Non solo jazz - Giorno della Memoria 2016, “Disegna ciò che vedi

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Non solo jazz - Giorno della Memoria 2016, “Disegna ciò che vedi
Non solo jazz
Giovedì 23 Luglio 2009 23:16 - Ultimo aggiornamento Venerdì 24 Luglio 2009 12:26
“Non solo Jazz”
C’è del metodo in quell’improvvisazione… Sui paesi del Salento spuntano, in estate, lune grandi e maestose, ampi dischi di latte,
opalescenti, lanciati in alto, quasi per gioco, da un bambino in corsa, dentro cieli di zaffiro
avvolgenti e immoti, come immota e solenne era la sagoma di Palazzo dei Celestini la sera del
quattro luglio, in Carmiano, di fronte alla sede del Circolo Virtuoso, sito al n. 51 di Via Lecce.
Solo la animava il tramestio allegro della gente, lo svolazzare dei vestiti da sera delle signore, il
brillare degli strass sulle fibbie sottili dei sandali delle giovani cantanti e un che di dorato sui volti
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dei giovani uomini, che sapeva di mare e di sorrisi di sole, sotto una di quelle lune, che abbiamo
sopra descritto: così bella da essere perfino imbarazzante.
La ragione di tanta animazione in un paese solitamente tranquillo (anche se molto vivace
culturalmente) è dovuta a una piacevole iniziativa assunta dal Circolo Virtuoso, diretto dal Dott.
Stefano Centonze (musicoterapista,
Presidente dell’Istituto di Arti Terapie e Scienze Creative, che ha già riscosso un notevole
consenso di pubblico e critica per un convegno, tenutosi il 20 giungo, dedicato all’
Effetto Mozart
, a cui hanno partecipato insigni clinici e psicoterapeuti)
, il quale ha organizzato, nella sede dello stesso, una serata musicale dedicata al jazz e non
solo, alla quale siamo stati invitati.
Hanno animato la gradevole serata il noto pianista e compositore Paolo Di Sabatino (peraltro
docente di jazz presso il Conservatorio “A. Casella” di L'Aquila) ed Elisabetta Guido, una
giurista votata alla musica (
diplo
mata in pianoforte, cantante lirica e vocalist – ha collaborato, tra gli altri,
anche con la nota cantante Antonella Ruggiero - , direttrice di coro, compositrice e arrangiatrice
iscritta alla S.I.A.E.),
la quale, con gli allievi della sua scuola, e con l’ausilio di altri tre valenti musicisti: Carmine de
Bonis (alla chitarra) e Carla Petrachi ed Emanuele Martellotti (al pianoforte) ci hanno introdotto
nel mondo affascinante e smisuratamente misurato dell’improvvisazione musicale.
Il primo brano sottoposto alla nostra attenzione è stata la celebre Samba de uma nota sò, del
grande Antonio Carlos Jobim (le parole di questa canzone sono, com’è noto, dell’altrettanto
grande Newton Mendonça).
Ne hanno reso un’interpretazione frizzante, contrappuntata da un controcanto efficacissimo e
convincente, Anita Tarantino e Letizia Onorati, allieve della Guido, le quali ci hanno condotto,
con la mente (sull’onda del ritmico fremere del piano sapientemente “arpeggiato” da Di
Sabatino), nella ritmica vivacità di una terra meravigliosa, il Brasile, che, per molte ragioni, ci è
cara.
Più tardi, la maestra Guido ha completato l’omaggio a Tom Jobim, interpretando la celebre Gar
ota de Ipanema
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, e restituendoci, nell’emozione di un’immagine confezionata da e per poeti, sollecitata dalla sua
voce, tutta l’elettrica sensualità della bossa nova, incarnata dai movimenti naturalmente
seducenti di una ragazza bellissima, che passa per la strada.
