La Questione meridionale Il disagio dei contadini del Sud L
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La Questione meridionale Il disagio dei contadini del Sud L
La Questione meridionale Il disagio dei contadini del Sud L'economia dell'Italia era, al momento dell'unificazione, ancora prevalentemente contadina. Mentre nel Nord Italia si erano già diffuse le aziende agricole capitalistiche, dove i contadini percepivano uno stipendio e il loro lavoro era organizzato in modo così efficiente da realizzare la massima produzione possibile, nel Sud prevaleva ancora il sistema poco produttivo fondato sul latifondo, che sfruttava il lavoro dei braccianti. I proprietari terrieri del Sud si preoccupavano solo di ottenere la propria parte di raccolto, lasciando il resto ai contadini, senza darsi pensiero di aumentare la produzione. Si trattava di una situazione che negli altri Paesi d'Europa era scomparsa da tempo; i contadini dell'Italia meridionale erano sicuramente i più poveri dell'intero continente. Essi avrebbero voluto che il nuovo Stato promuovesse una riforma agraria, per porre fine al latifondo e distribuire a loro parte delle terre; da questo punto di vista, il nuovo governo li avrebbe delusi. Gli Investimenti al Nord Nella necessità di sviluppare il più in fretta possibile l'economia dell'Italia, il governo della Destra storica privilegiò gli interventi a favore delle regioni del Nord, dove già esistevano eccellenti infrastrutture, ottime manifatture e avanzate aziende agricole. Il Sud, secondo questo programma, avrebbe ricevuto un consistente aiuto una volta risolta la crisi finanziaria. Rimaneva però il problema di contenere le inevitabili proteste del Meridione e impedire la diffusione di un programma politico secessionista che si proponesse di fare risorgere il vecchio Stato borbonico. Il nuovo governo si alleò allora con i proprietari terrieri del Sud, proprio i maggiori responsabili del degrado delle loro regioni, affinché, con l'aiuto anche della criminalità organizzata, controllassero il territorio e assicurassero il sostegno elettorale al governo. Fu questa l'origine della Questione meridionale: con questa espressione gli storici intendono riferirsi alla situazione di maggiore difficoltà economica in cui si trovò il Sud Italia al momento dell'unificazione e che nessun governo, da allora, è stato in grado di risolvere. Il brigantaggio Dal disagio dei contadini meridionali si sviluppò, tra il 1861 e il 1864, il fenomeno del brigantaggio, ovvero la formazione di bande criminali le quali attaccavano le proprietà dei latifondisti nonché le autorità dello Stato nazionale. Le bande di briganti erano per lo più costituite da gruppi di contadini, che riuscivano a malapena a sopravvivere con il lavoro cli braccianti, per i quali era decisamente più facile sostenersi attraverso le attività criminali. Essi trovarono molto consenso tra la popolazione contadina, che li proteggeva, d'altra parte i briganti distribuivano parte dei beni ottenuti attraverso le loro azioni illecite alla popolazione dei territori che controllavano, mettendo in atto un'opera di assistenza che lo Stato non era in grado di realizzare. Molti divennero degli eroi agli occhi della povera gente la quale, per sfuggire alla miseria, spesso trovava conveniente unirsi a questi gruppi. Il brigantaggio divenne dunque una manifestazione del disagio dei contadini meridionali, delusi dalla mancata riforma agraria; il fenomeno assunse una dimensione enorme, tanto che qualcuno vide in esso una sorta di guerra civile, con cui il Mezzogiorno si ribellava al governo centrale. Un'inchiesta parlamentare dedicata a questo fenomeno fece comprendere come alla base del brigantaggio ci fosse l'ingiustizia subita dai contadini nelle campagne e come per risolverlo fosse necessaria una politica sociale che affrontasse questa situazione drammatica. 