Le ombre di Selca «Era una discarica per gli Australiani»
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Le ombre di Selca «Era una discarica per gli Australiani»
L’ECO DI BERGAMO 30 MARTEDÌ 19 GENNAIO 2016 Provincia Una minaccia per la salute della gente e del lago Il caso della Selca tocca da vicino anche la Bergamasca: i rifiuti nella ditta camuna sono una minaccia anche per la salute e la gente del lago [email protected] www.ecodibergamo.it/cronaca/section/ Le ombre di Selca «Era una discarica per gli Australiani» L’udienza. I titolari accusati di traffico illecito di rifiuti La Forestale spiega come il materiale veniva dall’estero SEBINO GIUSEPPE ARRIGHETTI La Selca era un’enorme discarica per rifiuti speciali provenienti da tutto il mondo ma funzionava come una qualsiasi piattaforma ecologica comunale: per smaltire i rifiuti, dovevi pagare. E poi l’azienda li rivendeva, guadagnandoci così due volte. Anzi tre perché, questa è l’accusa del processo che a Brescia vede imputati i fratelli Ivano e Flavio Bettoni, gli ex titolari dell’azienda di Berzo Demo, i rifiuti non venivano neppure trattati a dovere. Ieri mattina in Tribunale, di fronte al giudice Maria Chiara Minazzato, è entrato nel vivo il processo che vede i due imprenditori camuni alla sbarra con l’accusa di falso e di traffico illecito di rifiuti. Dopo le tre udienze che nel 2015 si erano risolte solo in smistamenti tecnici o rinvii per incompatibilità e per assenze, è iniziata la deposizione dei testi citati dalla pubblica accusa. Il sostituto procuratore Alberto Rossi ha interrogato gli agenti del Corpo forestale dello stato e i militari della Guardia di finanza che hanno indagato sui traffici della Selca fra il 2002 e il 2010. Il primo a parlare in aula è stato l’assistente capo della Forestale William Stival che ha ricostruito il ciclo dei rifiuti provenienti dall’Australia: «La multinazionale Tomago ha spedito a Marghera due navi da 8 mila tonnellate ciascuna cariche di rifiuti provenienti dalla demolizione delle celle elettrolitiche prima impiegate per la produzione dell’alluminio. Era previsto anche l’arrivo di una terza nave, ma le indagini ne hanno bloccato la spedizione. Queste celle elettrolitiche demolite erano identificate con i codici Cer 16.11.01 e 16.11.03 (rivestimenti e materiali refrattari a base di carbone o altri materiali provenienti dalle lavorazioni metallurgiche, contenenti 1 I sopralluoghi di controllo? Ogni volta gli impianti erano fermi per manutenzione sostanze pericolose, ndr). La Tomago pagava alla Selca, per ogni tonnellata che questa ritirava, 145 euro; in più la multinazionale australiana si accollava l’intero costo della spedizione transoceanica». Stival ha effettuato due sopralluoghi all’interno della Selca, potendo così osservare da vicino gli impianti ma in nessun caso questi erano in funzione: «Ci dicevano che erano fermi per manutenzione o per piccoli guasti; in pratica non abbiamo mai visto funzionare nulla». Nel corso delle indagini la Forestale Tonnellate di scarti che «non volevano neanche in Cina» Ieri pomeriggio in Tribunale a Brescia sono poi stati interrogati due militari della Guardia di Finanza che facevano parte del nucleo investigativo di Brescia per la tutela ambientale. Sono stati loro a dare un quadro delle dimensioni del business che stava alla base delle attività della Selca, basato su un triplice guadagno: si faceva pagare per ritirare i rifiuti perico- efJfznfTvwFWq0fZqf2jXl0dY1wCCzWs9oQlg7uLm4s= losi; non li trattava come avrebbe dovuto; infine li rivendeva. In base alle verifiche delle Fiamme gialle eseguite sul materiale presente in magazzino e sui documenti trovati in azienda, nell’anno solare 2009 la Selca ha ritirato 24 mila tonnellate di rifiuti, di cui 20 mila pericolosi, e con questi rifiuti ha realizzato 