Si racconta che il poeta Vinicius de Moraes e Tom Jobim trassero l’ispirazione per la canzone
nel periodo in cui i due frequentavano assiduamente un locale di Rio, sul litorale di Ipanema, il
Veloso, in Rua Montenegro, davanti al quale passava abitualmente una giovane e bella ragazza
nel suo tragitto tra casa e scuola. de Moraes ne rimase talmente affascinato da volerle dedicare
dei versi, che rivolse, in realtà, alla bellezza della donna brasiliana e della vita intera nel suo
meraviglioso e melanconico fluire e rifluire, per cui, più tardi, scrisse: “Lei fu ed è per noi
l'esempio di un bocciolo
ca
rioca
; una ragazza con l'abbronzatura dorata, un misto di un fiore e di una sirena, piena di splendore
e di grazia, ma con lo sguardo anche triste, che porta con sé, sulla strada verso il mare, il
sentimento della giovinezza che passa, della bellezza che non è solo nostra - dono della vita
nel suo incessante meraviglioso e melanconico fluire e rifluire” (Vinicius de Moraes,
Revelação: a verdadeira Garota de Ipanema
, 1965).
La Guido si è prodotta altresì in un’interpretazione altrettanto convincente della celebre Sound
of love
di Duke Ellington.
Il pianista Paolo di Sabatino, dal canto suo, ben è riuscito a rendere l’espressionismo musicale
del Duca.
Del resto, è stato notato che molti brani ellingtoniani sfuggono a una ristretta etichettatura di
genere, andando ben oltre gli schemi tecnico-interpretativi del jazz dell'epoca.
Duke riuscì a “dipingere con i suoni” i suoi “quadri musicali”: questo concetto fu più volte
espresso dallo stesso Ellington, che in gioventù aveva coltivato la passione per la pittura
(prima di diventare musicista, sognava di diventare cartellonista pubblicitario). Il brano
Mood indigo
(che si potrebbe tradurre con
umore color indaco
) è uno degli esempi più significativi dell’espressionismo di Ellington.
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A Simona Maturo, giovane e sicura interprete, accompagnata al piano dal bravo maestro
Emanuele Martellotti, è stata invece affidata l’interpretazione di uno swing dell’ottimismo, On
the Sunny Side of the Street
, ovvero
Dal lato soleggiato della strada
, che mi ha riportato, con la mente, alla mia infanzia e al motivetto di una nota pubblicità
studiata per una caramella alla menta (tutta laccata di zucchero bianco tanto da sembrare fatta
di sfavillante e freschissimo ghiaccio polare), intorno alla quale improvvisava una danza
piroettante un simpatico gruppetto di leggiadri e scivolosissimi pinguini.
La giovane interprete ben ha rappresentato la vivace bonomia, che quella canzone incarna e
che rappresenta, in fondo, l’anima stessa dello spirito americano: da quando Thomas Jefferson
enumerò “la ricerca della felicità” tra le finalità dell'indipendenza americana, l'ottimismo è
diventato la chiave di volta dello sviluppo di una grande nazione, di cui l’attuale Presidente
Obama, nonostante l’attuale crisi dei mercati, sembra essere uno degli interpreti più efficaci e
convincenti. Louis Armstrong ne fece uno dei suoi cavalli di battaglia: “Anche senza un soldo in
tasca/ sarei ricco come Rockefeller/ Polvere d' oro ai miei piedi/ Sul lato soleggiato della
strada…
”.
Pure io quando ero piccola, mi sentivo ricca. Mi bastava avere una caramella alla menta in
tasca, allora…Forse, mi basta ancora…mentre cammino…sul lato soleggiata della strada.
Letizia Onorati, accompagnata dal bravo Carmine De Bonis alla chitarra, ci ha allietato con
un’interpretazione di pancia, molto soul, di una canzone che reca con sé tutta la forza
dell’amicizia:
That's What Friends Are For, del 1982,
scitta da Burt Bacharach e Carole Bayer Sager, interpretata per la prima volta da Rod Stewart
per la sigla del film
Night Shift
; ne sono stati interpreti famosi
Elton John
e Dionne Warwick.
