Psicologia e Medicina applicate al lavoro

Transcript

Psicologia e Medicina applicate al lavoro
Psicologia e Medicina applicate al lavoro
Note metodologiche per la valutazione del rischio stress lavoro correlato
ai sensi del d.lgs 81/08 e successive modifiche.
Introduzione
In questo momento di particolare fermento riguardo al tema degli aspetti tecnici della valutazione del rischio
stress lavoro correlato, e in attesa delle indicazioni della Commissione Consultiva ex art. 6 d.lgs 81/08 e successive
modificazioni, in qualità di professionisti direttamente coinvolti in valutazioni del rischio stress lavoro correlato in
contesti occupazionali dei più svariati, nonché in virtù della pluriennale collaborazione con ISMOB, si ritiene utile
segnalare alcuni aspetti di criticità nell’applicazione pratica delle principali proposte metodologiche presenti a livello
nazionale. Naturalmente in questa sede non si ha pretesa di esaustività, né volutamente si è dato spazio ai riferimenti
bibliografici sostenenti quanto scritto. Questa scelta è stata dettata da necessità di brevità e dalla consapevolezza che il
fruitore tipo di questo testo sia persona esperta dell’argomento. Si spera solamente che le seguenti annotazioni possano
essere un utile spunto di riflessione, contribuendo a “inserire” nella discussione gli elementi problematici vissuti sul
campo dagli operatori del settore e dalle aziende.
Analisi del problema
Prima di delineare alcune possibili integrazioni alle più autorevoli proposte metodologiche pare utile analizzare le
principali criticità emerse dall’applicazione pratica di quanto proposto a livello di letteratura e dalle Linee Guida
nazionali.
o
o
o
o
La mera applicazione di test psicologici e/o psicosociali così come di check-list, per quanto ben costruite,
appare inappropriata in quanto falsificabili da parte dei rispondenti, siano essi i lavoratori ai quali viene
chiesta la loro percezione del fenomeno, siano essi i datori di lavoro o gli attori della sicurezza. Per quanto
riguarda i test in particolare, nessuno di quelli attualmente in commercio include delle sottoscale di
valutazione della menzogna (scale Lie). Di conseguenza questo genere di strumenti appare poco attendibile in
situazioni ad elevata conflittualità, dove potrebbero essere facilmente strumentalizzati per altri fini. Nessuna
rilevazione della percezione soggettiva (sia essa diretta o indiretta, quantitativa o qualitativa) può essere
attendibile senza aver prima instaurato un clima di partecipazione e di fiducia sull’importanza ed
efficacia dell’intervento.
Dalle Linee Guida analizzate traspare una sostanziale sottovalutazione alle positività organizzative, che sono
un elemento imprescindibile per poter predire gli effetti dello stress sui lavoratori1. Come tutti sanno, lo stress
negativo deriva dall’eccedenza delle richieste rispetto alle risorse (personali e organizzative) disponibili per
farvi fronte. Un’analisi del rischio stress che non consideri le risorse (in particolare quelle organizzative)
ma solo le richieste/criticità è incoerente rispetto al costrutto di stress stesso, e quindi non valida.
In molte dei documenti presi in esame non viene raccomandata un’analisi del rischio in senso stretto. Al suo
posto vengono indicate delle check-list la cui compilazione permette di calcolare valori soglia di cui non sono
chiari i fondamenti epidemiologici. È doveroso diversamente: “Evitare di confondere i metodi con gli
strumenti di valutazione e tenere presente che i criteri di giudizio hanno necessariamente un connotato più
relativo che assoluto (non esistono TLV o soglie predefinite).”2 In questa ottica appare chiaro come la
metodologia di valutazione non possa che passare che da una analisi del rischio classicamente effettuata
tramite algoritmo R=PxD.
Rispetto alla possibilità di verifiche puntuali periodiche appare più opportuno un sistema di gestione del
rischio costante nel tempo, un approccio maggiormente orientato al monitoraggio permette di meglio
osservare la “costanza” dell’esposizione, la cui cronicità assume valenza particolarmente patogena.