27 mila tonnellate di prodotto finito. «Ma a rendere – hanno sottoli- ha poi seguito a ritroso il percorso di questi rifiuti, teoricamente trattati e quindi teoricamente definibili «prodotti»: «A luglio 2009 un carico è uscito dagli stabilimenti di Forno Allione e sono stati riportati a Marghera per essere imbarcati sulla motonave “Antonella” con destinazione un cementificio della Croazia». Ma a cosa servivano questi prodotti? Lo ha spiegato Riccardo Mortarotti, rappresentante della Drycarbo Srl, una società con sede legale a Bagnolo Mella, sede amministrativa a Castelcovati e sede operativa in Liguria, specializzata nella compravendita di carboni destinati alla acciaierie e ai cementifici. Come per i fratelli Bettoni, su Mortarotti pendevano le accuse di falso e traffico illecito di rifiuti ma il manager ligure in sede di udienza preliminare ha patteggiato la pena: «La Selca a noi forniva due tipi di carbone: l’antracite e il coke metallurgico. In un cementificio viene utilizzato come combustibile; in siderurgia è la materia prima che, unita al ferro, permette la produzione dell’acciaio. Quando la Selca ci vendeva qualcosa, ci forniva le relative analisi e con loro non abbiamo mai avuto problemi fino all’episodio del 10 febbraio 2010». Quel giorno, un carico partito da Forno Allione doveva arrivare alle Acciaierie Beltrame di Torino: la Drycarbo compra il neato i due – era principalmente la fase del ritiro: in quell’anno la Selca ha raccolto 4 milioni di euro; la vendita del loro prodotto aveva fruttato invece 1 milione e 200 mila euro». Quanto ai rifiuti dalla australiana Tomago, un investigatore fuori aula si è lasciato sfuggire: «Neanche in Cina li volevano… eppure la nave gli passava davanti. Come mai finivano allora sulle sponde del fiume Oglio?». L’accusa del processo è proprio questa: che la Selca si fosse fatta un nome in tutto il mondo come l’azienda che era in grado di lavorare le celle elettrolitiche ormai demolite, ma che in realtà fosse un’enorme pattumiera che poi svuotava il suo cestino in giro per l’Italia e l’Europa. «Questo è quanto dovrà di- «prodotto» dalla Selva, lo affida a un autotrasportatore e lo stesso autista cambia la bolla di accompagnamento «per una mera prassi commerciale – ha spiegato lo stesso Mortarotti – perché il nostro lavoro era proprio quello di intermediario commerciale». Il camion arriva a Torino ma è scortato dagli agenti della Forestale che entrano alla Beltrame e che raccolgono un campione di questo presunto carbone; la Drycarbo a quel punto interrompe il rapporto con i fratelli Bettoni «sapendo – ha concluso Mortarotti – che quando ci sono di mezzo i rifiuti, il terreno diventa estremamente pericoloso». Gli impianti dove passavano materiali provenienti dall’estero ©RIPRODUZIONE RISERVATA mostrare il processo – spiega Francesco Menini, avvocato di parte civile per il Comune di Berzo Demo e la Comunità montana di Valle Camonica, soddisfatto perché finalmente, dopo le tre udienze andate a vuoto nel 2015, il processo è entrato nel vivo – il pericolo della prescrizione sembra essere definitivamente scongiurato». Ma non fa una piega il suo collega Gianluigi Bezzi, difensore di Flavio Bettoni: «I tempi della giustizia non dipendono dagli avvocati, e per di più siamo convinti di poter dimostrare nel merito che i nostri assistiti sono estranei ai fatti che gli vengono contestati. La loro condotta è sempre stata legale e lecita». Il 21 marzo la prossima udienza. Tonnellate di rifiuti stoccate all’interno dell’azienda G. Ar. L’ECO DI BERGAMO 31 MARTEDÌ 19 GENNAIO 2016 LA PROPOSTA Un cocktail che preoccupava Dall’Europa il no decisivo A prima vista era un cocktail piuttosto inquietante quello proposto dal cementificio del Gruppo Sacci di Tavernola. L’idea di impiegare come combustibili alternativi farine