cipressi in duplice filar

Transcript

cipressi in duplice filar
CIPRESSI IN DUPLICE FILAR
PARTE PRIMA
Quando le tue certezze vacillano ti aggrappi alle solide basi di un’amicizia che ti sorprende e
rincuora.
Quando ti senti spezzare in due la fiducia vorresti le braccia di qualcuno dove poterti lasciare
andare.
Quando tutto sembra venire meno, scopri di avere tutto ciò che ci vuole, due grandi amici e
un’immensa voglia di guardare sempre avanti.
Filtra luce dalle tapparelle. E’ un albore tenue che irrompe a coni obliqui che s’interrompono nel
pavimento. Aleggia nell’aria e s’intravede in questi raggi un’atmosfera quiete di un sabato mattina
ancora incerto sul futuro di questa giornata.
Con gli occhi ancora un po’ appiccicati mi ritrovo ad ingurgitare un Kinder Brioss in intrepida
attesa di una qualche comunicazione dei Racca ai quali avevo delegato la decisione o meno per
l’uscita viste le sfavorevoli previsioni meteo che davano da giorni, per oggi pomeriggio, pioggia e
temporali proprio nella zona che volevamo andare a scoprire. Quel litorale tirrenico che
s’interrompe sulle Colline Metallifere in una zona a tratti dolce a tratti aspra delle nostra Toscana.
Arriva il messaggio di ok e salto sull’attenti. Vestizione a gesti rapidi e precisi, un pieno di benzina
e sono al punto di ritrovo dopo aver saggiato la bontà delle gomme su strade a me note prima di
Firenze. Nei pressi del punto d’incontro adocchio il Sid che attende ma io devo ancora girare
intorno al paese del Galluzzo e sono lì poco dopo a stringergli la mano forte e contento di essere là.
Mentre mi saluta però amaramente mi comunica che Sansai ha avuto un contrattempo e quindi
tarderà un po’. Durante la notte gli hanno portato via gli specchietti alla moto e di conseguenza è
andato a procurarsene almeno uno in modo da essere in regola.
Mi assale sempre una strana sensazione di contrarietà quando le giornate non cominciano in
maniera limpida. Proprio come questo cielo sul quale il sole non riesce a farsi largo tra queste
nuvole grigiastre che tengono alto il tasso di umidità e conseguentemente la probabilità di una bella
doccia durante la guida. Nell’attesa ci concediamo un paio di cappuccini e paste al bar poco
distante. Due scambi di opinione sulle tenniste di oggi e su quanto siano dotate di fisici degni di
nota quando il Sid aguzza la vista e becca Sansai che non ci aveva visto in quanto intento a
sorpassare un camion mentre invece un Monster stubato copriva il sound dei suoi scarichi.
Rapida telefonata e partenza per beccarlo 500 m più avanti dove un saluto sincero ci accomuna e da
il via definitivo a questa giornata votata al turismo vero e proprio data l’articolazione e la lunghezza
del giro che prevede il raggiungimento del punto più occidentale della Toscana ovvero il Mar
Tirreno.
A me è delegata l’andatura visto che sono estremo conoscitore di queste strade non proprio comuni
che portano fino alla Valdera e poi alla Val di Cecina. Come promesso imposto una andatura
prettamente tranquilla in modo che possiamo trotterellare nei continui sali-scendi che la nostra terra
ci regala. Attraversiamo in successione gli abitati di Chiesanuova dove faccio notare la Osteria
Giotto con tavolini all’esterno e che Francesco conferma già di conoscere, Cerbaia, Montespertoli
per planare a Castelfiorentino e salire di nuovo a Gambassi Terme, Castagno e voltare decisi di
nuovo in discesa vero la Valdera, sempre sulla SP 15 Volterrana.
Incontriamo veicoli di tutti i tipi e guidati in ogni maniera. L’anziano che fa 40 km/h in pieno
dirittone, la signora che pensierosa se ha preso o meno la lista della spesa invade bellamente in
senso contrario la nostra corsia, un gruppo di moto BMW che prende più spazi del dovuto in uscita
dalle curve. Insomma il classico panorama italiano di persone che fanno della strada l’espressione
massima dell’egoismo.
