Le ombre di Selca «Era una discarica per gli Australiani»

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Le ombre di Selca «Era una discarica per gli Australiani»
L’ECO DI BERGAMO
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MARTEDÌ 19 GENNAIO 2016
Provincia
Una minaccia per la salute
della gente e del lago
Il caso della Selca tocca da vicino anche la Bergamasca: i rifiuti nella ditta camuna sono una
minaccia anche per la salute e la gente del lago
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Le ombre di Selca
«Era una discarica
per gli Australiani»
L’udienza. I titolari accusati di traffico illecito di rifiuti
La Forestale spiega come il materiale veniva dall’estero
SEBINO
GIUSEPPE ARRIGHETTI
La Selca era un’enorme discarica per rifiuti speciali
provenienti da tutto il mondo
ma funzionava come una qualsiasi piattaforma ecologica comunale: per smaltire i rifiuti,
dovevi pagare. E poi l’azienda li
rivendeva, guadagnandoci così
due volte. Anzi tre perché, questa è l’accusa del processo che a
Brescia vede imputati i fratelli
Ivano e Flavio Bettoni, gli ex titolari dell’azienda di Berzo Demo, i rifiuti non venivano neppure trattati a dovere.
Ieri mattina in Tribunale, di
fronte al giudice Maria Chiara
Minazzato, è entrato nel vivo il
processo che vede i due imprenditori camuni alla sbarra con
l’accusa di falso e di traffico illecito di rifiuti. Dopo le tre udienze che nel 2015 si erano risolte
solo in smistamenti tecnici o
rinvii per incompatibilità e per
assenze, è iniziata la deposizione dei testi citati dalla pubblica
accusa. Il sostituto procuratore
Alberto Rossi ha interrogato gli
agenti del Corpo forestale dello
stato e i militari della Guardia di
finanza che hanno indagato sui
traffici della Selca fra il 2002 e il
2010.
Il primo a parlare in aula è
stato l’assistente capo della Forestale William Stival che ha ricostruito il ciclo dei rifiuti provenienti dall’Australia: «La
multinazionale Tomago ha spedito a Marghera due navi da 8
mila tonnellate ciascuna cariche di rifiuti provenienti dalla
demolizione delle celle elettrolitiche prima impiegate per la
produzione dell’alluminio. Era
previsto anche l’arrivo di una
terza nave, ma le indagini ne
hanno bloccato la spedizione.
Queste celle elettrolitiche demolite erano identificate con i
codici Cer 16.11.01 e 16.11.03 (rivestimenti e materiali refrattari
a base di carbone o altri materiali provenienti dalle lavorazioni metallurgiche, contenenti
1 I sopralluoghi
di controllo? Ogni
volta gli impianti
erano fermi
per manutenzione
sostanze pericolose, ndr). La
Tomago pagava alla Selca, per
ogni tonnellata che questa ritirava, 145 euro; in più la multinazionale australiana si accollava
l’intero costo della spedizione
transoceanica».
Stival ha effettuato due sopralluoghi all’interno della Selca, potendo così osservare da vicino gli impianti ma in nessun
caso questi erano in funzione:
«Ci dicevano che erano fermi
per manutenzione o per piccoli
guasti; in pratica non abbiamo
mai visto funzionare nulla». Nel
corso delle indagini la Forestale
Tonnellate di scarti
che «non volevano
neanche in Cina»
Ieri pomeriggio in Tribunale a Brescia sono poi stati
interrogati due militari della
Guardia di Finanza che facevano parte del nucleo investigativo di Brescia per la tutela ambientale. Sono stati loro a dare
un quadro delle dimensioni del
business che stava alla base delle
attività della Selca, basato su un
triplice guadagno: si faceva pagare per ritirare i rifiuti perico-
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losi; non li trattava come avrebbe dovuto; infine li rivendeva. In
base alle verifiche delle Fiamme
gialle eseguite sul materiale presente in magazzino e sui documenti trovati in azienda, nell’anno solare 2009 la Selca ha ritirato 24 mila tonnellate di rifiuti, di cui 20 mila pericolosi, e con
questi rifiuti ha realizzato 27 mila tonnellate di prodotto finito.
