cicatrice che da sopra
l’occhio sinistro, giungeva quasi fino alla bocca.
E il Principe Nero domandò a Carolina cosa volesse da lui.
Dopo un attimo di incertezza “La Luna,
sedie, a tirare vasi ai cortigiani “
, era
verde con la criniera bianca che lo volevo!”
Il Principe Verde balzò in sella al suo cavallo bianco e galoppò
fino a quando non fu nelle sue foreste.
A questo punto il Re e la Regina si videro costretti ad invitare
anche il Principe Nero e il suo arrivo fu preannunciato dal
gelido vento del Nord, da nuvole cariche di grandine e neve
e da un cupo rumore di tuono. Quando, in distanza, si vide
avanzare l’orda che accompagnava il Principe, tutti si
rifugiarono nelle case.
disse la principessa.
“E io te la darò”, rispose il Principe rimettendosi l’elmo e
ripartendo con i suoi soldati ed il suo seguito.
Passò così un certo tempo e la bella Carolina non sapeva se
sperare nel ritorno del suo tetro pretendente o se la sua
richiesta lo avesse convinto a tornare definitivamente fra i
suoi ghiacci e le sue tempeste.
Ma nel plenilunio di settembre, quando un enorme luna
gialla era alta nel cielo, sentì la voce del Principe Nero che
la chiamava dal parco del castello.
No! No! No!
20
Principe Nero
soltanto
la Luna vorrei da te “
La Principessa Carolina 21
Incuriosita, scese dalle sue stanze e vide il Principe che le
indicava la luna, ma non nel cielo, bensì riflessa nel laghetto
del parco.
Non fece neppure in tempo a stupirsi o a dire una delle sue
solite cattiverie che si sentì sollevare dalle braccia poderose
del Principe Nero e si trovò scaraventata nelle acque del
laghetto.
Si sollevò, arruffata e scarmigliata, si tolse una rana dai
vestiti e un pesciolino dai capelli e vide il Principe che rideva
e anche lei per la prima volta, dopo tanto tempo, cominciò a
ridere, e risero il Re, la Regina, i cortigiani e tutto il popolo.
E fu così che Carolina, messo finalmente giudizio, sposò il
rude Principe del Nord e vissero insieme felici e contenti.
Francesco Fornaciari
Il pesciolino d’oro
In riva al mare, c’era una volta una piccola e decrepita
casetta. In questa casetta viveva
.
Vivevano in grande povertà: il vecchio fabbricava le reti e
andava al mare per prendere i pesci. Ne prendeva solo quanto
ne bastava per il vitto quotidiano.
Una volta, chissà come, il vecchio gettò la sua rete, cominciò
a tirare e si accorse che era molto pesante, come mai gli era
capitato.
Tira e tira, riuscì a tirar fuori la rete. Guardò: la rete era
vuota; c’era solo un pesciolino, ma non un semplice
pesciolino: era un
tutto
.
Il pesciolino chiese al vecchio con voce umana: “Non
prendermi, vecchietto! E’ meglio se mi lasci andare nel mare
azzurro; io ti sarò riconoscente: farò tutto quello che mi
chiederai”.
Il vecchio pensò e ripensò, poi disse: “Che bisogno ho di te?
Va’ pure a passeggio nel tuo mare!”.
Gettò il pesciolino d’oro nel mare e tornò a casa.
La vecchia moglie gli chiese: “Hai preso molti pesci, vecchio?”
“In tutto ho preso solo un pesciolino d’oro, ma l’ho ributtato
in mare. Mi ha chiesto e supplicato con insistenza:
andare nell’azzurro mare ed io ti ricompenserò,
un vecchio con
pesciolino
Lasciami
sua moglie
d’oro
faro’ tutto
quello che vorrai!
Ho avuto compassione del pesce, non ho voluto niente da
lui, e l’ho lasciato libero di nuotare in mare”
“ Vecchio demonio! Ti era capitata tra le mani una vera
fortuna e tu non hai saputo prenderla.”
La vecchia si incattivì, insultò il vecchio da mattina a sera,
non lo lasciò in pace:
“Dovevi chiedergli almeno un po’ di pane. Qui abbiamo solo
delle briciole secche: che mangerai?”.
22
Il pesciolino d’oro 23
Il vecchio non si trattenne, andò dal pesciolino d’oro per
chiedergli del pane.
Arrivò alla riva, e gridò con voce forte:
“
Vieni fuori!
Mettiti con la coda in mare e con la testa verso di me”.
Il pesciolino nuotò a riva: “Di che cosa hai bisogno, vecchio?”.
“La vecchia si è arrabbiata, mi ha mandato a chiedere del
.”
“Torna a casa: ci sarà del pane fin che ne vuoi”.
Il vecchio tornò a casa: “E allora, vecchia, c’e il pane?”.
“Di pane ce n’é finché vuoi. Ma ecco il guaio. Il mastello si è
rotto, e non so dove lavare la biancheria. Va’ dal pesciolino
e chiedigli un nuovo mastello.”
Il vecchio andò al mare: “Pesciolino, pesciolino! Vieni fuori!
Mettiti con la coda in mare e con la testa verso di me”.
Il pesciolino arrivò: “Che vuoi, vecchio?” .
“La vecchia non è contenta e mi ha mandato a chiedere un
.”
“Bene, avrai il nuovo mastello”.
Il vecchio tornò a casa, stava ancora sulla porta, che la
vecchia di nuovo si gettò contro di lui, lo investì gridando
“Va dal pesce d’oro, chiedigli di costruirci una nuova casetta,
non si può più vivere nella nostra, è così malandata che
appena la guardi va in pezzi!”
E il vecchio tornò sul mare: “Pesciolino, pesciolino! Vieni
fuori! Mettiti con la coda in mare e con la testa verso di
me!”.
Il pesciolino arrivò nuotando, si mise con la testa verso di
lui e la coda in mare. “Che cosa vuoi, vecchio?”.
“Costruisci per noi una
; la vecchia non è
contenta, si lamenta e grida, non mi lascia in pace; non
voglio, dice, vivere più in questa brutta casetta, appena la
guardi, va in pezzi!”
“Non rattristarti, vecchio! Va’ a casa, e prega Dio. Tutto sarà
fatto.”
Tornò il vecchio. Nel suo cortile c’è una casetta nuova, di
legno di quercia, tutta con trafori e ornamenti.
Pesciolino, pesciolino!
pane
nuovo mastello
nuova casetta
24
Gli corre incontro la vecchia, arrabbiata più di prima, impreca
e urla più di prima:
“Ah tu, vecchio cane, imbecille! Non sei capace di servirti
della fortuna. Ti ho chiesto una casetta, e tu, ecco, sarà
fatto! No, invece! Va’ di nuovo dal pesce d’oro e digli che io
non sono contenta: non voglio più essere contadina, ma
voglio diventare moglie del governatore, in modo che la gente
mi obbedisca, e voglio che quando le persone mi incontrano
mi facciano l’inchino fino alla cintola!”.
Andò il vecchio al mare e gridò con grossa voce: “Pesciolino,
pesciolino! Vieni fuori! Mettiti con la coda in mare e con la
testa verso di me.”
Nuotò a riva il pesciolino, si mise con la coda in mare e la
testa verso il vecchio: “Che cosa vuoi, vecchio?” .
Rispose il vecchio: “La vecchia non è contenta, non mi dà
pace, è del tutto impazzita. Non vuole essere più contadina,
ma
”.
“Bene, non affliggerti! Torna a casa, prega Dio, tutto sarà
fatto!”
Tornò a casa il vecchio, e invece della nuova casetta di legno
di quercia, adesso c’è un castello di pietra alto tre piani. Nel
cortile i servitori corrono di qua e di là, in cucina i cuochi
battono e lavorano, la vecchia in un prezioso abito di seta
sta seduta su una grande poltrona e dà ordini a tutti i servitori
e a tutte le damigelle.
“Salute, moglie!” disse il vecchio.
“Ah tu, rozzo ignorante! Come osi chiamar me tua moglie.
Io sono la moglie del governatore! Ehi, gente, portate questo
nella scuderia
moglie del governatore!
vecchio contadinaccio
e frustatelo quanto più potete.”
Subito i servitori accorsero, presero il vecchio per il bavero
della camicia e lo trascinarono nella scuderia. Poi gli scudieri
cominciarono a frustarlo, e lo frustarono a tal punto che egli
a mala pena poteva reggersi sulle gambe.
Dopo di che la vecchia gli diede l’incarico di portinaio, ordinò
che gli fosse data una scopa e che pulisse il cortile.
Il pesciolino d’oro 25
Ordinò anche che gli fosse dato da mangiare e da bere in
cucina. Brutta vita per il vecchietto! Per tutto il giorno deve
scopare il cortile, e non appena trovano che c’è qualche punto
non pulito bene, subito nella scuderia, e giù frustate!
“Che strega!” pensa il vecchio “Ha avuto tanta fortuna e
tutto per merito mio e del mio amico pesciolino… e adesso
non mi considera più neppure suo marito!”
Passò ancora un po’ di tempo. La vecchia si annoiò di essere
moglie del governatore, fece chiamare il vecchio e gli ordinò:
“Va’, vecchio demonio, dal pesciolino d’oro, e digli che non
voglio più essere moglie di governatore, ma voglio diventar
regina
!”
26
Andò il vecchio al mare: “Pesciolino, pesciolino! Vieni fuori!
Mettiti con la coda in mare e con la testa verso di me”.
Arrivò il pesciolino d’oro nuotando: “Di che cosa hai bisogno,
vecchio?”
