numero 18 In questo numero Urbanistica e

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numero 18 In questo numero Urbanistica e
Direttore Luca Beltrami Gadola
numero 18
16 giugno 2009
edizione stampabile
In questo numero
Editoriale - LBG - BALLOTTAGGIO: ASTENSIONE, FAR VINCERE LA STUPIDITA'
Approfondimenti - Mario De Gaspari - MILANO: LE OMBRE DEL SALOTTO BUONO DEL MATTONE
Lavoro - Giuseppe Ucciero - A PROPOSITO DI TOLLERANZA ZERO: L'ORTOMERCATO AL TEMPO DELL'EXPO
Ambiente e scienza - Riccardo Lo Schiavo - ZANZARE, COPERTONI E IMMIGRAZIONE. UNA
STORIA MILANESE
Metropoli - Filippo Beltrami Gadola - MILANO E LA FAME: MANGIARE MEGLIO MANGIARE TUTTI
Società - Michele Bernelli - GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALE: CRESCE LA "SPESA GIUSTA"
Urbanistica e architettura - Pietro Cafiero - I MERCATI MENEGHINI
Lettera - admin - ALFONSO MARZOCCHI SCRIVE E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO
Dal Palazzo - ***** - LETIZIA E RED - STESSO COLORE DEI CAPELLI. STESSE IDEE?
Scuola e Università - Vincenzo Viola - L'IMPROVVISAZIONE DEL POTERE
In YouTube
L'ACQUISTO SOLIDALE
RUBRICHE
MUSICA – a cura di Paolo Viola
ARTE - a cura di Silvia Dell'Orso
TEATRO – a cura di Maria Luisa Bianchi
CINEMA E TV – a cura di Simone Mancuso
Editoriale
BALLOTTAGGIO: ASTENSIONISMO, FAR VINCERE LA STUPIDITÀ
LBG
La disaffezione, la disistima,
l‟insofferenza verso la classe politica ormai si sprecano: qualche
buona ragione c‟è e son sentimenti del tutto trasversali. Chi da
corpo, parlando e scrivendo, a
questi sentimenti è ovviamente
quella che una volta avremmo
chiamato borghesia intellettuale.
Nella sinistra questa borghesia è
molto presente e in passato ha
fornito alla politica uomini eccellenti, oggi meno, quasi nulla.
Oggi invece una parte consistente
di quella borghesia è preda di una
sorta di disprezzo-odio che la acceca e l‟astensionismo elettorale
del quale si fa portavoce ne è la
manifestazione più evidente. Il
non recarsi alle urne ha poche
valide ragioni solo nel caso dei
referendum e Giovanni Sartori sul
Corriere della Sera di qualche settimana fa ha lucidamente spiegato perché sceglieva l‟astensionismo: un quesito referendario
mal posto, un risultato in ogni caso di direzione contraria all‟interesse generale del Paese, anche
rispetto agli obiettivi dei promotori.
Nel caso del rinnovo degli organismi elettivi previsti dal nostro ordinamento istituzionale l‟astensionismo invece è sempre colpevole. Tante le ragioni per votare a
cominciare dalla prima: i destini
comuni abbiamo il diritto-dovere
di determinarli democraticamente.
La seconda ragione è perché le
interpretazioni dell‟astensionismo,
le cui cause possono essere le
più varie ed eterogenee, non serve a orientare la classe politica
nelle sue scelte. Anzi lascia un
margine d‟incertezza interpretativa che fa solo il gioco della classe
politica al potere da una parte e
dall‟altra. Questo è quello che non
hanno capito i sostenitori a sinistra dell‟astensionismo: non sono
pochi, alcuni, come si è detto,
preda del disprezzo-odio, altri delusi dal non essere stati valorizzati, altri perché il candidato non
rappresenta che solo in parte le
proprie istanze (i duri e puri votati
al suicidio da kamikaze) altri
semplicemente stupidi. L‟argomento clou degli stupidi è pressappoco questo: non andiamo a
votare così lanciamo un segnale
forte ai partiti, della sinistra in particolare, del disprezzo e della disistima che nutriamo nei loro confronti. Si vestono di nero in una
notte buia e si lamentano di non
esser visti.
Ma santo Dio, se la colpa di questa classe politica è l‟insensibilità,
l‟incapacità di fronte ai cambiamenti sociali, l‟essersi chiusa in
una casta, chi potrebbe pensare
che l‟astensionismo li cambi? È
un giochino stupido, buono per
chiacchiere da salotto, fatto nel
ventre caldo di un ceto che protegge, è la perdita definitiva per
loro del senso di appartenenza a
una qualunque classe sociale.
Una volta avevano un partito:
L‟Uomo Qualunque. Oggi poi
l‟astensionismo da parte di costoro è ancora più riprovevole: andiamo a votare a un ballottaggio
che non serve solo a scegliere il
nuovo presidente della Provincia
ma che mai come oggi rappresenta uno scontro politico tra due diverse e opposte visioni del futuro,
di come affrontarlo, se puntellare
la vecchia economia liberista senza muovere una virgola e col suo
modello di sviluppo o se imboccare coraggiosamente una nuova
era riformista. La dirigenza dei
partiti di sinistra anche solo ieri ha
dato uno spettacolo indecoroso
dei suoi vecchi costumi.
Per ricominciare la sola via è cancellare dalle aule parlamentari i
valori della sinistra riformista?
Cancellare dalle istituzioni democratiche le voci del riformismo
sperando che rinascano assieme
a una nuova classe dirigente?
Follia. Il lavoro va fatto con una
rude presenza della società civile
nel recinto dei partiti della sinistra:
non sono inespugnabili. Una via
faticosa quest‟ultima, inadatta
all‟uomo qualunque. E se l‟uomo
qualunque non fosse solo stupido
ma anche pigro? Senza idee? In
fondo solo conservatore vergognandosi di esserlo?
Approfondimenti
MILANO: LE OMBRE DEL SALOTTO BUONO DEL MATTONE
Mario De Gaspari
Tre anni fa una società finanziaria
milanese di nome Sopaf ha emesso questo comunicato stampa: “Sopaf al 33% nel Fondo Aster – un altro passo nel settore
immobiliare. Milano, 21 aprile
2006 – Sopaf s.p.a. rende noto
che la controllata LM & Pertners
S.c.a. ha sottoscritto il 33,33% del
Fondo Aster, fondo comune di
investimento immobiliare di tipo
chiuso, riservato a Investitori Qua-
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lificati e gestito da Vegagest SGR.
La sottoscrizione, pari a circa 22
milioni di Euro, sarà finanziata in
parte da terzi e in parte con risorse proprie. L‟investimento si affianca ad altre attività del gruppo
Sopaf che comprendono la partecipazione in Polis Fondi SGR, per
quanto riguarda l‟area dell‟Asset
Management e quella in LM Real
Estate, per gli investimenti proprietari.”
Il nome di questa società, Sopaf
s.p.a., forse non dice nulla al
grande pubblico. Tuttavia si tratta
di una società che ormai fa parte
del salotto buono della finanza.
Adriano Galliani siede stabilmente
nel Consiglio di Amministrazione
dal luglio 2005 e dal luglio 2006 è
membro del comitato per il controllo interno. Ma quel che più
conta è che Sopaf è la finanziaria
che fa capo ai fratelli Magnoni,
Giorgio e Ruggero. Il secondo, in
particolare, è un personaggio di
tutto rilievo: è il numero uno di
Lehman Brothers in Italia ed è il
banchiere che nel ‟99 ha affiancato Roberto Colaninno nella scalata a Telecom. Il sodalizio tra Magnoni e Colaninno è poi proseguito con avventure di non poco conto, tra cui spicca quella legata alla
nuova Alitalia, di cui, secondo alcuni, Ruggero Magnoni sarebbe il
vero deus ex machina.
Il Fondo chiuso Aster, invece, è la
società dei fratelli Siano, costituita
per promuovere una sola operazione immobiliare, però tutt‟altro
che insignificante, nell‟est milanese, precisamente e Segrate. Che
questa operazione, denominata
Santa Monica, sia di tutto rispetto,
lo dicono i numeri: secondo il Sole
24 ore del 10 maggio 2008 si tratta della più grande operazione
immobiliare in corso nel milanese,
con una quotazione di mercato di
500 milioni di Euro. In fondo al
testo di un comunicato della stessa Sopaf del 29 giugno 2007, viene riportata questa notiziola, quasi si trattasse di un‟inezia: “Sopaf
inoltre comunica che in data odierna la controllata LM & Partners S.c.a. (in liquidazione) ha
ceduto ad un operatore del settore 871 quote del fondo Aster
(33,33%), sottoscritte nell‟aprile
2006, realizzando una plusvalenza, al netto di oneri e costi accessori, di circa 10 milioni di Euro. Il
Fondo Aster è un fondo comune
di investimento immobiliare di tipo
chiuso, riservato ad Investitori
Qualificati e gestito da Vegagest
SGR, società di gestione della
Cassa di Ferrara.”
Dieci milioni di euro solo per tenere quattordici mesi in portafoglio
una partecipazione non sono un
cattivo affare, tanto più che
l‟investimento era stato di soli 22
milioni, poco più del doppio. Paghi
due prendi tre! Giova far notare
che in quei quattordici mesi, per
quanto concerne l‟operazione
Santa Monica, non è successo
nulla di rilevante: il piano era già
stato approvato dal Comune e il
successo dell‟iniziativa immobiliare già ampiamente assicurato. Ma
il motto di Sopaf è “più valore al
capitale”, e ben si capisce il perché, se senza fare nulla si possono guadagnare 10 milioni di euro
in poco più di un anno. Il suolo,
come si vede, non ha più dunque
nessun valore intrinseco, in funzione della sua fertilità o della
maggiore o minore prossimità al
centro urbano e ai servizi: il valore, anzi, è intrinsecamente flessibile, determinato unicamente
dall‟intraprendenza speculativa e
dalla capacità contrattuale che
l‟operatore immobiliare possiede
verso l‟amministrazione pubblica.
