All`inizio è sabato. Lele arriva in pizzeria alle sei e mezzo. Ester gli
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All`inizio è sabato. Lele arriva in pizzeria alle sei e mezzo. Ester gli
All’inizio è sabato. Lele arriva in pizzeria alle sei e mezzo. Ester gli apre. Ha il golfino rosso. Le chiavi si fidano di darle a lei. Mèhmet sta lavando in terra. Fa un saluto a Lele. Lele va nello stanzino e si cambia. Maglietta bianca e calzoni leggeri bianchi. Cuffietta bianca. Grembiule bianco fino alle ginocchia, legato dietro. Un pizzaiolo tutto bianco. Va in bagno. Lava le mani accuratamente con il sapone liquido. È pronto. La sala della pizzeria è uno stanzone lungo. Sul lato corto in fondo ci sono le porte a vetri. C’è il giardinetto di là. D’estate si mettono i tavoli fuori. Lele va al banco del forno. È una specie di recinto. Un fortino. Occupa quasi tutto il lato contro dello stanzone opposto alle porte a vetri. La bocca del forno è a destra se Lele guarda la sala. Sotto la bocca c’è il ripiano per appoggiare la pala. Sotto il ripiano c’è la legna ammucchiata in ordine. Il bruciatore dentro il forno resta sempre accesso. Serve a mantenere una certa temperatura e per accendere. Lele manda su la fiamma. Con la pala mette un po’ di legna. Pulisce la pala con lo straccio. Pulisce le mani nel grembiule. Volta le spalle allo stanzone. Ha di fronte i due ripiani per gli ingredienti. Sotto i due ripiani gli sportelli del frigorifero. Tira fuori da frigorifero le vaschette di alluminio. Funghi trifolati, carciofini, asparagi, frutti di mare, acciughe, spinaci. Tutta roba che prepara Ester. Lele sistema le vaschette sui ripiani. Dalla cucina arriva Ester. Vassoio delle melanzane ai ferri. Ester chiede a Lele della mamma. Sempre uguale, dice Lele. Ci vuole forza, Ester dice. Sì. Sono quasi due anni, Ester dice. Sì. Ester torna in cucina. Lele accende l’affettatrice. Un bel po’ di prosciutto cotto. Non si sa mai col crudo. Certe sere tutti vogliono le inglesine. Un bel po’ di crudo, decide Lele. Prepara la mozzarella. Nel frigo ce n’è ancora da ieri. Terrina grande piena d’acqua e di tocchetti di mozzarella. Dove aveva la testa ieri Marcello. Lele va all’acquaio del bar. Scola la terrina. Trattiene due tocchetti. Sembra buona. Mette l’acqua nuova come fosse un pesce. Torna al forno. Passa lo straccio sopra il marmo bianco. Ha la sala davanti a sé. I clienti vedono il pizzaiolo che lavora. Pizze fatte con le mani. Pizze buone. Lele mette sul banco la terrina della mozzarella. Prende dal frigorifero la terrina del sugo. Anche quella sul banco. Che si sfreddi un po’. Lele affina il coltello lungo sulla cote. Taglia un altro po’ di mozzarella. Un lavoro di fino. Le prime volte si faceva piccoli tagli sulle dita. Superficiali. Niente sangue ma un fastidio. Lele guarda in giro. C’è tutto. Quello che mancasi farà se serve. Va nel giardinetto. Il freddo fa la pelle d’oca. Prende la cassetta da sotto la tettoia. Porta dentro. Tanti strati di polpettine di pasta bianca. Lievitare all’aperto. Una pezza di cotone bianco umido tra uno strato e l’altro. Lele sporca di farina il banco. Mette un po’ di polpettine in piramide. Guarda l’orologio. Marcello manca. Alle sette doveva. Lele taglia la cipolla. Si asciuga le lacrime con il dorso della mano destra. Come ogni volta si sorprende a pensare che in fondo dono lacrime vere. Ferishta e Silvia arrivano. Ciao, ciao. Vanno nello stanzino. Prima lui e dopo lei. All’inizio Ferishta non sapeva l’italiano. Nello stanzino per cambiarsi aveva la branda pieghevole. Silvia aveva cominciato per insegnargli a stirare. Adesso sono quasi marito e moglie. Una volta Lele li ha trovati all’Upim. Comperavano lenzuola. Lele guardava e basta. Eccoli al lavoro. Calzoni neri e camicia bianca, gonna nera a pieghe e camicia bianca. Silvia prepara i tavoli. Ferishta sistema il banco del bar. Mèhmet ha finito di lavare in terra. Ester toglie diecimila lire dalla cassa. Ferishta spina una Royal Crown Cola. L’unica pizzeria d’Itali con la Royal Crown Cola. Mèhmet beve. Lele ha pronto il prosciutto nella carta oleata. Mehmet intasca. Saluta fa rumore andandosene. Lele non ha mai capito se il prosciutto fa parte della retribuzione convenuta o se è un’iniziativa di Ester. Va bene. Però se Mehmet è maomettano non dovrebbe mangiare prosciutto. Oppure sono gli ebrei. Chiedere a Ferishta. Arrivano il padrone, la padrona. Buonasera. Dov’è Marcello, subito. Ha