1
Magrin, M.E. (2009). Dalla valutazione dei rischi psicosociali alla promozione del benessere. Giornale Italiano di
Medicina del Lavoro ed Ergonomia., 31:2, 207-211.
2
Costa, G. (2009). Inquadramento dello stress lavorativo per la valutazione e gestione del rischio. Giornale Italiano di
Medicina del Lavoro ed Ergonomia., 31:2, 188-190.
Studio Associato ISMEC
del dott. Francesco De Ambrogi e della dott.ssa Elisabetta Ceppi Ratti e dott. Marco Tasca
via A. Stradivari, 8 - 20131 Milano (MI) - C.F. e P. IVA: 05697060969
tel. +39 (0)2 97373461 - fax: +39 (0)2 97373462 - www.ismec.it
Psicologia e Medicina applicate al lavoro
o
o
o
o
o
o
In disaccordo con le Linee Guida PRIMA-EF e con l’Accordo Europeo, viene spesso data molta enfasi agli
strumenti operativi “di misura”, certamente importanti ma suscettibili di aggiornamento tecnico nel tempo e
per i quali è sempre possibile fare riferimento a consulenti esterni come nel caso di tutti gli altri rischi. Per
contro, i documenti analizzati non sembrano porre altrettanta attenzione ad aspetti invece prioritari quali la
gradualità dell’intervento, la sua efficacia, la sensibilizzazione e la responsabilizzazione dei DL e dei
lavoratori tutti.
Stupisce inoltre la mancanza di considerazione riguardante l’effettivo livello di precisione di misura
necessario al contenimento del rischio. In qualunque operazione di misura è necessario decidere quale
precisione la misura stessa dovrà avere per garantire la massima efficacia. Non sempre una misura più precisa
è necessariamente più efficace. In particolare nel caso dello stress, misure estremamente precise possono
risultare controproducenti essendo molto invasive (ad esempio i migliori test sul tema sono molto lunghi e i
lavoratori potrebbero non rispondere sinceramente se non adeguatamente coinvolti), perdendo di fatto
completamente di validità. Per contro a volte, soprattutto nelle prime valutazioni, quando la cultura
organizzativa sull’argomento non è ancora adeguata, una misura meno precisa ma anche meno invasiva,
risulta essere più efficace nell’orientare il DL e il sistema della sicurezza, eventualmente coadiuvato da
consulenti esterni in caso di misure per cui siano richieste competenze specifiche non presenti in azienda, al
monitoraggio del rischio e all’individuazione di eventuali misure correttive, che sono il fine ultimo della
valutazione, che quindi ad esse deve essere adeguata. Infatti, nell’esperienza pratica il vero problema non è
misurare, ma stimare il rischio e individuare le misure correttive necessarie. Non è difficile individuare in
quale azienda o reparto è presente stress, ma capire perché esso è presente e come ridurlo. Altrimenti l’azione
di misurazione non porta alcun beneficio alla salute e sicurezza dei lavoratori ma comporta un mero costo per
l’azienda.
La valutazione non deve essere orientata in funzione dell’ammissibilità o meno alla sorveglianza
sanitaria, ma deve essere soprattutto orientata alla prevenzione e gestione del rischio.
Nella valutazione degli aspetti psicosociali del rischio stress non si devono sottovalutare alcune caratteristiche
dei gruppi sociali. In particolare è importante ricordare che i gruppi minori di 14 individui possono
considerarsi piccoli gruppi, con caratteristiche e dinamiche diverse da quelli di gruppi più numerosi. Di
conseguenza sarà necessario adattare metodi e strumenti.
Indipendentemente dalla natura e dall’origine dei dati (siano essi dati oggettivi quali indici infortunistici,
assenteismo per malattia, etc… o soggetti come i risultati dei test, interviste, etc..), tutte le analisi statistiche
utili alle valutazioni in termini quantitativi del rischio stress, perdono di utilità in caso di gruppi
numericamente ridotti. Infatti in questi casi la variabilità dei dati è eccessivamente influenzata da fluttuazioni
stocastiche che invece si riducono in termini di effetto al crescere della numerosità campionaria. Di fatto
nell’applicazione pratica l’analisi dei dati (oggetti o soggettivi) deve necessariamente essere di tipo
qualitativo in caso di numerosità campionarie esigue. Per contro, la dove i dati lo permettono sarebbe
opportuno utilizzare le statistiche adeguate quali ad esempio: scostamenti dalla media, test di significatività
adeguati, ed eventualmente analisi delle serie storiche.