11 governo però non tenne conto di questi consigli e preferì ricorrere all'uso della forza, l'esercito invase le campagne del Sud, in molti casi mise a ferro e fuoco interi villaggi i cui abitanti erano considerati complici dei briganti e non esitò a far ricorso alla repressione più spietata, comprese le fucilazioni senza processo. Nel 1864 il problema del brigantaggio era risolto; più di 7000 persone furono condannate all'ergastolo o alla pena di morte. Il Sud era finalmente rappacificato; ma la Questione meridionale era tutt'altro che risolta. Molti poveri scelsero di abbandonare l'Italia, dando luogo a un imponente fenomeno di emigrazione. 1. Evidenzia nel testo, in modo diverso, le risposte alle seguenti domande: Perché nasce il brigantaggio? Da chi sono costituite le bande di briganti? Perché la popolazione protegge i briganti? Che cosa c’è alla base del fenomeno del brigantaggio I problemi dell'Italia postunitaria. Il brigantaggio Il documento A è il «giuramento di un brigante», che impegna se stesso - nel nome del papa Pio IX e dell’ex re di Napoli Francesco Il - contro il governo del “lucifero” Vittorio Emanuele II. Il documento B è una pagina della relazione d'inchiesta parlamentare sul brigantaggio firmata dal deputato moderato Giuseppe Massari nel 1863. Leggili con attenzione e sottolinea in rosso nel documento A le frasi che indicano le cause del brigantaggio. A. Giuramento del brigante Noi giuriamo dinanzi a Dio e dinanzi al mondo intero di essere fedeli al nostro augustissimo e religiosissimo sovrano Francesco Il e promettiamo di concorrere con tutta la nostra forza e con tutta la nostra anima al suo ritorno nel Regno, di obbedire ciecamente a tutti i suoi ordini a tutti i comandi che verranno sia direttamente sia per i suoi delegati dal Comitato centrale résidente a Roma. Noi giuriamo di conservare il segreto affinché la giusta causa voluta da Dio, che è il regolatore dei sovrani, trionfi col ritorno di Francesco Il, re per grazia di Dio difensore della religione e figlio affezionatissimo del Nostro Santo Padre Pio IX che lo custodisce nelle sue braccia per non lasciar cadere nelle mani negli increduli, dei perversi, dei pretesti liberali. I quali hanno per principio la distruzione della r4qione dopo aver scacciato il nostro amatissimo sovrano dal trono dei suoi antenati. Noi promettiamo anche, coi i l'aiuto di Dio, di rivendicare tutti i diritti della Santa Sede e di abbattere il lucifero infernale Vittorio Emanuele ed i suoi complici. Noi lo promettiamo e lo giuriamo. (M. Monnier, Notizie storiche documentate sul brigantaggio nelle provincie napoletane dai tempi di Fra Diavolo sino ai giorni nostri, Barbera. Firenze 1863). Dopo aver letto il testo, rispondi alle seguenti domande 1. Qual è la “giusta causa” per cui il brigante si impegna a combattere? 2. A chi promette di ubbidire? 3. Perché Francesco II si trova a Roma? 4. Nel giuramento si parla di Francesco II, di Pio IX, dei liberali e di Vittorio Emanuele II. Per ciascun personaggio indica le caratteristiche che gli si attribuiscono e scrivi se si tratta, per il brigante, di un amico o di un nemico. B. Il brigantaggio sintomo di un male profondo Facil cosa è dire che il brigantaggio si è manifestato nelle province meridionali a motivo della crisi politica ivi succeduta; con ciò si enuncia il motivo più visibile del doloroso fatto, ma rimangono nel l'ombra le ragioni sostanziali, le quali invece sono quelle che vanno accuratamente studiate ed esaminate [ ... ]. É stato detto e ripetuto essere il brigantaggio il fenomeno, il sintomo di un male profondo ed antico: questo paragone desunto dall'arte medica regge pienamente, ed alla stessa maniera che nell'organismo umano le malattie derivano da cause immediate e da cause predisponenti, la malattia sociale, di cui il brigantaggio è il fenomeno, è originata anch'essa dallo stesso duplice ordine