“Ecco, mia moglie non è contenta, è del tutto impazzita, più
di prima. Non si contenta più di essere la moglie del
governatore, adesso vuole diventar regina.”
“Non affliggerti, vecchio! Va’ a casa, e prega Dio. Tutto sarà
fatto.”
Il vecchio tornò a casa e invece del palazzo di prima trovò
un gran palazzo reale, dal tetto d’ oro, con intorno sentinelle
e cavalieri. Davanti al palazzo c’è un verde prato. Nel prato
ci sono i soldati, in fila. La vecchia è vestita da regina, viene
fuori sul balcone con principi e generali, e fa la rassegna
delle truppe. Rullano i tamburi, suona la musica, i soldati
gridano “Viva la regina!”.
Passò ancora un po’ di tempo. La vecchia si annoiò di essere
regina e ordinò di chiamare il vecchio, che si presentasse
subito davanti ai suoi occhi .
Ci fu una grande confusione, i generali si danno da fare, i
cavalieri corrono, non sanno dove sbattere la testa: “Quale
vecchio?”.
A gran fatica riuscirono a trovarlo nel cortile delle immondizie,
e lo portarono dalla regina.
“Ascolta, vecchio demonio!” gli dice la vecchia “Va’ dal
pesciolino d’oro a dirgli che non voglio più essere regina, ma
voglio diventare la
signora dei mari,
in modo che tutti i mari e tutti i pesci mi ubbidiscano.”
Il vecchio tentò di rifiutarsi, ma che vuoi farci? La regina ti
fa staccar la testa! Con il cuore stretto, andò al mare e disse:
«Pesciolino, pesciolino. Vieni fuori! mettiti con la coda in
mare e la testa verso di me”.
Ma il pesciolino d’oro non si vede, proprio non si vede! Il
vecchio lo chiama una seconda volta. Di nuovo, niente!
Lo chiama una terza volta, e a un tratto il mare si gonfia e
muggisce, come se si fosse arrabbiato; prima era tutto
sereno, pulito, e ora tutto nero e tempestoso.
Tra la furia delle onde apparve il pesciolino d’oro che nuotò
fino a riva e si fermò davanti al vecchio: “Che vuoi, vecchio?”
“La vecchia non è contenta, è diventata ancora più pazza;
non vuole più essere regina, vuole essere la signora del mare,
dominare su tutte le acque, comandare a tutti i pesci.”
Il pesciolino d’oro non disse nulla al vecchio, si voltò e
sprofondò nel mare. Il vecchio urlò: “Pesciolino, non
scappare!”. Ma il pesciolino non tornò e il vecchio sconsolato
andò a casa, guardò e non credette ai suoi occhi: il palazzo
dal tetto d’oro non c’era più, il castello alto tre piani era
come se non ci fosse mai stato, la bella casetta di legna di
quercia era scomparsa e al loro posto era tornata la vecchia
casetta decrepita, e davanti alla vecchia casetta stava seduta
sua moglie, con il suo vecchio vestito stracciato e la testa
tra le mani.
“Cosa hai pescato oggi, marito mio?”
,
il vecchio ritornò alla sua pesca in mare; solo che, per quante
volte gettasse le reti in acqua, non riuscì più a prendere il
pesciolino d’oro.
Ritornarono a vivere come prima
Aleksandr Puskin
Il pesciolino d’oro 27
I musicanti di Brema
vecchio asino
C’era una volta un
che aveva lavorato
sodo per tutta la vita. Ormai non era più capace di portare
pesi e si stancava facilmente, per questo il suo padrone aveva
deciso di relegarlo in un angolo della stalla ad aspettare la
morte.
L’asino però non voleva trascorrere così gli ultimi anni della
sua vita. Decise di andarsene in città, a Brema, dove sperava
di poter vivere
facendo il musicista.
Si era incamminato da poco quando incontrò un
,
magro e ansante.
“Come mai hai il fiatone?” gli chiese.
“Sono dovuto scappare in tutta fretta per salvare la pelle”
gli rispose il cane. “Il mio padrone voleva uccidermi, perché
ora che sono vecchio non gli servo più”.
“Purtroppo è vero - continuò - non sono più capace di
rincorrere la selvaggina come una volta, e sono così debole
che non spavento più nessuno. Ma ora come farò a procurarmi
da mangiare?” concluse depresso.
“Vieni a Brema con me” suggerì l’asino. “Laggiù faremo
fortuna con la musica: io suonerò il liuto e tu mi darai il
ritmo con il tamburo”
Il cane accettò la proposta e s’incamminò con il nuovo amico.
Non avevano percorso molta strada che s’imbatterono in
cane
gatto
28
un
che miagolava disperato.
“Cosa ti è successo per lamentarti in questa maniera?” gli
chiese l’asino.
“Sono vecchio e soffro d’artrite, per questo non sono più
agile come una volta e devo stare al caldo. Ma vedendomi
riposare vicino al caminetto, ieri il mio padrone si è infuriato,
mi ha accusato di essere un fannullone, mi ha rimproverato
di non saper acciuffare nemmeno un topolino e mi ha cacciato
da casa. Senza pietà! Pensare che l’ho servito fedelmente
per tutta la vita!… Ora non so proprio dove andare, non so
proprio come sbarcare il lunario!” rispose singhiozzando il
gatto.
“Allora vieni a fare il musicista con noi a Brema” gli dissero
insieme l’asino e il cane.
Il gatto non se lo fece ripetere due volte e pieno di speranza
si unì a loro.
Passando davanti ad una fattoria, furono distratti da
gallo
un
che schiamazzava rincorso da una contadina.
“Mi vuole tirare il collo! Vuole me perché non ha un tacchino
da cucinare per il pranzo della domenica! Mi vuole tirare il
collo!” urlava il gallo terrorizzato.
I tre compari gli gridarono: “Vieni con noi! Con la tua bella
voce conquisteremo tutta la città di Brema!”
Non ebbero il tempo di aggiungere altro che, appollaiato
sulla schiena dell’asino, sentirono il gallo che li incitava:
“Corriamo, corriamo, prima che la padrona mi acchiappi!”
Una corsa disperata fin nel folto del bosco. Lì finalmente
ripresero fiato!
Ormai si era fatto buio e, si sa, di notte non è prudente
viaggiare. Dovevano cercare qualcosa da mangiare e un posto
per dormire almeno per quella notte. Rifocillati e riposati,
l’indomani sarebbero ripartiti per Brema.
Fu allora che sentirono dei rumori…
Nascosti tra i cespugli, si guardarono intorno … videro una
casa: ecco da dove arrivavano brusio, risate e … un profumo
d’arrosto!
Erano così stanchi e così affamati!
Cercando di non fare rumore si avvicinarono alla casa e, con
cautela, sempre senza farsi scorgere, guardarono all’interno
attraverso la finestra.
Non potevano credere ai loro occhi! In mezzo alla stanza
c’era un tavolo colmo di buone cose: un tacchino ripieno,
mortadelle invitanti, formaggi di tutti i tipi, pane d’ogni forma,
torte stupende, frutta profumata,…
I musicanti di Brema 29
“Potremmo chiedere ospitalità …” non ebbero il tempo di
aggiungere altro, che i quattro amici videro avvicinarsi al
tavolo quattro ceffi paurosi. Dunque quello era il covo dei
briganti!
Se quei tipacci li avessero visti, sarebbe stata la loro fine!
Si sa che la fame aguzza l’ingegno!
Nascosti tra i cespugli, l’asino, il cane, il gatto e il gallo
studiarono un piano diabolico, che avrebbe spaventato quei
briganti, così da obbligarli a scappare dal loro covo e da
lasciare tutto quel ben di dio da mangiare a loro completa
disposizione.
Nel buio e nella tranquillità della notte, interrotti solo dalla
luce che irradiava dall’interno della casa e dal vociare sguaiato
dei briganti, si avvicinarono alla finestra.
In silenzio perfetto l’asino appoggiò le zampe sul davanzale,
il cane balzò sul dorso dell’asino, il gatto si arrampicò fin
sulla testa del cane e il gallo si appollaiò sulle spalle del
gatto.
Quindi ad un cenno dell’asino, diedero inizio al loro primo
concerto… e fu tutto un ragliare, abbaiare, miagolare e
schiamazzare.
Un inferno! Terrorizzati, i quattro briganti cercarono la
salvezza fuori dalla casa, ma all’uscita furono investiti da un
animale che calciava, uno che graffiava, un altro che mordeva
e un altro ancora che beccava!
Un INFERNO! Scapparono per non tornare mai più in quel
luogo maledetto!
I quattro amici non ci pensarono due volte: si precipitarono
dentro la casa, senza esitare si sedettero intorno al tavolo …
e si misero a mangiare salame, carne, formaggi, pane, torte
e frutta fresca … e credo che siano ancora lì che mangiano e
ridono, che ridono e mangiano …
Lì era il Paradiso!
fratelli Grimm
30
Il libro delle magie
un mago
C’era una volta
che era molto abile nel
fare gli incantesimi. Da molti anni ormai abitava in una
capanna in mezzo al bosco ed era molto infelice perché,
sentendosi ormai vecchio e vicino a morire, non sapeva a
chi trasmettere l’arte della sua magia.
Un giorno vide, per caso, due bambini che giocavano in un
prato: erano
e
,
piccoli, vispi e belli.
“Ecco i bambini che fanno al caso mio! Li prenderò e insegnerò
loro l’arte della stregoneria” pensò subito il mago. E,
fabbricata una rete di capelli, li catturò e li portò nella sua
capanna.
