c_In605_R_88_93_racconto design - design antenna by laura traldi
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ottobre 2010 Interni 88 / INdesign INview Interni ottobre 2010 INdesign INview / 89 si afferma il desiderio da parte di aziende e designer di narrare il progetto. L’obiettivo è ridare fiducia al pubblico, farlo diventare partecipe del processo, fornirgli gli strumenti per capire in cosa consiste il vero valore di un oggetto. di Laura Traldi Il design La sedia Autoprodotta di Enzo Mari per Artek e alcuni frames del video mostrato alla Triennale di Milano in occasione del lancio del prodotto lo scorso aprile. U n signore di 78 anni è chino su dei pezzi di legno, intento ad armeggiare con viti e martello. In pochi minuti, costruisce una sedia su cui si accomoda, soddisfatto. Ha certo di che sorridere Enzo Mari, che nel 1973 concepì un’icona del design democratico, la sedia Autoprogettata, da produrre in pezzi e far assemblare a chi la compra. La finlandese Artek ha infatti deciso di metterla in produzione, presentandola al FuoriSalone lo scorso aprile in Triennale con un filmato-performance interpretato da Mari stesso. È innegabile che la proposta di Mari (che in origine prevedeva indicazioni per realizzare un’intera serie di arredi utilizzando solo legno grezzo, viti e galletti, di fatto promuovendo il concetto “dal designer al consumatore”), dopo la diffusione globale del concetto di flat-pack a opera di Ikea in primis, abbia una valenza meno rivoluzionaria di quanto l’avesse un tempo. Eppure la scelta di Artek colpisce, poiché è carica di significati. L’azienda ha deciso infatti di mettersi dalla parte del consumatore, di spiegare la nascita e lo sviluppo di un prodotto, e di farlo utilizzando un’icona del design come Enzo Mari. È questo un segnale forte, da leggere come una meta tendenza (in opposto a tanti trend estetici che lasciano il tempo che trovano) che può potenzialmente trasformarsi in si fa racconto spartiacque tra tanta recente cultura del progetto e l’immediato futuro. Quello di Artek non è infatti un caso isolato. Da qualche tempo si respira nell’aria un crescente desiderio da parte delle aziende e dei designer di spiegare i propri progetti: non i soliti bla bla su folgoranti fonti di ispirazione ma veri e propri racconti del design in cui i personaggi principali si sporcano le mani e si lambiccano il cervello per risolvere i problemi reali della produzione. Comunicare l’expertise che sta dietro un prodotto e il knowhow che ha contribuito a realizzarlo, è un’iniezione di realismo contro il potere mediatico del design glitterato e stagionale, una risposta che dà fiducia al pubblico, cui finalmente si forniscono gli strumenti per giudicare il valore di un oggetto. È un modo per combattere (pur senza dirlo apertamente) l’annoso problema delle copie e della manifattura low cost e di ribadire, con i fatti e non con le parole, il primato della qualità. Ci sono aziende che, per necessità, lo fanno da sempre, come la svedese Hästens. Spiegare che per realizzare il letto Vividus sono stati necessari due anni di test sulle varie combinazioni di crine, cotone, lino e lana; che le tecniche di falegnameria impiegate sono quelle tradizionali svedesi riprese paro paro dal 1850; e che ogni prodotto è realizzato in La creazione della seduta NETwork 3D di Werner Aisslinger, realizzata live durante la mostra Open Process al FuoriSalone di Made in Berlin. È fatta in tessuto ed è priva di struttura. Il designer tedesco l’ha creata impregnando di resina una rete progettata a computer e trasformata in 3D da una particolare macchina da cucire. ottobre 2010 Interni 90 / INdesign INview 140-160 ore: tutto questo serve a Hästens per dimostrare perché Vividus è un letto di lusso, con un prezzo di conseguenza. Ma oggi lo stesso approccio è seguito anche da altri brand più alla portata di tutti. Come Borella Design, un marchio che nasce nel cuore del distretto automotive a Torino, e che fa della competenza tecnica nella lavorazione di materiali come l’acciaio, l’alluminio o il carbonio il proprio cavallo di battaglia. Al Salone si è presentato con una collezione realizzata da un team di designer (tra cui Xavier Lust) capitanati dal direttore artistico Luisa Bocchietto. È lei stessa a raccontare come, per realizzare il suo contenitore Il Mago di Oz che funge da porta-vasi per esterni o da braciere, siano stati necessari due stampi in ghisa di oltre 100 quintali per formare le lastre di alluminio poi rifinite a mano. Come dire che il valore dell’oggetto sta in quello che si vede ma anche nella qualità della tecnologia che gli ha permesso di esistere. Stesso approccio per Riflessivo, il nuovo marchio di Arte Veneziana, la storica azienda che dal 1970 propone riproduzioni di specchi veneziani del ’600 e ’700. Per lanciarlo, la casa madre ha arruolato il giovanissimo Leo De Carlo, reduce da un’esperienza con Philippe Starck, che ha