«Ma a rendere – hanno sottoli-
ha poi seguito a ritroso il percorso di questi rifiuti, teoricamente trattati e quindi teoricamente definibili «prodotti»: «A
luglio 2009 un carico è uscito
dagli stabilimenti di Forno Allione e sono stati riportati a
Marghera per essere imbarcati
sulla motonave “Antonella” con
destinazione un cementificio
della Croazia».
Ma a cosa servivano questi
prodotti? Lo ha spiegato Riccardo Mortarotti, rappresentante
della Drycarbo Srl, una società
con sede legale a Bagnolo Mella,
sede amministrativa a Castelcovati e sede operativa in Liguria, specializzata nella compravendita di carboni destinati alla
acciaierie e ai cementifici. Come per i fratelli Bettoni, su Mortarotti pendevano le accuse di
falso e traffico illecito di rifiuti
ma il manager ligure in sede di
udienza preliminare ha patteggiato la pena: «La Selca a noi forniva due tipi di carbone: l’antracite e il coke metallurgico. In un
cementificio viene utilizzato
come combustibile; in siderurgia è la materia prima che, unita
al ferro, permette la produzione
dell’acciaio. Quando la Selca ci
vendeva qualcosa, ci forniva le
relative analisi e con loro non
abbiamo mai avuto problemi fino all’episodio del 10 febbraio
2010».
Quel giorno, un carico partito
da Forno Allione doveva arrivare alle Acciaierie Beltrame di
Torino: la Drycarbo compra il
neato i due – era principalmente
la fase del ritiro: in quell’anno la
Selca ha raccolto 4 milioni di euro; la vendita del loro prodotto
aveva fruttato invece 1 milione e
200 mila euro».
Quanto ai rifiuti dalla australiana Tomago, un investigatore
fuori aula si è lasciato sfuggire:
«Neanche in Cina li volevano…
eppure la nave gli passava davanti. Come mai finivano allora
sulle sponde del fiume Oglio?».
L’accusa del processo è proprio
questa: che la Selca si fosse fatta
un nome in tutto il mondo come
l’azienda che era in grado di lavorare le celle elettrolitiche ormai
demolite, ma che in realtà fosse
un’enorme pattumiera che poi
svuotava il suo cestino in giro
per l’Italia e l’Europa.
«Questo è quanto dovrà di-
«prodotto» dalla Selva, lo affida
a un autotrasportatore e lo stesso autista cambia la bolla di accompagnamento «per una mera prassi commerciale – ha spiegato lo stesso Mortarotti – perché il nostro lavoro era proprio
quello di intermediario commerciale». Il camion arriva a
Torino ma è scortato dagli agenti della Forestale che entrano alla Beltrame e che raccolgono un
campione di questo presunto
carbone; la Drycarbo a quel
punto interrompe il rapporto
con i fratelli Bettoni «sapendo –
ha concluso Mortarotti – che
quando ci sono di mezzo i rifiuti,
il terreno diventa estremamente pericoloso».
Gli impianti dove passavano materiali provenienti dall’estero
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mostrare il processo – spiega
Francesco Menini, avvocato di
parte civile per il Comune di
Berzo Demo e la Comunità
montana di Valle Camonica,
soddisfatto perché finalmente,
dopo le tre udienze andate a
vuoto nel 2015, il processo è entrato nel vivo – il pericolo della
prescrizione sembra essere definitivamente scongiurato». Ma
non fa una piega il suo collega
Gianluigi Bezzi, difensore di
Flavio Bettoni: «I tempi della
giustizia non dipendono dagli
avvocati, e per di più siamo convinti di poter dimostrare nel
merito che i nostri assistiti sono
estranei ai fatti che gli vengono
contestati. La loro condotta è
sempre stata legale e lecita». Il
21 marzo la prossima udienza.