I piccoli, spaventatissimi, avrebbero voluto fuggire, ma il
mago li teneva prigionieri e li sorvegliava molto attentamente
e non si allontanava quasi mai da casa; soltanto qualche
volta si divertiva ad andare a pescare. Un giorno che il mago
era andato al fiume a pescare, la sorellina buttò le braccia al
collo del fratello e piangendo disse:
“Il mago se ne andato a pescare; fuggiamo prima che torni!”
Ma il fratellino, che era più saggio, le rispose:
“Non hai sentito che terribili minacce ci ha fatto l’altro giorno
prima di uscire? Eppoi quel mago è così sapiente che, con le
sue magie, ci ritroverebbe subito! No, no! Aspettiamo un
po’: per ora non possiamo proprio far nulla!”
Passò qualche giorno e il mago andò di nuovo a pescare e i
bambini rimasero soli nella capanna. A un tratto il fratellino
guardò in alto e vide sullo scaffale
un fratellino una sorellina
un
grosso libro nero
.
“E’ certo il Libro delle magie e degli incantesimi – disse il
fratellino.”
E, appena lo ebbe preso in mano, continuò:
Il libro delle magie 31
“Guarda qui! Ci sono scritti tutti gli incantesimi che servono
al mago per le sue stregonerie … ho deciso” disse dopo un
po’ alla sorellina che lo guardava meravigliata “ogni volta
che il mago andrà a pescare, io mi metterò in un angolo a
studiare il Libro delle magie e cercherò di imparare qualche
.
Così, quando ne avrò imparate molte, forse troveremo il
modo di scappare.”
Il bambino per una settimana intera, studiò il Libro delle
magie e, poiché aveva buona memoria, imparò molti segreti
della magia. Al mattino del settimo giorno, quando, come al
solito, il mago se ne andò a pescare, il fratellino disse:
“E’ arrivato il momento giusto!
formula magica
Possiamo scappare!
Grazie al cielo ho imparato alcuni incantesimi che potranno
esserci utili in caso di pericolo.”
E presisi per mano, uscirono dalla capanna e scapparono
lungo il sentiero del bosco. Il mago intanto, seduto sulla
sponda del fiume, si affaticava a pescare senza prendere
neanche un pesce! Arrivò la sera e il mago tornò a casa
tutto infreddolito e di cattivo umore. Appena entrato nella
capanna, si guardò attorno, ma non vide i bambini. Scrutò
in tutti gli angoli, cercò sotto la tavola e sotto il letto, ma
erano proprio spariti!
“Me la pagheranno cara! – urlò più che mai infuriato. - Olà
Olè! venga a me la mia bacchetta magica!”
Subito la bacchetta magica gli saltò fra le mani e gli indicò
la direzione che i bambini avevano preso. Il mago si mise a
correre; oramai stava per raggiungere i piccoli, quando il
fratellino disperato cercò di salvarsi provando a ripetere una
formula magica che aveva imparato da Libro delle magie:
Libro, Librone, per il sangue del drago,
“
per la barba del mago,
trasformami all’istante
in un bel lago.”
Immediatamente il fratellino fu trasformato in un lago azzurro,
32
e la sorellina fu trasformata in un pesciolino che guizzava
nell’acqua. Giunto sulla riva del lago, il mago lo guardò con
sospetto. Non era mago per nulla, e subito immaginò che
cosa era successo.
“Voi volete sfuggirmi – brontolò – ma vi acchiappo lo stesso.”
E in tutta fretta ritornò a casa per prendere canne e reti e
pescare così il pesciolino.
Non appena si fu allontanato, il bambino disse:
“
.”
E per magia i bambini ripresero le loro sembianze. Cercarono
un cespuglio folto, vi si nascosero sotto e dormirono tutta la
notte. Al mattino ripresero il viaggio camminando per tutta
la giornata. Intanto il mago, munito di reti e di lenze, era
giunto nel posto dove aveva veduto il lago, ma, con sua
grande sorpresa, non lo trovò più. C’era soltanto un prato
melmoso dove saltellavano rospi e ranocchie.
Tutto infuriato gettò via reti e canne, poi, interrogata la
bacchetta magica e avuta da lei la direzione, riprese
l’inseguimento dei fratellini. Verso sera i ragazzi udirono il
rimbombo dei suoi passi che si avvicinava.
“Siamo perduti! Ci sta raggiungendo!” singhiozzò la sorellina
terrorizzata voltandosi indietro.
Ma il fratellino la rincuorò di nuovo:
“Non piangere. Conosco un’altra formula magica e spero
che funzioni anche questa volta.”
Tracciò un segno nell’aria e disse:
“
, ferma lo stregone
che viene in tutta fretta e
in una bianca chiesetta.”
Subito diventò una chiesetta bianca, di quelle che si vedono
spesso lungo le strade di campagna, e la sorellina divenne un
bellissimo angelo dipinto in un quadro. Quando il mago arrivò,
incominciò a imprecare, pieno di rabbia. Ma come catturare
un angelo dipinto? E come distruggere la chiesetta, visto che
da sempre gli stregoni hanno paura delle immagini sacre?
Inoltre l’angelo teneva una mano alzata in un atteggiamento
dolcissimo, ma che a lui sembrava soltanto minaccioso.
Libro Librone fammi tornar bambino
Libro, Librone
mutami
Il libro delle magie 33
Egli fece tre o quattro volte il giro della chiesetta e concluse
che non gli restava altro da fare che incendiarla.
“Non posso ridurvi in un mucchio di calcinacci – imprecò –
vi brucero’
ma
e vi ridurrò in un mucchio di cenere!”
Detto fatto incominciò a raccogliere nei dintorni rami ed erba
secca e con quelli circondò la chiesetta; ma quando fu per
appiccarvi il fuoco si accorse che non aveva fiammiferi. Non
gli restava che tornare a casa a prenderli, e subito si
incamminò sbuffando e borbottando.
Non appena fu lontano, il fratellino e la sorellina dissero:
“Libro Librone facci tornare bambini!”
E così immediatamente ripresero il loro solito aspetto e,
poiché erano molto stanchi, cercarono un angolo ben riparato
e dormirono saporitamente fino all’alba.
Quando il mago, portando i fiammiferi e una grossa fascina,
giunse sul luogo dove c’era la chiesetta, trovò soltanto un
grosso macigno. Lo stregone furibondo si fece dire dalla
bacchetta magica da che parte erano andati i fratellini e
riprese l’inseguimento finché, verso sera, fu di nuovo alle
spalle dei due ragazzi.
Il fratellino, appena udì i passi pesanti del mago, tracciò un
segno e disse:
“
per la farina del mio fornaio,
.”
E subito si trasformò in un granaio dentro al quale stava un
grosso mucchio di grano e la bambina, sua sorella, divenne
un piccolo chicco d’oro, mescolato a tutti gli altri. Quando lo
stregone arrivò urlò di rabbia. Era stato giocato un’altra volta!
Poi a poco a poco si calmò e incominciò a riflettere. “Questa
volta, invece di arrabbiarmi tanto, farei bene a cercare un
rimedio infallibile”, pensò. Infine i suoi occhi videro il chicco
di grano tutto d’oro e tutto trionfante disse:
“Eccolo. Ho trovato!” esclamò.
Pronunciò alcune parole magiche, e subito si trasformò in
un
, che veniva avanti di gran corsa l’aveva
Libro, Librone,
mi piacerebbe diventar granaio
gallo nero
34
già avvistato e stava per beccarselo, quando il fratellino
pronunciò mentalmente l’ultima formula magica di cui si
ricordava:
“
,
non avere troppa fretta! Lo sai già quel che ti aspetta, ecco
una volpe e un cane nero!”
Subito sulla porta del granaio apparve un grosso cane nero
che, mettendo in mostra due file di denti aguzzi, incominciò
a correre verso il gallo. Non appena lo vide, il gallo, tutto
spaventato, si diede alla fuga nella direzione opposta, ma
dall’altra parte ecco apparire una volpe dal pelo rosso che,
con gli occhi infiammati e la bocca aperta, si avventò su di
lui.
Il gallo non sapeva più da che parte scappare, di qua c’era la
volpe, di là c’era il cane nero; il gallo spaventato svolazzava
di qua e di là perdendo le penne, e non aveva più in mente
né il chicco di grano, né, cosa peggiore, le formule magiche
che avrebbero potuto salvarlo.
Fu la volpe ad avere la meglio balzata sul gallo ne fece
, leccandosi poi le labbra
con molto gusto.
I due bambini, contenti che il mago fosse stato mangiato,
dissero ancora la formula magica: “Libro Librone facci tornar
bambini!” Immediatamente ripresero il loro aspetto naturale
e da capo si incamminarono verso casa, questa volta
allegramente, perché non avevano da temere più nulla. I
genitori, che per tanti giorni li avevano aspettati e che poi li
avevano creduti ormai morti, li accolsero con gioia e grandi
feste. Da quel giorno tutti insieme
Gallo nero, gallo nero
un sol boccone
vissero felici e contenti
e del cattivo stregone nessuno udì più parlare.
Ludwig Bechstein
Il libro delle magie 35
L’uccello dalle uova d’oro
povero taglialegna
C’era una volta in Oriente un
sposato e
.
L’uomo era veramente povero e per riuscire a sopravvivere
era costretto a lavorare duramente ogni giorno.
Tutti i giorni si recava nel bosco, tagliava più legna che poteva
e poi la trasportava in spalla fino in città nel negozio del
fornaio che, in cambio della legna, gli dava due pezzi di pane
e un po’ di denaro.