telefonato, dice Lele. (Non è vero). Se continua così, dice il padrone. Lele pensa che dice perché lui dica a Marcello. Oppure perché si capisca che se Marcello allora Lele. Concorrenza. Però Marce è di Caserta. Come fa le pizze lui, nessuno. Qui. A Caserta poi magari è schiappa. Arrivato Marcello. Poi ti spiego, fa al padrone. Sbrigativo. Te l’ha detto Lele, no? Un’occhiata. Il padrone zitto. Buonasera signora (alla padrona). Lei sorride. Marce quasi fa un inchino. Sembra piccolo ma non è per via delle spalle larghe. (per via, come di Adito). […] […] La porta a vetri si apre. Entrano i primi due. Silvia li accompagna al tavolo. Due capricciose, sì. Marcello fa volare la pasta. Questo Lele non sa fare. Lele mette i condimenti. Marce inforna. Lele fa due birre al bar. Le porta dietro il recinto. Parla con Marcello. Di che cosa parla. Parla. Non pensa. Non ha pensieri. Meno quattro minuti. Meno due. Meno uno. Arriva gente. Altra gente. La città sincronizzata. I foglietti nel cestino verde. Tre margherite, una tonno (è sgombro), un crostino, una quattro formaggi, sì. Una piccolissima pausa. Un’esitazione del sincronismo. Una asparagi con l’uovo rotto sopra, sì. Due tonno e cipolla (è sgombro) e una diavola, sì. Una vegetariana senza mozzarella e una capricciosa abbondante, sì. Una quattro stagioni e un’inglesina, sì. Due radicchio, sì. Una siciliana, una verdure e un calzone senza funghi, sì. Dove vai Marcello. Ce ne hai già di pronte, arrivo subito. Ma proprio adesso. Ma per un minuto ti arrangi. Due bruschette subito, poi una diavola e una verdure, sì. Tre capricciose, quattro margherite, una bianca, una diavola, una napoletana, sì. Marcello torna fuori cristo dio. Due capricciose e due margherite, sì. Marcello non lasciarmi più così. Ma dài che te la cavi. Una specialità (una pizza con tutto), una grana e rucola, una napoletana, una mari e monti, sì. Dov’è la mozzarella, dice Marcello. Mi lasci senza mozzarella, dice marce. Arrivo, arrivo subito. Ecco. Hai la mozzarella. Sei contento? Mai economia con la mozzarella. Una pausa per miracolo. Tutti mangiano. Fanno una cosa animale. Lele se potesse non mangerebbe. La mamma taglia fette triangolari al bambino. Il bambino prende per la crosta. La roba casca tutta giù. Il bambino mette le mani dentro. La mamma sgrida. La cena della classe. I ragazzi hanno i capelli cortissimi con una specie di frontino dritto. Non si tolgono i giubbetti color oliva. Come si chiamano, bomber. Suderanno lì dentro. Qualcuno ha la sciarpa bianca e rossa. Diavolo d’un Padova. Da quando hanno fatto due a zero al Milan. Le ragazze hanno body che mettono in evidenza il seno e jeans elasticizzati con la cintura strettissima in vita. Strizzafiche, Marce chiama quei jeans. Ferishta va ogni tanto a dirgli di non fare tanto casino. È un signore Ferishta. Parla quasi tutte le lingue (anche l’italiano adesso). Viene da qualche parte della Jugoslavia. Ex. Lele non ha mai capito bene. Posti dove sparano. Ha studiato però. A casa sua sarebbe come un laureato in lettere. Lele pensa che ha un bellissimo sorriso. Entrano i due che vengono tutti i sabati. Salutano Marcello e Lele. Ferishta li fa sedere distanti dalla cena della classe. Lei è magrolina e bionda. Lui grassoccio. Hanno l’aria di avere appena finito di lavorare. Sembrano commessi. Lei è troppo poco squinzia per lavorare in un negozio di vestiti. Ferishta scherza insieme. Si allontana di scatto. Il padrone arriva. Il padrone accompagna al tavolo due completi scuri e una giacca pied-de-poule marrone con le toppe. Li mette nell’angolo per isolarli. Prende l’ordinazione. Una mari e monti e due sottobosco (quattro qualità di funghi, formaggio alpino). Abbondanti-super, dice piano il padrone a Marcello. Mette il foglietto sopra tutti quelli in attesa. Chi sono quelli, domanda Lele a Marcello. L’ex presidente della tua cassa di risparmio, dice Marce, e il segretario comunale del partito del tuo datore di lavoro. Quello con le toppe sta a Teleregione. Tutti gli uomini dell’ex presidente ridacchia Lele. Te li devo dire io che salgo di Terronia, dice Marcello. Se tu leggessi i giornali. Lo sai Marce che non me ne frega niente. Il primo giro va via. Ferishta porta il liquore omaggio ai tre. Tra qualche minuto quelli delle dieci. Poi ci saranno quelli che vengono fuori dal cinema. Poi basta. Basta. [Tratto da: Mozzi G., Migrazione, in "La felicità terrena", Einaudi, Torino, '96, pp. 134-139]