Ad un certo punto la strada si trova proprio sul crinale di una miriade di colline che col vento a
muovere un frumento ancora acerbo rende avvincente l’idea dei campi che si rincorrono. E’ un
vento strano che ci avvolge mentre ci dilunghiamo nelle foto e sui commenti del proseguio del
percorso che stiamo per affrontare.
Scendiamo infatti in Valdera, avamposto di una nuova area che prenderà sempre più piede negli
anni a venire. E’ ancora sostanzialmente vergine ma già si vedono i primi cenni di forti
investimenti. Casolari sparsi e arroccati sono sempre più avvinghiati da impalcature che ne
cambieranno origine trasformandoli in fruttuosi agriturismo o lussuriose seconde residenze.
Qua le terre assumono ogni tipo di tonalità di verde. Il bello della primavera e dei suoi colori è reso
magnifico in questo angolo di campagna. Si va dal verde bottiglia al verde chiaro a quello intenso a
quello smeraldo. Ogni coltura ha la sua tonalità a volte interrotta dal bianco o dallo scuro di questo
o quel gregge al pascolo. E’ una vista appagante che finalmente ci godiamo dall’alto della nostra
andatura che rende merito ai paesaggi che stiamo attraversando coscienti della bellezza che madre
natura tuttora ci sa regalare.
A Saline di Volterra si cambia valle e si entra in quella formata da anni di erosione dal fiume
Cecina che sfocia in mare nell’omonima località una quarantina di km più a valle.
Brandelli di vecchia ferrovia si affiancano ancora alla strada e si nascondono dietro alle fatiscenti
piccole stazioni che ancora si trovano nelle borgate di Casino di terra e Ponteginori. Una linea da
film in stile Far West. Ci mancano solo le tribù degli indiani e i bisonti. L’effetto scenico è a tutto
vantaggio della vista mentre la strada è nervosa ma veloce, invitante ma pericolosa e quindi
percorsa sempre ad andature che privilegiano l’armonia piuttosto che lo spirito sportivo.
Il profumo di salsedine si fa sempre più vicino e, una volta saliti sul raccordo della superstrada che
optiamo per qualche km in modo da evitare un po’ di traffico urbano, si apre alla nostra destra
quella distesa azzurra che si increspa sulla costa.
Sideman ha l’ottima idea di sostare per qualche minuto proprio in riva al mare a Marina di Bibbona,
anche e in funzione di qualche reminescenza di un passato di studente che fu, proprio sulla sabbia di
questa spiaggia. Infiliamo i piedi a mare, alziamo un po’ di granelli al vento e andiamo finalmente
in cerca di questo viale alberato tanto agognato da Sansai che freme per qualche foto e per una bella
rifocillata. Ancora pochi km di Aurelia ed ecco dispiegarsi sulla nostra sinistra uno dei viali più
famosi al mondo decantato dal Carducci che componeva le sue poesie proprio sui colli sovrastanti
questo litorale. Quei cipressi in duplice filar che da S. Giusto van fino a Bolgheri ci accolgono nel
loro abbraccio e ci scortano fino alla porta d’ingresso di questo grazioso paesino che vede ogni anno
i natali di alcuni tra i più celebri e rinomati vini toscani, Sassicaia per citarne uno a caso.
Ci ispira la Taverna del Pittore che ci permette di pranzare all’aperto sotto una terrazza a farci da
ombrello e di poter nel frattempo contemplare il paesaggio e le nostre moto parcheggiate lì davanti
sotto alla quercia.
Ordiniamo un antipasto abbondante, pappardelle al cinghiale e maltagliati alla lepre. Ad irrorare il
tutto un rosso locale schietto e fruttato che ben si adatta alla occasione.
Il cielo si fa sempre più grigio e l’ammasso di umidità ad un certo punto non ce la fa più a rimanere
sospeso nelle nuvole. Sprizzola a tratti forte a tratti piano. L’asfalto scurisce mentre sotto le auto si
formano solo rivoli di acqua che però non infradiciano il terreno. L’odore acre del bitume
raffreddatto dalle gocce sale alacre attraverso le nostre narici che si arricciano in cerca delle varie
sfumature e di nuovi odori che provengono dalla campagna circostante.