La rendita che ne deriva, però,
non è una variabile passiva
dell‟operazione: con quei soldi si
sarebbero potuti costruire un centinaio di alloggi popolari, si sarebbero potuti realizzare servizi per i
più bisognosi, si sarebbe semplicemente potuto incrementare il
bilancio del comune. I lavori sul
terreno, invece, procedono a rilento, c‟è la stretta creditizia, finanziare i lavori è sempre più difficile perché le vendite procedono
a rilento. Forse arriverà qualche
salvatore dall‟oriente o dalla Russia, o da chissà dove. Forse arriverà qualche fondo sovrano. Forse. Intanto quei dieci milioni (netti)
non hanno certamente arricchito
la comunità cittadina. E‟ più probabile che siano andati a sostenere altre operazioni analoghe.
Sopaf, tra le società che operano
nel settore immobiliare, è tra quelle che si sono difese al meglio:
nel 2008 ha perso solo il sessanta
per cento di capitalizzazione. Molto peggio hanno fatto altri colossi
del Real Estate, come Pirelli, Aedes, o la Risanamento di Luigi
Zunino.
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Questa vicenda a mio avviso merita una attenta riflessione, perché
rappresenta uno spaccato reale di
come operano i meccanismi connessi alla rendita immobiliare nel
milanese.
E merita, a mio modesto parere,
anche una riflessione da parte
della magistratura: infatti, giusto
per cercare di capire se queste
enormi plusvalenze possano sottendere anche qualche illecito,
nello scorso febbraio è stato presentato un esposto alla Procura
della Repubblica.
Facciamo una passo indietro. Anno 2002. E‟ un anno importante
per la speculazione: viene approvato il “Collegato verde”, un provvedimento in materia ambientale,
collegato appunto alla finanziaria.
Si tratta di pochi articoli, tra i quali
la possibilità per la bicicletta elettrica di circolare senza limitazioni.
Interessante! Più interessante è
però l‟articolo 12 che rivede tutta
la procedura in materia di bonifiche, che d‟ora in poi saranno affidate a privati.
Questi in sostanza potranno sfruttare le capacità edificatorie dei
terreni inquinati e accollarsi
l‟onere della bonifica utilizzando
parte del plusvalore generato
dall‟intervento. La responsabilità
del soggetto che ha causato
l‟inquinamento viene mantenuta
ma chi ha capacità di investimento e progetti può proporsi, farsi
assegnare l‟area, bonificare e costruire. Dati la scarsità di risorse
pubbliche e gli alti costi delle bonifiche la normativa pare a tutti più
che ragionevole.
La norma ci mette un po‟ ad ingranare, le vecchie procedure
pubbliche, lente e inefficaci, non
vengono subito smantellate. Ma
c‟è qualcuno che capisce presto
che il settore delle bonifiche può
essere promettente. Anche nel
mondo della finanza la cosa non
passa inosservata.
La nostra Sopaf è tra le più svelte.
Nell‟ottobre 2005 la società comunica di avere acquisito, attraverso una propria controllata, il
26% di SADI spa. SADI è una azienda che ha oltre un secolo di
storia, con sede in provincia di
Vicenza e opera nel settore
dell‟architettura, “principalmente
con la progettazione e produzione
di controsoffitti, pavimentazioni
sopraelevate e allestimenti navali”. Ma non è questo ciò che interessa agli amministratori della finanziaria. Da qualche tempo SADI si è inserita nel campo delle
bonifiche ambientali e questo può
rendere parecchio. “L‟operazione,
riferisce il comunicato di Sopaf,
rientra nella strategia di diversificazione del portafoglio proprietario perseguita da Sopaf volta ad
effettuare investimenti in settori di
nicchia, attraverso la costituzione
di veicoli specialistici (quali IDA)
che consentano di creare sinergie, a livello settoriale, tra investimenti simili in termini di know
how e skill operativi, accelerando
il processo di creazione del valore”.
Nessuna speculazione, per carità!
Solo una bella accelerata nella
produzione del valore! Nel comunicato si dice: “Attraverso l‟oprazione prospettata, Sopaf compie il primo investimento in una
azienda operante, tra l‟altro, nel
settore delle bonifiche ambientali
e dello smaltimento dei rifiuti inquinati. Anche a seguito delle recenti normative italiane e comunitarie in materia ambientale, Sopaf
ritiene che il settore presenti prospettive di crescita interessanti e
si pone l‟obiettivo di favorire la
crescita di SADI, anche attraverso
operazioni di aggregazione con
altre realtà operanti nel settore
delle bonifiche ambientali e del
trattamento dei rifiuti industriali.”
La SADI, in particolare la divisione ambiente che ha sede in provincia di Torino, la ritroviamo oggi
coinvolta in un‟inchiesta che ha
avuto una certa risonanza nella
cronaca
milanese.
Secondo
Giancarlo Grossi, amministratore
delegato della Green Holding
Spa, la SADI di Torino sarebbe
nelle mani della „ndrangheta. E, a
suo dire, proprio per tenerla sotto
controllo nel 2004 lui stesso avrebbe fondato la Ma.Te.Co., affidandola a due marescialli della
finanza in pensione. Stiamo parlando dell‟inchiesta su Santa Giulia, o Montecity, la città nella città
sognata da Luigi Zunino e progettata da Norman Foster, una grande e ambiziosa operazione immobiliare impantanata nella crisi e
in un mare di debiti.
La città e il suolo urbano vengono
dunque considerati un po‟ come
vacche da mungere allo sfinimento e c‟è una categoria di professionisti, per la verità un po‟ borderline, particolarmente preparati
all‟operazione. Si tratta di uomini
che operano al confine tra la finanza e la nuova economia immobiliare, ben inseriti nei meccanismi della pubblica amministrazione, con grande capacità di
persuasione, e circondati da collaboratori fidati, flessibili e non di
rado abbastanza spregiudicati. A
scavare negli intrecci della cronaca si scopre che ricorrono spesso
gli stessi nomi, perché non è così
facile avviare, sostenere e portare
a compimento grandi operazioni
immobiliari. Occorrono persone
esperte e collaudate. La Sopaf
compare raramente in prima persona, ma è spesso presente e
attiva con plusvalenze di tutto rispetto.
Brillante e non alla portata di tutti
è ad esempio l‟operazione che nel
luglio 2005 porta Sopaf a partecipare, tramite una controllata, al
“private placement”, così viene
chiamata la messa a disposizione
di quote, del fondo immobiliare
chiuso denominato “Fondo Immobili Pubblici”, FIP, del Ministero
dell‟Economia e delle Finanze.
L‟offerta, irrevocabile e subito accolta, corrisponde ad un investimento di tutto rispetto, 57 milioni
di euro. Erano i tempi della finanza creativa, precedenti la conversione antimercatista del ministro
Tremonti: lo stato cartolarizzava
gli immobili pubblici, incassava
denaro fresco e il rischio era a
carico delle banche e degli investitori istituzionali. In realtà, soprattutto all‟inizio, qualcuno fece
degli ottimi affari, i prezzi erano
buoni. Poi i prezzi salirono per
effetto della bolla immobiliare, il
meccanismo si incagliò e allo stato restava l‟incombenza di ripianare le perdite.
Oggi la chiusura definitiva di tutta
quella grande operazione di “sicurization” sembra sia costata alla
comunità nazionale 1,7 miliardi di
euro. In compenso il patrimonio
pubblico è più povero, alcuni enti
che avevano la propria sede in
proprietà sono costretti a pagare
l‟affitto, i problemi sociali, primo
fra tutti quello della casa, sono
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tutt‟altro che risolti. E‟ innegabile
che nel grande affare della valorizzazione immobiliare gli interessi
delle comunità residenti sono poco e mal tutelati.
Negli ultimi anni le città hanno
dunque ben nutrito il sistema finanziario. E‟ difficile quantificare,
ma non c‟è analista che, nel
commentare le vicende dei paesi
che via via sono entrati in crisi dal
settembre 2008, non faccia riferimento alla caduta dei prezzi degli
immobili, ai pignoramenti, alla paralisi dell‟industria edilizia. Il primo
paese europeo ad entrare ufficialmente in recessione è stato
l‟Irlanda: la tigre celtica, sempre in
crescita dal 1983, dove la crisi del
settore, ancora nel 2007 in crescita del 7%, ha coinvolto da subito
l‟intero sistema. La prima cosa
che stupisce è che il processo di
valorizzazione sembra non avere
limiti. La valorizzazione del suolo
come puro capitale fittizio è un
problema di cui le politiche del
territorio non possono non tenere
conto: un fondo viene valorizzato,
poi venduto, chi acquista fa un
nuovo piano e valorizza ulteriormente, le banche asseverano e
finanziano il nuovo piano, su questo si raccolgono risorse nel mercato obbligazionario, con queste
risorse si fanno altre acquisizioni… E la giostra sembra non avere fine. Se non si vende ai poveri
c‟è il lusso nazionale, sempre ben
disposto all‟investimento, se questo viene meno ci sono sempre i
russi, o i cinesi; se vengono meno
anche questi acquirenti restano
pur sempre gli Emirati Arabi, i
fondi sovrani.
Il suolo si presta particolarmente
a favorire la cosiddetta leva finanziaria: da qui nasce la tendenza
alla bolla speculativa e alla concentrazione della proprietà fondiaria nelle mani di istituzioni finanziarie, banche, assicurazioni, fondi immobiliari, fondi sovrani. Da
qui, dunque, deriva il rischio di
essere colonizzati da capitali
giunti da altre parti del mondo che
una volta esaurito il processo di
valorizzazione migrano altrove
verso altri territori. E‟ un peccato
che il dibattito sull‟urbanistica milanese sia inchiodato sull‟alternativa costruire molto/costruire
poco, perchè Milano corre invece
due rischi molto concreti: l‟invernabilità e l‟immobilismo. L‟epifenomeno della crisi, forse, è
proprio Santa Giulia, o Montecity,
la più imponente operazione di
valorizzazione immobiliare del
nostro tempo. Vedere per credere!
Lavoro
A PROPOSITO DI TOLLERANZA ZERO: L’ORTOMERCATO ED IL LAVORO AL TEMPO
DELL’EXPO.
Giuseppe Ucciero
Ci sono luoghi a Milano dove la
legge non è osservata, conosciuta
o prevista: semplicemente non
esiste.