di cause. Le prime cause dunque del brigantaggio sono le cause predisponenti. E prima fra tutte, la condizione sociale, lo stato economico del campàgnuolo. [ ... ] 1. La vita del brigante abbonda di attrattive per il povero contadino, il quale, ponendola a confronto con la vita stentata e misera che egli è condannato a menare', non inferisce di certo dal paragone conseguenze propizie all'ordine sociale 2. Il contrasto è terribile, e non è a maravigliare 3. se nel maggior numero dei casi il fascino della tentazione a male operare sia irresistibile. I cattivi consigli della miseria non temperati dalla istruzione e dalla educazione, non frenati da quella religione grossolana che si predica alle moltitudini, avvalorati dallo spettacolo del cattivo esempio prevalgono presso quegl'infelici, e l'abito a delinquere4 diventa seconda natura... [...]. Il sistema feudale [ ... ] ha lasciato un'eredità che non è ancora totalmente distrutta; sono reliquie d'ingiustizie secolari che aspettano ancora di essere annientate, i baroni non sono più, ma la tradizione dei loro soprusi e delle loro prepotenze non è ancora cancellata, ed in parecchie delle località che abbiamo nominate l'attuale proprietario non cessa dal rappresentare agli occhi del contadino l'antico signore feudale. Il contadino sa che le sue fatiche non gli fruttano benessere né prosperità; sa che il prodotto della terra innaffiata dai suoi sudori non sarà suo; si vede e si sente condannato a perpetua miseria, e l'istinto della vendetta sorge spontaneo nell'animo suo. L'occasione si presenta; egli non se la lascia sfuggire; si fa brigante E...]. Il brigantaggio diventa in tal guisa la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche secolari ingiustizie. (G. Massari, dalla Relazione sul brigantaggio, Laterza, Roma-Bari 1981). Avvalendoti di questi documenti prova a tracciare l’IDENTIKIT di un brigante, soffermandoti su: • aspetto fisico generale; • estrazione sociale; • aspetto ed espressione del volto; • motivazioni della sua scelta dl vita; • indumenti e armi; • ideali dl fede religiosa e politica. Cafoni e briganti I “CAFONI” E LA QUESTIONE DELLA TERRA In Italia meridionale, le vaste proprietà terriere, chiamate latifondi, erano concentrate nelle mani di un numero relativamente piccolo di grandi possidenti. Questi non avevano interesse a introdurre miglioramenti nella produzione e si limitavano a sfruttare il lavoro dei contadini, che erano la grande maggioranza della popolazione. Per i contadini poveri del Sud la grande aspirazione era la terra. L'Unità nazionale fece sorgere nei "cafoni" la speranza di una distribuzione della terra: i contadini speravano di ottenere i terreni posseduti in precedenza dagli enti ecclesiastici (per esempio i conventi) o dai nobili e divenuti beni dello stato: le terre demaniali. Queste terre furono effettivamente messe in vendita, ma i contadini poveri non poterono acquistarle. Così Pasquale Villari (1826-1917), uno dei primi studiosi e uomini politici che denunciarono le condizioni del Sud, descrive l'esistenza dei contadini meridionali, chiamati nel linguaggio popolare "cafoni": (DOCUMENTO) “Un giovane e pregiato economista delle Puglie, interrogato da me sulla condizione in cui erano nel paese i lavoratori dei latifondi, mi scriveva: «I contadini addetti alla lavorazione di questi lontani latifondi vi stanno quasi tutto l'anno venendo chi ogni quindici, chi ogni ventidue giorni a rivedere in città la moglie, i figli, la propria casa. In campagna vivono in un camerone a terreno, dormendo in nicchie scavate nel muro intorno. Hanno senz'altro [solo] un pagliericcio, su cui dormono vestiti. [...] Li comanda un massaro il quale somministra ogni giorno a ciascuno, per conto del padrone, un pane nerastro e schiacciato che si chiama panrozzo […] E questi contadini serbano ogni giorno un pezzo del loro chilogrammo di