Parliamo come al solito di temi più disparati quando salta fuori una noia del Sid alla sua visiera del
casco.
Siccome abbiamo finito di mangiare e aspettiamo che spiova un po’, Francesco si cimenta in un
tentativo di aggiustamento del registro aiutato anche dal mio coltellino svizzero nuovo nuovo che
gli fa da cacciavite. Io ne approfitto per saldare il conto e quando esco trovo il Sid con in mano il
coltellino e nell’altra un brandello di vite. Pensosamente mi maledico e mi ribadisco che in certe
occasioni sarebbe plausibile rimanere chiusi e fermi in casa. Ma tant’è, come si fa a rinunciare ad
un’uscita coi Racca? Al bando la pioggia che continua a cadere, la si va ad affrontare per ora senza
tuta tanto verso sud, la nostra direzione, il cielo è più chiaro anche se di fianco al cartello
“Castagneto Carducci 5 km”, la titubanza se indossarla o meno è davvero forte. Asfalto viscido e
lercio sotto le nostre gomme. Andatura da lumaca quando ecco che 500 m dopo due ciclisti fermi
sotto un albero a ripararsi dalla pioggia, come d’incanto non piove più e possiamo scrollarci di
dosso tutta la pioggia accumulata in questo breve tratto. Ah se quei ciclisti sapessero che la pioggia
va sfidata e non temuta…
Inebriati da un buon pranzo e da un ritrovato tempo atmosferico degno della nostra andatura,
sfiliamo via da Castagneto e seguiamo le indicazioni per Sassetta. La strada si fa agitata e come
d’impulso buttiamo giù un paio di marce ed impostiamo un bel ritmo interrotti però troppo presto
da un pullman che fortunatamente si ferma nel paesino arroccato su di uno sperone a picco. Si
affacciano di fronte a noi, intubati da un bosco di sugheri, 13 km di un serpente di strada stretta e
arcigna dove riesci a malapena a mettere la terza e che non ti molla un attimo.
E allora sale il ritmo. Non possiamo forzare perché non conosciamo affatto la strada ma ci diamo il
nostro daffare di manopola del gas e freni e cambio e frizione e doppiette e derapate sul fondo a
tratti sporco. Si fa avanti un principio di fiatone per l’incessante frenesia di domare questo budello
di strada che esce ora dal bosco per regalarci una vista a 180° verso il mare mentre rimane serrata la
tortuosità di questo tratto che con soddisfazione ci porta a Suvereto dove parcheggiamo di fronte
all’arco d’ingresso e di fianco alla chiesa medievale. Scambiamo due battute sul bel pezzo appena
trascorso e ascoltiamo le lamentele del Sid che non si trova a suo agio su queste stradine da motard.
A proposito di motard c’è parcheggiata più avanti una KTM di un tedesco insieme ad una vecchia e
gloriosa XT. Ci avviamo verso il bar per un caffè così io posso curiosare sulle targhe e notare un bel
DEG che sta per Deggendorf ovvero il paese dove mi son fermato a dormire sulla via per
l’Elefantentreffen giusto qualche mese fa…
Non resisto e calibro il mio entusiasmo rivolto ai baffuti crucchi seduti davanti ad un paio di birre:
“Kommen Sie aus Deggendorf? Ich war dort in Januar während des Elefantentreffens!!!”
Attacco bottone come piace a me con gli stranieri. Adoro infatti sbalordire lo straniero che a tutto
pensa tranne che di vedersi un italiano parlare contento la sua lingua anglosassone.
Sid e San intanto si rintanano dentro al bar anche per paura che venga richiesto loro una certa
partecipazione. Beh Sansai potrebbe uscirsene fuori col suo “Ausfahrt”…parola che gli è rimasta
particolarmente impressa e che nasconde nella sua etimologia una storia del tutto estrosa…proprio
come Sansai…che soggetto!
Bene adesso siamo nel punto più lontano del giro. Ci troviamo dirimpetto a S. Vincenzo e quindi è
ora di voltare le nostre forcelle e fare rientro verso casa con sul capo quella spada di Damocle
chiamato temporale col quale stiamo giocando a guardia e ladri ma nel quale prima o poi siamo
sicuri di incocciare. La strada ora è a tratti una serie continua di esse oppure dirizzoni a non finire.