e grassi animali, rifiuti urbani, carta e plastica e pure gomme triturate. Gli im- pianti - era stato garantito dai tecnici - erano in grado di bruciare senza problemi questo mix di materiali molto diversi. Una certezza che comunque non ha contagiato molti cittadini e amministratori locali che hanno chiesto a più riprese garanzie e verifiche sull’eventuale impatto per l’ambiente e la salute. A dare un taglio netto ad un confronto che rischiava di estendersi sui fronti della protesta e dei ricorsi è stata la tanto criticata - forse non questa volta - Unione europea con una normativa più severa sulle emissioni in atmosfera. Per il fronte del no è quasi una vittoria a tavolino, ma per ora è il risultato che conta. Tavernola, resta alta la guardia dopo lo stop ai rifiuti da bruciare Il cementificio. Soddisfazione di amministratori e cittadini per la rinuncia della Sacci all’uso degli scarti, ma si teme il dietrofront della nuova proprietà Francesco Caltagirone che ha offerto 125 milioni di euro superando la precedente offerta della Buzzi Unicem. Si saprà qualcosa il prossimo marzo quando si terrà l’assemblea dei creditori. TAVERNOLA MARGARY FRASSI La sede della ditta Selca di Berzo Demo. La società è fallita e nell’area sono rimasti rifiuti pericolosi: una autentica bomba ambientale Le reazioni Il cementificio del Gruppo Sacci è in attesa di nuovi acquirenti Ambiente e lavoro Il curatore fallimentare Nuovi passi per la bonifica Lavori in vista nei capannoni «Il Comune di Berzo Demo inizierà a brevissimo le operazioni di messa in sicurezza sui rifiuti giacenti nei piazzali all’esterno degli stabilimenti di Forno Allione di proprietà del Fallimento». A dare questa notizia è il commercialista brenese Giacomo Ducoli, curatore fallimentare della Selca, su Facebook dove pubblica gli aggiornamenti relativi all’ex sito industriale di Forno Allione. Dunque i 242 mila euro stanziati dalla Regione per Imposta dalla nuova normativa europea che stabilisce parametri restrittivi in fatto di emissioni in atmosfera o da altri motivi, sta di fatto che il cementificio di Tavernola del Gruppo Sacci ha rinunciato all’uso dei combustibili alternativi nel forno del cementificio di Tavernola, con buona serenità dei cittadini da anni sulle barricate per evitare il coincenerimento . E la rinuncia significa che il cementificio non ha più alcuna autorizzazione per l’uso di farine e grassi animali, Cdr (rifiuti urbani), Css (combustibile solido secondario, un mix di rifiuti, soprattutto carta e plastica, non pericolosi) e gomme triturate, e che se vorrà in futuro utilizzare qualche combustibile diverso dal pet coke in uso dovrà chiedere una nuova autorizzazione con tutto ciò che ne consegue. rimuovere dai capannoni i cumuli di rifiuti verranno presto spesi. È ancora di là da venire invece la bonifica (cioè l’asportazione e lo smaltimento): si prosegue con le operazioni di analisi dei rifiuti e dei suoli per completare i piani di caratterizzazione, preliminari alla bonifica vera e propria. È invece terminata, prima di Natale, la prima parte dei lavori di rifacimento delle coperture e di rimozione delle lastre di amianto. «Questo è un po’ il pensiero dominante in paese all’indomani della buona novella, accolta con grande soddisfazione dalla popolazione penalizzata dalla presenza di oltre cent’anni di escavazione e di polvere – sottolinea il vicesindaco Joris Pezzotti da anni in prima linea per contrastare questo progetto –. L’impatto ambientale del cementificio è un dato oggettivo e visibile anche se oggi la situazione rispetto al passato è migliorata. Come è innegabile che il cementificio abbia avuto e abbia tuttora un ruolo importante nella nostra economia. Ma le sensibilità sono cambiate e la gente, oltre a preoccuparsi della pa- 1 Il vicesindaco: le sensibilità sono