panrozzo che vendono o portano a casa per mantenere la famiglia, insieme con lo stipendio di centotrentadue lire all'anno». Pasquale Villari, Le lettere meridionali e altri scritti sulla questione sociale in Italia, Firenze, Le Monnier, 1917, p. 53 IL BRIGANTAGGIO: UN FENOMENO CON MOLTE CAUSE In questo contesto si sviluppò tra il 1861 e il 1864 un vasto fenomeno sociale, il "brigantaggio", che impegnò il nuovo stato unitario in una lunga lotta. La presenza di bande di banditi e briganti non era nuova: l'elemento di novità fu costituito dalla vastità del fenomeno, dalla sua durata e dal fatto che lo scontento popolare verso il nuovo stato era molto grande e aveva diverse cause. In primo luogo, agì una potente motivazione sociale: i contadini poveri, delusi per il fatto che il Regno d'Italia non aveva risolto il problema della terra, appoggiarono il brigantaggio vedendo in esso una speranza di riscatto. In secondo luogo, lo scioglimento del vecchio esercito borbonico, e anche di quello garibaldino, lasciò allo sbando migliaia di uomini favorendo così l'incremento delle bande. Inoltre, la legge che obbligava a cinque anni di servizio militare obbligatorio nel nuovo esercito nazionale trovò una larga opposizione, in quanto privava le famiglie del lavoro e del reddito dei maschi adulti. La renitenza alla leva spinse così altre migliaia di contadini a unirsi alle bande. Infine Francesco Il e i Comitati borbonici, costituitisi per riportarlo sul trono, cercarono l'appoggio dei briganti e invitarono la popolazione all"insorgenza", ossia alla rivolta armata. si L’"insorgenza", si sviluppò in particolare nelle regioni del Sud continentale, mentre in Sicilia, dove la popolarità dello stato borbonico era scarsa, questa forma di brigantaggio non attecchì. Si sviluppò invece la mafia, alla quale si appoggiarono i proprietari terrieri, per riscuotere le rendite e terrorizzare i contadini e i gabellotti, gli affittuari dei latifondi, che da una parte dovevano controllare i lavoratori e dall'altra ottenere dai proprietari condizioni vantaggiose. Le azioni procedevano con l'irruzione delle bande provenienti dai boschi, loro rifugio, nel municipio, la sua presa e la proclamazione del ritorno del governo borbonico. Le bande si mantenevano con saccheggi, furti, sequestri di persona e pagamenti dei riscatti. (DOCUMENTO) Memorie di un brigante Carmine Crocco, nato a Rionero in Lucania nel 1830, proveniva da una famiglia di pastori. Arruolato nell'esercito borbonico, abbandonò il suo reparto in seguito probabilmente all'uccisione di un compagno d'armi. Iniziò così la sua alla macchia; arrestato una prima volta, riuscì a evadere. Nel 1860 aderì all’impresa di Garibaldi, ma poco dopo gli arrivò da parte delle autorità italiane un nuovo mandato di cattura. A questo punto, assieme ad altri nelle stesse condizioni decise "di prendere le vie dei boschi", divenendo uno dei capi "dell’insorgenza" nelle terre lucane. Dopo aver compiuto molte imprese, fu arrestato in seguito al tradimento di uno dei suoi uomini, nel 1864. La prima sentenza di condanna a morte fu poi trasformata in condanna a vita ai lavori , che scontò nel carcere di Portoferraio per oltre trent'anni. Qui si recò a incontrarlo Eugenio Massa, un ex comandante militare, che raccolse e trascrisse le sue memorie pubblicando nel 1903, presso la tipografia Grieco di Melfi, il libro “Gli ultimi briganti della Basilicata: Carmine Donatelli Crocco e Giuseppe Caruso. Così Carmine Crocco descrive il suo modo di operare: «Il grido d'onore dei miei satelliti [seguaci] era un evviva pel caduto Francesco II [ ... ], le armi ci erano fornite segretamente, i cavalli in parte requisiti in parte avuti in dono. Comitati reazionari [favorevoli al vecchio regime] con arruolamenti segreti fornivano l'elemento uomo [gli uomini] onde in breve ebbi ai miei ordini un piccolo esercito [...]