L`ALTARE MAGGIORE DONATELLIANO DELLA BASILICA DI S

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L`ALTARE MAGGIORE DONATELLIANO DELLA BASILICA DI S
Diritti riservati – Veneranda Arca di S. Antonio
L’ALTARE MAGGIORE DONATELLIANO DELLA BASILICA DI S.
ANTONIO DI PADOVA – Prof. Leopoldo Saracini
Scheda storico – artistica realizzata a cura del Prof. Leopoldo Saracini – Presidente della Veneranda Arca di S. Antonio
con delega al restauro e alla conservazione del patrimonio artistico del complesso basilicale
Premessa
Nel 1892 la Presidenza della Veneranda Arca di S. Antonio, in vista dell’ormai imminente settimo centenario
della nascita del Santo (1895) predispose e deliberò una serie di interventi finalizzati a restituire alla chiesa
“la sua immagine originale” , cioè la più vicina e fedele possibile alle sue origini medioevali. Eravamo in
piena epoca di revivals medioevalistici e le nuove idee del restauro restituivo – da intendersi più
esattamente come un “ripristino dell’antico “ – sorte all’interno della cultura Romantica trionfavano già da
alcuni decenni in tutta l’ Europa.
Il dibattito ebbe inizio nel mese di Agosto ‘92 quando venne consultato Federico Berchet – Presidente della
Commissione Regionale per la conservazione dei monumenti, questi, nella sua relazione del 27 Ottobre
1892 indicò i vari lavori da eseguire all’interno della fabbrica del Santo.
La Presidenza della Veneranda Arca incaricò, quindi, il Berchet di studiare i progetti dei lavori producendo
anche i relativi preventivi di spesa, ma tali progetti non ottennero l’approvazione delle competenti Autorità
Ministeriali Nazionali. Fu a questo punto che la Veneranda Arca si rivolse all’ Architetto Camillo Boito.
Egli già nel Settembre del 1893 presentò i nuovi progetti, corredati da puntuali relazioni tecniche che in tempi
brevissimi ( 20 Novembre 1893) ottennero le necessarie autorizzazioni ministeriali e contestualmente
l’incarico da parte della Veneranda Arca di coordinare ed attuare i lavori per il VII Centenario Antoniano del
1895.
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IL NUOVO ALTARE MAGGIORE DELLA BASILICA ( 1893 – 1895 )
Il 21 Dicembre 1893 l’ Arch. Boito presentava
alla Presidenza della Veneranda Arca la sua
“PROPOSTA PER LA RICOMPOSIZIONE
DELL’ALTARE DI DONATELLO “.
In essa l’architetto prevedeva la rimozione
dell’ altare maggiore esistente e la
costruzione del nuovo nello stesso punto
“…ove il Campagna alzò il suo nel ‘500 ed
ove fu fatto nel ‘600 quello che oggi si vede.
Le motivazioni di questa scelta vennero
dettagliatamente esposte dall’architetto che
sottolineava come “…codesto luogo del
tempio corrisponde ai modificati e ampliati
servizi religiosi e alle solennità delle
cerimonie ecclesiastiche.”
Inoltre, “ l’altare riordinato nel modo che ora
si propone, restando nel luogo suo non
muterebbe affatto alcuna misura al paragone
dell’altare precedente:
non la lunghezza totale, né la larghezza
totale, né le proporzioni della mensa, né il
numero e l’estensione dei gradini. “
- a destra: l’altare maggiore barocco precedente
all’attuale del Boito. Si osservano alcune statue di
Donatello inserite nell’arco trionfale posto in
fondo all’abside
- Sotto l’altare maggiore ricostruito da
Camillo Boito nel 1895
3-
Il problema dimensionale del nuovo altare era
certamente uno degli aspetti più complessi e
problematici che l’architetto doveva affrontare nel nuovo
progetto dopo aver superata la questione altrettanto
complicata del : se, e come, si fosse potuto ricostruire
l’altare originale realizzato da Donatello, del quale
peraltro non esisteva alcuna documentazione sicura su
cui basarsi.
Il Boito escluse subito l’idea di poter ricostruire, pur
basandosi su ipotesi attendibili, l’altare di Donatello
collocato al centro della curva absidale dove doveva
trovarsi, così come si deduce da un disegno del primo
Cinquecento conservato alla Galleria degli Uffizi di
Firenze, infatti la situazione dello spazio presbiteriale
era stata completamente modificata nel 1651 con la
cosiddetta “voltura del coro” (Arch. Lorenzo Bedogni)
che venne trasportato dal sito originario – sotto la cupola
dell’attuale presbiterio – alla curva absidale, dove anche
attualmente si trova. Con questa trasformazione gli
archi del presbiterio - altare donatelliano, che allora si
aprivano liberi sul retrostante deambulatorio lasciando in
vista l’altare, vennero completamente otturati dagli stalli
lignei e successivamente racchiusi dalle specchiature
marmoree che tutt’ora si vedono.
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L’inserimento nel nuovo altare di tutte le opere superstiti
di Donatello (all’appello mancano le quattro statue
marmoree dei Dottori della Chiesa- perdute) vincolarono
fortemente le scelte delle proporzioni e il
dimensionamento delle varie parti operato dall’architetto,
ma fu certamente una vera fortuna che i moduli obbligati
dei bassorilievi del grande Maestro fiorentino abbiano
vincolato l’intervento di Boito, che certamente studiò con
profonda cura e attenzione ogni particolare da inserire.
In qualche modo l’euritmia e la “divina proporzione”
sono sopravissute in questa riedizione boitiana dell’
altare grande a cui lavorò tra il 1447 ed il 1454
direttamente Donatello.
