Dietro quel delitto

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Dietro quel delitto
LIBRO
IN ASSAGGIO
DIETRO QUEL
DELITTO
IAN RANKIN
DIETRO QUEL DELITTO
1
Musica, al posto dell'inno conclusivo. Gli Who, Love, Reign o'er Me. Rebus la riconobbe
subito, con i tuoni e la pioggia scrosciante a riempire la cappella. Si trovava nella prima fila di
panche. Chrissie aveva insistito, anche se lui avrebbe preferito sedersi più indietro, come
sempre ai funerali. Il figlio e la figlia di Chrissie sedevano accanto a lei; Lesley cercava di
consolare la madre, un braccio che le cingeva le spalle mentre le lacrime scendevano; Kenny
guardava fisso davanti a sé, mettendo da parte l'emozione per dopo. Quel mattino, ancora in
casa, Rebus gli aveva chiesto quanti anni avesse: ne compiva trenta il mese successivo.
Lesley ne aveva due di meno. Fratello e sorella somigliavano alla madre, e Rebus si era
ricordato che la gente diceva lo stesso di lui e Michael: « Siete precisi sputati la vostra
mamma ». Michael... o Mickey, se si preferiva. Suo fratello minore, morto, dentro una cassa
dalle maniglie scintillanti all'età di cinquantaquattro anni, le statistiche sulla mortalità in Scozia
quelle di una nazione del Terzo mondo. Stile di vita, alimentazione, geni... un mucchio di
teorie. Il referto dell'autopsia non era ancora arrivato. Ictus fulminante, gli aveva detto
Chrissie al telefono, assicurandogli che era stata «una fine istantanea »… come se facesse
qualche differenza.
Istantanea voleva dire che lui non era riuscito a dirgli addio. Che le sue ultime parole a
Michael erano state una battuta sui suoi amatissimi Raith Rovers nel corso di una telefonata,
tre mesi prima. E una sciarpa dei Raith, bianca e blu, era drappeggiata sulla bara insieme alle
corone. Kenny portava una cravatta di suo padre, con sopra il gagliardetto della squadra: una
specie di animale che reggeva una fibbia. Rebus ne aveva chiesto il significato, ma il nipote
aveva fatto spallucce. Gettò un'occhiata lungo la fila e vide il cerimoniere fare un gesto: tutti si
alzarono in piedi. Chrissie si avviò lungo la navata, i figli al fianco. L'uomo guardò Rebus, ma
lui rimase dov'era e sedette di nuovo: non era necessario che gli altri lo aspettassero. La
canzone, l'ultima di Quadrophenia, era arrivata poco oltre la metà. Era Michael il grande fan
degli Who, lui preferiva gli Stones, però doveva ammettere che album come Tommy e
Quadrophenia facevano un effetto che gli Stones non avrebbero mai ottenuto. Roger Daltrey
sbraitava che aveva voglia di bere, e Rebus non poteva essere più d'accordo con lui, ma
doveva pensare al viaggio di ritorno a Edimburgo.
Avevano prenotato la sala ricevimenti di un albergo della zona e, come il celebrante
aveva rammentato dal pulpito, erano tutti invitati. Whisky e tè da bere, tramezzini da
mangiare. Ci sarebbero stati aneddoti e scambi di ricordi, sorrisi, fazzoletti agli occhi, voci
smorzate. I camerieri si sarebbero mossi adagio, in segno di rispetto. Rebus stava già
cercando di comporre mentalmente frasi di scusa.
Devo rientrare, Chrissie. Il lavoro.
Avrebbe potuto dire una bugia e dare la colpa al G8. Prima, a casa, Lesley aveva
osservato che certo doveva essere molto impegnato per l'evento, e lui avrebbe potuto
rispondere: «A quanto pare sono l'unico sbirro di cui non hanno bisogno ». In effetti stavano
chiamando rinforzi da ogni dove, millecinquecento agenti solo da Londra, eppure l'ispettore
dell'Investigativa John Rebus pareva in sovrappiù. Qualcuno doveva rimanere di guardia al
forte: queste le esatte parole dell'ispettore capo James Macrae, corredate di sorrisetto
compiaciuto da parte del suo onnipresente adepto. L'ispettore Derek Starr si considerava in
tutto e per tutto l'erede al trono: un giorno avrebbe diretto lui la stazione di polizia di Gayfield
Square. John Rebus non rappresentava assolutamente una minaccia, di certo non a poco più
di un anno dal pensionamento. Starr gliel'aveva detto chiaro e tondo: «Nessuno avrebbe
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niente da obiettare se ti imboscassi un po', John. Alla tua età lo farebbe chiunque ». Poteva
anche darsi, ma gli Stones erano più vecchi di lui, e anche Daltrey e Townshend, eppure
suonavano ed erano ancora in pista.
