VIENI, SIGNORE GESÙ

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VIENI, SIGNORE GESÙ
VIENI, SIGNORE GESÙ
Lo Spir ito e l a Sposa dicono: Vieni ! Chi ascolta ripeta: Vieni! Chi ha sete, venga!
Chi vuole, beva gr atuitamente l’acqua dell a vita. (Apocalisse 22,17)
«Ogni uomo ha in sé la sua Pat mo s. È libero di andare su questo spavento so
promontorio del pensiero da dove si per cep iscono le tenebre, ma anche lo sbocciare
della l uce». Così V ictor Hugo, famoso auto re f rancese dell’Ottocento, invitava il letto re
dell’Apocalisse a giungere sino alla vet ta supr em a. Là il veggente di Patmos apre dava n ti
a noi – dopo un lungo vi aggio nelle temp est e catastrofiche della storia, ove imperversa la
Grande B estia, la Prosti tuta e domina la Ba bilonia imperiale – il sipario sulla Gerusale mme
luminosa, la Sposa dell’Agnello Cristo, la cit t à della pace e della speranza.
Di questa gloriosa architettura noi abbiamo raccolto un frammento che è nella
pagina finale dell ’opera. È un dialogo ch e coin volge lo Spirito di Dio e la Chiesa con i suo i
fedeli, è un impasto di voci che insiem e invocano la venuta piena e definitiva di Cristo .
La parola cent rale è appunto il verbo gr eco érchomai, “venire”, verbo dell’attesa ma anch e
della speranza. A tut ti sarà offerta «l’acqua che zampilla per la vita eterna», come ave va
promesso Gesù all a donna samaritana in quel g iorno assolato, là, al pozzo di Giacobbe n e l
villaggio di Sicar (Gi ovanni 4,14). Si inaugur a, dunque, la comunione con Dio nell’eternità.
È q uesta la grande tension e spir ituale che anima la comunità dei creden ti
personificata nell a S posa, e il dialogo f in ale de ll’Apocalisse ne sarà l’epilogo: «Chi atte sta
queste cose dice: S ì, verrò presto! – Amen! Vieni, Signore Gesù!» (22,20). A qu esta
costante, appassionata invocazione alla “venuta” di Cristo perché porti a pienezza la sto ria
della salvezza , possiamo sovrapporre l’ant ica giaculatoria aramaica delle prime comu nità
cristiane, citata da san Paolo nel salut o f inale della Prima Lettera ai Corinzi: Maranath a ’
(16,22).
Questa locuzione unisce in sé due termini che sono passibili di una duplice
scansione e quindi di un duplice significat o. L a prima invocazione potrebbe essere così
formulata: Maran ’atha’ , «il Signore è ve nu to! ». È la professione di fede nell’Incarnazio n e,
cioè nella venuta st orica di Gesù Crist o nel mondo; è la celebrazione della salvezza
già in azione, offert a dalla presenza sto rica del Figlio di Dio. La seconda lettura, che è
quella fondament ale anche per l’Apocalisse, r isulta, invece, così: Marana’ tha’ , «Signo re,
vieni!». Ed è proprio la speranza che r eg ge il frammento da noi citato e tutta la fina le
dell’opera di Giovanni di Patmos, ossia l’a tte sa della venuta ultima e piena di Cristo a
suggello dell’essere e della storia.
Certo è che l’Apocalisse, co n le sue pagine striate di sangue, con i su o i
“settenari” impressionanti di sigilli sp ezza ti, d i trombe, di coppe versate, ma anche co n
la sua sfolgorante Gerusalemme celest e, intr eccia in sé presente e futuro, lotta e at tesa,
seme e albero, città storica e città per fe tta , p aura e gioia, giudizio e gloria.
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