Un giorno il taglialegna, al lavoro nel bosco come sempre,
vide un
che si lasciò prendere senza difficoltà.
L’uomo pensò allora di portare subito l’animale ai suoi figli,
in modo che questi potessero giocarci e divertirsi.
Prese così la via del ritorno, ma quando arrivò a casa in
anticipo, senza pane né soldi, la moglie subito gli chiese
cosa fosse accaduto.
L’uomo si limitò a far vedere l’uccello che aveva appena
regalato ai figli, ma la moglie, gridò infuriata così forte sino
a che lui non tornò nel bosco a finire il suo lavoro.
Intanto i bambini avevano cominciato a giocare con l’uccello
che, contento del nido che i due gli avevano fatto con una
cassettina, iniziò a cantare armoniosamente.
La mattina dopo i due bambini trovarono nella cassettina un
con due figli
grazioso e mansueto uccello
o
uov
d’oro e subito lo fecero vedere al
padre.
L’uomo, tutto felice ed entusiasta, corse subito in città al
bazar, nel negozio di un mercante d’oro per vendere l’uovo
dorato ad un buon prezzo.
Con i soldi ricavati poté finalmente comprare cibi e vestiti di
qualità e, ben soddisfatto, portò tutto a casa.
La mattina seguente i bimbi trovarono un altro uovo d’oro
nella cassettina dell’uccello regalato dal padre; anche questa
36
volta il taglialegna andò dal mercante d’oro e guadagnò di
nuovo
.
La cosa si ripeté per diverso tempo.
Continuò a ripetersi per così tanto tempo che l’uomo poté
acquistare una bella e spaziosa casa, terreni, bestiame,
mandare i figli a scuola e condurre una vita felice e contenta.
Un giorno però disse alla moglie:
“Cara, finalmente ora abbiamo tutto ciò che serve per vivere
serenamente. Non ci manca nulla. Tuttavia c’è una cosa che
io desidero fare più di qualsiasi altra cosa, vale a dire andare
in pellegrinaggio alla Mecca, a pregare nel luogo della Grazia.
Tu qui ormai hai tutto, quindi posso permettermi di
assentarmi per un po’ di tempo e, se Dio vuole, presto tornerò
da te sano e salvo”.
Detto questo, salutò la moglie e i figli, ordinò alla schiava
più fedele di portare tutti i giorni l’uovo d’oro al bazar dal
mercante e partì per il
fino in Arabia.
Per qualche giorno tutto andò bene, ma poi la moglie fu
assalita dalla curiosità e una mattina volle accompagnare la
schiava dal mercante d’oro cui vendeva le uova dorate.
Appena il mercante vide la donna, fu totalmente rapito dalla
sua bellezza e anche lui piacque alla donna.
Allora l’uomo chiese alla donna da dove provenissero tutte
quelle uova che gli portavano in continuazione e lei rispose:
“A casa abbiamo un grazioso uccello che ogni giorno depone
uova d’oro”.
“Mi piacerebbe proprio vederlo, un simile uccello”, disse il
mercante.
La donna allora lo portò con sé a casa e gli fece vedere
l’uccello.
Appena l’uccello vide i due intonò una canzone:
parecchi soldi
lungo viaggio
Chi mangia la mia testa
diventera’ re,
chi mangia il mio cuore
diventera’ giudice supremo”.
“
L’uccello dalle uova d’oro 37
mercante
Udite queste parole, il
si fece molto più carino
e intraprendente con la donna e le disse:
“Tuo marito è partito per un lungo viaggio. Chissà se tornerà mai.
”.
La donna disse subito di sì.
Fu allora stabilito il giorno delle nozze e il mercante d’oro
chiese che quell’uccello gli fosse cucinato e servito per il pranzo.
La donna allora, ordinò alla schiava di uccidere la bestiola e
cucinarla.
Nel frattempo tornarono da scuola i due figli che si recarono
in cucina e vedendo il cibo sul fuoco, si misero a piluccare
qualcosa: uno prese la testa, l’altro il cuore, e mangiarono
tutti e due.
Quando fu servito l’
, il mercante cercò
invano la testa e il cuore.
Arrabbiato per non averli trovati, fece allora chiamare la
schiava e le chiese:
“Non sei stata attenta all’arrosto? Mancano due pezzetti!”.
“Nessuno è entrato in cucina, tranne me e i vostri figli”, rispose
la schiava.
Allora la madre fece chiamare i figli che subito ammisero di
avere mangiato i due pezzetti dell’arrosto.
A questo punto, sempre più arrabbiato, il mercante pretese
che i figli fossero uccisi e sacrificati perché voleva avere ciò
che c’era nella loro pancia: la testa e il cuore dell’uccello.
La donna ubbidì e, chiamata la schiava, le ordinò di portare
i figli nel bosco, ucciderli e prendere così dalla loro pancia la
testa e il cuore dell’uccello.
Quando essi furono nel bosco, la schiava disse:
“Io non ce la faccio ad uccidervi. Catturate un uccello che
assomigli al vostro, e io prenderò il suo cuore e la testa e li
porterò a casa!”.
I due giovani seguirono subito il consiglio della schiava,
catturarono un uccello, lo diedero alla schiava e scapparono
lontano e giurarono che non sarebbero mai più tornati
indietro.
Io ti vorrei sposare!
uccello arrosto
38
La schiava intanto portò a casa testa e cuore dell’uccello e li
diede al mercante che però si accorse dell’inganno e,
furibondo, gridò:
“Non sono loro! Non sono la testa e il cuore dell’uccello dalle
uova d’oro. Mi hai ingannato”
Allora la moglie del mercante maledisse la schiava e la cacciò
da casa.
La donna e il mercante vissero insieme per alcuni anni.
Nel frattempo i
avevano continuato a vagare
sino a giungere nella
due ragazzi
citta’ piu’
grande
del paese,
in cui era appena morto il re.
In quella città era appena stato deciso che ‘chi per primo
attraverserà il mattino seguente la porta per entrare in città,
sarà il nuovo re!’.
I due ragazzi furono i primi a varcare la porta della città e
subito furono presi dalle guardie e condotti al palazzo.
Qui vennero presentati all’assemblea e tutti furono contenti
dei due bei giovanotti.
Il maggiore fu fatto re e suo fratello minore giudice supremo.
I due governarono con piena soddisfazione di tutti gli abitanti.
Mai furono trovati un
migliore
o un
più giusto.
Dopo alcuni anni il padre di quei due ragazzi tornò finalmente
dal suo lungo ed estenuante viaggio alla Mecca. Fu però
assai triste nel trovare la sua casa abbandonata.
Chiese notizie in giro e venne a sapere che sua moglie era
andata a stare in casa di un mercante.
Nessuno invece aveva più visto i suoi due figli.
Allora l’uomo si recò davanti alla casa del mercante d’oro e
fece un gran baccano reclamando la propria moglie.
Questa però prese ad insultarlo e gridò:
“Portate via questo tizio, io non lo conosco. Non è mio marito!
Deve essere impazzito.”
Dal momento che l’uomo non voleva quietarsi, il mercante
fece chiamare le guardie del mercato e fece imprigionare
re
giudice
L’uccello dalle uova d’oro 39
l’uomo che però continuò a gridare ad alta voce che quella
donna era sua moglie.
Fu allora condotto davanti al giudice.
Il giudice però non se la sentì di emettere una sentenza e
dispose che i tre fossero condotti davanti al giudice supremo
della capitale, il giudice più giusto che esistesse.
I tre furono così condotti davanti al cospetto del re e di suo
fratello giudice.
I due fratelli subito riconobbero i loro genitori, ma non dissero
nulla.
La donna continuava a lamentarsi, a ripetere che non
conosceva quell’uomo e che forse era impazzito se pretendeva
che lei fosse sua moglie.
Il marito invece continuava a far valere le sue ragioni e a
esigere da lei notizie dei suoi figli.
Quando i due figli udirono la madre che giurava così
falsamente, furono così sconvolti che non esitarono a
raccontare come le cose erano andate veramente.
Abbracciarono quindi
il padre
e lo presero a vivere con loro.
Quanto alla
al
, li condannarono: i
due vennero legati alla coda di due muli e trascinati in lungo
e in largo per le strade della città, finché non
madre e
mercante
morirono.
da
40
Le Mille e una notte
Il principe serpente
C’era una volta, tanto tempo fa,
nel lontano reame di Castelvetro, una casina su un poggio,
una contadina
dove col suo marito ortolano viveva
che
tanto
.
avere
Un giorno il marito era andato nel bosco a tagliare della
legna, quando la portò a casa, dalla legna scappò fuori un
piccolo e innocuo serpentello.
A vedere un serpente la moglie s’impaurì, tanto che quasi
quasi sveniva, ma poi si fece coraggio, lo guardò negli occhi,
che gli sembravano tanto dolci e buoni, ed anche a lui ebbe
il coraggio di dire: “Vorrei tanto un bambino!”
A queste parole il serpentello disse:
“Pigliati me come figliolo, farai un buon affare e io ti vorrò
bene come a una mamma”.
Lei rispose:”Non fosse per altro, perché sei così dolce ed
amoroso sono felice di accettarti in casa mia”.
Così gli assegnò per camerina un buco nel muro, e, come si
fa per un figliolo, gli dava da mangiare con immenso affetto
dei pezzettini di tutto quello che mangiava lei.
Giorno dopo giorno il serpente cresceva, e quando fu grande
disse all’ortolano:
“Babbo mio, mi voglio sposare”.
“Di sicuro”, disse il babbo, “cercheremo una bella serpe come
te e faremo il matrimonio”.