Ci sono luoghi a Milano dove la
sicurezza non è tutelata, conosciuta o prevista: semplicemente
non esiste.
Ci sono luoghi a Milano dove i diritti non sono riconosciuti, conosciuti o previsti: semplicemente
non esistono.
Ci sono infine luoghi a Milano dove il valore del lavoro non è riconosciuto: semplicemente è ridotto
a vessazione semischiavistica.
Sono luoghi che i tartufi della tolleranza zero non vedono, non
sentono e di cui non parlano, pur
vedendoli, sentendoli e parlandone sottovoce tra di loro.
Il Luogo – Non Luogo per eccellenza, il sito reale dove regna lo
status di extraterritorialità criminale, dove legge, sicurezza e diritti
non fanno parte del quotidiano
modo di vivere e di lavorare, è il
Comune di Milano.
Parliamo qui della SO.GE.MI.,
l‟azienda pubblica che gestisce
l‟Ortomercato, o per meglio dire
che offre graziosamente e gratuitamente il grande mercato ortofrutticolo di Via Lombroso a chi
vuole provare l‟ebbrezza del capitalismo romantico delle origini,
quello della Londra della prima
metà dell‟800, del primigenio
mercato senza regole.
Qui paleocapitalismo e XXI secolo
si incrociano magicamente, come
in un aleph dove tutto si confonde, senza memoria e senza futuro.
Qui il visitatore curioso, o magari
uno dei nostri liberisti di sinistra,
potrà provare il brivido del contatto con quelle “ruvide” figure imprenditoriali che, ancora “nette”
dall‟addolcimento portato da quasi
due secoli di lotte e mediazioni
nel mondo della produzione, trattano i proletari (o sottoproletari)
semplicemente come carne da
lavoro.
Qui l‟antropologo potrà toccare
con mano la pregnanza dei rapporti interculturali tra etnie e provenienze diverse nella disperata
competizione per ottenere il privilegio di sudare come bestie per
2,5 euro / ora.
Qui l‟operatore del diritto potrà
osservare sul campo l‟indifferenza
e gli sghignazzi degli “operatori
della sicurezza” al massacro umano e sociale in atto davanti a
loro, e riaggiornare, letteralmente
“riportare a giorno” il significato
della parola dimenticata “sbirro”.
Un Luogo – Non Luogo, un incubo metropolitano nel cuore della
macchina amministrativa comunale, dove tutti sanno ma al tempo
stesso dimenticano, paghi semplicemente di non far parte della
calca dei disperati, o peggio ancora attenti a non perdere per strada
le briciole che toccano a loro per il
loro silenzio o la loro complicità.
E non bastano per ridarci una
verginità cittadina e civile, lo diciamo subito per anticipare fin
d„ora obiezioni prevedibili, operazioni “una tantum” pur lodevoli, o
l‟annuncio di timidi tavoli per la
legalità: serve ben altro per far
fronte all‟intricato e verminoso
connubio tra malaffare criminale,
speculazione commerciale, con-
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nivenze amministrative ed intrecci
politici.
Ed infine ci dobbiamo allora pur
chiedere se di questo orrore sistematico, di questa devastazione
omertosa, di questa corruzione
organica della responsabilità, sia
responsabile solo la destra, o se
invece non ne portino il peso anche un campo democratico inerte
e silenzioso di fronte alla strage
dei diritti.
Sarebbe allora una gran cosa se il
tema fosse ripreso e fatto oggetto
di chiara iniziativa politica prima di
tutto dal campo delle forze del
centro sinistra, dal mondo ecclesiale, dal sindacato, dalla società
civile avvertita e sensibile, dalla
stessa pubblica opinione a cui si
deve offrire conoscenza e non
pettegolezzo e perché aprendo il
campo anche a forze ed esponenti del centro destra, che solo una
visione infantile e settaria ci può
dipingere come in toto irrecuperabile.
Politiche europee ed EXPO 2015
offrono qui ed ora eccellenti occasioni per sollevare il coperchio sul
maleo-, affrontando ad un tempo
solo
il
tema
della
bontà
dell‟amministrazione ed il riconoscimento del valore e dei diritti del
lavoro: perdere questa congiuntura favorevole dimostrerebbe una
volta di più l‟incapacità organica
del centrosinistra di ricollocare su
di un terreno più appropriato, e
più ad essa favorevole proprio
perché più vero, il tema della sicurezza come esito di una profonda
bonifica del sociale e non come
effetto di un catenaccio normativo
– poliziesco.
Ambiente e scienza
ZANZARE, COPERTONI E IMMIGRAZIONE. UNA STORIA MILANESE
Riccardo Lo Schiavo
Passo tutte le sere sulla tangenziale est di Milano, come solito
ingolfata di autovetture e camion.
In estate generalmente, sono attratto da sciami di zanzare che
stazionano sul Lambro, in zona
cascina Gobba e oscurano il già
sbiadito cielo di Milano. Queste
sono le “nostre” zanzare comuni,
quelle contro cui il popolo meneghino lotta senza successo da
almeno 2000 anni.
In particolare il comune di Milano
segnala la presenza delle seguenti specie: Anopheles, Culex,
Ochlerotatus e Aedes.Se il genere Anopheles incute ai cultori della materia un certo timore perché
è il vettore della malaria nelle zone subtropicali, la specie Aedes,
non è da meno. E‟ la mitica zanzara tigre quella che ti punge anche a mezzogiorno in piazza
Duomo! Questa zanzara, tra le
altre, ha una particolarità, è di recente importazione. Il tutto è cominciato nel 1990 quando un bastimento ha scaricato a Genova
dei copertoni. Incredibile ma vero,
delle ruote di camion pieni di larve di zanzare, ma non c‟entra
Tronchetti Provera, quella è
un‟altra storia.
L‟ultimo quindicennio 1990-2005
ha visto come protagonista della
scena
climatica
italiana
l‟affermarsi di una forte modifica
della variabilità a livello stagionale
sia dal punto di vista termometrico
che pluviometrico. …L‟ingresso in
Italia di specie animali e vegetali
provenienti da territori extraeuropei, grazie all‟intensificazione degli scambi commerciali dovuti al
processo di globalizzazione in atto, ha introdotto un ulteriore fattore di squilibrio ambientale. La
straordinaria diffusione in ambito
urbano di
Aedes Albopictus
(Skuse), più noto come “Zanzara
Tigre”, a partire dalle prime sue
segnalazioni (Della Pozza, 1992;
Romi, 1995), ha fornito uno degli
esempi classici per questo tipo di
fenomeni. Il suo comportamento
molesto nei confronti dell‟uomo,
l‟attività diurna rispetto ad altre
specie di culicidi l‟ha fatto rapida-
mente diventare uno degli oggetti
di ricerca più interessanti (Romi,
2001).
http://www.dta.cnr.it/dmdocument
s/pubblicazioni/volume_clima_07/
AT_06/6-43_vallorani.pdf
Caratteristica generale delle zanzare è la capacità, esclusivamente nelle femmine, di pungere altri
animali con il proprio apparato
boccale e prelevarne i fluidi vitali,
ricchi di proteine necessarie per il
completamento della maturazione
delle uova. La presenza di diverse
specie ematofaghe associate
all'Uomo e agli animali domestici
e in grado di trasmettere alla vittima microrganismi patogeni, attribuisce ai Culicidi una posizione
di primaria importanza sotto l'aspetto medico-sanitario. La zoofagia si manifesta generalmente a
spese del sangue di mammiferi,
uccelli, rettili e anfibia oppure a
spese dell'emolinfa di altri artropodi. In generale il rapporto trofico
fra zanzare e ospite è di tipo preferenziale, ma non esiste una
specializzazione biologica obbligata.
Il meccanismo di attrazione della
specie umana nei confronti delle
zanzare è alquanto complesso ed
è tuttora oggetto di studio. L'acido
lattico prodotto dall'attività muscolare richiama le zanzare, così come azione attrattiva accessoria è
svolta da sostanze volatili presenti
nel sudore e nel sebo. È stato inoltre riscontrato che le zanzare
rilasciano, sull'ospite, feromoni ...
in altri termini, le femmine marcano l'ospite che hanno aggredito
lasciando sostanze attrattive che
attirano altre femmine. Sul meccanismo di attrazione, interferiscono infine la temperatura della
pelle e i moti convettivi dell'aria
calda, verso l'alto, emessa dalla
respirazione. Infine hanno una
funzione accessoria altri stimoli, di
natura visiva, come il colore della
pelle. (Wikipedia)
E‟ probabile, ma non ovvio, che le
nostre zanzare tenderanno ad attaccare un soggetto che abbia
mangiato polenta taragna e stracotto d‟asino, il tutto innaffiato da
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vino della Valtellina e che madido
di sudore stia sonnecchiando sulla sedia nel giardino.
La zanzara tigre è considerata
ottimo vettore di virus e per questo oggetto di numerosi studi di
laboratorio. Nei paesi d'origine è
implicata nella diffusione di diverse malattie fra le quali la più nota
è il Dengue (conosciuta anche
come febbre spacca ossa). E' stato evidenziato inoltre che Ae.albopictus è in grado di trasmettere arbovirosi (virus trasmessi da
artropodi) indigene quali il La
Cross in America e la Febbre
Gialla in Africa e in Sud America.
http://www.entom.unibo.it/nuova_
pa2.htm
La zanzara tigre prospera negli
ambienti urbani. È una zanzara
molto aggressiva nei confronti
dell'uomo; punge di giorno e all'aperto, creando notevoli disagi alla
popolazione. La sua puntura può
provocare ponfi dolorosi e persistenti in soggetti particolarmente
sensibili (specialmente bambini e
anziani); un elevato numero di
punture può indurre reazioni allergiche localizzate. L‟eccezionale
capacità diffusiva di Ae. albopictus è dovuta al trasporto passivo
delle sue uova. Queste, come tutte le uova del genere Aedes, sono
dotate di una struttura particolare
che permette loro di resistere al
disseccamento e quindi di ritardare la schiusa anche di parecchi
mesi. Durante il periodo estivo,
quello più favorevole allo sviluppo, gran parte delle uova deposte
schiudono appena sommerse
dall‟acqua.
http://www.agac.it/database/agac/
agac.nsf/b4604a8b566ce010c1256
84d00471e00/d75685053c30e96
3c1256d21002d62d0?OpenDocu
ment
All‟epoca della prima introduzione
a mezzo copertoni di camion della
zanzara tigre, in Italia era in vigore
la
legge
Martelli
sull‟immigrazione: LEGGE 28
febbraio 1990 n. 39
Ragionando per assurdo, le zanzare sono entrate clandestina-
mente in Italia, sui barconi tanto
cari a certa politica, sono prive dei
necessari mezzi di sussistenza, ci
succhiano letteralmente il sangue.