progettato una serie di mobili dal look neo-rétro, realizzati facendo leva sull’expertise dei maestri vetrai di Arte Veneziana. E sono loro i veri ‘eroi’ delle collezioni Age of Gold, GoodMood e Wise: non a caso le immagini delle loro mani all’opera sui pezzi (durante i processi di argentatura o carteggiatura su bolo) fanno parte del patrimonio comunicativo di Riflessivo. Nel 1999, in The Experience Economy, Joseph Pine e James Gilmore hanno spiegato al mondo che il successo, nel futuro, non si sarebbe più costruito solo sui beni primari, né sui prodotti o sui servizi, ma sulle esperienze create dai brand per i consumatori. Quello che sta accadendo nel mondo del progetto, però, sembra indicare l’esatto opposto, Interni ottobre 2010 Gli artigiani veneziani durante la lavorazione degli arredi in vetro e legno progettati da Leo De Carlo per il nuovo brand Riflessivo. Nell’ultima immagine, il tavolo The Age of Gold, in legno d’acero con inserti in specchio bronzo inciso a mano. Nella pagina accanto, in alto, Il processo che porta alla creazione degli Original Stool degli austriaci Breaded Escalope: lo sgabello in acciaio viene inserito in una palla sigillata in cui viene iniettato il colore. Quando la palla viene manovrata (tramite performance pubbliche) nell’acqua o sul terreno, la vernice decora la superficie della seduta in modo assolutamente casuale. Nella pagina accanto, a lato, I designer FormaFantasma all’opera nella creazione delle loro ciotole Moulding Tradition. i due italiani hanno fatto del processo creativo inteso nella sua totalità e dell’artigianalità il marchio di fabbrica delle loro produzioni. IL DESIGN RACCONTATO / 91 ottobre 2010 Interni 92 / INdesign INview Interni ottobre 2010 IL DESIGN RACCONTATO / 93 Dettagli della lavorazione de ‘Il Mago di Oz’ di Luisa Bocchietto per Borella: gli stampi della produzione e, qui sopra, il prodotto finito ancora in fabbrica. Per realizzare questi porta-vasi per esterni (anche fruibili come bracieri) sono stati necessari due stampi in ghisa di oltre 100 quintali per formare le lastre di alluminio poi rifinite a mano. ossia un ritorno ai valori tradizionali del design industriale e non, che si trasformano in una base su cui costruire marchi che non promettono esperienze glamour ma prodotti solidi, di qualità, nati per durare. Sono tanti i casi di realtà industriale che per decenni hanno prodotto per conto terzi e che oggi, facendo leva su questo nuovo sentire, scendono in campo. Succede ad esempio nel distretto di Udine, dove Mattiazzi, che in 30 anni da ghost-producer si è costruito una reputazione DOC nella lavorazione del legno, dall’anno scorso ha deciso di fare anche da sé. E di farlo con l’intelligenza di chi è tanto esperto in un settore da capire di non esserlo in un altro: cioè reclutando talenti esterni per la direzione creativa (Florian Lambl) e per il design (Studio Nitzan Cohen e il duo Sam Hecht/Kim Colin di Industrial Facility). Potrebbe essere la nascita di un nuovo paradigma della cultura del progetto: mentre tramonta (anche per mancanza di iniezione di ‘sangue giovane’) la realtà del piccolo artigianato locale che funge da supporto alle aziende permettendo loro la produzione di piccole serie altamente diversificate, ne nasce in parallelo un’altra. Ne parla Marco Bettiol, ricercatore all’Università di Padova e alla Venice International University, in occasione del lancio dell’iniziativa AAA Cercasi Nuovo Artigiano, iniziata con un workshop lo scorso luglio (a cui hanno preso parte vari artigiani del vicentino e designer capitanati da Martino Gamper) e culminata l’11 e il 12 settembre scorsi in una mostra al Festival dell’Artigianato di Vicenza: “abbiamo bisogno di un nuovo artigiano, che non si sostituisca più all’industria nell’attività di produzione, ma che diventi parte attiva nelle fasi di creazione e di innovazione del prodotto, capace di dialogare con il mondo della creatività e con le richieste e della produzione industriale”. L’auspicio è dunque quello del ritorno in azienda della capacità del fare, in contrapposizione al fenomeno della globalizzazione che molto spesso attribuisce il ruolo di protagonista a chi ha solamente appiccicato un logo su un prodotto già finito da un altro. Nella pagina accanto: Un dettaglio e alcune fasi della realizzazione della sedia Branca di Sam Hecht e Kim Colin di Industrial Facility per Mattiazzi. Una struttura apparentemente semplice in cui è la gamba posteriore (realizzata in un singolo pezzo di legno prodotto da un robot) a sostenere i giunti di seduta, schienale e bracciolo. La lavorazione del letto Vividus di Hästens: dopo due anni di test sulle varie combinazioni di crine, cotone, lino e lana, gli artigiani dell’azienda svedese hanno finalmente realizzato il prodotto, utilizzando tecniche di falegnameria tradizionali pre-industriali e impiegando, per ogni letto, un periodo di lavoro compreso tra le 140 e le 160 ore.