“Come ne Esco?” Le Strategie di Gestione dell`Identità - In-Mind

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“Come ne Esco?” Le Strategie di Gestione dell`Identità - In-Mind
“Come ne Esco?”
Le Strategie di Gestione dell’Identità Sociale
Negativa
In-Mind Italia
1I, 13–18
http://it.in-mind.org
ISSN 2240-2454
Claudio Radogna e Francesca Romana Alparone
Università degli Studi di Chieti-Pescara
Keywords
identità sociale, mobilità Individuale, cambiamento sociale, creatività sociale
“No man is an island”
(John Donne, 1624)
I nostri modi di pensare, le nostre emozioni, il nostro
comportamento non sono il frutto di attività isolate, ma
derivano interamente dalle relazioni che intratteniamo
con le altre persone. L’appartenenza ai gruppi sociali
rappresenta un aspetto fondamentale della vita di ogni
essere umano, legandosi a bisogni imprescindibili di
affiliazione, sostegno e sicurezza (Baumeister & Leary, 1995). Tuttavia, l’appartenenza ad un gruppo sociale
non sempre rappresenta un vantaggio e un sostegno in
termini individuali, poiché non tutti i gruppi godono di
un medesimo grado di rispetto, considerazione e potere
all’interno di un determinato contesto sociale. L’ineluttabile gerarchia sociale pone infatti alcuni gruppi in una
posizione dominante e ne relega altri ad una posizione
subordinata e priva di potere. L’appartenenza a questi
ultimi si riverbera negativamente sull’immagine sociale
individuale, ponendo i singoli membri in una condizione
psicologica difficile, dilemmatica.
Nella vita di tutti i giorni ci troviamo spesso a confrontare la considerazione di cui gode il nostro gruppo di
appartenenza con quella di altri gruppi presenti nel contesto sociale, e quando questo confronto non conduce a
un risultato positivo subiamo significativi effetti negativi
sul piano personale che ci motivano a investire energie
nella scelta di appropriate strategie cognitive e/o comportamentali volte al miglioramento individuale o collettivo.
Il presente lavoro inquadra il fenomeno descritto tenendo conto dei risultati di quattro decenni di ricerche basate
sulla Teoria dell’Identità Sociale (Tajfel & Turner, 1979).
Fig. I. Campagna di sensibilizzazione olandese contro la discriminazione basata sul proprio gruppo di appartenenza (www.
discriminatie.nl).
L’Identità sociale: Il legame
psicologico con il gruppo
A partire dagli anni Settanta, Tajfel e collaboratori iniziarono a mettere in discussione l’idea che i conflitti tra
gruppi nascessero soprattutto in virtù di scopi antagonistici, cioè nei casi in cui un gruppo desidera ottenere
un risultato che va a scapito di un altro gruppo (Teoria
del Conflitto Realistico; Sherif, 1967). L’insoddisfazione
verso una spiegazione così deterministica della genesi
dei conflitti tra gruppi portò alla nascita di un programma di ricerca (Paradigma dei Gruppi Minimi; Tajfel,
Billig, Bundy, & Flament, 1971) teso ad evidenziare le
condizioni minime per la creazione di un sentimento
Corrispondenza:
Claudio Radogna
Facoltà di Psicologia, Università degli Studi di Chieti-Pescara
Via dei Vestini, 31, 66100, Chieti.
E-mail: [email protected]
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di appartenenza a un gruppo e sufficienti a sollecitare
l’antagonismo con altri gruppi, indipendentemente dagli scopi specifici. I risultati di questa pionieristica linea di ricerca mostrarono che una semplice divisione in
categorie, anche prive di ogni connotazione valutativa,
sollecitava la tendenza a favorire i membri del proprio
gruppo (ingroup) a discapito di quelli del gruppo esterno (outgroup). Ma a cosa era dovuto il favoritismo per
l’ingroup?