Ben peggio di quegli extracomunitari che vanno a lavorare a nero in
campagna o in fonderia.
L‟ironia del destino travalica leggi
e confini politici che nulla possono
di fronte ai fenomeni migratori.Che si tratti di zanzare o umani,
nulla riesce a fermare il moto.
Questa zanzara porta le malattie
e le inocula nell‟organismo, introducendo nell‟apparato circolatorio
umano i virus, ciò è quanto di più
devastante ci possa essere sia da
un punto di vista sanitario ma anche culturale. Questa è una beffarda risposta della natura a chi
tende a erigere barriere invece
che a gestire la situazione in maniera intelligente consentendo di
dare un futuro a chi migra senza
danneggiare gli indigeni. Uova di
zanzara tigre trasportate nei copertoni sono figlie di zanzare che
magari hanno succhiato sangue
di neri, forse mussulmani. Mi verrebbe
da
dire
questa
è
l‟invasione! All‟armi, all‟armi !
Nella guerra dei mondi di Steven
Spielberg, film del recente passato, gli alieni sono appunto sconfitti
perché risucchiando il sangue degli umani assumono anche i virus
che non avevano previsto di trovare. S‟indeboliscono e sono
sconfitti.
Nel nostro specifico il rischio è
uscirne sia con le ossa rotte fisicamente con il Dengue (la febbre
spacca ossa) sia di essere travolti
dall‟ondata migratoria visto come
la stiamo gestendo, non nel giusto
modo.
Metropoli
MILANO E LA FAME. MANGIARE MEGLIO MANGIARE TUTTI
Filippo Beltrami Gadola
Se quando si parla di Expo –
d‟altro ormai non si parla – si
guarda solo alle aree edificabili,
strade e mattoni, la spiegazione
più semplice è che gli affari sono
affari e che il dibattito è tra chi
vuole farli alla faccia di tutti e chi
si oppone cercando di mettersi in
salvo dall‟avidità altrui. C‟è
un‟altra ragione però. Del tema
dell‟Expo, nutrire il mondo, è difficile parlare.
Parlarne vuol dire farsi carico di
un problema, la fame, che non ci
tocca personalmente e che non
vediamo con i nostri occhi se non
molto raramente: vedere morire di
fame a Milano è uno spettacolo
fortunatamente inconsueto. La
morte dei poveri a Milano la porta
di solito il freddo. Abbiamo bisogno d‟immagini fotografiche, di
filmati televisivi, di racconti e di
statistiche per cominciare ad avvicinarci al problema: le code di
gente che cerca di sfamarsi aiutata dalla carità dei religiosi sono
visibili ma forse non basta. Il peggio, i bambini denutriti, non li vediamo nelle nostre strade.
La sociologia urbana ha cercato
di indagare sull‟uomo di città, sulle sue pulsioni, sul suo modo di
aggregarsi e drammaticamente
ha costatato lo sbriciolamento dei
valori collettivi: una società ricca
che li perde s‟inselvatichisce, una
società povera non ha spesso
abbastanza energie libere dal bisogno per crearsi valori collettivi.
Nonostante gli sforzi di molti volonterosi sembra che il mondo, se
non si pone qualche rimedio, andrà dividendosi tra selvaggi poveri
e selvaggi ricchi. Milano da che
parte sta andando? È la scommessa dei prossimi anni, anche
senza aspettare il fatidico 2015.
Le strade che si aprono davanti a
noi sono solo due: una strada indicata dall‟ONU e una indicata dai
movimenti che si fanno carico della fame nel mondo. L‟ONU ha una
visione tecnocratica e ottimista: a
grandi linee, se i Paesi sviluppati
razionalizzeranno la loro agricoltura e dedicheranno molte risorse
a favore di quella dei Pesi sottosviluppati investendo capitali localmente, ci sarà da mangiare per
tutti. La posizione dei movimenti è
diversa: il modello attuale di alimentazione dei Paesi sviluppati,
modello che va estendendosi dietro la pressione della pubblicità
commerciale, non è sostenibile e
quindi bisogna partire da qui per
operare. Non solo due strategie
diverse ma un diverso coinvolgimento sociale: produrre di più
concerne
i
produttori,
un‟esiguissima minoranza, cambiare modello di vita coinvolge
tutti. Sono due strade alternative?
Nemmeno porsi il problema perché in questi casi vale il principio
di precauzione: si deve fare tutto.
7
Milano ha un‟occasione sociale di
grande respiro nell‟Expo, deve
imboccare le due strade: il meglio
del suo sapere nell‟agricoltura, il
meglio del suo sociale nella strada della parsimonia. Come valutare i risultati? Nel primo caso il
confronto scientifico internazionale e la sperimentazione, nel secondo caso usando misuratori indiretti ma efficaci come la quantità
di rifiuti solidi urbani pro capite o il
consumo di energia elettrica domestica. In provincia di Milano
ogni anno produciamo 5 quintali
di rifiuti solidi per persona – neonati compresi – con una maggior
quota per il centro urbano milanese. Saremo capaci di ridurre gli
sprechi, soprattutto alimentari?
Riusciremo ad avviare a incenerimento una quota inferiore di derrate alimentari scadute o non più
utilizzabili. Ogni tanto ci domanderemo come mai qualche anno
dopo la guerra del ‟40 il mondo
aveva riserve alimentari per un
anno e oggi per meno di 40 giorni? La crisi economica e la caduta
dei redditi delle famiglie sta già
cambiando qualcosa. In altra parte del giornale parliamo dei gruppi
di acquisto solidale; la novità ed il
successo dei “farmer market” milanesi son ormai di dominio pubblico. Forse il segnale di una resistenza all‟avanzare del selvaggio.
Società
GRUPPI DI ACQUISTO SOLIDALE: CRESCE LA “SPESA GIUSTA”
Michele Bernelli
GAS, Gruppi di Acquisto Solidale.
Sono ancora una piccola nicchia
di consumatori. Ma potrebbero
essere l‟avanguardia di un modo
del tutto nuovo di fare la spesa, e
soprattutto di ridare un senso a
chi produce rispettando la terra,
l‟ambiente, la dignità della persona.
Sono gruppi di famiglie, di amici,
di vicini di casa, in qualche caso
di colleghi che si organizzano per
acquistare – direttamente dai produttori - in modo critico e intelligente. Critico verso le distorsioni
dei meccanismi della grande distribuzione; intelligente perché
vuole capire cosa e soprattutto chi
sta dietro un pacco di pasta, una
mela, una maglietta, un detersivo.
Il primo GAS è stato costituito a
Fidenza nel 1994; dieci anni dopo
erano circa 150 sparsi per tutta
Italia, e negli ultimi anni la curva
di crescita dei gruppi è decisamente all‟insù. Quasi 600 sono
quelli
censiti
sul
sito
www.retegas.org che sul web fa
da punto di raccordo nazionale;
ma rilevazioni fatte in alcune province fanno salire di un buon 30%
il totale effettivo dei GAS in attività. Se calcoliamo una media di 25
famiglie per GAS si arriva a un
universo di circa 20 mila “famiglie
solidali”.
“Il nostro gruppo ha acquistato nel
2008 prodotti per un totale vicino
ai 50 mila euro” calcola Attilio Rapisarda del GASd‟8, gruppo di
acquisto milanese del quartiere
QT8. Sono numeri che raccontano di una massa critica che basta
già per dare una concreta alternativa di mercato a piccoli produttori
che erano sinora costretti ai prezzi imposti da grossisti e distributori. E che consente oggi al movimento dei GAS di entrare da protagonisti anche in filiere più com-
plesse di quella alimentare, dal
tessile
alla
telefonia
fino
all‟elettricità: l‟associazione GAS
Energia, che raccoglie GAS di tutta Italia, è impegnata nella definizione un “contratto solidale” con
un consorzio di produttori per
l‟acquisto di energia da fonte rinnovabile.
Quello dei GAS non è un fenomeno solo cittadino, ma nelle metropoli assume un valore particolare di reazione alle distorsioni
della grande distribuzione e di
nuovo raccordo tra città e campagna: il sito www.gasmilano.org
elenca 51 GAS di Milano, e almeno
altrettanti
sono
attivi
nell‟hinterland e nella cintura milanese.
Non esiste un solo modello di gas
ma tante realtà diverse per numero di partecipanti, per modalità di
acquisto, per scelta dei produttori.
Tutti i GAS però si riconoscono in
un manifesto di principi e in tre
aggettivi guida: piccolo, locale,
solidale.
Piccolo: perché Il GAS acquista
preferibilmente da piccoli produttori, con cui sviluppa rapporti di
conoscenza diretta e approfondita, basata sulla fiducia reciproca;
ne sostiene l‟attività, impegnandosi all‟acquisto e in alcuni casi
prefinanziando la produzione.
Locale: perché il GAS fa la spesa
secondo i principi del chilometro
zero (la minima distanza possibile
tra produzione e consumo) e della
filiera corta (azzerando i passaggi
di mano della distribuzione organizzata). Nella stessa logica di
riduzione dell‟impatto ambientale,
sceglie il produttore biologico; rinuncia agli imballi, riusa i contenitori; acquista il prodotto sfuso ogni
volta che questo è possibile.
8
Solidale: perché, con i suoi acquisti, sostiene e promuove l‟idea di
risparmio e di profitto sociale. Rifornirsi da piccoli agricoltori biologici, da cooperative che impiegano soggetti svantaggiati, significa
permettere a chi è strozzato dalla
grande distribuzione o è espulso
dal mondo del lavoro di essere
parte di un nuovo processo economico.
I GAS non sono, e ci tengono a
dirlo chiaro, gruppi di risparmio.