C’è un pezzo con parte della corsia sterrata per lavori dove rallentiamo. Davanti a noi una esse
destra-sinistra e poi un bel rettilineo. Faccio ancora strada io, poi dietro Sansai, chiude Sideman.
La esse è da terza. Sacrifico la prima curva per uscire più veloce sul rettilineo e faccio per ingranare
la quarta. STROCK!!! Una frustata secca sul fianco sinistro della schiena e tutte le mie certezze si
infrangono nel muro dell’imprevisto. Tutta la mia sicurezza si frantuma rumorosamente come in un
tamponamento a catena in mezzo alla nebbia. Rumore di lamiera contro lamiera…sono i miei
pensieri che si rincorrevano un attimo prima, che sono immobili adesso.
PARTE SECONDA
With all the clarity of dream / The sky so blue, the grass so green / The rank and file and the navy
blue / The deep and strong, the straight and true / The blue line they got the given sign / The belts
and boots march forward in time / The wood and leather the club and shield / Swept like a wave
across the battlefield / Now with all the clarity of dream / The blood so red, the grass so green / The
gleam of spur on chestnut flank / The calvary did burst upon the ranks / Oh the iron hand and the
iron will…
Ma io quella leva della frizione non la mollo…Sid e San mi sfilano sulla sinistra con un punto
interrogativo sopra al casco.
La moto si ferma e al volo metto il cavalletto e spengo il motore. Mi accascio sul serbatoio e ho
paura a guardare in basso perché so quello che sto per vedere.
Preoccupati i ragazzi fanno subito dietro front e chiedono notizie. Io intanto sono sceso e ho lo
sguardo fisso sul lato sinistro della moto dove la frusta che mi ha colpito è ora adagiata lungo la
pedaliera. E’ la catena della mia moto in frantumi, divisa in due come un ponte crollato e spazzato
via da un fiume in piena.
Momento di incredulità e sconforto ma è un mio vizio non stare troppo a pensare sulle cose fatte. E’
successo, ora l’importante non è fare domande e dire se io qui se io là…con i se e con i ma si va
sempre da poche parti. Sansai chiede di togliere il carter al pignone. Io intanto sono già al telefono
per mettermi in contatto con la EuropAssistance con la quale ho l’assicurazione Moto NoProblem di
modo che mi vengano a dare assistenza dovunque mi trovi ma coi tempi tecnici (lunghi) che ci
vogliono. Chiedo un aiuto al Sid per togliere la sella e avere così accesso agli attrezzi giusti perché
Sansai possa operare. L’addetta alla centrale operativa ci mette un po’ a riconoscermi, mi chiede un
sacco di dati ma sono pronto e concentrato e soprattutto so esattamente dove siamo, quale statale
stiamo percorrendo, in che comune e provincia siamo e quali sono le località più importanti a breve
distanza. In questo modo l’operatrice può individuare subito il posto dell’accaduto che, per inciso, è
in aperta campagna, bella quanto si vuole, ma lontano da qualsiasi centro abitato nel giro di dieci
km. Sansai ha smontato la plastica e diagnostica: catena incastrata tra pignone e carter motore. La si
deve togliere per capire come è conciata. Io intanto sono ora al telefono con l’officina che effettuerà
il soccorso ma che non potrà operare sulla moto. Quello che possono fare è venirmi a prendere,
portarmi a S. Vincenzo dove è dislocata l’officina e lunedì portare la mia moto all’officina
autorizzata più vicina per la riparazione. Non è quello che voglio esattamente ma so che è quello
che loro possono offrire e accetto le condizioni. Sansai lotta contro il calore di motore e pignone. Lo
sento imprecare e scrollare la mano destra un paio di volte ma non dubito neanche per un momento
della bontà del suo operato. La catena è libera ora ma conciata decisamente male. E’ saltata via la
falsa maglia che chiude l’anello e una maglia è leggermente piegata. Buone notizie invece dal fronte
pignone/corona. Hanno subito ma sono intatti e con tutti i denti a posto.