Nella prospettiva della Teoria dell’Identità Sociale,
l’appartenenza a uno o più gruppi costituisce una parte
importante dell’identità delle persone, l’identità sociale
appunto, che si configura come il legame psicologico tra
un individuo e il suo gruppo, altrimenti definita da Tajfel
(1981/1995) come “quella parte dell’immagine che un individuo si fa di se stesso, derivante dalla consapevolezza
di appartenere ad un gruppo sociale, unita al valore ed
al significato emozionale attribuito a tale appartenenza”
(p. 314). Gli individui generalmente ambiscono ad avere
un concetto di sé positivo piuttosto che negativo; poiché, come detto, una parte di questo è legato ai gruppi
di appartenenza, si sarà più propensi a vedere tali gruppi
sotto una luce favorevole. A questa valutazione si arriva attraverso il confronto sociale (Festinger, 1954), cioè
giudicando il valore del proprio gruppo nel confronto
con altri. Lo status dell’ingroup (ovvero la posizione
relativa del gruppo rispetto ad altri in merito a dimensioni di confronto significative), dunque, determina se
il gruppo di appartenenza contribuisce positivamente/
negativamente all’identità personale. Ad esempio, in
questo momento il sentirsi italiani fornisce un contributo negativo all’identità personale nel confronto con altri
paesi sul piano dello sviluppo economico. Tuttavia, se
l’Italia vincesse i prossimi Europei di calcio, questa situazione potrebbe ribaltarsi nel sentimento identitario di
molti italiani perché il confronto si baserebbe non più
sulla dimensione economica quanto su quella sportiva.
È naturale dedurne che i problemi sorgono quando
si fa parte di un gruppo subalterno. In questo caso, l’appartenenza genera uno stato di frustrazione che minaccia l’identità personale, tanto da spingere i membri di
questi gruppi a tentare di migliorare la propria identità
sociale attraverso l’adozione di strategie cognitive e/o
comportamentali, definite strategie di gestione dell’identità (identity management strategies; Blanz, Mummendey, Mielke, & Klink, 1998; Ellemers, 1993). La
scelta del tipo di strategia dipende dal modo in cui le
persone esperiscono l’appartenenza ad un gruppo di
basso status (dal punto di vista affettivo, percettivo e
comportamentale), dal livello di identificazione con il
gruppo e dalla percezione di poter alterare le relazioni di status (Barreto & Ellemers, 2000; Pagliaro, 2010;
Tajfel & Turner, 1979). La scelta dipende, inoltre, dalle
rapresentazioni che i membri dei gruppi si fanno della
struttura sociale. Tali rappresentazioni derivano da tre
Radogna & Alparone
variabili socio-strutturali: stabilità del sistema sociale
(credenza che la stratificazione sociale esistente possa
cambiare, o meno), legittimità della stratificazione sociale (percezione che le differenze di status tra i gruppi
siano determinate da criteri più o meno legittimi), permeabilità dei confini fra gruppi (possibilità o meno di
poter lasciare il proprio gruppo per accedere ad un altro).
Conseguenze dell’appartenenza ad
un gruppo di basso status
Numerosi studi hanno indagato le conseguenze dell’appartenenza a gruppi di basso status, in primo luogo sui
livelli di identificazione con il gruppo stesso, che risultano in genere più bassi che nei gruppi di alto status (Ellemers, 1993).
Per quanto riguarda le conseguenze affettive, uno
dei primi elementi indagati è stato il livello di autostima
dei soggetti. Cartwright (1950) aveva già intuito questo
aspetto, sottolineando come l’appartenenza a gruppi
emarginati producesse sentimenti di auto-commiserazione e incapacità. Sebbene teoricamente l’andamento
del legame status/autostima appaia diretto, a livello empirico gli studi hanno prodotto risultati contraddittori
(Major & O’Brien, 2004). La relazione diretta infatti è
emersa per i gruppi dominanti, ma non per i subalterni, quali ad esempio le donne nel mondo del lavoro o
gli obesi (Friedman & Brownell, 1995; Miller & Downey, 1999). Coerentemente con questo, Crocker, Voelkl,
Testa e Major (1991), hanno dimostrato che la relazione basso status/bassa autostima è mediata dalla percezione dei membri del gruppo di basso status di essere
oggetto di denigrazione da parte del gruppo dominante.
Sempre all’interno della dimensione affettiva, sono
stati poi indagati gli effetti dell’appartenenza sul livello
di soddisfazione dei membri di gruppi di basso status.
Ellemers, Van Knippenberg, De Vries e Wilke (1988)
hanno evidenziato che queste persone dichiarano livelli
di soddisfazione inferiori rispetto ai membri di gruppi di
status più alto. Questa relazione è però legata tanto alla
percezione delle caratteristiche dei confini tra i gruppi
(permeabili vs. impermeabili) quanto alla percezione
di stabilità vs. instabilità del sistema sociale. L’appartenenza ad un gruppo subordinato avrebbe dunque un’influenza minore sui livelli di soddisfazione laddove si
prospettasse la possibilità di migliorare la propria identità sociale o di sovvertire il sistema (Ellemers, Wilke,
& Van Knippenberg, 1990). Inoltre, la percezione che la
condizione di basso status sia determinata da un criterio
legittimo (vs. illegittimo) ridurrebbe il grado di insoddisfazione (Ellemers, Wilke, & Van Knippenberg, 1993).