. Promettevo a tutti mari e monti, onore e gloria a bizzeffe; ai contadini facevo balenare la certezza di guadagnare feudi dai loro padroni, ai pastori la speranza di impadronirsi degli armenti affidati alla loro custodia; ai signorotti decaduti il recupero delle avite ricchezze [...] a tutti molto oro e cariche onorifiche.» LA REPRESSIONE Di fronte a questo fenomeno, il governo intervenne in primo luogo con l'esercito regolare, inviato con grandi forze nel Mezzogiorno. Soldati e ufficiali, che avevano lottato per unificare il paese, si trovarono a far fronte a una situazione difficile da comprendere e a esercitare compiti per i quali non erano preparati. Ciò ci viene testimoniato dalla lettera che segue, inviata da un soldato a suo padre nell'agosto del 1861. In essa viene descritta l’uccisione di un brigante rifugiatosi in una casa e nascosto dentro a un armadio.(DOCUMENTO) «Si corse alla porta dell'appartamento che venne sconquassata ed entrammo nella stanza. I primi che si arrestarono furono un bandito, fido compagno del capobanda [ ... J e una donna che ne era la bella; dietro le indicazioni di questi, che ci additavano un armadio come il nascondiglio dell'individuo che si cercava, si cominciò ad abbatterne le imposte. Ma nel mentre ciò si faceva, dall'interno dell'armadio venne sparato un colpo di pistola. A questo colpo si rispose con una carica generale e pochi istanti dopo, tolto ogni ostacolo, il cadavere del terribile brigante ci si offriva alla vista. La spedizione aveva ottenuto il suo scopo. { ... ] Chi mai avrebbe detto due anni orsono che dovevo finire col fare il poliziotto? Eppure è così: questa mia prima impresa esala un certo profuno di sbirraglia che è una delizia! Ma che vuoi? Bisogna adattarsi alle circostanze.» Dalla Lettera del tenente Gaetano Negri al padre, in Aldo De Jaco (a cura di), Il brigantaggio meridionale. Cronaca dell'Unità d'Italia, Roma, Editori Riuniti, 1979, p. 251 Dopo le difficoltà incontrate nella prima fase, venne promossa un'inchiesta parlamentare per meglio conoscere il fenomeno e rafforzare l'intervento. Nelle conclusioni si misero in evidenza le cause sociali del brigantaggio, ma contemporaneamente si sottolineò la necessità di procedere per l'immediato con una legislazione di emergenza. Nel 1863 venne varata la legge Pica (dal nome di uno dei deputati promotori) che istituì i tribunali militari, legittimò la fucilazione immediata di chi faceva resistenza, stabilì l'allontanamento dal paese di origine per le persone sospette di appoggiarli e peri vagabondi. Contemporaneamente, si agì per fare in modo che la popolazione collaborasse con lo stato contro i briganti attraverso un invito alla denuncia, l'emissione di taglie, la promessa di ricompense. L'insieme dei provvedimenti, la cattura o la fucilazione dei più importanti capibanda, il progressivo indebolirsi dello stesso brigantaggio portarono progressivamente alla sua fine. Le condizioni dei contadini meridionali però non migliorarono e in molti presero sempre di più la strada dell'emigrazione: «Quando la miseria è tanta, o brigante o emigrante», recitava un detto popolare. Dei briganti e delle loro imprese rimase però la memoria non solo nelle carte dei processi o negli atti parlamentari, ma nelle voci dei cantastorie, nel teatro popolare e nei racconti familiari trasmessi generazione dopo generazione. ESERCIZI, SPUNTI DI LAVORO E DI RICERCA 1. Leggi il brano di Pasquale Villari e rispondi alle seguenti domande. a) I contadini meridionali lavorano vicino al paese o lontano? b)Dove dormono? c) Che cosa mangiano prevalentemente? d) Quanto guadagnano all'anno? 2. Qual è l'argomento fondamentale usato dal brigante Carmine Crocco per ottenere consenso e seguito alle sue imprese? 3. Perché il brigantaggio viene definito un "fenomeno sociale"? Elenca in un breve testo le motivazioni che portano a questa affermazione.