“Ma che serpe? cosa ho da spartire io con vipere e bisce? Io
voglio la principessa, quindi va’ dal re e digli che un serpente
vuole sposare sua figlia Colombina”.
L’ortolano non se ne intendeva di queste cose, ma andò
difilato dal re e gli fece la richiesta dicendo:
“Ambasciator non porta pena,
chi la fa l’aspetti e rosso di sera bel tempo si spera.
desiderava
un bambino
Il principe serpente 41
Allora, devi sapere, maestà, che
il serpente,
mio figlio
che io ho cresciuto come fosse
,
vuole tua figlia in sposa, e io, siccome sono un contadino, ti
propongo di fare il matrimonio tra il mio serpente e la tua
bella Colombina”.
Il re, che a lume di naso vide che era un po’ tonto e un po’
matto, per levarselo di torno disse:
“Di’ a questo tuo serpente che se mi farà diventare d’oro
tutti i frutti del giardino reale, gli farò sposare mia figlia.
Vai, vai!”, e con una risata lo mandò via.
Quando il contadino riferì la risposta al serpente, il serpente
gli disse:
“Bene! Il re crede che sia una cosa impossibile: ma non per
me! Va’ domattina, e raccogli tutti
o o
i n cci li di frutta
che trovi per la città, seminali nel giardino, e si vedranno
meraviglie!”
Appena si alzò il sole il contadino prese un bel cestino e si
mise all’opera. Cammina cammina, andò per le strade e le
piazze della città a raccogliere noccioli di pesche, albicocche,
ciliegine, amarene, nespole, e tutti gli altri noccioli che trovò.
Poi andò nel giardino reale e li seminò, come gli aveva
insegnato il serpente.
Immediatamente germogliarono, e in un batter d’occhio
crescevano i tronchi delle piante, i rami, i fiori e i frutti d’oro
scintillante; quando il re si affacciò alla finestra vide questo
spettacolo e non stava più nella pelle dalla gran meraviglia.
Ma quando il contadino, mandato dal serpente, andò a
chiedergli la principessa Colombina, il
disse:
“Non avere tanta fretta, io
concedergli
: voglio che ricopra
tutte le mura e il terreno del parco di pietre preziose”.
L’ortolano tornò dal serpente a riferire questa nuova richiesta,
e il serpente gli disse:
re
voglio un’altra cosa per
la mano di mia figlia
42
“Benissimo! Va’ domattina, e raccogli tutti i cocci che ci sono
per terra, gettali intorno al muro e nei sentieri del parco, e
vediamo se riusciamo ad accontentare il re”.
Il mattino seguente il contadino si mise un paniere sotto il
braccio e andò tra le case a raccogliere
vetri di bicchieri rotti,
minuzzoli di tappi e coperchi,
cocci di pentole e tegami,
bordi di vassoi,
manici di brocche,
orli di vasi da notte,
mettendo insieme lampade sciupate,
tazze sbeccate,
vasi da fiori incrinati
e tutti i pezzi di piatti e scodelle
che trovò per le strade.
Appena li ebbe gettati dove gli aveva detto il serpente, si
vide il parco rivestito di smeraldi e topazi, intonacato di rubini
e diamanti, in uno splendore abbagliante. Tutti quelli che
passavano di lì si fermavano affascinati col cuore ricolmo di
meraviglia.
Vedendo questo miracolo il re rimase estasiato, e non sapeva
se dormiva o era desto, ma quando sentì che il serpente gli
chiedeva ancora di mantenere la promessa, disse:
“Tutto quello che il serpente mi ha procurato fino a ora è
inutile, se non mi fa diventare d’oro tutto il palazzo reale”.
Ancora una volta l’ortolano tornò dal serpente a riferire il
terzo desiderio del re, e il serpente gli disse:
“Bene, bene! Va’ e raccogli un gran fascio di erbe d’ogni
specie, strofinale contro le fondamenta del palazzo, e vediamo
se accontentiamo questo re”,
Senza metter tempo in mezzo l’ortolano fece un gran fascio
di menta, rucola, erba Luigia, prezzemolo, basilico, timo e
tutte le altre erbe che trovò, poi andò a strofinarle alla base
del palazzo.
Il principe serpente 43
All’improvviso il Palazzo Reale di Castelvetro cominciò a
brillare dappertutto, come se si fosse scoperto un tesoro,
sufficiente a far diventare ricchi tutti i poveri del reame.
Quando l’ortolano venne a chiedere per il serpente la mano
di Colombina, il re, rendendosi conto che non c’era più nulla
da fare, chiamò la principessa e le disse:
“
,
per prendere in giro un tuo pretendente che ti vuol sposare,
gli ho chiesto dei compiti impossibili, ma non sono riuscito
ad ingannarlo. E’ riuscito a fare tutto quello che gli ho chiesto,
e ora devo mantenere la parola data.
Figlia mia
Lo devi sposare!
Ti prego, figlia cara, non farmi tradire la mia parola, e accetta
il marito al quale ti ho promesso”.
“Sia quello che vuoi tu, mio signor padre”, rispose la
principessa, “non mi sogno neanche lontanamente di
cambiare quello che hai fissato per le mie nozze.
Spero solo che sia un bel giovane!”.
Allora il re disse all’ortolano che il serpente poteva venire a
sposare la principessa.
Appena il serpente lo seppe partì su un carro d’oro, trainato
da quattro elefanti tutti d’oro.
Quando arrivò in città la gente che lo vedeva passare così
grosso e terribile fuggiva terrorizzata: “
Ohhhh!
un serpente
vuol sposare la principessa!!”
44
I nobili di corte appena entrò nel palazzo reale cominciarono
a tremare: “Ohhhh! Un serpente vuol sposare la principessa!!”
Anche i servitori e le cameriere se la davano a gambe
urlando:”Ohhhh! Un serpente vuol sposare la principessa!”
Il re e la regina, quando lo videro, sconvolti dalla paura
gridarono:
“Fuggi Colombina, fuggi, si salvi chi può!” e andarono a
rinchiudersi in uno stanzino mentre la principessa, senza
batter ciglio, diceva:
“Perché dovrei scappare dallo sposo che mi avete dato?”.
Ed intanto il serpente entrò nella stanza della principessa.
Ma appena chiuse la porta, con un rapido movimento delle
mani, si tolse di dosso la pelle di serpente e si trasformò in
un giovane
con i capelli biondi come oro fino,
con occhi tanto belli da innamorare tutte le donne.
Salutò la Principessa con un inchino e le sussurrò: “Colombina
sono il tuo sposo”.
Il re uscì dallo stanzino e vedendo che il serpente si era
chiuso nella stanza con la principessa, disse alla regina:
“Che il Cielo dia pace all’anima innocente di nostra figlia,
perché di sicuro quel serpente maledetto a quest’ora l’avrà
ingoiata tutta intera”.
E avvicinandosi alla porta della camera degli sposi si chinò a
guardare dal buco della chiave. Appena vide la bellezza e la
nobiltà di quel giovane diede un calcio alla porta, entrò con
la regina, raccolsero subito la pelle di serpente e senza
pensarci la bruciarono.
Quando la pelle fu bruciata si sentì un urlo terrificante:
“Ah, sciagurati!” gridò il principe serpente “Cosa mi avete
fatto?”
pertanto
e volò alla finestra, batté e ribatté
contro i vetri finché li ruppe e fuggì, ferito e insanguinato.
La principessa in pochi istanti era passata dalla gioia alla
disperazione, si era sentita prima felice tra le braccia di un
bellissimo principe, poi disgraziata perché era volato via;
così piangeva, si graffiava il viso e si strappava i capelli,
rimproverando il padre e la madre che per la fretta di bruciare
la pelle del serpente avevano mandato in fumo il suo
matrimonio.
Il re e la regina le dissero che avevano agito per il suo bene,
le chiesero perdono e cercavano di consolarla, ma lei non
smise di piangere, e a notte fonda, con un dolore che
aumentava ora dopo ora, decise di andare per il mondo a
cercare il suo sposo.
Si trasformo’
in una colomba
Il principe serpente 45
Mise in una borsetta le sue cose più preziose, uscì da una
porticina secondaria, percorse le vie della città, verso i campi,
e continuò a camminare al lume della luna.
Ad un certo punto una volpe si mise a trotterellare accanto a
lei, e le chiese se voleva una compagna di strada. La
principessa le rispose:
“Ne sarei felice, perché sono sola, e non conosco la via”.
Andando e andando arrivarono a un
fittofitto
bosco cosi’ fitto
fittofitto
che nemmeno i raggi della luna riuscivano a illuminare i
loro passi, così si fermarono a riposare sotto un albero
accanto a una fontana d’acqua freschissima.
Dormirono su un letto di erba soffice fino al mattino, poi si
svegliarono all’alba, e mentre si scaldavano ai primi raggi di
sole apparvero all’improvviso in cielo e tra i rami tanti uccelli
fischiettanti e gorgheggianti. La principessa confidò alla volpe
che le piaceva molto ascoltare il canto degli uccelli, e la
volpe le disse:
“Ti piacerebbe anche di più se tu capissi quello che si stanno
dicendo”.