Passando alle conseguenze sul piano cognitivo, sono
state indagate le distorsioni nei processi percettivi legate
alle appartenenze di gruppo. A tal proposito è stata ampiamente messa in luce la tendenza delle persone a valu-
Gestire un’identità sociale negativa
tare il proprio gruppo in modo più favorevole al fine di aumentarne la distintività positiva (ingroup bias; Tajfel et al.,
1971). Questa tendenza è risultata moderata dallo status
relativo del gruppo, dal livello di identificazione e, come
vedremo dopo, dai fattori socio-strutturali del contesto.
Sempre sul piano cognitivo, un altro meccanismo
sottoposto ad indagine sperimentale è quello delle attribuzioni causali. I membri dei gruppi posti in posizione
subalterna risultano maggiormente portati ad assumersi
la responsabilità dei successi ottenuti e ad attribuire invece gli insuccessi agli altri componenti del gruppo in
maniera strategica; fenomeno in linea con la letteratura sull’errore fondamentale di attribuzione (Ross & Nisbett, 1991) e particolarmente evidente in caso di bassa
identificazione col gruppo (Schlenker & Miller, 1977).
Sono stati infine individuati alcuni esiti comportamentali legati allo status del gruppo, primo fra tutti la
tendenza al favoritismo per l’ingroup (ingroup bias, ad
es., nell’assegnazione di risorse; Tajfel et al., 1971), già
considerabile come una strategia di gestione dell’identità
sociale. I membri di gruppi di basso status manifestano, in
genere, meno favoritismo per l’ingroup (Mullen, Brown,
& Smith, 1992). Tuttavia, un’analisi più approfondita dei
fattori socio-strutturali del contesto in cui avvengono i
confronti sociali ha messo in luce che l’espressione del
bias è moderata sia dalla percezione di (im)permeabilità
e di (il)legittimità (Bettencourt, Dorr, Charlton, & Hume,
2001), sia dalla percezione di (in)stabilità (Vezzali, Andrighetto, Trifiletti, & Visintin, 2012) delle relazioni di status. Quando, inoltre, la valutazione avviene su dimensioni rilevanti per l’identità dell’ingroup, i membri di gruppi
subordinati mostrano tendenze a favorire il proprio gruppo tanto quanto i membri di gruppi di status più elevato.
Quanto esposto finora mostra che l’esperienza dell’appartenenza ad un gruppo di basso status si
configura come negativa e pervasiva. Essere un immigrato in un Paese ospitante, o una donna in determinati contesti lavorativi può rappresentare una minaccia continua per una parte importante della propria
identità e, di conseguenza, per il proprio benessere. È
proprio questa minaccia che motiva a mettere in atto
delle strategie per gestire la contingenza negativa.
“Come ne esco?”
Le strategie di gestione dell’identità
sociale negativa
Gli studi condotti alla luce della Teoria dell’Identità
Sociale hanno esaminato i modi in cui i membri di un
gruppo subordinato possono provare a migliorare la condizione negativa, mettendo in luce un’ampia gamma di
strategie di gestione dell’identità sociale.
Alcuni degli esiti dell’appartenenza a gruppi di basso
status appena descritti rappresentano già modi strategici
per gestire gli effetti dell’identità sociale negativa, come
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nel caso della percezione di variabilità intragruppo (Doosje, Spears, & Koomen, 1995), che consente di differenziarsi positivamente, seppur in maniera individuale,
rispetto ai membri del proprio gruppo. Inoltre, la stessa
riduzione dell’identificazione è stata interpretata nei termini di un disinvestimento nel gruppo, una forma cioè di
disimpegno psicologico (Major & Schmader, 1998) che
funge da espediente per evitare le ripercussioni negative.
La gestione dell’identità negativa presuppone che i
membri dei gruppi di basso status siano in grado di immaginare delle alternative allo status quo. Ciò implica
una valutazione della permeabilità dei confini tra gruppi,
così come la valutazione del sistema delle relazioni di
status, siano esse stabili/instabili, legittime/illegittime.
Fig. 2. L’immigrazione clandestina: un tentativo tragico ed
estremo di mobilità individuale.