Il rischio stress lavoro correlato per sua natura richiede azioni di valutazione, monitoraggio ed eventualmente
correttive costruite e promosse in piena collaborazione con i vertici aziendali e con i lavoratori. Spesso le fonti
di rischio stress sono correlate ad aspetti organizzativi che non possono essere modificati senza alterare
equilibri preesistenti. Non è quindi da auspicare una valutazione del rischio effettuata da consulenti esterni che
prescrivano azioni correttive di natura organizzativa, né tanto meno che tutta la gestione del rischio sia svolta
dal solo SPP, sia perché non sempre sono disponibili le competenze necessarie all’interno dell’azienda, sia
perché è notoriamente più complesso per un membro di un’organizzazione poter leggere le dinamiche da cui
lui stesso è influenzato. Sarebbe invece auspicabile che le valutazioni del rischio stress vedano coinvolti,
seppur in gradi e modi diversi, vertici aziendali, sistema della sicurezza, lavoratori, e consulenti esterni dotati
delle necessarie competenze e della necessaria autonomia professionale e operativa. Inoltre le valutazioni
dovrebbero poter esitare in prescrizioni riguardanti esclusivamente gli aspetti tecnici del sistema di
monitoraggio o dell’informazione e formazione (come ad esempio prescrizioni sulle modalità di raccolta degli
indicatori oggettivi, sull’attivazione di un sistema di raccolta delle lamentele dei lavoratori, sulla necessità di
approfondimenti, etc..). Per contro, per quando riguarda l’intervento diretto sulle eventuali fonti di rischio
individuate (nella maggior parte dei casi gli aspetti organizzativi), l’esito della valutazione dovrebbe essere
una semplice fonte di informazione per i vertici aziendali, i quali nel pieno esercizio dello jus variandi
Studio Associato ISMEC
del dott. Francesco De Ambrogi e della dott.ssa Elisabetta Ceppi Ratti e dott. Marco Tasca
via A. Stradivari, 8 - 20131 Milano (MI) - C.F. e P. IVA: 05697060969
tel. +39 (0)2 97373461 - fax: +39 (0)2 97373462 - www.ismec.it
Psicologia e Medicina applicate al lavoro
o
o
o
o
imprenditoriale potranno, in definitiva nell’interesse dell’azienda, co-costruire insieme ai lavoratori le
soluzioni al problema in linea con l’Accordo Europeo che testualmente recita: “Se viene identificato un
problema di stress da lavoro, bisogna agire per prevenirlo, ridurlo o eliminarlo. La responsabilità di definire
misure appropriate spetta all’imprenditore. Tali misure debbono essere portate avanti con la partecipazione e
la collaborazione dei lavoratori e/o dei loro rappresentanti. […] Qualora la presenza di esperti all’interno dei
luoghi di lavoro dovesse risultare insufficiente, possono essere designate consulenze esterne, nel rispetto della
legislazione europea e nazionale, degli accordi e delle pratiche collettive.” In altre parole, l’aspetto
prescrittivo delle indicazioni correttive dovrebbe poter riguardare aspetti prettamente tecnici e
metodologici relativi alle azioni portanti della prevenzione del rischio stress (valutazione/informazione e
formazione/sistema di monitoraggio), diversamente il contenimento delle fonti organizzative e/o la loro
eliminazione dovrebbe essere valutata, progettata e intrapresa dal datore di lavoro il quale potrà
avvalersi degli esiti della valutazione del rischio stress quale possibile (e non necessariamente esclusivo)
strumento di audit interno.
La gradualità, cui a nostro giudizio viene data poca enfasi, non è solo un elemento di opportunità per non
gravare eccessivamente sul sistema economico, ma è una specifica necessità tecnica. È infatti notorio che
cambiamenti eccessivamente repentini, con buona probabilità, possono diventare essi stessi importanti
fonti stress.