La canzone era giunta al termine e Rebus si rialzò. Era rimasto solo nella cappella. Gettò
un'ultima occhiata alla cortina di velluto viola. Forse la bara era ancora là dietro, forse era già
stata spostata in un altro punto del crematorio. Ripensò all'adolescenza, a due fratelli che
nella stessa cameretta ascoltavano i 45 giri comprati in High Street a Kirkcaldy. My
Generation e Substitute, con Miekey che chiedeva perché Daltrey balbettasse, nel primo, e
Rebus che rispondeva di aver letto da qualche parte che c'entra va la droga. L'unica droga
che i due fratelli si erano concessi, invece, era l'alcol, sorsi rubati dalle bottiglie in dispensa,
una lattina di nauseabonda birra scura scassinata e condivisa dopo l'ora del silenzio. E
ancora loro fermi sul lungomare di Kirkcaldy a fissare le onde, con Mickey che cantava I Can
Seefor Miles... vedo a perdita d'occhio. Ma era successo davvero? Quel disco era uscito nel
'66 o nel '67, periodo in cui Rebus si trovava già sotto le armi.
Doveva essere stato durante una licenza. Sì, Mickey con i capelli lunghi fino alle spalle
nel tentativo di assomigliare a Daltrey, e lui con il regolamentare taglio a spazzola a inventarsi
storie per far sembrare esaltante la vita militare, l'Irlanda del Nord ancora di là da venire...
Allora erano molto legati. Non faceva che spedire lettere e cartoline a casa, e suo padre
era fiero di lui, fiero di tutti e due i suoi ragazzi. Precisi sputati la vostra mamma.
Uscì, il pacchetto delle sigarette già aperto in mano. Attorno a lui altri fumatori, cenni del
capo e piedi strascicati. Le corone e i bigliettini erano stati allineati vicino alla porta e
venivano ora letti dai dolenti. Sempre le stesse parole: «condoglianze », «perdita »,
«sofferenza ». La famiglia era sempre «nei nostri pensieri ». Michael non veniva mai
chiamato per nome: la morte aveva il suo protocollo. I più giovani controllavano gli SMS sul
cellulare. Rebus estrasse di tasca il suo e lo accese. Cinque chiamate perse, tutte da uno
stesso numero, che conosceva a memoria. Premette i tasti e si portò il telefonino all'orecchio.
li sergente dell'Investigativa ~iobhan Clarke rispose subito. .
«E tutta la mattina che ti cerco » , protestò.
«Avevo spento. »
«Ma dove sei? »
«Ancora a Kirkcaldy. »
Respiro profondo. «Accidenti, John, me ne ero completamente dimenticata. »
«Non ti preoccupare. » Guardò Kenny che apriva lo sportello della macchina a Chrissie.
Lesley gli fece segno che si avviavano all'albergo. L'auto era una BMW: Kenny, ingegnere
meccanico, se la cavava benino. Non era sposato, ma aveva una ragazza che non era
riuscita a venire al funerale. Lesley invece era divorziata e i figli, un maschio e una femmina,
in vacanza con il papà. Rebus le rispose con un cenno del capo.
«Pensavo fosse la settimana prossima», disse Siobhan.
«Allora, hai chiamato per vantarti?» Si incamminò verso la Saab. Siobhan aveva passato
gli ultimi due giorni nel Perthshire al seguito di Macrae, in una ricognizione delle misure di
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sicurezza per il vertice del G8. Lui e il vicecapo aggiunto della polizia del Tayside erano
vecchi amici: Macrae voleva solo ficcare un po' il naso in giro e l'amico l'aveva accontentato
volentieri. I capi del G8 si sarebbero incontrati all'hotel Gleneagles, poco fuori Auchterarder,
in mezzo a ettari di nulla e circondati da un cordone di sicurezza lungo svariati chilometri. I
media riportavano un mucchio di illazipni e storie sensazionali: tremila marine americani
sbarcati in Scozia per proteggere il loro presidente, complotti anarchici per bloccare strade e
ponti con camion dirottati. Bob Geldof auspicava l'arrivo di un milione di dimostranti:
all'accoglienza avrebbero provveduto l'ospitalità della gente, i garage e i giardini delle case
private. I disobbedienti sarebbero stati prelevati via mare in Francia: gruppi legati ai centri
sociali e Black Bloc avrebbero cercato lo scontro, mentre la People's Golflng Association
voleva spezzare il cordone per giocare qualche buca sul famoso campo di Gleneagles.