In prima istanza, gli studi distinguono tra i tentativi di
migliorare la posizione individuale e i tentativi di migliorare, invece, la situazione di tutto l’ingroup. Ad esempio,
un neo-laureato del Sud-Italia, constatata la difficoltà di
inserimento lavorativo nella sua regione, potrebbe trasferirsi al Nord in cerca di fortuna oppure cercare dei
finanziamenti europei che favoriscano lo sviluppo di tutta la sua regione. Nel caso di un trasferimento, possibile
quando i confini sono permeabili e instabili, si parla di
mobilità sociale. Tale permeabilità consente ad ognuno
di sfruttare le capacità individuali per tentare di passare
ad un gruppo di status superiore, come avviene nelle culture occidentali basate sul mito del “self-made man”, in
cui vige una concezione di indipendenza del Sé. Nel caso,
invece, della ricerca di finanziamenti si fa riferimento ad
una strategia di cambiamento sociale, basata su una percezione di impermeabilità dei confini tra gruppi. Posto in
questa situazione, l’individuo può solo tentare di innalzare lo status di tutto il gruppo, rovesciando il sistema
di relazioni vigente (azioni di protesta, progettazione di
comunità; Branscombe & Ellemers, 1998). Tuttavia se il
giovane laureato ritiene che le relazioni di status tra Sud e
Nord siano illegittime e instabili, potrebbe anche cercare
di dimostrare la superiorità sia sua che dei laureati della
Radogna & Alparone
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sua regione adottando strategie di competizione sociale.
Secondo alcuni autori (Gaertner, Sedikides, Vevea, & Iuzzini, 2002) la mobilità individuale sarebbe sempre preferita rispetto alle strategie di gruppo in
virtù della supremazia del sé individuale. Altri (Barreto & Ellemers, 2000), invece, evidenziano che è la
valutazione dei fattori socio-strutturali e contestuali
ad orientare gli individui verso la scelta della strategia. Infatti, come detto, la permeabilità dei confini e la
percezione che le relazioni di status tra i gruppi sono
instabili, cioè passibili di cambiamento, e determinate da un criterio illegittimo, motiva le persone ad in-
di successivi, hanno specificato che la creatività può
riguardare sia strategie individuali che di gruppo. A
tale proposito, Blanz e collaboratori (1998) hanno proposto una classificazione in base a due assi ortogonali:
il primo differenzia le risposte individuali vs. collettive, il secondo distingue comportamenti vs. cognizioni.
Accomunate dal fatto di essere considerate forme di
distanziamento psicologico (Major & Schmader, 1998)
dal gruppo di appartenenza, le principali strategie di creatività sociale descritte in letteratura riguardano: la ricategorizzazione di sé stessi ad un livello sovra-ordinato
(“Non sono un abitante del Sud-Italia, sono un Italiano!”)
o sotto-ordinato (“Non sono un Europeo, sono un Italiano!”); la rivalutazione della dimensione di confronto
(“Certo, al Sud-Italia siamo più poveri; ma la ricchezza
non è l’unica cosa importante!”); l’espressione di ambivalenza nei confronti dell’ingroup, ovvero manifestare
un atteggiamento che contenga contemporaneamente
elementi di valutazione positivi e negativi (“La disoccupazione giovanile è un problema grave in Italia, ma
non c’è Paese più bello in cui voglia vivere”; Pagliaro,
Alparone, Pacilli, & Mucchi-Faina, 2012); la scelta di
una nuova dimensione di confronto; il cambiamento del
gruppo di confronto stesso o il paragone con uno standard (Mummendey, Kessler, Klink, & Mielke, 1999).
Al di là dei tentativi di classificazione, risulta chiaro che i membri di un gruppo di basso status possono
adoperare diverse strategie per gestire la propria idenFig. 3. La libertà che guida il popolo (Eugène Delacroix, 1830): tità sociale negativa, le quali convergono, in definitiva,
un’ottima rappresentazione dei tentativi di cambiamento so- nella dicotomia miglioramento individuale - di gruppo.
ciale.
traprendere azioni collettive piuttosto che individuali.
Infine, un ruolo importante nella scelta tra strategie
è giocato dall’identificazione con il gruppo, che agisce
non tanto in maniera tout court, quanto in relazione al
fatto che l’identificazione aumenta l’adesione alle norme
del gruppo: i membri che maggiormente si identificano
tenderanno a seguire la strada – individuale o collettiva –
tracciata dalle norme del gruppo, sopratutto quando sono
definite in termini morali (Ellemers, Pagliaro, Barreto,
& Leach, 2008; Pagliaro, Ellemers, & Barreto, 2012).
“E se proprio non posso uscirne?”