Il testo della canzone è semplice e bellissimo:
Non ho mai pensato di potermi sentire così / fintanto che non é capitato a me. / Sono felice di
avere la possibilità di dire /che credo di volerti bene/ e se tu dovrai mai andare via/ be’ allora
chiudi gli occhi e prova/ a sentire come siamo oggi/ e poi se riesci ricorda. / Continua a
sorridere, continua a splendere. / Sapendo che puoi sempre contare su di me, é sicuro ./ E' per
questo che ci sono gli amici. / Per i bei tempi e per i brutti tempi . /Sarò al tuo fianco per
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sempre. /E’
per questo che ci sono gli amici…
Il maestro Paolo Di Sabatino non ha certo bisogno di presentazioni. Il suo curriculum musicale è
eccezionale. A scopo puramente esemplificativo, per i non addetti ai lavori, basti sapere che
egli ha collaborato, tra gli altri, con jazzisti del calibro di Paolo Fresu e Stefano Di Battista. Si è
esibito, tra l’altro, non solo nei più importanti festival di musica jazz in Italia, ma anche a
Chicago, presso il famoso club “Jazz Showcase”, dove ha firmato un contratto esclusivo per la
Hallway Records, con la quale ha pubblicato,
nel
1999
,
il cd
Introducing Paolo Di Sabatino in quartetto
(con Bosso, Ciancaglini e Manzi) e
Threeo
con J. Patitucci e Horacio “El Negro” Hernandez. Nel dicembre del 2002 le edizioni Il Manifesto
pubblicano
Paolo Di Sabatino
, cd che racchiude tutte composizioni originali suonate in compagnia dei sassofonisti Javier
Girotto, Stefano Di Battista e Daniele Scannapieco, oltre alla ritmica cubana formata da Carlitos
Puerto e Horacio Hernandez.
Nella serata carmianese, presso il Circolo Virtuoso, egli ha preso La Cumparsita, forse il tango
più conosciuto a livello mondiale, scritto nel 1917 dall’uruguayano Gerardo Matos Rodrìguez, e
ci ha giocato in punta di dita inquiete, con un
virtuosismo
, che non ne ha svilito affatto la natura passionale ed energica.
Non so quanti di voi seguano il tango, anche come danza, oltre che come genere musicale.
Ebbene, è difficile non rimanere conquistati da quell’inestricabile magia degli sguardi propria dei
ballerini di tango.
Quell’attirarsi e respingersi dei corpi è ben più di una danza, quegli scatti improvvisi del capo e
del passo nel muoversi sono i dinieghi e gli inciampi della vita stessa, che si sciolgono sempre
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però, per fortuna, in scivolate ardite e nello slancio temerario di una nuova piroetta a due.
E in quegli sguardi inesplicabili e intensi, che si scambiano due vite combattute, le quali
danzano tuttavia allacciate, c’è ben più delle parole: “t’amo”. C’è il significato profondo ed
invincibile dello stare assieme di ogni coppia, da Adamo ed Eva in poi, e il suo procedere, al di
là di ogni passione, nella passione quotidiana eppure unica e, nonostante tutto, entusiasmante,
del dover attraversare, nel medesimo tempo, questa valle di lacrime.
Queste sensazioni ha risvegliato in noi la bella interpretazione di Di Sabatino, che ha suscitato
nel pubblico presente una profonda commozione, strappandogli un lunghissimo applauso.
L'improvvisazione nella musica moderna, nel jazz soprattutto, è la procedura con la quale uno
dei musicisti (il solista) costruisce una nuova melodia, a partire dal materiale melodico e
armonico contenuto nella partitura. C’è improvvisazione perfino nei preludi, nelle toccate, nelle
fantasie e nelle fughe della musica classica (si veda, a titolo esemplificativo: Fantasia e fuga in
sol minore -BWV 542- di Johann Sebastian Bach, probabilmente un’improvvisazione trascritta
successivamente su spartito).
Non era raro assistere anche a gare di improvvisazione tra Mozart e Muzio Clementi, tra
Scarlatti ed Haendel.
Fino all'inizio del XIX secolo, i compositori lasciavano talvolta spazio all'improvvisazione nei loro
spartiti, indicando una cadenza, cioè una parte melodica, che doveva essere sviluppata dal
solista.
Nel jazz, invece, gli spartiti rivestono un ruolo marginale: ciò che conta è la sensibilità del
musicista e la sua estemporaneità creativa.
Spesso i brani eseguiti sono noti e diffusi nell'ambiente jazzistico: si tratta dei cosiddetti
standard, utilizzati come traccia comune per l'improvvisazione, singola o collettiva, e possono
essere modificati al punto da risultare quasi irriconoscibili rispetto alle versioni precedenti.
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Armstrong, Gillespie, Parker, Tatum, Davis, Russell, Coltrane, Evans, Hancock, Bailey, lo
stesso Ellington sono gli epigoni di una grande stagione: quella dell’improvvisazione senza fili (
una sorta di futurismo della musica), che vede nel nostro Paolo Di Sabatino un continuatore
convincente e originale, nella misura in cui adotta
standard
classici (come la
Cumparsita
o la celebre
Anema e Core
) per farne, a loro volta, un capolavoro di improvvisazione jazz: in questo modo la tradizione si
sposa con l’innovazione, nel segno, tuttavia, della continuità.