La fiducia necessaria alla corretta applicazione di strumenti di rilevazione della percezione del rischio stress
non può essere costruita in tempi brevi e/o tramite mere azioni informative. La fiducia e la cultura
indispensabili a rendere attendibili ed efficaci le valutazioni della percezione soggettiva del rischio
possono essere costruite solo con azioni concrete che rendano tangibile ai lavoratori l’impegno e la
sensibilizzazione aziendale sul tema. Pare agli scriventi rischioso attuare percorsi informativi senza aver
prima fatto precedere una esplorazione della realtà aziendale che permetta di progettare in modo
contestualizzato i contenuti e i modi dell’informazione stessa.
Appare agli scriventi ambigua la definizione di indicatori oggettivi e soggettivi. Un misura oggettiva è per
definizione una misura in cui l’esaminatore non influenza l’esito della misurazione stessa, per contro in una
misura soggettiva questo accade. Ad esempio indicatori come il numero di ore di malattia, o come un indice
infortunistico sono di tipo oggettivo. In molte proposte però, si sono inseriti tra gli indicatori oggettivi
variabili come i carichi di lavoro o la cultura organizzativa. Appare lapalissiano agli scriventi che una
valutazione sul fatto che il carico di lavoro o la cultura organizzativa siano o meno adeguati possa risentire
grandemente del punto di vista di chi viene interpellato. È dunque importante distinguere tra indicatori
oggettivi propriamente detti, e indicatori soggettivi, siano essi raccolti tramite metodologie direttamente
coinvolgenti i lavoratori come ad esempio i test, oppure raccolti tramite metodologie più indirette come
ad esempio le interviste ai testimoni privilegiati. Questa distinzione ci pare fondamentale.
Appare inappropriato utilizzare metodologie che basino la stima del rischio esclusivamente sugli
indicatori oggettivi propriamente detti così come definiti al punto precedentee. Questo per due motivi; il
primo è l’assenza di valori soglia, che ovviamente rende assolutamente arbitraria e non fondata
scientificamente la scelta dell’attribuzione di un determinato livello di rischio come già detto, il secondo è che
non è possibile interpretare gli indicatori oggettivi in modo appropriato se non vengono debitamente
tenuti in considerazione aspetti soggettivi seppur raccolti con metodologie più indirette. Per fare un
esempio, lo stesso assenteismo, se basso, potrebbe non essere assolutamente indice di assenza di rischio, anzi
è noto in letteratura che in alcuni ambienti lavorativi molto stressanti si assiste a fenomeni di presenzialismo.
Una valutazione del rischio che non si fondi sul principio della triangolazione metodologica rischia di
essere fuorviante, semmai bisogna sapere utilizzare in modo opportuno strumenti di indagine utili a rilevare
magari in maniera indiretta e poco invasiva aspetti soggettivi.
Bozza metodologica
Riprendendo dunque le Linee Guida PRIMA-EF e l’Accordo Europeo, le varie Linee Guida a livello nazionale, e
analizzando il tutto tenendo in considerazione quanto sopra detto, sembra agli scriventi che sia possibile, oltre che
opportuno, delineare una possibile metodologia di intervento declinata in due percorsi a seconda delle dimensioni
aziendali, con particolare attenzione alle realtà piccole che caratterizzano in modo peculiare il sistema produttivo
Studio Associato ISMEC
del dott. Francesco De Ambrogi e della dott.ssa Elisabetta Ceppi Ratti e dott. Marco Tasca
via A. Stradivari, 8 - 20131 Milano (MI) - C.F. e P. IVA: 05697060969
tel. +39 (0)2 97373461 - fax: +39 (0)2 97373462 - www.ismec.it
Psicologia e Medicina applicate al lavoro
italiano. In particolare si vuole sottolineare che sarebbe opportuno declinare interventi più semplici (ma non
semplicistici) che senza perdere efficacia possano essere attuati in aziende di minori dimensioni.