Nella ricostruzione dell’altare maggiore accuratissima fu la scelta dei marmi impiegati, tutti ricavati da blocchi
unitari e molto selezionati, messi in opera a “massello” senza risparmio alcuno.
Si distinguono: il GIALLO di MORI – il BIANCO di CARRARA – il ROSSO “ammonitico” di VERONA, mentre
per i gradini venne utilizzato : il NEMBRO ROSATO della cava di Domegliara (VR) e il GIALLO di SIENA.
Lo sfolgorante riverbero del mosaico dorato con il quale sono realizzati i fondi delle specchiature e dei fregi
esalta gli accostamenti cromatici ottenuti da marmi diversi, composti con un gusto veramente sapiente,
ottenendo morbide sfumature distintive dei piani e intensi contrappunti formali che valorizzano i particolari.
Tutto ciò, a distanza di oltre un secolo , ci dà la misura degli artisti e dei lapicidi che vi hanno lavorato e
della loro profonda e consumata conoscenza dei materiali utilizzati
Meditata ed approfondita fu la scelta dei particolari e dei dettagli decorativi inseriti dall’architetto Boito che
nulla lasciò al caso, né all’improvvisazione, operando con un procedimento di accurata rivisitazione e
garbata “citazione” di altre opere di Donatello : cantoria del Duomo di Firenze, pulpito esterno della Pieve di
Prato, Annunciazione di S. Croce in Firenze.
foto sopra - DONATELLO
foto sopra a destra: DONATELLO
LA CANTORIA del DUOMO di FIRENZE (1433 – 1439) Museo dell’Opera del Duomo - Firenze
L’ ANNUNCIAZIONE (1435 ca.)
Basilica di S. Croce - Firenze
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La collocazione dei singoli pezzi donatelliani nel telaio marmoreo dell’altare : bassorilievi e statue,
comportò un attento e approfondito studio delle condizioni di veduta e delle linee prospettiche,
secondo una composizione piramidale dell’insieme al cui vertice sta il Crocifisso, inserito nell’altare
non solo – o prevalentemente – per ragioni liturgiche, ma soprattutto per esigenze di tipo
prospettico.
I Bronzi, prima di essere incassati e collocati sull’altare, furono accuratamente restaurati
dall’argentiere Giuseppe Fontana (Giugno 1895) , mentre l’esecuzione delle opere marmoree
venne affidata alla Ditta Arturo Biondetti con apposito contratto sottoscritto tra le parti il 1°
Dicembre 1894, dove si prevedeva anche la messa in opera dei manufatti entro il mese di Luglio
dell’anno successivo.
Oltre all’alta qualità artistica ed esecutiva dell’opera nel suo insieme, all’ architetto Boito va
certamente riconosciuto il merito di aver concepito e realizzato la ricomposizione delle opere di
Donatello ( trenta pezzi ) che nel corso dei secoli erano state disperse in varie posizioni della
Basilica. Nel corso del sec. XX sono mutate le esigenze liturgiche (Riforma del Concilio Vaticano
II) e quindi l’uso dell’altare boitiano è diventato secondario, ma non è certo venuta meno la sua
dignità estetica e il ruolo di splendida cornice del più cospicuo insieme di opere del grande Maestro
Fiorentino che a Padova ha lasciato un gruppo indimenticabile di capolavori.
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PICCOLA SCHEDA BIOGRAFICA
CAMILLO BOITO
Camillo Boito è nato a Roma nel 1836 e morto a Milano nel 1914.
Trasferitosi giovanissimo a Padova, studiò a Venezia,
all'Accademia di belle arti di quella città seguendo i corsi di Pietro
Selvatico, che lo aveva designato come suo erede nella cattedra
di architettura. Volendo approfondire i suoi studi, però, Boito partì
per un viaggio attraverso l'Italia per conoscere da vicino i
monumenti antichi, in particolare quelli gotici a Firenze e le opere
dei Cosmati a Roma. Nel 1860 venne chiamato a insegnare
architettura all'Accademia di Brera di Milano.
L'appello di Selvatico a esercitarsi negli " stili nazionali del medio evo " venne raccolto dall'allievo, la cui prima opera fu il restauro della
Pusterla di Porta Ticinese a Milano (1861). In questa, l'arbitrario inserimento di due fornici ad arco acuto rivela una visione ancora
romantica del Medioevo. Rispetto al restauro "stilistico" di Eugène Viollet-le-Duc, teso a eliminare dalle cattedrali gotiche francesi ogni
aggiunta successiva, Boito maturò in seguito un atteggiamento di salvaguardia verso la stratificazione storica dei monumenti, sui quali
riteneva si dovesse intervenire sempre discretamente. Lontano, quindi, anche dal cosiddetto restauro "romantico" di John Ruskin, Boito
non fu però sensibile verso il valore dei contesti ambientali, avallando i radicali sventramenti dell'Italia postunitaria, tra cui quello,
particolarmente grave, necessario per l'erezione del monumento a Vittorio Emanuele II al centro di Roma.
La sua attività principale rimane l'architettura: tra i suoi progetti ricordiamo l'intervento nell'area medievale del Palazzo della Ragione di
Padova, con la progettazione del Palazzo delle Debite; la realizzazione di una scuola-modello; la sistemazione del convento
antoniano a sede del Museo Civico; l'ampliamento del camposanto e gli interventi sulla Basilica di Sant'Antonio a Padova; il
restauro della Pusterla di Porta Ticinese e il progetto per la Casa di riposo per Musicisti «Giuseppe Verdi» a Milano; il progetto della
facciata della chiesa di Santa Maria Assunta e dell'ospedale di Gallarate in provincia di Varese.

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