Ma alla fine, si scopre anche, al
netto di un impegno non da poco,
i conti tornano. Tornano anzitutto
perché lavoro nero, agricoltura
che devasta l‟ambiente, camion e
aerei che viaggiano da una parte
all‟altra del mondo, imballaggi
sempre più ingombranti non si
pagano con lo scontrino finale,
ma hanno un evidente costo sociale, che pagheranno le generazioni a venire. Ma tornano anche i
più banali “conti della serva”: Il
prezzo di un prodotto GAS è pulito, giusto, trasparente e, a pari
qualità (quindi, ad esempio, nel
confronto con i prezzi “da scaffale” del biologico) permette risparmi che possono raggiungere il
20%.
“Una famiglia del nostro gruppo”
sottolinea ancora Attilio Rapisarda
“ ha tenuto per quattro anni i conti
della sua spesa per alimenti e
prodotti per la casa; la quantità di
acquisti tramite il GAS, è aumentata nel tempo; e di pari passo la
spesa totale (supermercato +
GAS) è scesa del 15%”. La spiegazione è chiara: meno supermercato vuol dire meno acquisti
d‟impulso, inutili, e quindi bilanci
famigliari più sobri e leggeri. I
numeri di questa rilevazione, per
chi vuol ragionarci su, sono
nell‟area “risorse per la stampa” di
www.retegas.org
Urbanistica e architettura
I MERCATI MENEGHINI
Pietro Cafiero
È mercoledì. Giorno di mercato.
Anzi di mercati. Ne conto tre sul
tragitto da casa allo studio. Tre
agglomerati multicolori di tende e
ombrelloni, tre grumi vivaci di
bancarelle e furgoni. Tre isole pedonali temporanee che mi costringono una volta a settimana a
modificare il collaudato percorso
quotidiano verso il lavoro. Nulla di
male. Una piacevole trasgressione alla routine da pilota automatico che normalmente comprime il
mio tempo carrabile.
Questa è la più immediata conseguenza che i mercati hanno
sull‟assetto della città. Ma non è
l‟unica.
La presenza di tali forme di vendita influenza in modo diretto o indiretto la forma stessa della città,
con ricadute che prescindono dalla durata temporale dell‟attività.
A Milano, come in tutte le grandi
città, vi sono tre tipi di mercato.
C‟è quello rionale, fatto dagli ambulanti in perenne transumanza
tra un paese e l‟altro, che a cadenza settimanale (a volte anche
due volte a settimana) occupa
chiassosamente strade e piazze
di quartiere per tutta la mattinata.
Nel capoluogo lombardo dal lunedì al sabato si tengono 95 mercati
rionali, di cui 21 solo il sabato.
Ci sono poi i mercati comunali,
ospitati in strutture permanenti. A
Milano sono 26, equamente distribuiti su tutta la superficie territoriale.
C‟è infine il mercato generale, situato nel quadrante sud-est, nelle
vicinanze della cintura ferroviaria
per ovvie ragioni logistiche.
Cerchiamo di capire in che modo
ognuno di questi differenti “oggetti” sia in grado di lasciare un segno tangibile nella città.
I mercati rionali
I segni più palesi di questi mercati
li cogliamo alla fine. Quando gli
ambulanti chiudono le bancarelle
e impacchettano l‟invenduto nei
loro furgoni, lasciano dietro di sé
le macerie dell‟attività mattutina.
Strade, piazze e parcheggi da pulire e recuperare al loro uso co-
mune. Perché nel giorno del mercato sono questi spazi che si trasformano e si adattano ad accogliere una funzione che non gli è
propria. Nei piccoli paesi esiste la
piazza del mercato, che spesso
coincide con la piazza principale.
Diversamente il mercato rionale
nelle grandi città si deve accontentare di luoghi ritagliati e non
sempre adeguati. Uno dei mercati
più famosi di Milano, quello di viale Papiniano, si tiene principalmente su un‟isola spartitraffico
lungo la circonvallazione. Il mercato di Largo V° Alpini, meta delle
“sciure” di zona Fiera, affastella i
suoi carissimi banchetti in pochi
metri quadri di parcheggio pubblico, tra torri residenziali e rotaie
del tram.
Il mercato rionale ha una significativa funzione sociale, soprattutto in periodi di crisi, perché riesce
nella maggior parte dei casi a offrire merci a prezzi accessibili. Ma
vi è un costo, neanche troppo nascosto, da pagare in termini di
degrado e di fastidio per i residenti.
Via Morgagni e Via Benedetto
Marcello sono, se osservate da
una foto aerea, due tasselli verdi
nel tessuto cittadino, simmetrici e
paralleli rispetto all‟asse di Corso
Buenos Aires. Ma se la prima via
rappresenta un buon esempio di
sistemazione a verde e di aree
attrezzate per il gioco dei bambini,
lo stesso non si può dire per la
seconda. Se sia “colpa” degli alberghetti a ore che affacciano sulla via o del mercato bisettimanale
che ne occupa il tratto nord impedendo la riqualificazione di tutto il
parterre, anche ora che il silos
interrato è terminato, non è chiaro. Sta di fatto che via Benedetto
Marcello non è “simmetrica” a via
Morgagni quanto ad estetica e
decoro urbano.
In alcuni casi, nell‟hinterland soprattutto, si sta intervenendo con
la creazione di spazi ad hoc per lo
svolgimento del mercato, spazi
che negli altri giorni della settimana sono fruibili dai cittadini, come
parcheggi pubblici o zone pedonali. Nel capoluogo lombardo
manca una strategia di risistema-
9
zione e ridisegno generale delle
aree per i mercati rionali
I mercati comunali
La maggior parte di essi ha una
propria sede, mentre pochi sono
ospitati al piede di edifici residenziali (in via Livigno il mercato si
trova in una Coop). Gi esercenti
possono ottenere il posto (posteggio) attraverso un‟asta pubblica. Periodicamente l'ufficio
competente rende noti i posteggi
liberi all'interno dei mercati comunali coperti e li assegna a chi offre
il canone annuo più elevato. Questo spiega perché i prezzi
sono più simili a quelli dei negozi
che a quelli dei mercati rionali.
Alcuni di questi mercati sono parte integrante dell‟immagine della
città. In piazza Wagner, in piazzale Lagosta o in viale Umbria gli
edifici del mercato comunale hanno una dignità architettonica, che
deriva più dal loro ruolo urbano
che da una reale valenza estetica.
La volta a botte del mercato di
viale Monza è un segno identitario
e riconoscibile nel profilo della via,
senza dubbio più del vicino mercato di Gorla, lungo lo stesso viale, o degli anonimi contenitori situati nelle zone più periferiche
(Gratosoglio, Quarto Oggiaro, Ca‟
Granda, Rombon, etc.).
Il nuovo PGT, definendo i Nuclei
di Identità Locale (i vecchi quartieri, per intenderci) indica che in
quelli di tipo 3 “lo scavo per un
posteggio
di
quartiere
è
l‟occasione per ripensare a una
nuova struttura che ospiti il mercato di quartiere”. Un piccolo passo nella giusta direzione o
l‟ennesima espressione di velleità?
Di certo siamo ancora lontani da
ciò che a Barcellona la municipalità ha fatto per la risistemazione
dello storico Mercato di Santa Caterina attraverso un intervento di
grande qualità architettonica, ampliando la sua funzione primaria la vendita- e trasformandolo in un
luogo di aggregazione dove si
può anche mangiare o incontrarsi.
Il mercato generale
Nato come mercato ortofrutticolo,
si è via via trasformato nel merca-
to generale, comprendendo tutti
gli altri mercati agroalimentari
all‟ingrosso. È gestito dalla
So.Ge.Mi e si trova a sud del sedime della ex stazione di Porta
Vittoria e a ovest della cintura ferroviaria. È in progetto una rilevante trasformazione dell‟area. Non
una dismissione, ma una riorga-
nizzazione dell‟intero sistema dei
mercati all‟ingrosso milanesi, con
l‟inserimento di nuove funzioni
pregiate e la creazione della cosiddetta “Città del Gusto e della
Salute”, un polo tecnologico dove
insediare università, strutture
commerciali e ricettive nell‟ambito
dei progetti Expo.
Una vera e propria operazione
immobiliare, di cui ancora si parla
poco, ma destinata ad incidere
considerevolmente nel tessuto
cittadino
data
l‟estensione
dell‟area dei mercati. E per questo
meritevole di vigilanza e attenzione.
Lettera
ALFONSO MARZOCCHI SCRIVE E VOLENTIERI PUBBLICHIAMO
Admin
Mi sembra che non ci siamo proprio. Devo dire che ho letto molto
velocemente i vostri articoli, e
nemmeno tutti per ora. Tuttavia
esprimo la mia criticità: l'expo è
certamente una grande occasione
per Milano, il tema "nutrire il pianeta energia per la vita" è potenzialmente più che utile per tutto il
mondo. Io voglio per Milano metropolitane grattacieli vie d’acqua
navigli riaperti nuovi parchi eccetera. Perchè piuttosto non vi adoperate per chiedere per il 2015
almeno 10 linee di metrò e tutte "
pesanti " (cioè con treni e banchine lunghi come in M1 M2 e M3, e
non come stanno facendo in M5 e
vorrebbero fare in M4, con treni e
banchine molto più corti), la riapertura di tutti i navigli storici e per
quanto possibile navigabili da
persone e merci, la creazione di
nuovi parchi in città meglio se alberati con sempreverdi adatti al
clima e al paesaggio lombardi, a
costo di demolire i rioni semicentrali più fatiscenti, e non solo e
sempre nelle estreme periferie, la
costruzione di sedi universitarie
anche
nelle
periferie
e
nell’'hinterland, tutte dotate di verdi campus, e la tutela reale del
diritto allo studio abolendo i numeri chiusi e passando qualora
necessario alla frequenza di uno
o più anni integrativi per chi ne
avesse bisogno prima di accedere
ai corsi veri e propri, la copertura
di tutti gli edifici e gli immobili
lombardi - a partire da quelli pubblici e dalle aziende - con pannelli
solari, tranne che nei casi di chiara incompatibilità estetica, la creazione di un corso di laurea in
teologia e religioni comparate (tut-
ti i culti della terra, di ieri e di oggi), l’apertura di coffeshops come
in Olanda ma un po’ meno commerciali e più sobri, eccetera.