Di Sabatino ha compiuto lo stesso miracolo, come già preannunciato, con Anema e Core,
rispetto alla quale noi leccesi possiamo vantare un invidiabile primato: il suo primo interprete fu
il grande Tito Schipa, che, con la sua dizione limpida e perfetta, consegnò la canzone a un
successo intramontato e intramontabile, che contribuì ad aumentare il successo del
compositore Salve D’Esposito.
Il sentimento suscitato dall’interpretazione di Di Sabatino può essere ben espresso, con un
ritorno al passato, dalle parole che il critico del Journal de Paris scrisse nel 1955 relativamente
alle parole di
Anema e core : “s
emblent inspirèes par un besoin inassouvi et sans cesse croissant de douceur et de tendresse.
La melodie en est comparable à un baiser très pur ou à une chevelure de femme qu'un amant
caresse d'une maine amoureuse et craintive
”.
Nella sala del Circolo Virtuoso non si esibiva, in quel momento, nessun interprete vocale,
tuttavia il piano del maestro Di Sabatino cantava: “...Tenímmoce accussí, Anema e Core. Nun
ce lassammo cchiù, manco pe 'n'ora. Stu desiderio 'e te mme fa paura. Campa cu te, sempe cu
te, pe 'nun muri...
”.
L’interprete Simona Maturo, con una grinta e una voce d’ebano levigato, e la brava e solare
pianista Carla Petrachi si sono esibite in una versione molto persuasiva di Natural Woman,
consegnata al successo da un’indimenticabile Aretha Franklin:
“…prima del giorno in cui ti ho incontrato, /la vita era crudele, /ma il tuo amore é la chiave della
mia mente, /perché tu mi fai sentire, /mi fai sentire, /mi fai sentire/ come una donna naturale;
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/quando la mia anima era persa, /sei venuto a rivendicarla, /non sapevo cosa c'era di sbagliato
in me, /fintanto che il tuo bacio mi ha aiutato a scoprirlo, /ora non rimarrò a lungo incerta /sul
motivo per il quale io vivo/e se ti rendo felice …
”.
Ora, la canzone è meravigliosa, ma le femministe di ieri e di oggi dissentirebbero e avrebbero
molto da obiettare sul suo contenuto, nel senso che: una donna deve essere naturale sempre,
non si può delegare a un uomo il compito di farla sentire tale; non può essere un bacio a far
scoprire a una donna che cosa c’è di sbagliato in lei, ma quel lento e insondabile viaggio dentro
se stessi, che è proprio di ogni essere umano. Nel caso di specie, ai fini della canzone cioè, la
donna è innamorata…e dunque deve dire queste fregnacce al cascamorto di turno…
Natural Woman resta un capolavoro della musica moderna, ma cerchiamo, ognuno a suo
modo, di fare della nostra vita un vero capolavoro, senza delegarne il merito ad altri. Aiutiamoci,
senza usarci. Vogliamoci bene, senza svilirci a vicenda. E’ importante. E prendiamo la canzone
per quello che è: una canzone, bellissima, ma una canzone.
Poi è stata la volta della delicata Benedetta Iavarone, che aveva nello sguardo e nella voce
dolce e armoniosa la grazia adolescente di una Gigliola Cinguetti agli esordi: accompagnata da
Carmine De Bonis, ha interpretato All the things you are, composta musicalmente da Jerome
Kern e con testo scritto da Oscar Hammerstein II per il musical
Very Warm for May
del 1939.
I bravissimi Paola Pierri e Andrea Pasca, leader del gruppo emergente dei Crifiu (che ha aperto
nel 2008 il megaconcerto estivo della celebre
Notte della Taranta
), si sono prodotti nella nota
Take five
, composta da
Paul Desmond
, che è un
classico della musica jazz divenuto famoso dopo la versione del quartetto di Dave Brubeck
nell'album
Time Out
, del 1959.