«Due giorni in compagnia dell'ispettore capo Macrae», disse Siobhan. «Cosa c'è da
vantarsi? »
Rebus aprì la macchina e si chinò per infIlare la chiave nell'accensione. Poi si raddrizzò,
diede un ultimo tiro alla sigaretta e scagliò via il mozzicone. Siobhan aggiunse qualcosa a
proposito di una squadra della Scientifica. «Aspetta», la interruppe lui. «Non ho capito. »
«Niente, ne hai già abbastanza per conto tuo. »
«Senza cosa? »
«Ti ricordi Cyril Colliar? »
«Malgrado la veneranda età, la mia memoria non ha ancora dato forfait.»
«È successa una cosa stranissima. »
«Cioè? »
«Credo di aver trovato il pezzo mancante. »
«Di che?»
«Del giubbotto. » Rebus sedette di sbieco. «Non capisco. »
Siobhan fece una risatina nervosa. «Neanch'io.»
«Quindi adesso dove sei?»
«A Auchterarder.»
«E il giubbotto è saltato fuori lì?»
«Qualcosa del genere. »
InfIlò dentro anche le gambe e chiuse la portiera. «Allora vengo a ,dare un'occhiata.
Macrae è con te? » .
«E andato a Glenrothes, il centro di controllo del G8 è là. »
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Fece una pausa. «Sicuro di voler venire? »
Rebus aveva già messo in moto. «Prima devo porgere le mie scuse, ma posso
raggiungerti fra un'ora. Avrò problemi a entrare a Auchterarder? »
«È la quiete prima della tempesta. Quando arrivi cerca il cartello che indica il Clootie
Well. »
«Il cosa?»
«È più facile a farsi che a dirsi. »
«D'accordo, allora. Ci sarà anche la Scientifica? »
«Sì. »
«Quindi la cosa si saprà in giro. »
«Secondo te, devo dirlo all'ispettore capo?»
«Decidi tu.» Rebus si incuneò il telefono tra la guancia e la
spalla, affrontando la manovra per uscire dal labirinto del crèma
torio e raggiungere il cancello.
«Non ti sento più», disse Siobhan.
Ma mi vedrai presto, pensò lui.
Cyril Colliar era stato assassinato un mese e mezzo prima. A vent'anni era finito dentro,
con una condanna a dieci per un brutale stupro e, scontata la pena, era uscito malgrado le
riserve delle autorità carcerarie, della polizia e dei servizi sociali. Secondo questi costituiva
una minaccia grave esattamente come il giorno in cui era entrato, visto che non aveva mai
mostrato segni di rimorso e aveva negato la propria colpevolezza anche a dispetto della
prova del DNA. Colliar era tornato nella natia Edimburgo e tutto il body-building fatto in
prigione si era dimostrato alquanto utile per il suo nuovo impiego come buttafuori di notte e
guardaspalle di giorno. In entrambi i casi il suo datore di lavoro era Morris Gerald Cafferty,
alias «Big Ger », un delinquente incallito che ancora una volta era toccato a Rebus affrontare
in merito al suo ultimo acquisto.
«Cosa vuoi che me ne freghi?» era stata la risposta del boss.
«È un individuo pericoloso. »
«Be', anche un santo perderebbe la pazienza, visto come gli state alle costole. » Cafferty
si dondolava a destra e a sinistra sulla poltrona girevole di pelle, dietro la scrivania alla MGC
Lettings, la sua agenzia immobiliare. Per come la vedeva Rebus, probabilmente Colliar
entrava in azione se qualcuno tardava con l'affitto settimanale di uno degli appartamenti del
capo. Cafferty gestiva anche dei taxi privati, ed era titolare di almeno tre sordidi locali nelle
zone più malfamate della città. Un sacco di lavoro per Cyril.
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Fino alla notte in cui l'avevano trovato morto. Cranio sfondato, colpo inferto da dietro.
Secondo l'anatomopatologo, sarebbe bastato a uceiderlo anche solo quello, ma tanto per
andare sul sicuro qualcuno ci aveva aggiunto una siringa di eroina purissima. Nessun
precedente in quel senso da parte del deceduto, e «deceduto » era la parola usata, seppure
di malavoglia, da gran parte degli investigatori che si erano occupati del caso. Nessuno si era
certo dato la pena di chiamarlo «vittima». E nessuno riusciva a dire le cose come stavano, e
cioè «quel bastardo ha avuto quel che si meritava ». Eh no, di quei tempi non stava bene.
li che non impediva loro di pensarlo e condividerlo con occhiate ed eloquenti cenni di
assenso. Anche Rebus e Siobhan avevano seguito il caso, ma era solo uno fra tanti. Poche
piste e troppi sospettati. Avevano interrogato la vittima dello stupro, come pure i suoi familiari
e il fidanzato dell'epoca, e ogni volta che si parlava della fine di Colliar era un unico
commento a spuntare: «Gli sta bene».