Le strategie di creatività sociale
Un ultimo filone di studi ha indagato l’utilizzo di una
serie di strategie, di tipo prevalentemente cognitivo, utilizzate in caso di impermeabilità dei confini e stabilità
del sistema, aventi come obiettivo la ridefinizione dello
scenario di confronto intergruppi da parte dei membri
appartenenti a gruppi subordinati. Tali strategie rientrano nell’ambito della creatività sociale (Tajfel, 1978).
Se in principio, Tajfel e Turner (1979) considerarono la creatività sociale una strategia collettiva fondata sull’ideologia del cambiamento sociale, gli stu-
Concludendo
L’appartenenza, sia essa riferita ad un gruppo etnico o
religioso, alla tifoseria di una squadra di calcio o ad una
categoria di lavoratori… costantemente determina in
modo fondamentale chi siamo, cosa pensiamo e come
reagiamo al mondo sociale. Questo, a sua volta, fornisce
un feedback sulla posizione del gruppo di appartenenza
rispetto agli altri gruppi, il cui contenuto può generare
tanto un senso di sicurezza quanto uno di minaccia all’identità, e di conseguenza orientare i successivi tentativi
di fronteggiamento. Ma sono soprattutto le caratteristiche socio-strutturali del contesto in cui avvengono i
confronti sociali, che forniscono gli elementi di base per
valutare la praticabilità della strategia di gestione della
minaccia identitaria e la conseguente scelta comportamentale.
Glossario
Paradigma dei gruppi minimi: è un paradigma sperimentale classico della psicologia sociale, introdotto nel
1971 e sistematizzato da Tajfel e Turner nel 1979. La situazione sperimentale consiste nel creare due gruppi di
partecipanti sulla base di un criterio del tutto irrilevante,
Gestire un’identità sociale negativa
quale ad esempio la preferenza per un pittore piuttosto
che un altro. Prevede che non ci sia un reale conflitto
di interessi né ostilità pregressa tra i due gruppi creati.
Inoltre non devono esistere interazioni tra i partecipanti, né legami diretti tra l’interesse economico personale e la strategia di favoritismo per il proprio gruppo. Il
compito dei partecipanti è quello di distribuire delle ricompense, con valore monetario, sulla base di matrici di
pagamento, ad un membro dell’ingroup e ad un membro
dell’outgroup.
Teoria dell’attribuzione causale: Heider (1958), accreditato come il padre della teoria, sostiene che gli osservatori vogliono sapere cosa porti gli attori a comportarsi
in un determinato modo. La teoria dunque fornisce una
serie di indicazioni su come vengono tratte inferenze riguardo alle cause di azioni nelle comuni situazioni in
cui si è di fronte a comportamenti umani, occupandosi
principalmente di ciò che gli osservatori concludono riguardo al perché gli attori agiscono in un certo modo.
Si occupa delle spiegazioni del nostro comportamento
e di quello delle altre persone. La teoria sostiene che le
persone sono maggiormente interessate ad identificare
le disposizioni personali, ovvero caratteristiche stabili
della personalità.
Norme di gruppo: “Le norme specificano, in maniera
più o meno dettagliata, determinate regole concernenti
il modo in cui gli individui dovrebbero comportarsi e
costituiscono così la base di aspettative reciproche tra i
membri del gruppo” (Brown, 2005, p. 63). Rappresentano dunque delle prescrizioni comportamentali, delle linee guida che prescrivono il comportamento dei membri
di un gruppo, e che pertanto li spinge ad agire nei modi
che meglio incarnano le caratteristiche distintive dell’ingroup rispetto agli outgroup.
Errore fondamentale di attribuzione: detto anche bias
di corrispondenza, rappresenta la tendenza sistematica
dei soggetti ad attribuire la causa di un comportamento
esclusivamente alla persona che lo mette in atto (attribuzione disposizionale), sottostimando l’influenza che
l’ambiente o il contesto può avere nel determinare tale
comportamento (attribuzione situazionale). Vi è quindi
una tendenza a sopravvalutare la disposizione mentale
dell’individuo agente e contemporaneamente a sottovalutare i fattori situazionali. L’errore fondamentale di
attribuzione è tipicamente evidente quando qualcuno osserva e interpreta il comportamento altrui.
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Claudio Radogna si è laureato in
Psicologia dei Gruppi, delle Comunità
e delle Organizzazioni, presso la
Facoltà di Psicologia, Università degli
Studi di Chieti-Pescara
Francesca
Romana
Alparone
è
Professore Associato di Psicologia
Sociale, presso la Facoltà di
Psicologia, Università degli Studi
di Chieti-Pescara e docente di
Psicologia Sociale e di Psicologia degli
Atteggiamenti e delle Opinioni.