L’ Expo diffusa: i padiglioni vanno
fatti tutti e solo a Rho (nell'area
proposta dal sindaco), senza
troppe stramberie: nel resto della
provincia e della regione sarebbe
più che bene che vi fossero iniziative artistiche culturali ambientali
e scientifiche distribuite il più capillarmente possibile sul territorio.
Vi segnalo un po’ di links:
www.partecipami.it (e-democracy
milanese, forse lo conoscete già),
www.christiansforcannabis.com,
www.legalizzala.it,
www.stopthedrugwar.org ,
www.norml.org,
www.abort73.com contro l’aborto,
e spero per un'educazione sessuale migliore più diffusa e per una
maggiore accessibilità agli anticoncezionali, pillola del giorno
dopo inclusa ), www.paxchristi.it
(.net la versione internazionale),
www.chiesavaldese.org ,
www.animanews.it, (librerie ecumeniche esoteriche a Milano ),
www.verticalfarm.com. Per favore
continuate a mandarmi le vostre
mails.
Grazie, cordiali saluti e buon lavoro
Alfonso Marzocchi
Gentile signor Marzocchi,
le rispondo molto volentieri perché mi sembra utile doveroso e
necessario, dalle pagine di ArcipelagoMilano introdurre un serio
10
dibattito sul tema dell‟Expo dando
anche spazio, come forse nel suo
caso, a visioni per certi versi “oniriche” della nostra città.
E‟ vero, l‟Expo rappresenta una
grande opportunità per Milano,
ma vedremo nei fatti chi sarà in
grado di portare a Milano grandi o
piccole idee per “nutrire il pianeta,
energie per la vita”. Temo che
purtroppo vista anche la crisi economica mondiale, poche saranno
le nazioni che siano state in grado
di allocare grandi investimenti
sull‟argomento. Comunque staremo a vedere. Tutto vorrei, tranne che vedere l‟Expo trasformata
in una grande fiera alimentare. Se
avrà il tempo di leggere tutti i nostri articoli, scoprirà, per esempio
che nessuno spazio è stato dedicato a coloro, e sono sempre di
più, che l‟Expo non la vorrebbero
del tutto. Questo magazine propone, e ha proposto e difeso piuttosto la realizzazione di un Expo
alternativa, utilizzando, come lei
menziona, potenziali strutture alternative dislocate in punti diversi
della città. Da Palazzo Marino,
che ha definito queste risposte
“folcloristiche”, è giunto un secco
rifiuto, adducendo tre cose: la
prima che il BIE stesso ha individuato da sé la sede della futura
Expo, che la stessa Expo va realizzata presso un‟unica sede, e
che ogni modifica al progetto iniziale richiede l‟approvazione di
almeno due terzi dei paesi membri.
Noi stessi desidereremmo dieci,
venti, trenta linee metropolitane
pesanti, nuovi parchi, grattacieli
decorosi che si armonizzano con
il paesaggio circostante, mentre
per la riapertura dei navigli interni,
se lei ci ha fatto caso, il suo tracciato corrisponde esattamente
con quello della linea metropolitana M4. A lei chiedo, meglio una
linea metropolitana in meno o la
riapertura dei navigli di cui da anni
(dall‟epoca credo del sindaco Pillitteri se non prima) si discute?
Sempre sul tema delle vie
d‟acqua: se lei osserva attentamente il progetto presentato al
BIE noterà che non sono stati
presi in considerazione dei problemi di carattere tecnico, come il
superamento del notevole dislivello, per non parlare del suo percorso, che si svolgerebbe attraverso una periferia che forse è
meglio nascondere piuttosto che
mostrare ai potenziali visitatori
dell‟Expo.
Sul tema dell‟università, poi, che
dire? Il governo pensa piuttosto
alla riduzione degli insegnanti e
alla decurtazione dei corsi di laurea già esistenti, piuttosto che alla
creazione di nuovi poli universitari, che negli ultimi anni, al contrario di quello che lei sostiene, sono
sorti ovunque un po‟ come funghi.
Per ultimo, lei che mi sembra così
attento al futuro della sua città,
un‟Expo come quella proposta
dalla Moratti finirebbe col cancellare definitivamente quel poco di
terreno agricolo ancora esistente
a nord di Milano, non le sembra
un prezzo troppo alto da pagare?
Filippo Beltrami Gadola
Dal Palazzo
LETIZIA E RED, STESSO COLORE DEI CAPELLI. STESSE IDEE?
ADMIN
“La stampa dipinge un‟Italia che
non è reale”, parola di Silvio Berlusconi, presidente del Consiglio
del nostro sventurato Paese.
Vecchia storia. Da sempre chi governa legge controvoglia i giornali,
soprattutto quando fanno il loro
mestiere: raccontare in modo critico l‟azione di governo di chi è
stato eletto. Si sa che uno dei
modelli di Berlusconi è Margareth
Thatcher, che era solita vantarsi
di non leggere i giornali, perché
scrivevano cose che non le piacevano. Di sicuro è più comodo
avere
giornalisti
scendiletto
(quanti ne abbiamo visti sfilare a
Porta a porta, proprio in queste
ultime settimane…).
L‟ultimo esempio di politico insofferente alle critiche è il sindaco
Letizia Moratti, sempre più assente dal Consiglio comunale, dove
un‟opposizione neanche troppo
agguerrita si ostina a chiederle
conto delle sue scelte. E lei che
fa? Quando non strilla per qualche articolo che non le è piaciuto,
sta rintanata nel suo ufficio al primo piano di Palazzo Marino. E si
concede soltanto alle domande
melliflue e complici del suo intervistatore di fiducia: Red Ronnie.
Ormai hanno persino lo stesso
colore di capelli, rosso mogano.
* * *
Ci siamo. Ne ha inventata
un‟altra. Dopo il “progetto eversi-
vo contro di me” il presidente del
Consiglio, a passeggio a Portofino, ha annunciato l‟ultima sua linea di difesa: “Mi hanno detto di
tutto, ci manca solo che mi dicano
che sono gay…”. Dato che non
dice mai nulla per caso (salvo
smentite del giorno dopo, ma tutto
fa brodo), c‟è da temere che anche quest‟ultima boutade avrà un
seguito.
* * *
Sarà forse un caso, ma gli ultimi
due libri che descrivono la situazione di Milano, e che vale la pena di leggere, hanno titoli che si
riferiscono alla peste. Il primo è di
Corrado Stajano: “La città degli
untori”, Garzanti editore; il secondo è di Marco Alfieri: “La peste di
Milano”, Feltrinelli editore. Faranno parte anche questi, senza
dubbio, del progetto eversivo.
Contro don Rodrigo.
* * *
E la settimana raccontata dai comunicati stampa di Palazzo Marino? Per ora non fa emergere alcun piano eversivo. Per ora.
10 X 5… - Milano, 5 giugno 2009
- “Cinquanta anni fa l‟euro era un
sogno. Ci abbiamo messo decenni ma siamo riusciti a realizzarlo”
ha detto Lucio Stanca, amministratore delegato Soge Expo.
* * *
11
CAMPA CAVALLO - Milano, 6
giugno 2009 – “ La bonifica del
quartiere Palmanova Casette
rientra fra le priorità della Giunta.
In pochissimi anni contiamo di
completare i lavori”. Lo annunciano gli assessori Bruno Simini (Lavori pubblici e Infrastrutture) e
Gianni Verga (Casa e Demanio).
* * *
CULTURISMI 1 - Milano, 9 giugno
2009 – “Il cibo è cultura, conoscenza”. Lo ha detto l‟assessore
al Turismo, Marketing territoriale e
Identità Massimiliano Orsatti.
CULTURISMI 2 - Milano, 10 giugno 2009 – “La strada come museo da riempire di eventi. Ho ispirato e condiviso questa iniziativa
che sarà ripetuta anche in altri
quartieri della città”. Lo ha detto
questa mattina l‟assessore alla
Cultura Massimiliano Finazzer
Flory.
CULTURISMI 3 - Milano, 11 giugno 2009 – “La scienza non è solo un sapere, ma è anche cultura”
spiega l‟assessore alla Cultura
Finazzer Flory.
* * *
RADIOCITY - Milano, 10 giugno
2009
–
“Stiamo
dando
un‟impronta del tutto nuova per
trasformare Milano da una città
radiale a una città reticolare”. Lo
ha detto l‟assessore allo Sviluppo
del territorio Carlo Masseroli.
* * *
STELLA DI LATTA 1 - Milano, 5
giugno 2009 - “I volontari monito-
reranno un treno su due dei 24 in
circolazione dalle 22”. Lo annuncia il vice Sindaco e assessore
alla Sicurezza Riccardo Marshall
De Corato.
STELLA DI LATTA 2 - Milano, 10
giugno 2009 - “A maggio le Forze
dell‟ordine e la Polizia Locale
hanno inflitto una raffica di multe”.
Lo comunica il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo
Marshall De Corato.
STELLA DI LATTA 3 - Milano, 10
giugno 2009 - “Nessuno pretende
di risolvere con le multe un problema come quello della droga”
sottolinea il vice Sindaco e assessore alla Sicurezza Riccardo Marshall De Corato.
STELLA DI LATTA 4 - Milano, 11
giugno 2009 – “Sulla questione
delle gang sudamericane rimane
comunque il problema”. Lo dichiara il vice Sindaco e assessore alla
Sicurezza Riccardo Marshall De
Corato.
* * *
NOSFERATU - Milano, 11 giugno
2009 – “Il sangue è vita” ha detto
il Presidente del Consiglio comunale Manfredi Palmeri.
* * *
PAULISTA - Milano, 11 giugno
2009 – “Milano e San Paolo del
Brasile, dal punto di vista urbanistico, hanno in comune molti elementi”. Lo ha detto l‟assessore
allo Sviluppo del territorio Carlo
Masseroli.
* * *
A FERRAGOSTO OGNI SCHERZO VALE - Milano, 11 giugno
2009 – “Il 15 agosto le vie della
nostra città accoglieranno il carnevale di ferragosto”. Lo ha detto
l‟assessore alle Attività produttive,
Politiche del lavoro ed Eventi Giovanni Terzi.