Tonnellate di rifiuti stoccate all’interno dell’azienda
G. Ar.
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LA PROPOSTA
Un cocktail che preoccupava
Dall’Europa il no decisivo
A
prima vista era un
cocktail piuttosto inquietante quello
proposto dal cementificio del Gruppo
Sacci di Tavernola. L’idea di impiegare come combustibili alternativi farine e grassi animali,
rifiuti urbani, carta e plastica e
pure gomme triturate. Gli im-
pianti - era stato garantito dai
tecnici - erano in grado di bruciare senza problemi questo mix
di materiali molto diversi. Una
certezza che comunque non ha
contagiato molti cittadini e amministratori locali che hanno
chiesto a più riprese garanzie e
verifiche sull’eventuale impatto
per l’ambiente e la salute. A dare
un taglio netto ad un confronto
che rischiava di estendersi sui
fronti della protesta e dei ricorsi
è stata la tanto criticata - forse
non questa volta - Unione europea con una normativa più severa sulle emissioni in atmosfera.
Per il fronte del no è quasi una
vittoria a tavolino, ma per ora è il
risultato che conta.
Tavernola, resta alta la guardia
dopo lo stop ai rifiuti da bruciare
Il cementificio. Soddisfazione di amministratori e cittadini per la rinuncia
della Sacci all’uso degli scarti, ma si teme il dietrofront della nuova proprietà
Francesco Caltagirone che ha
offerto 125 milioni di euro superando la precedente offerta della Buzzi Unicem. Si saprà qualcosa il prossimo marzo quando
si terrà l’assemblea dei creditori.
TAVERNOLA
MARGARY FRASSI
La sede della ditta Selca di
Berzo Demo. La società è
fallita e nell’area sono rimasti
rifiuti pericolosi: una
autentica bomba ambientale
Le reazioni
Il cementificio del Gruppo Sacci è in attesa di nuovi acquirenti
Ambiente e lavoro
Il curatore fallimentare
Nuovi passi per la bonifica
Lavori in vista nei capannoni
«Il Comune di Berzo Demo inizierà
a brevissimo le operazioni di
messa in sicurezza sui rifiuti giacenti nei piazzali all’esterno degli
stabilimenti di Forno Allione di
proprietà del Fallimento». A dare
questa notizia è il commercialista
brenese Giacomo Ducoli, curatore
fallimentare della Selca, su Facebook dove pubblica gli aggiornamenti relativi all’ex sito industriale
di Forno Allione. Dunque i 242 mila
euro stanziati dalla Regione per
Imposta dalla nuova
normativa europea che stabilisce parametri restrittivi in fatto
di emissioni in atmosfera o da
altri motivi, sta di fatto che il
cementificio di Tavernola del
Gruppo Sacci ha rinunciato all’uso dei combustibili alternativi nel forno del cementificio di
Tavernola, con buona serenità
dei cittadini da anni sulle barricate per evitare il coincenerimento .
E la rinuncia significa che il
cementificio non ha più alcuna
autorizzazione per l’uso di farine e grassi animali, Cdr (rifiuti
urbani), Css (combustibile solido secondario, un mix di rifiuti,
soprattutto carta e plastica, non
pericolosi) e gomme triturate,
e che se vorrà in futuro utilizzare qualche combustibile diverso
dal pet coke in uso dovrà chiedere una nuova autorizzazione con
tutto ciò che ne consegue.
rimuovere dai capannoni i cumuli
di rifiuti verranno presto spesi.
È ancora di là da venire invece la
bonifica (cioè l’asportazione e lo
smaltimento): si prosegue con le
operazioni di analisi dei rifiuti e dei
suoli per completare i piani di
caratterizzazione, preliminari alla
bonifica vera e propria. È invece
terminata, prima di Natale, la
prima parte dei lavori di rifacimento delle coperture e di rimozione
delle lastre di amianto.
«Questo è un po’ il pensiero dominante in paese all’indomani
della buona novella, accolta con
grande soddisfazione dalla popolazione penalizzata dalla presenza di oltre cent’anni di escavazione e di polvere – sottolinea
il vicesindaco Joris Pezzotti da
anni in prima linea per contrastare questo progetto –. L’impatto ambientale del cementificio è un dato oggettivo e visibile
anche se oggi la situazione rispetto al passato è migliorata.