Il corpo l'avevano trovato vicino all'automobile, su una stradina secondaria nei pressi del
bar in cui lavorava. Nessun testimone, nessun indizio materiale sul luogo del delitto. Giusto
una curiosità: qualcuno gli aveva.rimosso con una lama affilata un pezzo del giubbotto, un
capo piuttosto riconoscibile, un bomber nero, sintetico, con la scritta CC RIDER ricamata
sulla schiena. E proprio quella era stata asportata, a rivelare la fodera bianca all'interno. Le
ipotesi scarseggiavano: un goffo tentativo di nascondere l'identità del deceduto, oppure nella
fodera era celato qualcosa. Le analisi non avevano però rilevato tracce di stupefacenti, ragion
per cui gli invesngatori erano rImasn perplessi, con un pugno di mosche In mano.
Secondo Rebus si trattava di un omicidio su commissione. Colliar si era fatto un nemico,
oppure qualcuno voleva mandare un messaggio a Cafferty... non che i diversi interrogatori
con Big Ger avessero fruttato alcunché.
«Dannoso per la mia reputazione », era stata la sua reazione. «Quindi, o il colpevole lo
beccate voi... » «Oppure?» Ma Cafferty non aveva avuto bisogno di rispondere. Se al
colpevole fosse arrivato per primo lui, se ne sarebbe persa ogni traccia. Nulla di tutto ciò era
servito. L'indagine si era arenata, e più o meno nello stesso periodo i preparativi per il G8
avevano dirottato altrove l'attenzione generale, grazie anche ai miraggi di lauti straordinari. E
poi erano intervenuti altri casi, altre vittime. Vittime vere. La squadra che indagava
sull'omicidio Colliar era stata sciolta.
Rebus abbassò il finestrino per godersi la brezza fresca. Non conosceva la strada più
breve per Auchterarder, però sapeva che SI poteva arrIvare a Gleneagles passando per
Kinross, quindi si avviò!n quella direzione. Un paio di mesi prima aveva comprato un
navigatore satellitare, ma non era ancora riuscito a leggere le istruzioni: l’aggeggio se ne
stava Impacchettato sul sedile del passeggero, completamente inutile. Un giorno di quelli
avrebbe finito per portarlo nell'officina dove gli avevano installato il lettore CD. Un'ispezione
del sedile posteriore, dei tappetini e del bagagliaio non aveva restituito nulla degli Who, perciò
adesso Rebus stava ascoltando gli Elbow, una delle passioni di Siobhan. Gli pIaceva
soprattutto la canzone da cui prendeva il titolo l'album, Leaders of the Free World, e l'aveva
messa in modalità «repeat ». A quanto pareva il cantante pensava che negli anni '60
qualcosa avesse iniziato ad andare storto. In linea di massima Rebus era d'accordo con lui,
anche se era giunto a quella conclusione per strade diverse. Gli Elbow avrebbero forse voluto
un cambiamento più netto, un mondo governato da Greenpeace e da quelli del disarmo
nucleare, la fine della povertà. Anche lui era andato a qualche corteo negli anni '60, sia prima
sia dopo l'arruolamento. Se non altro si rimorchiava, perché di solito dopo da qualche parte
c'era una festa. Ora però quel periodo gli appariva più che altro come la fine di qualcosa. Nel
1969 un ragazzo era stato accoltellato a morte a un conceno degli Stones, e a poco a poco
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gli ideali del decennio si erano spenti. Allora i giovani avevano assaggiato la ribellione: non si
fidavano del vecchio ordine costituito e di ceno non lo rispettavano. Pensò alle migliaia di
manifestanti che di na poco sarebbero calate su Gleneagles, alla fone possibilità di scontri,
ma in quel paesaggio di colline e fattorie, fiumi e valli anguste era uno scenario difficile da
immaginare. Sapeva bene che proprio l'isolamento di Gleneagles aveva contribuito alla sua
scelta come luogo del summit: ni leader del mondo libero sarebbero stati al sicuro, tranquilli
nell'apporre la propria firma a decisioni prese altrove. Dallo stereo, il gruppo invitava a scalare
una frana. L'immagine gli rimase in mente per tutta la strada, fino alla periferia di
Auchterarder.