Scuola e Università
L’IMPROVVISAZIONE DEL POTERE
Vincenzo Viola
Uno dei capisaldi dell‟azione
dell‟onorevole Gelmini in questo
primo anno della sua gestione del
ministero di viale Trastevere è
stato il ritorno alla “valutazione
nelle singole materie espressa in
voti numerici”. Ne ha fatto una
questione di principio, con chiare
connotazione ideologiche, tanto
da ripeterlo più volte e in molte
forme in ogni circolare o documento che riguardi sia pure indirettamente l‟argomento della valutazione. Con una sorta di ebbrezza, ad esempio, nel comunicato
stampa del 28 maggio 2009 trionfalmente annuncia che “questo
metodo di valutazione riguarderà
anche l'insegnamento della musica” (ma non quello della religione,
chissà perché). Evidentemente
per il ministro il voto numerico ha
il dolce sapore del retro, della
sconfessione di un trentennio di
docimologia e di pedagogia, di
una rivincita sull‟odiato Sessantotto. Se ci vuole così poco per renderla felice, perché dirle di no?
Perché il ministro e i suoi validi
collaboratori difettano, in questo
caso, di una qualsiasi consequenzialità logica. Infatti se si usano i numeri per valutare (e si
può farlo benissimo) e si decide
che in ogni singola disciplina debba essere valutato il livello di preparazione raggiunto al di sotto del
quale non si può essere promossi, è ovvio che devono essere ap-
prontate delle misure con una
funzione di “paracadute” per evitare che un ragazzo con una o
due insufficienze sia costretto a
ripetere l‟anno. Nella scuola vecchia maniera, tanto cara alla
Gelmini, tali ammortizzatori esistevano e si chiamavano “esami
di riparazione”: nulla di eccezionale, strumento vecchiotto e da non
rimpiangere proprio, ma che almeno dava la possibilità di differenziare la situazione di chi aveva
alcune lacune limitate nella gravità o nella diffusione da quella di
chi arrivava a fine anno quasi
completamente impreparato. Del
resto nella secondaria superiore,
in cui si è sempre utilizzato una
scala di valutazione numerica,
esistono i debiti e la possibilità (e
il dovere) di ripararli.
Invece per la scuola elementare e
media oggi, se dovessimo applicare come sono scritte le disposizioni della Gelmini, non vi è differenza tra chi ha un‟insufficienza in
disegno e chi non studia mai e si
comporta da bullo: in un caso e
nell‟altro pollice verso, dice la
norma perché per passare alla
classe successiva è necessario
ottenere “un voto non inferiore a
sei decimi in ogni disciplina di
studio.” Ancor di più: per essere
ammessi agli esami conclusivi
della secondaria inferiore è necessario “aver conseguito in ogni
disciplina di studio e nel compor-
12
tamento un voto non inferiore a
sei decimi”, mentre per ottenere
l‟ammissione all‟esame di Stato
conclusivo della secondaria superiore è sufficiente la media complessiva del sei, media che è calcolata “considerando nel computo, a tutti gli effetti, anche il voto di
comportamento e il voto di educazione fisica.”. Cioè alla fine delle superiori un 8 in condotta e un
8 in educazione fisica compensano dei 4 in matematica e inglese,
mentre nelle medie un 5 in geografia
potrebbe
impedire
l‟ammissione all‟esame di terza
media.
Il
paradosso
generato
dall‟incapacità del ministro di valutare le conseguenze delle proprie
decisioni e dei propri atti è assolutamente palmare. Questa situazione viene contrabbandata dal
nostro ministro (nella sua sovrana
incompetenza) come il trionfo del
rigore e della serietà. Nulla di più
falso, ovviamente: di fronte
all‟esigenza di avere tutti i voti
sufficienti sul tabellone non è difficile capire che molti consigli di
classe opteranno per una vasta
sanatoria, con un effetto a cascata
di
disincentivazione
dall‟impegno (perché studiare se
poi il sei bene o male arriva per
grazia ricevuta?) proprio nella delicatissima età della prima adolescenza. Così si apre la porta al
caos: improvvisi miglioramenti, è
facile prevederlo, caratterizzeranno il curriculum di gran parte degli
studenti italiani; poiché nessuna
scuola può permettersi di fermare
un terzo dei propri studenti, si potrà osservare con finto stupore
che tutti avranno prontamente imparato matematica e italiano, inglese e scienze nelle ultime settimane di scuola e i 4 e i 5 di aprile
diventeranno 6 a giugno.
Di fronte a questo stato di cose,
che tende inevitabilmente a de-
generare, alcuni dirigenti scolastici col senso del proprio compito di
formatori avevano pensato di introdurre sul tabellone un piccolo
correttivo, il “6 rosso”, almeno per
comunicare a genitori e studenti
che in questa o quella disciplina il
livello di preparazione era carente
e che quindi sarebbe buona cosa
darsi da fare durante l‟estate per
riparare le carenze. Misura di
buon senso, non altro, subito però
duramente contrastata dalla Gelmini: cos‟è questa storia delle suf-
ficienze “colorate”, che potrebbero
segnalare sufficienze assegnate
dal consiglio di classe? Non se ne
parla neppure!
A fine anno, si sa, è tempo di bilanci per tutti, per chi insegna e
per chi impara. Sarebbe il caso
che lo fosse anche per chi governa la scuola; ed è ora per tutti di
domandarci dove può portare
questa frenesia ideologica nutrita
da incompetenza e improvvisazione.
LE RUBRICHE
MUSICA
Questa rubrica è a cura di Paolo Viola
Le Schubertiadi di Schwarzenberg
Pochi milanesi e lombardi conoscono e frequentano questo specialissimo evento, che si svolge
ogni anno a 250 km da casa loro
(non più di tre ore, quasi tutte in
autostrada), di un fascino incredibile per chiunque ami la musica
classica - anche senza esserne
grande intenditore – e magari anche l‟aria estiva delle Alpi.
Le Schubertiadi prendono il nome
dall‟abitudine del giovane Franz
(1797–1828) di riunire nella sua
casa di Vienna gli amici musicisti,
e con loro passare intere giornate
a “far musica”; non solo musica
propria, ma qualsiasi testo piacesse loro e si divertissero a suonare insieme, spesso anche improvvisandone di nuovi. Dopo la
prematura morte di Franz, del
nome di Schubertiade si è fatto
grande uso, in festival grandi e
piccoli e in vari paesi, ma ultimamente si è imposto all‟attenzione
di tutto il mondo musicale un festival
molto
particolare
(www.schubertiade.at) che fin dal
1976 si svolge nella piccola regione austriaca del Vorarlberg non lontano dalla sua capitale
Bregenz, sul lago di Costanza o
Bodensee - dapprima sulle rive
del Reno e successivamente più
in alto, in un delizioso paesino
adagiato fra i prati e i boschi del
famoso altipiano del Bregenzerwald incorniciato da alte cime
quasi sempre innevate.
Nel minuscolo paese di Schwarzenberg proprio domani comincia
il primo ciclo delle Schubertiadi,
che durerà 10 giorni (dal 17 al 27
giugno) e che riprenderà il 29 agosto per concludersi l‟8 settembre (in maggio e in ottobre altri
due cicli si svolgono in valle, ad
Hohenems). Il programma del festival prevede tre concerti il giorno
- mattino, pomeriggio e sera – che
si terranno nella bella sala in legno dedicata ad Angelika Kaufmann (la grande pittrice nata a
Schwarzenberg e cresciuta in paese nella seconda metà del „700)
ciascuno dei quali preceduto dal
richiamo dei corni che, pochi minuti prima dell‟inizio, fanno echeggiare antiche armonie fra i
monti e le valli dell‟altipiano.
13
In questo prossimo ciclo si ascolteranno tanti pianisti - fra cui
Brendel, Eschenbach, Lewis e
Schiff - il violoncello di Erben e il
clarinetto di Bader, il trio Eggner, i
quartetti Artemis e Belcea,
l‟ottetto di Lipsia (Leipziger Oktett)
e – per gli amanti dei lieder – le
magnifiche voci di Ian Bostridge,
Annette Dash, Gerald Finley, Matthias Goerne, Robert Holl, Julia
Kleiter, Christopher Maltman,
Christoph Prégardien, Thomas
Quasthoff, Kate Royal, Andreas
Scholl e Peter Schreier. Oltre a
Schubert - che la fa ovviamente
da padrone con pagine pianistiche, lieder e varie formazioni di
musica da camera (dal duo
all‟ottetto) – si ascolteranno
Haydn, Beethoven, Schumann,
Mendelssohn, Brahms, Debussy,
Ravel in un turbillon di musiche
meravigliose in un ambiente di
sogno, assolutamente inusuale.
Ascoltare musica in un contesto
così particolare, dove ogni cosa
ruota intorno al festival – i piccoli
e antichi alberghi di montagna
con le loro stuben, le chiese con i
loro organi e i cori di paese, i ne-
gozi dell‟artigianato vernacolare –
e si parla solo del concerto appena ascoltato o di quello che inizierà di lì a poco, dove tutto porta a
un‟altissima concentrazione, è
un‟esperienza molto singolare e
sostanzialmente irripetibile.
Ma è anche un‟esperienza estetica, perchè la visione di un pubblico sostanzialmente colto e raffinato, così diverso - anche nel modo
di vestirsi, urbano ed elegante –
dall‟ambiente rurale e alpestre in
cui tuttavia si muove con grande
disinvoltura, accolto con palese
simpatia e interesse da una comunità rimasta perfettamente
contadina, un pubblico di persone
che parlano tante lingue diverse
ma ascoltano le stesse note, che
si ritrovano di anno in anno e poco a poco finiscono per conoscersi e riconoscersi, ebbene tutto ciò
è uno spettacolo altrettanto singolare e affascinante. Ed è proprio
questo fascino che attrae da una
parte i tanti artisti che approfittando del loro impegno vengono a
Schwarzenberg a trascorrere anche qualche giorno di riposo, e
dall‟altra tutti noi appassionati che
ritorniamo ogni anno e per un intero anno conserviamo il ricordo e
la nostalgia delle incantevoli ore
trascorse.