Conseguentemente a quanto sopra esposto, per le piccole imprese (< di 15 occupati), posto che:
• non potendo aspettarsi che i lavoratori si sentano effettivamente liberi di esprimere la propria opinione in caso
di valutazioni della loro percezione del rischio (in realtà così piccole se qualcuno si lamenta l’anonimato è un
“segreto di pulcinella”);
• l’analisi degli indicatori oggettivi ha scarsa attendibilità in funzione della ridotta numerosità campionaria;
• le risorse economiche e strumentali a disposizione dell’azienda, e di conseguenza anche del sistema sicurezza,
sono limitate. E quindi qualunque azione deve essere orientata alla massima efficacia e portare effetti concreti
e tangibili;
• valutazioni non attendibili (per i motivi sopra detti) potrebbero essere controproducenti e motivo di ulteriore
stress. Ad esempio, nell’esperienza pratica, talvolta siamo stati coinvolti come studio professionale dopo che i
risultati di valutazioni effettuate da altri e non attente alle specifiche di cui sopra sono stati strumentalizzati e
percepiti come un ulteriore modo di sottovalutare il problema. In questi casi la valutazione aveva generato
l’effetto opposto rispetto all’obbiettivo di individuare la presenza ed eventualmente ridurre lo stress. Di fatto in
questi casi si è manifestato appieno il vero problema dello stress, che non è quello della misura in senso
metrico, bensì quello di riuscire a percepirne l’importanza per poter cominciare ad attuare processi
migliorativi così come viene esplicitamente indicato dall’Accordo Europeo e recepito dal d. lgs 81/08.
Ne consegue che una valutazione del rischio basata su meri atti di misura sarebbe verosimilmente inattendibile. In
questi casi appare più utile impostare la valutazione e gestione aderendo al dictat dell’Accordo Europeo e dunque:
1) formando e informando il DL, gli attori della sicurezza e i lavoratori tutti sul rischio in esame e sulla sua
gestione non in termini astratti, ma in termini di operazioni concrete attuabili in quella specifica realtà;
2) molto utile inoltre sarebbe la possibilità di aderire ad azioni di sistema (come ad esempio il progetto in fieri del
“centro per la promozione del benessere organizzativo” sollecitato dello SPRESAL dell’ASL VCO che dovrà
essere promosso dalle Associazioni di Categoria che più rappresentano le piccole realtà produttive del
territorio). Tali azioni di sistema potranno da una lato rendere accessibili servizi dimensionati alle specifiche
esigenze aziendali (altrimenti insostenibili dal punto di vista economico da parte delle singole aziende),
dall’altro tutelare aziende e lavoratori dal rischio di rivolgersi a sedicenti esperti che nella realtà tali non sono.
Detto in altri termini, un lavoratore che abbia ben presente quali siano gli effetti dello stress, e che azioni può fare
per segnalare un eventuale disagio (segnalarlo al sistema della sicurezza, all’RLS territoriale o interno se presente,
richiedere una visita al medico competente, fare una segnalazione allo SPRESAL/PSAL et simila, accedere a eventuali
azioni di sistema, etc…) è di certo più efficace come misura preventiva di qualunque test o check-list, per quanto
ben costruiti.
Per le imprese di maggiori dimensioni invece, vista la crescente complessità dell’organizzazione e delle
dinamiche psicosociali, appare utile cominciare ad introdurre sistemi di valutazione e monitoraggio più complessi.
Comincia quindi ad essere possibile applicare le varie metodologie di valutazione più utili date le peculiarità del
contesto in analisi. In particolare, nell’esperienza pratica, l’approccio che meglio è stato possibile attuare si delinea in
senso descrittivo dalla lettura sinergica dell’Accordo Europeo, delle Linee Guida PRIMA-EF e delle Linee Guida della
Regione Lombardia. In particolare queste ultime hanno il pregio di non indicare uno strumento pratico, ma di descrivere
i vari strumenti possibili per analizzare con metodo le fonti e gli effetti, e quindi poter giungere alla stima del rischio
tramite algoritmo. Unica nota di particolare attenzione, una valutazione così complessa non può essere attuata (in
modo attendibile e valido) in tempi brevi e senza aver prima costruito un’adeguata cultura organizzativa sul tema.