Siccome la principessa era molto curiosa, chiese alla volpe
di rivelarle i discorsi degli uccelli, e questa, dopo essersi
fatta pregare a lungo, le disse:
“Stanno parlando di una disgrazia, accaduta a un principe,
che era così bello che un’orca si era innamorata perdutamente
di lui. Siccome lui non aveva voluto saperne del suo amore,
l’orca lo aveva trasformato in un serpente:
incantesimo
l’
non si
sarebbe mai spezzato se il serpente non avesse sposato una
fanciulla di sangue reale. Gli uccelli dicono anche che c’era
riuscito, ma quando aveva appena lasciato la pelle di serpente
il re e la regina l’hanno bruciata, allora lui si è trasformato
in colomba, e fuggendo da una vetrata si è ferito tanto
gravemente che sta per morire”.
Sentendo che si parlava proprio della sua storia e della sua
disgrazia, la principessa domandò chi era questo principe, e
46
se c’era un modo per guarirlo
La volpe rispose che si trattava di
,
unico
di Belcolle.
Quanto al rimedio per guarirlo, gli uccelli dicevano di sì, che
c’era una possibilità di salvarlo: l’unico farmaco capace di
far chiudere le ferite e di non farlo morire, era proprio il
sangue degli uccelli che raccontavano la storia.
La principessa allora chiese alla volpe di acchiappare quegli
uccelli per mettere il loro sangue in una ampollina, così
sarebbe andata di corsa dal re di Belcolle a curare il principe,
sperando in una bella ricompensa.
“Piano” disse la volpe, “aspettiamo che scenda la notte, e
appena gli uccelli si addormentano ci penso io, salgo
sull’albero e li acchiappo uno ad uno”.
Passarono quella giornata chiacchierando, poi venne la sera,
e poi la notte. Allora la volpe, controllando che gli uccelli si
fossero addormentati sui rami, salì quatta quatta e li catturò
uno dopo l’altro, poi li uccise e riempì col loro sangue
un’ampollina che la principessa aveva portato con sé.
La principessa non stava in sé dalla gioia, ringraziò la volpe,
la salutò abbracciandola e con l’ampollina in mano corse
nella capitale del reame di Belcolle, dove voleva salvare il
suo Principe ferito.
Arrivata davanti al Palazzo Reale la Principessa Colombina
si coprì il capo con un velo per non farsi riconoscere e bussò
alle porte del palazzo, poi chiese a una guardia di avvertire
il re che era arrivato chi poteva guarire il principe.
Il re scese di corsa e quando vide una fanciulla rimase
meravigliato e le chiese come pensava di poter riuscire dove
i migliori medici avevano fallito.
rispose:
“Ho i miei segreti, Maestà, ma voglio che mi promettiate che
figlio del re
Sauro
Colombina
se riusciro’
a guarire vostro figlio
lo concederete a me
come sposo”.
Il principe serpente 47
Il re, che aveva già cominciato a piangere la morte del figlio,
le disse:“Se tu me lo rendi bello e guarito, guarito e bello io
te lo farò sposare, perché se tu mi darai un figlio io ti darò
un marito”.
Salirono insieme nella camera dove il principe giaceva sul
letto con gli occhi chiusi, già pallido come un cadavere, e
Colombina senza perdere tempo medicò le sue ferite con il
sangue dell’ampollina. Allora
,
sentì che il calore della vita
tornava a scorrergli nelle vene e si alzò perfettamente guarito.
Il re lo abbracciò piangendo di gioia, poi indicò la fanciulla
che era in un angolo della camera, nell’ombra, e gli disse:
“Figlio mio, sembravi morto e ora sei vivo per merito di quella
fanciulla. In cambio della tua guarigione, le ho promesso
che l’ avresti sposata.”
“O padre mio,” rispose il principe, “vorrei tanto accontentarti,
ma io
con una principessa che amo
e spero che la fanciulla che mi ha salvato non vorrà farmi
tradire la mia sposa”.
Colombina, sentendo quanto il principe Sauro fosse ancora
innamorato di lei, sentì una gioia immensa, e arrossendo gli
chiese:
“Ma se la tua sposa ti avesse dimenticato… allora vorresti
sposare me?”
“Mai potrò cancellare” rispose Sauro “la bella immagine che
ho nel cuore, e preferirei morire piuttosto che rinunciare a
Colombina!”.
non resisteva più: aprì
le finestre che erano socchiuse, si levò il velo che le copriva
il volto e
.
Il principe Sauro pieno di meraviglia strinse Colombina a sé,
poi con una grande felicità raccontarono al re tutto quello
che era successo e quanto avevano sofferto.
Sauro apri’ gli occhi
sono gia’ sposato
La principessa
si fece riconoscere
48
Quello stesso giorno mandarono a chiamare il padre e la
madre di Colombina ed annunciarono una gran cerimonia
per festeggiare l’amore del principe Sauro e della principessa
Colombina.
E non si dimenticarono della contadina e dell’ortolano che
avevano curato il serpente come un figlio, e quando si
riunirono in festa la gioia fece dimenticare a tutti le pene
passate.
E vissero
felici e contenti.
per sempre
per sempre
Gianbattista
Basile sempre
per
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
per sempre
Il principe serpente 49
Paradiso e Inferno
Dopo vita una lunga e coraggiosa,
un valoroso
morì senza rimpianti e senza sofferenze. Per la sua bontà e
la sua onestà fu destinato ad andare in paradiso.
Siccome era un uomo molto curioso, prima di entrare in
principe cinese
paradiso
chiese di poter dare un’occhiata anche all’
.
Un angelo lo accontentò.
Così il valoroso principe entrò per un attimo all’inferno.
E vide un vastissimo salone da pranzo che aveva al centro
una tavola imbandita con piatti colmi di pietanze succulente
e di golosità inimmaginabili (arrosti, salumi, formaggi, torte,
frutta). Ma gli abitanti dell’inferno, che sedevano tutt’intorno,
erano smunti, pallidi, lividi e scheletriti da far pietà. Insomma
erano condannati a soffrire anche davanti a tante cose buone
e dolci da mangiare.
“Com’è possibile soffrire?” chiese il principe alla sua guida,
“con tutto quel ben di Dio davanti!”
“Soffrono perché non riescono a mangiare. Come vedi sul
tavolo ci sono solo forchette e cucchiai lunghi due metri e
devono essere rigorosamente impugnati all’estremità per
portarsi il cibo alla bocca. Ma per quante prove facciano, con
posate così lunghe, non riescono a mangiare“.
Il coraggioso principe cinese rabbrividì.
Era terribile la punizione di quei poveretti che, per quanti
sforzi facessero, non riuscivano a mettersi neppure una
briciola sotto ai denti.
Non volle vedere altro e chiese di andare subito in paradiso.
Qui lo attendeva una sorpresa.
Quando entrò si accorse subito che in paradiso c’era un
grandissimo salone da pranzo assolutamente uguale a quello
dell’inferno!
inferno
50
Dentro l’immenso salone c’era un’infinita tavolata con sopra
un’identica sfilata di piatti deliziosi (arrosti, salumi, formaggi,
torte, frutta)… proprio come all’inferno.
Non solo: sulla tavola c’erano le stesse posate lunghe due
metri, da impugnare all’estremità per portarsi il cibo alla
bocca… proprio come all’inferno. C’era una sola differenza:
qui la gente intorno al tavolo era allegra, grassottella,
sprizzante di gioia.
“Ma com’è possibile che qui in paradiso la gente sia felice se
hanno le stesse condizioni dell’inferno?”, chiese stupito il
coraggioso principe.
L’
allora sorrise:
“All’
ognuno pensa per sé. Ognuno si affanna da
solo a prendere il cibo, con le lunghe posate, per portarlo
alla propria bocca.
, come sono sempre stati nella loro vita.
Qui in
, al contrario,
tutti collaborano tra di loro. E ciascuno prende il cibo con le
lunghe posate e poi si preoccupa di imboccare il proprio
vicino.
Insomma
…e tutti riescono a
mangiare.
Questa è la
inferno
Sono egoisti
angelo
paradiso
ognuno aiuta l’altro
grande
differenza
tra il Paradiso e l’Inferno.”
Paradiso e Inferno 51
La scimmia e il leone
altro leone
Africa
C’era una volta, in
,
in una grande e profonda foresta
che,
credendosi il Re degli animali, si divertiva a terrorizzare tutti
gli animali.
Era
, perché li
uccideva non per fame ma per fare loro del male.
Gli animali, stanchi di vivere ogni giorno con la paura di
essere mangiati, si riunirono per vedere se riuscivano a fare
qualcosa per cambiare la loro situazione.
Andarono dal leone, lo salutarono con un inchino e gli dissero:
“O potente leone, tu ci stai uccidendo tutti perché ti mangi
sia gli animali piccoli che quelli grandi, senza pietà e senza
distinzione”.
Poi aggiunsero: “Ti proponiamo una cosa: ogni giorno al
mattino, quando sorge il sole, ti manderemo uno di noi a
scelta. Tu potrai mangiarlo, ma poi, fino a sera, dovrai lasciare
in pace tutti gli altri!”
Il leone accettò la proposta.
Il primo mattino toccò all’
che era
convinto di essere talmente grande e forte da spaventare il
leone.
Ma il leone lo attaccò alle spalle e riuscì a vincerlo ed ucciderlo.
Poi per tutta la giornata se ne restò tranquillo ad aspettare il
prossimo animale.
Il secondo mattino fu scelta la
.
La lepre, giunta davanti al leone, cercò di scappare.
Ma anche se la lepre era molto veloce, il leone riuscì a
prenderla e a mangiarsela in un sol boccone.
Il terzo giorno, al mattino, il leone non vide arrivare
nessuno.
Era il turno della
che però andò dal leone
solo verso mezzogiorno.
un leone
feroce e brutale
elefante
lepre
scimmia
52
La scimmia, in ritardo, arrivò di fronte al leone, dicendogli:
“Sarei voluta arrivare prima,
ma questa mattina ho incontrato l’
della foresta…e mi ha trattenuto un po’. Scusami per il
ritardo”.