Io ho finito la telefonata. Ci guardiamo negli occhi. Io so che posso attendere e a questo punto in un
modo o nell’altro potrò tornare a casa. Ma Sansai e Sideman non ci stanno. Sansai, forte della sua
esperienza di sostituzione catena, effettuata appena il giorno prima sulla sua H900, decide di andare
a casa prendere una falsa maglia che gli è avanzata, tornare riparare e ripartire. Sideman ha come
motto: “si parte in tre, si torna in tre”. “OK ma io non voglio impegnarvi a questa maniera ragazzi”.
“Scusa ma tu non faresti la stessa cosa?” Dopo queste parole Sansai ha già girato la moto ed è
partito alla volta di Firenze andando in contro ad un cielo plumbeo e dannatamente nero
all’orizzonte. Sideman mi guarda a cavalcioni della sua moto a braccia conserte. “Vai Sid, tanto io
qua me la cavo e posso aspettare.” “Non ci penso neanche, io rimango qua con te tanto Sansai fa da
sé”. Io sono letteralmente senza parole. Ci provo a dire qualcosa ma quello che mi esce dal fiato non
rende giusto merito al senso di riconoscenza che provo in questo momento.
Sento tamburellare a terra e poi addosso. Maledetto spettro della pioggia. Siamo qua nel mezzo
della strada. Bisogna raggruppare gli attrezzi e la roba sparsa e farsi da parte. Prima però se
vogliamo affrontare dignitosamente la pioggia dobbiamo trovare un rimedio e mettersi le tute e il
casco non è propriamente una bella comodità. C’è una fattoria a poche decine di metri. Vado a
sentire se hanno un ombrello da prestarci. Mi incammino lesto ed entro nella proprietà. E’ tutto
aperto segno tangibile che qua non hanno paura ma ad accogliermi c’è una povera signora anziana
che si lamenta in una cantilena che ripete quasi impaurita. “Chi vuoleee chi vuoleee chi
vuoleeee…” “Signora ce l’ha un ombrello?” “Chi vuoleee chi vuoleee chi vuoleeee”. Povera donna
mi fa una pena immensa vederla in queste condizioni e per giunta sola a casa. Si regge su un
treppiedi e vorrei essere io ad aiutarla in qualche modo ma ho solo paura di intimorirla e quindi mi
ritiro e cerco un ombrello nel garage di fianco che tanto è aperto. Niente. Tocca affidarsi alla sorte
se vorrà dispensarci da un acquazzone o meno. Torno alle moto, rimetto la sella e gli attrezzi al loro
posto e spostiamo le moto all’ingresso della fattoria visto che è più comodo e più sicuro invece che
stare al bordo della strada in balia di altri veicoli che ci rasentano pericolosamente.
L’intensità della pioggia invece di aumentare diminuisce e quindi ci tranquillizziamo seduti sul
bordo del muretto sotto un timido riparo offerto dai peschi in fiore.
Non c’è molta conversazione in questo momento. Siamo io e il Sid decisamente pensierosi e vorrei
vedere altrimenti. Contattiamo chi di dovere per ragguagliare ed informare della situazione e allo
stesso tempo rassicurare chi ci aspetta a casa. Cala poi tra di noi un denso silenzio.
Io penso a Sansai e alla andatura che starà tenendo e alla pioggia che starà beccando e mi ritrovo a
percorrere mentalmente con lui la strada per raggiungere Firenze. Mi chiedo se sia passato da
Volterra o se invece si sia fatto guidare dall’istinto passando da Roccastrada. Più o meno le strade si
equivalgono. Sentiamo avvicinarsi il rumore facilmente riconoscibile del motore 900 cc di una
Panda che mette la freccia per svoltare proprio verso di noi. E’ un signore anziano che si sofferma e
abbassa a gesta circolari il finestrino dell’auto. E’ il padrone di casa. Ci saluta con un mezzo sorriso
e chiede ovviamente informazioni sull’accaduto. Capisce che abbiamo tempo e spegne il motore.
Attacca bottone a parlar di moto con l’occhio vispo di chi ne ha vissute tante. Ricevo la chiamata
del meccanico che verrà a prendermi. Gli do precise istruzioni su dove ci troviamo ma non mi
azzardo a chiedergli dove è lui per la semplice paura che la risposta sia verosimilmente: “parto ora”.
L’ometto riaccende l’auto pensando che il carro attrezzi sia nelle vicinanze ma infatti non è così.