cambiate, la gente si preoccupa del suo ambiente di vita 1 Consoli della minoranza: è un passo avanti, ma siamo in attesa degli sviluppi gnotta, si preoccupa soprattutto del suo ambiente di vita, visto che il cementificio è a ridosso del paese. Per questa ragione su questo versante non dobbiamo abbassare la guardia». Soddisfatto del risultato anche Alberto Consoli, capogruppo consigliare di minoranza di «Progetto Tavernola». La situazione della Sacci «Si tratta di un passo in avanti e al momento lo accogliamo con favore. Siamo in attesa degli sviluppi della vicenda Sacci per poter approfondire la questione», commenta. La Sacci è infatti in concordato preventivo e in attesa che qualcuno la acquisti: potrebbe essere la Cementir di «Una notizia che dà finalmente un po’ di serenità alla popolazione, riconosce il duro lavoro fatto dall’amministrazione comunale, riconosce l’esito del referendum, incoraggia il turismo e salvaguarda la salute», commenta su Facebook lo storico maestro elementare Pietro Bettoni. «Sono stata sempre contraria e quindi è una bella notizia – afferma Arezia Foresti del gruppo “No al cementificio inceneritore sul lago d’Iseo” –. Certo mi preoccupano le saltuarie emissioni e quindi vorrei più controlli». Ma ci sono anche gli scettici che, pur prendendo atto della rinuncia, sollevano dubbi. «Bisogna dargli l’importanza che ha, ben poca – scrive sempre su Facebook Claudio Colosio –. Oddio meglio che ci sia stata questa decisione che il contrario, sia chiaro, ma aspetterei a sparare i mortaretti. La Sacci è sul baratro economico-finanziario se non proprio fallita. Non è mistero da mesi che la questione è: chi se la piglia? E quindi... in attesa che chi se la piglia faccia la medesima promessa». Qualcun altro commenta che «sarebbe un’ottima notizia se questa decisione fosse vincolante anche per le future proprietà». Replica Pezzotti: «Non ci sono dubbi in proposito: la rinuncia è vincolante anche per chi verrà». ©RIPRODUZIONE RISERVATA Il presidente Rossi: «È finita una battaglia esito positivo del lavoro di squadra» «Grande vittoria del territorio! Mai molà!», così ha postato su Facebook il presidente della Provincia Matteo Rossi all’indomani della rinuncia del cementificio Sacci di Tavernola al coincenerimento dei rifiuti. La richiesta della società riguardava rifiuti autorizzati dall’Aia (farine e grassi animali, Cdr/Css e gomme triturate) e di fatto mai utilizzati, a parte le farine e i grassi animali il cui uso nei cementifici efJfznfTvwFWq0fZqf2jXl0dY1wCCzWsnWt6f5A/jco= fu imposto per decreto governativo nel 2001 in seguito all’emergenza della Bse (mucca pazza). La collaborazione «L’esito positivo di questa vicenda la si deve ad un grande lavoro di squadra di tutte le forze politiche e alla grandissima collaborazione con l’amministrazione comunale di Tavernola - sottolinea Rossi - Personalmente sono molto soddisfatto perché è il ri- sultato di una lunga battaglia fatta prima come consigliere di opposizione e poi come presidente della Provincia». Chiuso questo capitolo, e tirati i relativi respiri di sollievo da parte del territorio e della politica locale, però se ne potrebbe aprire un altro se i futuri acquirenti del Gruppo Sacci, che è in concordato preventivo, dovessero avanzare richieste di utilizzare altri combustibili. Riguardo a questo aspetto non trascurabile Rossi puntualizza: «Bisogna dire che le nuove normative limitano la nostra discrezionalità politica che è praticamente quasi nulla in quanto c’è un preciso iter istruttorio da seguire. Tuttavia ritengo che il ruolo della Provincia sia importante nell’accompagnare questi percorsi, come abbiamo fatto per esempio con Italcementi, e soprattutto nel tener conto delle istanze territoriali». Mar. Fra. Il presidente Rossi soddisfatto dopo lo stop all’uso dei rifiuti