Il leone, dimenticando la fame, si incuriosì: “come, c’è un
altro leone nella foresta?”
“Sì, mio sovrano c’è un altro leone che dice di essere il vero
Re della foresta.
Poco fa mi ha detto che appena ti incontra ti fa a pezzi!”
Il leone, per niente intimorito, decise di andare a cercarlo:
“Dimmi dov’è!”, intimò alla scimmia.
La scimmia allora, con astuzia, accompagnò il leone fino ad
una radura dove c’era
un
pieno d’acqua e poi disse, indicandogli il pozzo: “E’ qui
dentro!”
Il leone guardò dentro e in fondo al pozzo vide la faccia di
un altro leone che lo guardava.
“Chi sei tu?” disse.
E una voce, come un’eco, rispose: “Chi sei tu?”
“Io sono il leone”. Gridò a quel leone che vedeva nel pozzo.
“Io sono il leone”. Sentì come risposta.
“Io sono il Re degli animali”.
“Io sono il Re degli animali”.
“Non è vero!”
“Non è vero!”
“Tu sei un bugiardo!”
“Tu sei un bugiardo!” disse la voce in fondo al pozzo.
Allora il leone arrabbiatissimo
o
profondissimo pozzo
si butto’ dentro
…
contro l’altro leone che lo guardava dal fondo.
E fu così che il leone morì, annegando nell’acqua profonda
del pozzo.
E fu così che gli animali della foresta furono salvati dalla
furbizia di una piccola scimmia.
La scimmia e il leone 53
Giufa’ e la statua di gesso
C’era una mamma che aveva un
Giufa’
figlio sciocco,
pigro e mariolo.
Si chiamava
.
La mamma, che era povera, aveva un pezzo di tela, e disse
a Giufà:
“Prendi questa tela e valla a vendere; però se ti capita un
chiacchierone, non gliela dare: non ti fidare di chi parla e
parla, dalla a qualcuno di poche parole.”
Giufà prende la tela e comincia a strillare nel paese:
“Chi compra la tela? Chi compra la tela?”
Lo ferma una donna e gli dice: “Fammela vedere”. Guarda la
tela e poi domanda: “Quanto costa questa tela?”.
“Tu chiacchieri troppo”, fa Giufà, “alla gente chiacchierona
mia madre non vuol venderla”, e va via.
Trovò un contadino:” Quanto costa ?”,
“Dieci scudi”, “No: è troppo!”
“
,
: non ve la do”.
Così tutti quelli che lo chiamavano o gli si avvicinavano gli
pareva parlassero troppo e non la volle vendere a nessuno.
Cammina di qua, cammina di là, si infilò in un cortile.
In mezzo al cortile c’era
una
,
e Giufà le disse:
“Vuoi comprare la tela?”
Attese un po’, poi ripeté:”La vuoi comprare la tela?”.
Visto che non riceveva nessuna risposta:”Oh, vedi che ho
trovato qualcuno di
! Adesso sì che gli
venderò la tela”.
E l’avvolge addosso alla statua.
“Fa dieci scudi. D’accordo? Allora i soldi vengo a prenderli
domani” e se ne andò a casa.
Chiacchierate
chiacchierate
La madre appena lo vide gli domandò della tela.
“L’ho venduta”.
“E i quattrini?”
“Vado a prenderli domani”
“Ma è persona fidata?”
“E’ una donna proprio come volevi tu: figurati che non mi ha
detto neppure una parola”.
La mattina andò per prendere i quattrini.
Trovò la statua, ma la tela era sparita.
Giufà disse:”Pagamela”.
E meno riceveva risposta, più s’arrabbiava.
“La tela te la sei presa, no? E i quattrini non me li vuoi dare?
Ti faccio vedere io, allora!”
Prese una zappa e menò una zappata alla statua da mandarla
in cocci.
Dentro alla statua c’era
una
o
o
oo
pent la piena di m nete d’ r
.
Se la mise nel sacco e andò da sua madre.
“Mamma, non mi voleva dare i denari, l’ho presa a zappate
e m’ha dato questi”.
La mamma che era all’erta gli disse:” Dammi qua, e non
raccontarlo a nessuno”.
statua di gesso
poche parole
54
Giufa’ e la statua di gesso 55
I tre anelli
Giufa’ e il chiodo
casa
Giufà rimase senza denaro
e decise di
la sua
.
All’uomo venuto per acquistarla disse:
“Ti vendo tutta la casa,
questo
piantato nel muro.”
L’acquirente replicò: “Se questa è l’unica condizione, accetto
senza riserve e acquistò la casa”. Trascorse una settimana.
Una mattina Giufà bussò alla porta di casa.
Una volta entrato si diresse verso il chiodo e vi appese
un
;
quindi dopo aver salutato il nuovo proprietario, se ne andò.
Passò qualche giorno, ed ecco che Giufà si ripresentò
nuovamente, questa volta per appendere al chiodo un vecchio
burnuss,
un
di lana, lungo, con cappuccio.
Da quel momento le visite di Giufà si fecero sempre più
frequenti, finché una sera, sotto gli occhi esterrefatti degli
inquilini di casa egli trascinò con sé
la
di un asino e la appese al chiodo.
Il proprietario della casa, non sopportando più le continue
intrusioni, cominciò ad urlare:
“Come ti permetti di appestare la mia dimora con questi
rifiuti?”Rispose Giufà: “Amico, io ti ho venduto la casa, ma
vendere
eccetto
chiodo
sacco
mantello
carogna puzzolente
non il chiodo, perciò vi
appendo
quello
che
voglio.
Se non sei d’accordo vattene, ma sappi che non ti restituirò
un soldo”. L’uomo fu costretto ad andarsene e Giufà riebbe
la casa senza restituire un soldo.
56
Questa che vi vado a raccontare è
una
,
antichissima, lontana nel tempo e nello spazio…una storia
che ha viaggiato molto
viaggera’viaggera’viagger
e che
… viaggera’viaggera’viaggera’
una storia di uomini, di poteri e…di anelli. Una storia che
comincia, come tutte le storie cominciano, proprio così:
storia antica
ancora viaggera’
C’era una volta,
in un paese lontano, lontano, ma proprio lontano che più
lontano non si può, un uomo ricco, ricco, ma proprio ricco,
che più ricco non si può.
Abitava in una reggia bellissima, adorna di ori e di argenti,
di pietre preziose, di gemme luccicanti e di sfavillanti pizzi.
Riceveva molti ospiti, organizzava banchetti e feste conviviali
a cui amava invitare i suoi più cari amici.
Era un
.
E nonostante fosse già molto ricco aveva desiderio di avere
molto di più. Di essere ancora più ricco. Ricchissimo.
Ma come poteva fare
per
di quello che era già?
Cominciò a pensare.
Trascorse molti giorni nel suo castello, solo, a pensare.
Dopo aver pensato per giorni e per notti senza mai fermarsi,
al nostro sultano venne in mente un pensiero.
Un’idea, la possiamo chiamare.
“Proprio un bel pensiero,” disse tra sé e sé. “Convocherò nel
mio palazzo quel giudeo che vive in città: dicono che ha
molti, moltissimi soldi… Dicono anche che è molto saggio,
infatti lo chiamano Nathan il saggio. Forse però io potrei
trarlo in inganno.
Gli farò una domanda e gli dirò: Attento, se sbagli la risposta,
mi dovrai consegnare una grande quantità di monete”.
sultano
diventare piu’ ricco
I tre anelli 57
Il sultano aveva, infatti, l’intenzione di proporre al giudeo
un
.
Gli avrebbe chiesto: “Tra le religioni che conosciamo, quella
cristiana, quella ebrea e quella mussulmana, quale è la
migliore?,insomma quale è la vera fede?”.
Se l’ebreo avesse risposto “La religione migliore è la mia, la
giudea”, il sultano, in quanto mussulmano, si sarebbe sentito
profondamente offeso e lo avrebbe accusato di peccare contro
la religione mussulmana; se avesse, invece, risposto, “la
fede migliore è la tua, la musulmana”, lo avrebbe accusato
di essere un traditore della fede giudea.
In questo modo, non ci sarebbe stata
dilemma difficilissimo
?
nessuna risposta corretta
e, quindi, il giudeo avrebbe dovuto accogliere la pretesa del
sultano: cedergli i tanti denari richiesti.
Ma quando il Sultano pose al ricco e saggio giudeo la
domanda: “allora dimmi, quale sarebbe, secondo te, la fede
migliore?”
Il giudeo rispose come mai il potente sultano avrebbe
immaginato.
“Mio caro e potente sultano, nessuno le ha mai raccontato
storie?”
“No,” rispose il sultano, “nessuno mai. Ma io amo le storie.
Racconta pure, ma mi raccomando, rispondi anche alla mia
domanda!”
Così il saggio giudeo proseguì raccontando questa storia:
“Tanto, tanto, ma proprio tanto tempo fa, in Oriente
viveva in un bellissimo castello un re.
Un re strano. Un re senza la corona.
Un re che possedeva, però, come segno di potere,
anello
un
. Un anello di inestimabile valore.
La sua pietra brillava anche alla luce fioca della luna.
potere segreto
:
Era un anello unico ed aveva un
rendere grato a Dio e agli uomini chiunque lo portasse con amore.
58
Quel re lasciò l’anello al suo figlio più amato; e lasciò scritto
che a sua volta quel figlio lo lasciasse al suo figlio più amato;
e che ogni volta il più amato dei figli diventasse, ricevendo
l’anello dal padre, il capo della famiglia, il padrone della
casa e il signore della città.