Alché gli si illumina il viso e rispegne nuovamente e comincia a raccontarci la sua vita a partire
dalla seconda guerra mondiale e di come sia giunto in questa valle, la Valle del Cornia. Ragazzo in
sella alla sua Parilla giunse da queste parti dal lontano Abruzzo (che magari a quel tempo era ancora
Abruzzi e Molise una sola regione) per vedere i soffioni vaporiferi di Larderello. Dove ora abita
trovò rifugio per la notte offertogli dagli allora mezzadri. Si innamorò del posto e decise di
trasferirsi a costo di sacrifici e duro lavoro nei campi per il fattore. Ora quella fattoria è un rimesso
agriturismo con piscina ed un abbondante appezzamento di terra che però non riesce a sfruttare per
evidenti problemi familiari che ci racconta con passione e un pizzico di malinconia per non aver
saputo indirizzare bene i suoi figli e poi la povera moglie che vi ho già detto come è messa.
Nonostante l’età, 85 anni, l’ometto dimostra di saperne un bel po’ della vita e soprattutto dimostra
di avere le idee chiarissime sulla sua situazione, sull’irresponsabilità dei figli e delle nuore, su cosa
fare del suo futuro. E a tal proposito ci chiede se lo aiutiamo a vendere tutto auspicandoci poi una
lauta ricompensa che ci fa sorridere perché non capiamo se dice sul serio o meno ma ho tutta l’idea
che dicesse veramente la verità.
Insomma tutto ciò per dire che con lui trascorriamo una buona mezz’ora spensierata. Una sorta di
lezione di vita da uno che ne ha viste tante e cercava proprio dei forestieri per potersi liberamente
confidare. Ci saluta perché deve andare a fare la spesa e ci lascia con in bocca un sapore dolce
amaro che ci fa riflettere ma ci fa anche tornare alla nostra attesa.
Chiama Sansai per avvisare che è arrivato a Firenze, prende la roba e riparte. Sono le 17.30 più o
meno.
Il mio viso affonda ora tra le mani per l’incertezza che il pomeriggio sta prendendo. Ma nonostante
ciò è ancora presto per farsi prendere dallo sconforto. Dopo un bel po’ di tempo finalmente
avvistiamo in lontananza le luci gialle intermittenti del carro attrezzi. Ci siamo, ci vede ed entra
anche lui nel vialetto, comodo per le operazioni di carico moto. Sono in tre: il figlio alla guida
dell’Iveco Daily, il padre che si muove flemmatico e la figlia giovincella che evidentemente non
aveva di meglio da fare nel pomeriggio. Appena scesi si muovono con circospezione intorno alla
moto. Io mi chiedo subito ma che cavolo stai a ronzare, carica la moto e andiamo!
Sbotta il figlio: “Ma tra tutte le moto che c’è proprio una Cagiva vai a comprare!”. Non ho la forza
e la voglia di rispondere. Becco e bastonato mi esce solo un rauco “eh…”. Sideman esce allo
scoperto e replica deciso: “questa moto è stata a Caponord e all’Elefantentreffen!”. Stupore tra i tre
con la figlia che sospira…caponord…
Il pianale posteriore del carro viene abbassato e a spinta issiamo la moto. Si riallinea il pianale,
cavalletto e funi ad incrociare la moto a X. Occhio però che la vedo barcollante. Mi assicuro per più
volte che la moto sia stabile anche se ho il cuore in gola. Intanto l’ometto della fattoria si riavvicina
per stringerci la mano e salutarci definitivamente.
Il furgone è per tre persone e io dove sto??? Indecisione se salire col Sid o nel furgone. Il
capofamiglia mi esorta a salire con loro tanto la figlia sta in collo a lui. OK si può andare, marcia
indietro dal vialetto, si parte direzione S. Vincenzo, provincia di Livorno. Il Sid ci segue a ruota con
la moto e io a ogni curva ho l’occhio sullo specchietto retrovisore per controllare la moto. Ho il
fiato sospeso per tutto il tempo mentre invece la figlia mi guarda come se fossi un alieno. Avrà si è
no 13 anni e d’improvviso mi chiede di Caponord. Non sono molto esaustivo anche perché mi
chiedo cosa possa saperne una ragazza di 13 anni di Caponord.