Come è innegabile che il cementificio abbia avuto e abbia tuttora un ruolo importante nella
nostra economia. Ma le sensibilità sono cambiate e la gente,
oltre a preoccuparsi della pa-
1 Il vicesindaco:
le sensibilità sono
cambiate, la gente si
preoccupa del suo
ambiente di vita
1 Consoli della
minoranza: è
un passo avanti,
ma siamo in attesa
degli sviluppi
gnotta, si preoccupa soprattutto
del suo ambiente di vita, visto
che il cementificio è a ridosso
del paese. Per questa ragione su
questo versante non dobbiamo
abbassare la guardia». Soddisfatto del risultato anche Alberto Consoli, capogruppo consigliare di minoranza di «Progetto
Tavernola».
La situazione della Sacci
«Si tratta di un passo in avanti
e al momento lo accogliamo con
favore. Siamo in attesa degli sviluppi della vicenda Sacci per poter approfondire la questione»,
commenta. La Sacci è infatti in
concordato preventivo e in attesa che qualcuno la acquisti: potrebbe essere la Cementir di
«Una notizia che dà finalmente
un po’ di serenità alla popolazione, riconosce il duro lavoro fatto
dall’amministrazione comunale, riconosce l’esito del referendum, incoraggia il turismo e salvaguarda la salute», commenta
su Facebook lo storico maestro
elementare Pietro Bettoni. «Sono stata sempre contraria e
quindi è una bella notizia – afferma Arezia Foresti del gruppo
“No al cementificio inceneritore sul lago d’Iseo” –. Certo mi
preoccupano le saltuarie emissioni e quindi vorrei più controlli».
Ma ci sono anche gli scettici
che, pur prendendo atto della
rinuncia, sollevano dubbi. «Bisogna dargli l’importanza che
ha, ben poca – scrive sempre su
Facebook Claudio Colosio –.
Oddio meglio che ci sia stata
questa decisione che il contrario, sia chiaro, ma aspetterei a
sparare i mortaretti. La Sacci è
sul baratro economico-finanziario se non proprio fallita. Non
è mistero da mesi che la questione è: chi se la piglia? E quindi...
in attesa che chi se la piglia faccia la medesima promessa».
Qualcun altro commenta che
«sarebbe un’ottima notizia se
questa decisione fosse vincolante anche per le future proprietà». Replica Pezzotti: «Non ci
sono dubbi in proposito: la rinuncia è vincolante anche per
chi verrà».
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il presidente Rossi: «È finita una battaglia
esito positivo del lavoro di squadra»
«Grande vittoria del
territorio! Mai molà!», così
ha postato su Facebook il
presidente della Provincia
Matteo Rossi all’indomani
della rinuncia del cementificio Sacci di Tavernola al coincenerimento dei rifiuti.
La richiesta della società
riguardava rifiuti autorizzati
dall’Aia (farine e grassi animali, Cdr/Css e gomme triturate) e di fatto mai utilizzati,
a parte le farine e i grassi animali il cui uso nei cementifici
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fu imposto per decreto governativo nel 2001 in seguito
all’emergenza della Bse
(mucca pazza).
La collaborazione
«L’esito positivo di questa vicenda la si deve ad un grande
lavoro di squadra di tutte le
forze politiche e alla grandissima collaborazione con
l’amministrazione comunale
di Tavernola - sottolinea Rossi - Personalmente sono molto soddisfatto perché è il ri-
sultato di una lunga battaglia
fatta prima come consigliere
di opposizione e poi come
presidente della Provincia».
Chiuso questo capitolo, e
tirati i relativi respiri di sollievo da parte del territorio e
della politica locale, però se
ne potrebbe aprire un altro se
i futuri acquirenti del Gruppo Sacci, che è in concordato
preventivo, dovessero avanzare richieste di utilizzare altri combustibili.
Riguardo a questo aspetto
non trascurabile Rossi puntualizza: «Bisogna dire che le
nuove normative limitano la
nostra discrezionalità politica che è praticamente quasi
nulla in quanto c’è un preciso
iter istruttorio da seguire.
Tuttavia ritengo che il ruolo
della Provincia sia importante nell’accompagnare questi
percorsi, come abbiamo fatto
per esempio con Italcementi,
e soprattutto nel tener conto
delle istanze territoriali».
Mar. Fra.
Il presidente Rossi soddisfatto dopo lo stop all’uso dei rifiuti