E l’anello così di figlio in figlio giunse alla fine a un padre di
tre figli.
“Senti un po’ giudeo racconta-storie, sbrigati, su… non ho
tempo da perdere!” lo interruppe il sultano.
Ma Nathan, il saggio, continuò a raccontare.
“Tre figli meravigliosi ognuno per le sue qualità. Uno era
amorevole, disponibile, presente in ogni situazione difficile.
L’altro era saggio, razionale, colto. L’ultimo era coraggioso,
impulsivo ma con giudizio, attento ai deboli e ai piccoli.
Questo padre amava i tre figli tutti nello stesso modo, senza
fare differenze e non era capace di dedicare il suo amore ad
uno solo di essi.
Il re e i suoi tre figli trascorsero una vita serena e felice.
Ma il re diventò, con gli anni, sempre più vecchio.
Sentiva che avvicinandosi l’ora della morte doveva decidere
a chi, dei tre figli, consegnare l’anello.
Ma era in imbarazzo, perché mai avrebbe voluto sceglierne
uno ed offendere gli altri due. Insomma non era capace di
decidere quale figlio fosse il più amato, perchè proprio non
riusciva a fare distinzioni.
Pensò molto, il saggio re. E poi trovò una soluzione.
Chiamò in segreto un gioielliere, il più bravo della città, e gli
ordinò altri due anelli uguali al suo. Disse anche al gioielliere
di non risparmiare né soldi e né fatiche, perché voleva
assolutamente che i
fossero alla fine
tre anelli
perfettamente uguali. E il gioielliere ci riuscì.
Infatti il saggio re ricevette, dopo brevissimo tempo, due
anelli forgiati in maniera identica all’originale.
Neppure lui fu in grado di riconoscere quello vero. Nessuno
sarebbe stato in grado di distinguere i tre anelli.
I tre anelli 59
Fu felice, il re saggio. Fu felice di morire senza il peso della
scelta. E così, sul punto di morte, il saggio re chiamò, ad
uno ad uno, separatamente i suoi tre figli.
Convocò il primo nella sua stanza privata. Gli disse:
“Figlio caro, ricevi questo
.
È il segno della
.
È il segno dell’
. Ha un potere
segreto: rende grato a Dio e agli uomini chiunque lo porti.
Conservalo con responsabilità e tutti ti ameranno. Ricorda
sempre queste parole. Buona fortuna.”
Una brezza leggera, fresca, pulita riempì la stanza di luce.
vita
anello
amore
Il primo figlio uscì dalla stanza del padre e, dopo di lui, entrò
il secondo e, per ultimo, il terzo.
Il saggio re ripeté ad ognuno dei suoi figli quelle parole.
Quando ebbe consegnato tutti e tre gli anelli, chiuse gli occhi
e, sereno, morì.
Il primo dei tre fratelli non poteva credere alle sue orecchie.
Era lui il figlio scelto, allora?
Non ebbe ancora finito di mettere ordine tra i suoi pensieri,
quando si rese conto che anche gli altri suoi fratelli uscivano
dalla stanza del padre con un lucentissimo anello al dito.
“
60
Anche voi l’anello?
”
dissero tutti e tre in coro.
Silenzio. Nessuno aveva il coraggio di pronunciare parola.
Erano arrabbiatissimi con il padre. Non riuscivano a capire il
senso di quella messa in scena. I loro sguardi si incrociavano
reciprocamente, con freddezza e determinazione.
“Sono io ad avere l’anello giusto, l’unico e vero anello di mio
padre. Spetta a me l’eredità!” disse il primo.
Ma la sua convinzione non servì a tener quieti gli animi degli
altri due giovani che, immediatamente, si misero ad urlare e
a rivendicare le proprie eredità.
I tre fratelli si sospettavano reciprocamente, litigarono e si
accusarono a lungo.
parole di offesa
Non si sentivano che
e di
vendetta. Parole che mai il padre avrebbe voluto sentire
pronunciare nel suo castello dai suoi amati figli. Anche gli
abitanti del paese cominciarono a non capire più: soprattutto,
non sapevano più chi ascoltare, chi seguire, chi diceva la
verità e chi mentiva.
La situazione era molto grave e la soluzione lontana.
Infatti era impossibile provare quale fosse l’anello vero.
Fino a che, uno dei tre fratelli, pensò che forse un giudice
avrebbe potuto dare loro una mano.
Il
li ascoltò, uno ad uno e insieme.
Prese tempo per pensare. Poi disse:
“Mi avete detto che l’anello vero ha il magico potere di rendere
amato e grato a Dio e agli uomini chiunque lo porti.
Sia questo quindi a decidere!
Su, ditemi: chi di voi è il più amato dagli altri due?
Come vedete nessuno risponde. Ciascuno di voi ama solo se
stesso?
E se nessuno di questi tre anelli fosse quello giusto?
Se l’anello giusto fosse andato perduto?
Ma vi domando ancora: se l’anello giusto fosse al dito di uno
di voi...perchè vostro padre non ve l’avrebbe detto?
giudice
Allora
vi do un consiglio
.
Ognuno di voi sia certo e sicuro di aver ricevuto quello
autentico! Vostro padre, saggio e buon re del nostro paese,
non ha voluto umiliare e rattristare due di voi concedendo
ad uno solo la sua eredità. Ha scelto, invece, di donarla a
amore che
tutti e tre, perché profondo e sincero è stato l’
il dono
piu’ grande
provava per tutti voi. Questo è
piu’ grande
.
I tre anelli 61
coraggio sapienza
Sforzatevi di imitare, con
e
,
l’amore del padre vostro. Alimentate la sua grande bontà
nell’
amicizia
pace
e nella
.”
Dopo queste parole, i tre fratelli sentirono qualcosa nell’aria.
Un vento leggero, fresco, che ricordava tanto quella brezza
leggera, fresca, pulita che, qualche giorno prima, riempì di
luce la stanza del padre.
Allora i fratelli capirono. Allora compresero che un dono così
grande non poteva essere rivolto solo ad uno di loro.
Un dono così grande doveva essere condiviso e rispettato.”
Giudeo racconta-storie! Ti rendi conto che non hai ancora
risposto alla mia domanda? Avanti, lascia da parte queste
fantasie di anelli fratelli e re…rispondi al tuo sultano,
piuttosto! Quale è la vera fede?
Quella cristiana, quella giudea e quella mussulmana?”
“Mio sultano, prova a riascoltare questa storia.
Ascoltala e
.
troverai la risposta
rifletti
alla tua domanda.
E
Anche se sono Nathan il saggio, non so dare, alla tua
domanda, altra risposta che questa.
Forse fra mille anni ci sarà un uomo più saggio di me che
saprà rispondere al tuo dilemma.
Intanto, nell’attesa, troviamo il coraggio di continuare a
parlarci e a rispettarci.”
E così il giudeo se ne andò, con i suoi averi e i suoi denari.
E il nostro sultano rimase nella sua reggia, ricco come prima,
ma con
.
un amico in piu’
un amico in piu
62
un amico in piu un amico in
I tre anelli 63
reggionarra
L’Unesco ha proclamato il 23 aprile “Giornata Mondiale del Libro” per
valorizzare il libro e la lettura come strumenti di diffusione e promozione
della cultura.
La data prescelta rappresenta un omaggio a tre fra i più grandi scrittori di
tutti i tempi che vennero a mancare proprio in quella data nel 1616:
Shakespeare, Cervantes e de la Vega.
Per questo Reggio Emilia ha scelto il 22 e il 23 aprile 2006 per promuovere
l’iniziativa REGGIONARRA.
REGGIONARRA è un appuntamento in cui un’intera città trasforma i suoi
luoghi più suggestivi ed accoglienti in spazi narrativi dedicati all’ascolto di
storie, di letture animate e di favole.
Insomma Reggio Emilia vuole diventare, in quei giorni, un insolito palcoscenico
di narrazioni per adulti e bambini, per offrire un inatteso itinerario letterario
a tutti coloro che amano farsi catturare dai sogni e dalle suggestioni dei
racconti e delle fiabe.
I portici, i cortili, i chiostri, le strade, le piazzette, i palazzi antichi e moderni,
i luoghi sacri e i luoghi profani, i musei, le sale civiche, le gallerie, le biblioteche,
le librerie e ogni altro angolo cittadino capace di offrire atmosfere magiche
ed incantate, ospiteranno eventi di narrazione. Lo scopo è quello di riscoprire
e di rigenerare, nei bambini e negli adulti, il gusto dell’ascolto e il piacere del
narrare, per ridare senso e fascino alle parole dette, lette, scritte e ascoltate.
Decine e decine di narratori… insegnanti, genitori, scrittori e attori daranno
vita alla città delle storie, attraversando i più significativi percorsi della
letteratura fantastica internazionale.
REGGIONARRA vuole essere una straordinaria occasione d’incontro e di
spettacolo, in cui la musica delle parole e la magia delle storie possano dare
inizio ad inedite possibilità di scambio e di interazione sociale ed emozionale:
molti infatti credono che ascoltare storie sia la strada principe per conoscere
e per aprirsi al nuovo e al diverso.
REGGIONARRA è insomma un appuntamento con la fantasia, con la vita e
con la cultura, è un omaggio al sogno e alla meraviglia a cui i bambini e le
famiglie non possono mancare.
Scuole e nidi d’infanzia
Istituzione del Comune di Reggio Emilia
Associazione Amici di Reggio Children