1 LABORATORIO 3 La terza giornata di

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1 LABORATORIO 3 La terza giornata di
LABORATORIO 3
La terza giornata di laboratorio si apre con la presentazione degli elaborati artistici prodotti da
ognuno dei partecipanti: annotazioni, racconti, disegni, immagini espressive recuperate per
l’occasione, tutti frammenti di un puzzle che racconta le emozioni vissute nell’esperienza
precedente. Il regista stabilisce le regole secondo cui ognuno potrà farsi portavoce del messaggio
scritto o disegnato da un altro, potrà farne ciò che vuole, declamarlo, interpretarlo, leggerlo
semplicemente o anche accartocciarlo e buttarlo in un angolo, se lo fa arrabbiare.
La lezione che si apre è sul vero significato del “donare”, sulla possibilità di lasciare che qualcosa
che riguarda personalmente e che si è prodotto con tanta passione possa essere anche
reinterpretato, trasformato o addirittura rifiutato 1 .
Accade così che alcuni fogli scritti, per motivi di calligrafia o di contenuti poco comprensibili, siano
letti solo a metà e poi trasformati in barchette di carta o accartocciati e gettati via come protesta. In
fondo, un testo scritto che risulti incomprensibile, anche solo per uno dei partecipanti, diventa
inutile. In questa sede è importante imparare a comunicare attraverso messaggi che possono
arrivare a tutti, senza sforzo. Qualcuno lì per lì però protesta, corre a riprendersi il foglio gettato e
ricomincia a leggere, si lamenta di aver impiegato il tempo di “una ricreazione e mezza” per
scrivere quella composizione. Allora il regista si alza anche lui, prende un foglio e inizia a leggere
contemporaneamente un nuovo scritto, e a lui si aggiunge un altro, e un altro ancora, fino a che
tutti si muovono e camminando leggono il loro testo sovrapponendosi. Si parla poi di alcune cose
lette, dei contenuti emersi, resoconti di esperienze personalissime vissute all’interno di un percorso
comune….a tratti il regista domanda: “e in tutto ciò, cosa c’entra Pinocchio?”. E’ un modo
scherzoso per prendere per mano chi, tra la sua fantasia, si è perso e allontanato e riportarlo alla
realtà, all’obiettivo del gruppo, alla rappresentazione teatrale. A proposito di realtà, oggi ci sono
delle persone in più: Augusto, Giulia e Stefano. Per quanto riguarda Sebastiano invece, il grande
assente, ancora non si è visto…chissà!
Il cerchio è … Carlo e Roberto che prendono spazio nella discussione di gruppo. Il primo lamenta
di essersi accorto che di solito guarda la realtà attraverso occhiali con lenti nere, che amplificano
gli aspetti negativi della vita e ne mettono in evidenza i tormenti e le sofferenze, vorrebbe quindi
suggerire al gruppo di provare ad indossare lenti rosa, per provare a scoprire aspetti più luminosi e
allegri della realtà. L’operatore esterno interviene in questa discussione proponendo lenti
trasparenti e la possibilità di leggere la realtà nelle sue varie sfumature, senza falsi filtri. Roberto, a
questo punto, interviene affermando che la cosa principale non sono gli occhiali attraverso cui si
guarda la realtà, ma riuscire a superare, o aggirare quando non si riesce a superarlo, lo specchio
di Alice, che blocca la possibilità di avanzare: se una difficoltà non si può affrontare, bisogna
aggirarla 2 .
Il regista a questo punto interviene, proponendo un’attività da svolgere tutti insieme all’aperto.
Innanzitutto le regole generali: trovare la concentrazione giusta, respirare dalla pancia, mantenere
attivo lo sguardo sul gruppo, controllare che lo spazio venga occupato in modo omogeneo,
immaginare di muoversi come all’interno di una grande scacchiera. Poi le indicazioni per ognuno:
Carlo camminerà a passetti di cinque in cinque e ad ogni sosta strofinerà le lenti dei suoi occhiali,
come a pulirle in modo compulsivo. Giulia dovrà procedere con passi solo laterali e gesticolando
dovrà dire a tutti quelli che incontra che “non ha voglia di partecipare al laboratorio”. Roberto dovrà
camminare continuamente componendo delle “P”, mentre recita alcuni versi del Macbeth di
Shakespeare. Ivan avrà il compito di correre in mezzo al gruppo, disturbare e spaventare tutti
recitando la Regina di Cuori che vuole decapitare chi incontra.
Olga si muoverà secondo i passi che il cavallo fa sulla scacchiera. Michele dovrà procedere
saltellando sempre su un solo piede, recitando una scena di Pinocchio e interagendo con Daniele,
Anche Grotowski inserisce tra gli elementi che un attore deve apprendere la capacità di superare la
visione egoica della propria performance, e a questo proposito, definisce come “dono” l’azione teatrale.
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Roberto qui si riferisce ad un testo elaborato dal gruppo in precedenza.
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che gli risponderà movendosi secondo i passi del pedone. Paolo camminerà con un'andatura che
ricorda i soldati in una parata militare e Stefano, invece, potrà avanzare solo trasversalmente come
l’alfiere, interagendo con chiunque incontra, parlando solo in versi. Tutti dovranno muoversi
cercando di rispettare l’equilibrio nell’occupazione dello spazio e dovranno, inoltre, fare attenzione
a non sovrapporsi con la recitazione. Il risultato è un quadro di movimenti eterogenei che, man
mano, si sincronizzano come ingranaggi di un orologio, sostenuti da un insieme di frasi, che
s’intrecciano, costruendo un testo nuovo e unico.
Questa tecnica di training teatrale, ereditata da Grotowski, si basa sull’importanza che ha per un
attore apprendere la disciplina del corpo e la possibilità di mantenere attiva l’attenzione
contemporaneamente sui movimenti, sull’impostazione della voce e sulle azioni del gruppo.
La chiusura questa volta è in mano al regista che propone al gruppo di lavorare sull’ascolto delle
parole sviscerate dal loro senso usuale e legge ad alta voce delle frasi tratte da testi che il gruppo
conosce da tempo: frasi di Eugene Ionesco, Shakespeare, Giacomo Leopardi e Roberto Giacchini.
Si lavora qui al collegamento tra l’espressione sonora delle parole e le emozioni che suscitano in
chi le ascolta, cercando di sostituire l’immaginazione grafica-visiva del codice scritto con
un’immaginazione uditiva, più vicina al “sentimento” 3 . Fare questo implica lo smembramento di un
testo scritto, che diventa solo un pretesto da cui attingere suoni emotivamente pregnanti. In
un’alternanza di strutturazione e destrutturazione delle azioni sceniche, il laboratorio va così
ricercando la “verità scenica” intesa come capacità di attivazione di emozioni e gesti connessi in
modo autentico.
Per “sentimento” qui si intende la capacità di entrare in contatto con il proprio “sentire” derivante
dalla sintesi, ad opera del sistema nervoso centrale, delle percezioni somatosensoriali provenienti dalla
periferia del corpo.
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