Quindi, pur nella necessità di giungere a delle valutazioni del rischio entro i termini di legge, si auspica la
possibilità di poter avviare dei processi valutativi declinati nel tempo (alcuni progetti possono richiedere anche un
paio d’anni nel caso di realtà particolarmente grandi e complesse). In questi casi sarà opportuno adempiere ai termini di
legge con stime di rischio provvisorie e temporanee in attesa della valutazione del rischio in senso stretto e
dell’attivazione del sistema di monitoraggio. Ciò è comunque perfettamente coerente con la metodologia della ricercaazione che permette di coniugare il rigore metodologico con l’efficacia degli interventi stessi.
Studio Associato ISMEC
del dott. Francesco De Ambrogi e della dott.ssa Elisabetta Ceppi Ratti e dott. Marco Tasca
via A. Stradivari, 8 - 20131 Milano (MI) - C.F. e P. IVA: 05697060969
tel. +39 (0)2 97373461 - fax: +39 (0)2 97373462 - www.ismec.it
Psicologia e Medicina applicate al lavoro
In generale i criteri che appaiono più importanti, applicabili ed efficaci, e che quindi auspichiamo possano essere
inclusi in una linea guida sono:
• massima enfasi alla sensibilizzazione dimostrabile da azioni di informazione e formazione più che ad atti di
misura ridondantemente precisi rispetto alle necessità;
• massima enfasi alla responsabilizzazione dimostrabile dal coinvolgimento diretto dei vertici aziendali e degli
attori della sicurezza e dall’attuazione di azioni correttive e di monitoraggio comprovatamene efficaci ed
efficienti;
• massima enfasi alla gradualità, dimostrabile con azioni di valutazione di profondità crescente progettate nel
tempo.
Il problema della stima del rischio
Per quanto riguarda invece la stima del livello del rischio in quanto tale indipendentemente dalle dimensioni
aziendali, la formula che sembra essere più fruibile nella pratica, coerente con la letteratura scientifica, nonché con la
logica generale di valutazione del rischio (non solo in ambito occupazionale), potrebbe consistere nel considerare il
rischio R come funzione della magnitudo o entità del danno (M) e della probabilità di accadimento (P):
R = f(M,P)
In cui relativamente alla PROBABILITA' di accadimento la scala adottata è:
1. IMPROBABILE: in presenza di un’adeguata valutazione del rischio, di una avvenuta formazione e
informazione, e di un sistema di monitoraggio attivo, non si evidenziano indicatori di effetto né si individuano
particolari fonti di stress non contenute da risorse organizzative adeguate.
2. POSSIBILE: coerentemente con l’assunto che lo stress è potenzialmente presente in tutti i luoghi di lavoro,
seppur non necessariamente, in termini prudenziali in tutti i casi in cui una o più delle azioni preventive
portanti (valutazione, informazione/formazione, monitoraggio) non siano in essere. Alternativamente quando
in presenza di un’adeguata valutazione del rischio, di una avvenuta formazione e informazione, e di un sistema
di monitoraggio attivo, si evidenziano indicatori di effetto o si individuano particolari fonti di stress non
contenute da risorse organizzative adeguate.
3. PROBABILE: quando in assenza di una o più delle azioni preventive portanti (valutazione,
informazione/formazione, monitoraggio) si evidenziano pure indicatori di effetto o si individuano fonti di
rischio non contenute. Alternativamente quando in presenza delle azioni preventive portanti e di indicatori di
effetto, le misure di contenimento e correzione progettate ed attuate si rivelano inefficaci nel tempo. In altre
parole, quando sulla base del modello di monitoraggio si ipotizza una azione correttiva, e al termine della
messa in atto dell’azione stessa invece di osservare un miglioramento gli indicatori d’effetto non diminuiscono.
4. MOLTO PROBABILE: vista la natura multifattoriale dell’eziopatogenesi dello patologie stress lavoro
correlate così come degli infortuni legati allo stress, appare inadeguata un livello di probabilità così elevato.