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Gli interpreti prima hanno schioccato le dita, poi hanno gorgheggiato con le labbra, senza
tuttavia cantare (quasi un borbottio tribale), poi c’è stato un a solo di chitarra di De Bonis, indi
attacca il pianoforte di Di Sabatino e infine c’è il trionfo delle voci vere e proprie: vi ho letto un
climax ascendente, e cioè la sublimazione, sul resto, della voce umana, che si fa canto e
racconto. L’insieme
è risultato davvero molto
suggestivo.
Paola Pierri, accompagnata dalla vibrante pianista Carla Petrachi, si è prodotta anche nella non
semplice Chain of fools, scritta da Don Covay, originariamente interpretata dalla Franklin, che
la pubblicò come singolo nel 1967. Molti degli uomini presenti, tuttavia, hanno trovato una
qualche difficoltà a non lasciarsi distrarre dalla bella presenza dell’interprete: un angelo biondo
in clamide di chiffon nero e tacchi vertiginosi. Della serie: bellezza e bravura possono andare
benissimo a braccetto.
Complessissimo e ben interpretato anche il noto brano Round Midnight, che è uno standard
composto da Thelonious Monk, Cootie Williams e Bernie Hanigen. Si tratta di uno degli
standard più noti e più difficili da eseguire in assoluto, sia per l’incanto e le asperità espressive
del tema, sia per l'insolito giro amonico. Andrea Pasca l’ha reso con rara intensità, con la sua
bella voce, superando ogni ostacolo, superando se stesso.
Marcella Campobasso e il maestro Di Sabatino ci hanno regalato una gag, non sappiamo
quanto preparata, comunque è risultata simpatica: lei indugiava ad attaccare con la voce,…lui
l’ha rincorsa con le note e poi ha rallentato, a sua volta, un bel po’ col pianoforte, prima di farle
cenno d’attaccare. La Campobasso ha rivolto al maestro un gesto decisamente poco jazzistico
ma molto italico-meridionale (mano chiusa a imbuto agitata convulsamente, come a dire:
ce sta spietti?...
).
Di Sabatino ha sorriso, mentre la Campobasso si produceva nella nota All of me, canzone
popolarissima e jazz standard scritto da Gerald Marks e Seymour Simons nel 1931, interpretata
da artisti
del
calibro di Belle Baker, Billie Holiday, Louis Armstrong, Mildred Bailey, Benny Goodman, Ella
Fitzgerald, Dean Martin e Frank Sinatra (per citarne solo alcuni), muovendosi sulla scena da
consumata
stella del palcoscenico
. E’ proprio il caso di dirlo: ha dato veramente tutto di sé, simpatia compresa.
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Lucilla Vario ha interpretato con sentita partecipazione You Don't Know What Love Is, di Gene
de Paul e Don Raye (1941):
You don't know how hearts burn /For love that can not live yet never dies/ Until you've faced
each dawn with sleepless eyes /You don't know what love is.
Alessandra De Sii ha reso in modo intenso What’s Up, canzone rock molto difficile da
interpretare, scritta da Linda Perry per le 4 Non Blondes nel 1992.
Hanno concluso il concerto le composizioni originalissime del maestro Di Sabatino: Quello che
c’è in te
(un inno alla speranza e all’autostima),
Letizia
(a dispetto del titolo, la canzone ci pare venata, nel suo fondo, da una screziatura
malinconica…forse Letizia è il nome di una donna?) e
Oltre il mare
(composizione accompagnata dal coro degli allievi della Guido, che ben esprime il fluire delle
onde, che cantano il loro moto).
Ha condotto la serata Damiana Mancarella, la quale ha avuto cura di sottolineare la difficoltà dei
singoli pezzi e le spigolosità interpretative, che li caratterizzavano.
L’iniziativa ha avuto un notevole successo, oltre a un indiscusso riscontro di pubblico.
Tutto questo è avvenuto in un piccolo paese del Salento, con le sue difficoltà obiettive,
circondato dai vigneti e dalle arie vaste e azzurrate del più dolce colore d’oriental zaffiro, che
tinga i cieli d’Italia, mentre lassù, in alto, la luna, amante dei sogni, ci avvicinava, velatamente,
alla cultura del jazz, che è poi arte dell’improvvisazione. Su questo e per questo, il Sud, d’altra
parte, da secoli, ha imparato a campare: proprio sull’improvvisazione.
Il jazz può forse insegnarci che ci deve essere metodo anche nell’improvvisazione, misura nella
creatività, per renderci veramente e intensamente protagonisti del nostro destino.
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