Raggiungiamo Suvereto e spero di non incontrare i tedeschi che avevo salutato poco prima, sai che
figura sennò…Piano piano raggiungiamo la costa ed entriamo nella zona industriale che,
fortunatamente si trova proprio all’uscita di S. Vincenzo sud della superstrada per Civitavecchia.
Fasi inverse a prima per scendere la moto. Spiego al meccanico la situazione e mi accerto se posso
contare su di lui qualora più tardi avessimo bisogno di qualche attrezzo particolare per sistemarla.
Mi da la sua approvazione con un mugugno e ci congediamo con un ringraziamento da parte mia.
Siamo di nuovo fermi ora. Il Sid propende per andare a cercare un po’ di benzina e non posso che
dargli piena libertà. Così almeno io intanto metto la moto in un posto congeniale nel piazzale e do
un colpo di telefono rassicurante a Valentina.
Splende un caldo sole adesso. Se penso che solo poco fa scrutavamo titubanti un cielo incattivito
come poche altre volte e che invece ci ha dispensato da una tediosa acquata…mi spalmo sulla moto
come se fosse un lettino al Bagno Maria di Viareggio e mi godo insieme a Francesco che nel
frattempo è tornato, questo breve momento di tranquillità. Fantastichiamo sul futuro del rientro di
stasera e pensiamo che se tutto va bene probabilmente piano piano riusciamo a rientrare. “Magari ti
metti a 80 all’ora” dice il Sid. “Almeno 100 km/h!” sboroneggio io.
Facciamo anche un totorario di arrivo di Sansai e più o meno ci diamo. Sono circa le 19.15 quando
a tutta birra una fiesta grigia entra sfareggiando nel piazzale. Non avevo dubbi sul fatto che Sansai
avrebbe dato tutto per arrivare quanto prima e non avevo dubbi che interpretasse al meglio le poche
indicazioni dategli via sms per raggiungerci.
Siamo di nuovo tutti e tre assieme e sono estremamente felice perché ora è il momento cruciale
dove davvero ci mettiamo alla prova. Senza perdite di tempo Sansai estrae cavalletto e mitica
valigia attrezzi iperaccessoriata. Resuscita la catena alla quale si affianca ora la falsa maglia da
utilizzare per unire i due estremi separati. Non so se sapete cos’è una falsa maglia. Sinceramente ne
sapevo poco anche io ma visto che ci siamo ve lo spiego velocemente. In pratica è un pezzo di
metallo a forma di otto con all’interno delle asole due cilindretti che vanno ad abbracciare le due
estremità della catena infilandosi nei relativi fori delle maglie e il tutto viene poi chiuso da un altro
pezzo di ferro a forma di 8 che si incastra nei due cilindretti. Facile a dirsi, meno facile all’atto
pratico se le misure non sono quelle giuste ovvero se i cilindretti non fuoriescono sufficientemente
in modo da poter chiudere la morsa. Visto che con le pinze a disposizione non si riesce a fare forza,
vado a chiederle al meccanico, che nel frattempo è andato al bar. Arriva sempre con la sua flemma
ma almeno mi da tutto il materiale…anche se poi non occorrerà visto che il problema non è la forza
ma trovare il modo di far uscire questi cilindretti. Una soluzione è limare il pezzo a forma di 8. E
allora dagli di lima e lima e poi smussa qui abbassa qua e sgrat sgrat sgrat. Sansai ci mette tutto il
suo impegno e ingegno. Io e Sid diamo solo un piccolo sostegno. Ma questi cilindretti non ne
vogliono sapere di uscire almeno un paio di mm. Dobbiamo decidere il da farsi. Limiamo ancora?
Forziamo con le pinze? E’ un momento cruciale. Si decide per limare fino in fondo e rischiare in tal
senso. Sansai ancora giù di lima con forza e precisione. Ora basta lima. Quel che c’è c’è, ovvero i
cilindretti fuoriescono di circa un mm. Forse troppo poco ma ormai dobbiamo tentare. Tocca al
punteruolo che in teoria dovrebbe spanare la cima dei cilindri e renderla quindi il collante di tutto.