Mentre relativamente alla MAGNITUDO o GRAVITÀ DEL DANNO la scala adottata è:
1. LIEVE: può provocare danni di lieve entità, che in genere non comportano l'abbandono del posto di lavoro;
2. MODESTA: che può provocare danni temporanei di limitata entità, con ripristino in pochi giorni della piena
capacità lavorativa, infortuni temporanei o malattie professionali con effetti completamente reversibili;
3. GRAVE: l'evento può causare danni temporanei o permanenti considerevoli, infortuni invalidanti oppure
malattie professionali con effetti irreversibili;
4. GRAVISSIMA: può provocare danni a uno o più lavoratori con effetti letali o malattie professionali con
possibili effetti letali. L'evento può causare l'inabilità totale o la morte.
N.B. come da letteratura3, la magnitudo per i danni da rischio stress può essere definita come GRAVE, in quanto
patologie correlabili a situazioni stress lavoro correlate possono esitare ad esiti irreversibili.
3
Tangredi, G., Monaco, M., Perfetti, B., Perego, S. (2009). Esperienze di valutazione del rischio stress in realtà
produttive di varia tipologia: riflessioni sull’attendibilità e riproponibilità del metodo anche in riferimento all’accordo
europe del 2004. Giornale Italiano di Medicina del Lavoro ed Ergonomia., 31:2, 230-232.
Studio Associato ISMEC
del dott. Francesco De Ambrogi e della dott.ssa Elisabetta Ceppi Ratti e dott. Marco Tasca
via A. Stradivari, 8 - 20131 Milano (MI) - C.F. e P. IVA: 05697060969
tel. +39 (0)2 97373461 - fax: +39 (0)2 97373462 - www.ismec.it
Psicologia e Medicina applicate al lavoro
La stima del rischio potrà dunque essere effettuata secondo la seguente tabella:
GRAVISSIMA
Basso / 4
Medio / 8
Alto / 12
Molto Alto / 16
GRAVE
Basso / 3
Medio / 6
Alto / 9
Alto / 12
MODESTA
Trascurabile / 2
Basso / 4
Medio / 6
Medio / 8
LIEVE
Trascurabile / 1
Trascurabile / 2
Basso / 3
Basso / 4
M/P
IMPROBABILE
POSSIBILE
PROBABILE
ALTAMENTE
PROBABILE
I rischi con livello pari a "TRASCURABILE" sono "rischi accettabili" e non necessitano di particolari misure di controllo.
I rischi con livello pari a "BASSO" sono rischi per i quali è opportuno predisporre misure nel medio termine.
I rischi con livello pari a “MEDIO” sono rischi per i quali sono necessarie misure a medio termine, eventualmente possono essere
opportune anche nel breve periodo.
I rischi con livello "ALTO" richiedono l’attuazione di misure nel breve termine.
I rischi con un livello pari a "MOLTO ALTO" sono definiti "rischi non accettabili" e derivano da pericoli che devono essere eliminati
alla fonte, mediante appositi interventi aventi la massima priorità.
Si tiene infine a sottolineare come un sistema di monitoraggio per poter essere considerato attivo, efficiente ed
efficacie deve comprende: l’avvenuta valutazione (o eventualmente più cicli valutativi di profondità e accuratezza
crescente), l’avvenuta informazione e formazione includente non solo l’informazione sul rischio ma anche sulle
procedure di gestione dello stesso, ed infine la periodica analisi degli indicatori individuati in fase di valutazione come
attendibili al fine di identificare gli effetti dello stress. Naturalmente le valutazioni puntuali dovranno essere ripetute ai
sensi dell’art. 29 del d.lgs 81/08 e successive modificazioni.
Conclusione
Speriamo che quanto scritto possa essere utile spunto di riflessione per tutti coloro che a vario titolo sono in
questi mesi coinvolti nel problema.
Milano, 13 aprile 2010
Dott. Francesco De Ambrogi
Dott.ssa Elisabetta Ceppi Ratti
Dr. Marco Tasca
Psicologo
Psicoterapeuta
Psicologo del lavoro e delle
organizzazioni
Medico Chirurgo
Specialista in Medicina del Lavoro
Studio Associato ISMEC
del dott. Francesco De Ambrogi e della dott.ssa Elisabetta Ceppi Ratti e dott. Marco Tasca
via A. Stradivari, 8 - 20131 Milano (MI) - C.F. e P. IVA: 05697060969
tel. +39 (0)2 97373461 - fax: +39 (0)2 97373462 - www.ismec.it