Era abbastanza ceno di non essere mai stato da quelle parti, eppure gli sembrava di
conoscere il posto. Tipica cittadina scozzese di provincia: un'unica, ben definita strada
principale da cui si dipartivano le vie secondarie, costruita con l'idea che la gente sarebbe
andata a fare la spesa a piedi. I negozi erano peraltro indipendenti, piccoli esercizi privati, e
Rebus non vedeva possibili micce in grado di infiammare i paladini antiglobalizzazione. Il
panettiere vendeva persino tortine dedicate al G8 in edizione limitata.
Se non ricordava male, la popolazione di Auchterarder era stata controllata da cima a
fondo con la scusa di fornire i pass d'accesso, e tuttavia, come Siobhan aveva sonolineato,
sul luogo regnava una tranquillità innaturale. Solo poche persone intente alle compere, e un
falegname che prendeva misure per sbarrare le vetrine. Le auto erano 4 x 4 infangate che,
con buona probabilità, avevano percorso più sentieri sterrati che autostrade, e alla guida di
una vide una donna in foulard, immagine decisamente d'altri tempi. Nel giro di un paio di
minuti si ritrovò all'altro capo della cittadina, diretto già verso laA9. Fece quindi inversione e
stavolta cercò di stare più attento ai cartelli. Quello che cercava era nei pressi di un pub e
indicava una strada secondaria. Mise la freccia e seguì il nastro d'asfalto oltrepassando siepi
e vialetti, poi un nuovo complesso residenziale, finché il paesaggio non gli si spalancò davanti
mostrandogli colli lontani. In pochi istanti era di nuovo fuori dell'abitato e accanto gli
correvano linde siepi d'arbusti pronte a graffiargli la carrozzeria se solo avesse dovuto
accostare per far spazio a un trattore o a un furgoncino. Alla sua sinistra c'era un bosco, e un
altro carrello lo informò che quella era la zona del Cloode Weli. La parola clootie gli era
familiare: ogni tanto sua madre faceva un dolce, una specie di budino appiccicosò che
chiamava clootie dumpling. Per sapore e consistenza -scuro, zuccherino e stucchevole ricordava il pudding di Natale. A quel punto le proteste del suo stomaco gli rammentarono che
non mangiava da ore. Alla veglia non si era trattenuto a lungo: poche parole, poi Chrissie lo
aveva abbracciato, come già aveva fatto la mattina a casa. Benché si conoscessero da una
vita, tra loro non c'erano mai state molte effusioni. Nei primi tempi lui le aveva addirittura fatto
un po' il filo... imbarazzante, date le circostanze. Sembrava che Chrissie se ne fosse accorta.
Poi lui aveva fatto da testimone al matrimonio, e durante un ballo lei gli aveva maliziosamente
soffiato nell'orecchio. Più avanti, nei pochi periodi di crisi fra lei e Mickey, Rebus aveva preso
le parti di suo fratello. Forse avrebbe potuto chiamarla, dire qualcosa, invece no. E quando
Mickey si era cacciato in quel guaio ed era finito in prigione, lui non era andato a trovare
Chrissie e i ragazzi. Be', in realtà non era andato a trovare spesso nemmeno Mickey, né in
galera né dopo.
E c'era dell'altro. Quando Rebus e sua moglie si erano separati, Chrissie aveva a propria
volta preso le difese della cognata: era sempre andata molto d'accordo con Rhona ed era
rimasta in contatto con lei anche dopo il divorzio. Eccola lì, la famiglia: tattica, settarismo,
diplomazia. Al confronto la politica era una passeggiata.
In albergo Lesley aveva imitato la madre e l'aveva abbracciato. Kenny, invece, aveva
avuto un attimo di esitazione, prima che Rebus lo levasse dall'imbarazzo tendendogli la mano
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da stringere. Si era chiesto se sarebbero emerse vecchie ruggini: ai funerali capitava spesso.
Con il dolore arrivavano anche la rabbia e il risentimento. Ragione di più per non fermarsi.
Quando si trattava di litigare, John Rebus era un peso massimo, in senso sia letterale sia
metaforico.
Al lato della strada si apriva uno spiazzo che, cosparso di trucioli di legno, sembrava
appena ricavato dal taglio degli alberi. Poteva ospitare quattro macchine, ma ce n'era solo
una, e Siobhan Clarke ci stava appoggiata contro a braccia conserte. Rebus tirò il freno a
mano e scese.
[…]
Aggiornata il martedì 5 agosto 2008
Edizione Mondolibri S.p.A., Milano
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