Al primo colpo non succede niente. Niente neanche al secondo e al terzo. Cosa stiamo sbagliando?
Cosa c’è che non va?. Niente non va, non funziona, ma cosa volevamo fare? Ma chi ci crediamo di
essere, fare queste imprese per arrivare a nulla. “Al diavolo ragazzi, abbiamo tentato e ormai si è
fatto tardi. Basta la lascio qua e vengo a riprenderla in settimana nuova in qualche modo. Basta
andiamo via”.
Sento gli occhi puntati di Sideman e Sansai verso di me. Sprizzano grinta e tenacia e mi
intimoriscono. Sansai prende il martello più duro dalla cassetta. L’altro ce l’ha Sideman che lo
usava per reggere i contraccolpi del punteruolo. Sansai comincia a menare colpi diretti e precisi a
quella caspita di maglia. Vedo che Sideman non ce la fa a reggere i contraccolpi seppur sia riuscito
ad incastrare la testa del martello tra corona e cerchione. Le mie mani senza pensarci si uniscono
alle sue a reggere il martello che ora è fermo e offre una solida base ai colpi di Sansai. Sansai che
picchia e mena e colpisce forte e ancora più forte su quel mm di cilindretto che si sta spianando.
Colpi che echeggiano tra i fabbricati di questa zona industriale e rimbombano e rimbalzano con
rabbia. E martella Sansai ancora e ancora finché non vede che quel benedetto pezzo a forma di 8 sta
ormai fermo e immobile abbracciato alla catena e stretto nella morsa della falsa maglia.
Respiro affannato dei tre, la catena è rimontata. Con incredulità ci guardiamo e sorridiamo.
Chissà se funzionerà…possiamo solo provare. E ora tocca a me. Non ci capisco nulla di meccanica
se non alcune flebili basi. Ma nella guida so di poter contare su tanta esperienza accumulata negli
anni. Prima di scendere la moto dal cavalletto facciamo un giro a ruota libera. Accendo e ingrano la
prima. TRUC, motore spento, cavolo il cavalletto laterale abbassato. Tiro su e riaccendo. Innesto la
prima, SCLANG, la catena sussulta e gira timidamente appena rilascio piano la frizione…gira e
cambio marcia e poi scalo e poi ricambio, la catena continua a girare…cavolo se gira…
Giù dal cavalletto, si fa un breve test come prima un camion che è passato a testare il motore per 4
volte nel piazzale. Timidamente rilascio la frizione e parto…sono partito e sto andando ma mi sento
tanto insicuro…però faccio il giro della piazza, la catena tiene! Mi fermo e grido: “80!”. Strappo
una risata a Francesco mentre a Sansai questa dovremo spiegarla.
Si è confermato tra di noi uno spirito di gruppo e un affiatamento lodevoli e ammirevoli. Io devo
esternare la mia commozione e mi lascio andare ad un lungo abbraccio con Sansai. Lo so, può
apparire una scena penosa ma in quel momento mi è venuto naturale e non è che posso stare tanto a
pensarci su ‘ste cose.
Ora c’è da tornare a casa e quindi tocca a me dare il meglio. E’ il mio momento.
Ci rivestiamo e ci rammarichiamo di non aver fatto foto durante le operazioni ma sinceramente era
l’ultima cosa a cui potevamo pensare. Ne facciamo giusto un paio a mani lerce per la tanta morchia
pasticciata. Si parte con Sideman dietro a me e Sansai in auto a chiudere il terzetto.
C’è da superare il viadotto e poi il curvone in discesa che immette nella corsia di accelerazione.
Non uso il freno motore e scalo senza lasciare la frizione. In questo modo non creo sussulti alla
catena. Guido il più lineare possibile. Si entra nella superstrada. Ho la terza ingranata, infilo la 4^ e
poi dolcemente la 5^ fino a 5000 giri e 88 km/h e qui mi stabilizzo. A questo punto finisce
l’adrenalina in circolo e mi sento ai muscoli uno spasmo di tranquillità. Non contengo gli occhi che
si irrorano e un nodo alla gola mi agguanta e non mi fa deglutire. Due lacrime grandi così stanno
sospese sul bordo delle mie ciglia. Ho due amici straordinari.
Grazie Sansai, Grazie Francesco.
Federico