16 giugno
ARTE
Questa rubrica è curata da Silvia Dell‟Orso
Un
nuovo
appuntamento
nell‟ambito delle celebrazioni per
il bicentenario della fondazione
della
Pinacoteca
di
Brera.
L‟occasione sta suggerendo un
modus operandi che si vorrebbe
appartenere alla quotidianità di un
museo, tra scavo e ricerca sul
proprio patrimonio, ma anche capacità di dare conto dei risultati
con
attitudine
divulgativa.
L‟attenzione si sposta questa volta su Giuseppe Bossi, figura chiave della storia braidense, uno dei
primi segretari dell‟Accademia di
Belle Arti – succeduto a Carlo
Bianconi, sospettato di sentimenti
filo austriaci – cui si deve, fra
l‟altro, la presenza nelle collezioni
di Brera del Cristo morto del Mantegna e dello Sposalizio della
Vergine di Raffaello, al cui acquisto partecipò attivamente.
La
rassegna ricostruisce la raccolta
di ritratti e autoritratti di artisti che
Bossi concepì come incentivo alla
ricognizione storica degli antichi
maestri della scuola milanese per
gli allievi dell‟Accademia. In tutto
34 ritratti, 25 dei quali raffiguravano infatti maestri lombardi o loro
familiari, dei quali si è presto persa memoria, se è vero che già nel
catalogo della Pinacoteca del
1816 non sono più registrati come
nucleo autonomo. Le curatrici della mostra, Simonetta Coppa e
Mariolina Olivari, li hanno rintracciati, spesso dimenticati in uffici
pubblici e ne presentano 24, restaurati per l‟occasione, oltre a un
Autoritratto di Giuseppe Bossi.
Il “Gabinetto dei ritratti dei pittori” di Giuseppe Bossi.
Pinacoteca di Brera, via Brera 28,
Sala XV – orario: 8.30/19.15,
chiuso lunedì (la biglietteria chiude 45 minuti prima).
Fino al 20 settembre.
È dedicata alla lunga stagione
trascorsa da Monet a Giverny la
mostra di Palazzo Reale. Una
rassegna che allinea 20 grandi
tele dell‟artista provenienti dal
Museo Marmottan di Parigi, dipinte tra il 1887 e il 1923 quando la
costruzione del giardino di Giverny, con i salici piangenti, i sentieri delimitati dai roseti, lo stagno
con le ninfee, il ponte giapponese,
i fiori di ciliegio e gli iris trova pieno corrispettivo nella tavolozza
multicolore di Monet, portando
alle
estreme
conseguenze
quell‟attitudine innata che lo induceva, ancora ragazzino, a disegnare dal vivo il porto di Le Havre,
piuttosto che seguire in studio le
lezioni dei maestri. Il tempo della
magnifica ossessione di Giverny una piccola città sulle rive della
Senna dove Monet spese la maggior parte del suo tempo e dove
costruì il suo più volte immortalato
giardino - le cui immagini si possono confrontare con una serie di
fotografie ottocentesche di giardini giapponesi. Non senza percepirne la familiarità con la tradizione giapponese dell‟ukiyo-e, rappresentata da 56 stampe di Ho-
14
kusai e Hiroshige, prestate dal
Museo Guimet di Parigi ed esposte a rotazione per ragioni conservative.
Monet. Il tempo delle ninfee.
Palazzo Reale – orario: lunedì
14.30/19.30,
martedì-domenica
9.30/19.30, giovedì 9.30/22.30.
Fino al 27 settembre.
Suo cugino Aron Demetz è forse
più noto ed è stato al centro lo
scorso anno di una mostra al Pac.
Per Gerhard Demetz quella comasca è la prima antologica, anche se si era già fatto notare nelle
due personali allestite alla Galleria Rubin di Milano, cui va il merito di avere richiamato l‟attenzione
sull‟artista. Altoatesino come Aron, nato nel 1972, scultore a sua
volta, naturalmente attratto dal
legno, come si confà a chi è nato
e vissuto in Val Gardena apprendendone fin da subito le tecniche
di lavorazione, la manualità, gustandone il profumo e la duttilità.
Non sono però solo sculture in
legno, di tiglio, quelle presentate a
Como, tre sono in bronzo, un materiale nuovo per l‟artista che espone anche alcuni bassorilievi a
parete. Il tema dominante è sempre la figura umana, in particolare
bambini, di cui Demetz conosce e
restituisce a tutto tondo le fragilità,
le incertezze, i dubbi, quasi serbasse
intatta
la
memoria
dell‟infanzia e della tensione tragica che spesso l‟accompagna.
Facendone percepire la bellezza
non solo visivamente. La rassegna è infatti il primo appuntamento di un progetto promosso in collaborazione con l‟Unione Italiana
Cechi, pensato per coinvolgere
anche un pubblico non vedente in
speciali percorsi tattili. Complici
l‟odore del legno, le forme morbide, levigate, ma anche scabre
delle sculture, minuziosamente
lavorate con lo scalpello sul fronte, incompiute sul retro.
Love at First Touch: Gehard
Demetz.
Como, ex Chiesa di San Francesco, viale Lorenzo Spallino 1- orario: lunedì-venerdì 16/20; sabato
e domenica 10.30/19.00. Fino al
27 giugno.
A cura di Philippe Daverio con
Elena Agudio e Jean Blanchaert,
la rassegna propone tutt‟altro che
una lettura univoca e compiuta
dell‟arte sudamericana; è semmai
un ritratto d‟autore che ricorda artisti di ieri e protagonisti delle ultime generazioni, insistendo su
alcuni temi condivisi: sangue,
morte, anima, natura, città. E
sempre e comunque con grande
passione sociale e attenzione per
la storia. Non un‟unica America
Latina, ma tante Americhe Latine,
così come è molto diversificato e
variegato il panorama artistico del
continente sudamericano. Arrivano dal Brasile, da Cuba, dalla Colombia, dal Cile, dal Venezuela e
dal Messico le oltre cento opere
esposte. Una cinquantina gli artisti rappresentati, concettuali, astratti, figurativi nel senso più tradizionale del termine, pittori, scultori, fotografi o amanti delle sperimentazioni linguistiche. Ecco,
dunque, la cubana Tania Bruguera, l‟argentina Nicola Costantino,
la brasiliana Adriana Varejão fino
a Beatriz Milhares, Vik Muniz, al
fotografo guatemalteco Louis
Gonzales Palma, al cileno Demian Schopf. C‟è anche Alessandro Kokocinsky, cresciuto in Argentina, ma nato in Italia dove tuttora vive e lavora, che trasferisce
nelle sue opere dolenti i tormenti
vissuti in prima persona. Nella sala cinematografica dello Spazio
Oberdan la sezione video è curata da Paz A. Guevara e Elena
Agudio.
Americas Latinas. Las fatigas
del querce.
Spazio Oberdan, via Vittorio Veneto 2 - orario: 10/19.30, martedì
e giovedì fino alle 22, chiuso lunedì. Fino al 4 ottobre.
Si fa sempre più fitto il dialogo tra
arte antica e moderna, almeno
quanto a iniziative che vedono a
confronto tradizione e modernità.
Come la mostra allestita in questi
giorni all‟Accademia Tadini di Lovere. Una rassegna nata dalla
collaborazione tra il museo lombardo, aperto nel 1828 da un collezionista di allora, il conte Luigi
Tadini, e tre galleristi/collezionisti
di oggi, Claudia Gian Ferrari,
Massimo Minini e Luciano Bilinelli.
Ecco dunque che le opere di Antonio Canova, Francesco Hayez,
Jacopo Bellini, Fra‟ Galgario, il
Pitocchetto, Francesco Benaglio e
Paris Bordon, conservate in permanenza all‟Accademia Tadini, si
trovano per qualche mese faccia
a faccia con quelle di Giulio Paolini, Carla Accardi, Lucio Fontana,
Luigi Ontani, Arturo Martini, Sol
LeWitt e molti altri maestri del XX
e XXI secolo.
“Accademia Tadini. Quattro
collezionisti a confronto
Lovere (Bergamo), Accademia di
Belle Arti Tadini, Palazzo dell'Accademia, via Tadini 40 (Lungolago) - orario: martedì-sabato
15/19, domenica 10/12 e 15/19.
Fino al 4 ottobre.
È la mostra simbolo delle celebrazioni per il centenario della nascita del Futurismo. Una rassegna
impetuosa e forse un po‟ bulimica,
ma come di fatto fu il Futurismo e
come si confà alla passione dello
studioso che ama rendere pubbliche le proprie scoperte. Il Futurismo a volo d‟uccello, dunque,
guardando al movimento in tutta
la sua estensione cronologica e
senza omettere nessuna delle
sue molteplici declinazioni, esplorando anzi l‟intero campo d‟azione
di un‟avanguardia la cui piena valutazione è stata a lungo condizionata dalle sue collusioni col
fascismo. A cura di Giovanni Lista
e Ada Masoero, la rassegna riunisce circa 500 opere, spaziando
dai dipinti, disegni e sculture, al
paroliberismo, ai progetti e disegni d'architettura, alle scenografie
15
e costumi teatrali, alle fotografie,
ai libri-oggetto e ancora agli arredi, all‟arte decorativa, alla pubblicità, alla moda, offrendo in chiusura un assaggio di film futuristi. Il
20 febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti pubblicava su Le Figaro il “Manifesto del Futurismo”
ed è appunto a Marinetti che spetta un ruolo chiave nel percorso
espositivo, traghettando nell‟età
delle avanguardia l‟arte italiana di
fine „800 alla quale è dedicata
un‟efficace panoramica in apertura, tra Simbolismo e Divisionismo.
Si prosegue quindi per decenni,
individuando di volta in volta le
figure e i caratteri dominanti. Boccioni, Carrà, Balla, Severini, Russolo, Soffici, Prampolini, Depero,
Sironi, Dottori e molti altri. La
compagine di maestri futuristi è
ampiamente rappresentata, anche grazie a opere non scontate,
e la rassegna segue l‟intera evoluzione del movimento fino a tutti
gli anni ‟30 e oltre, avventurandosi
nella metà del secolo scorso per
rintracciarne gli eredi: da Fontana
a Burri, Dorazio, Schifano ai poeti
visivi.
Futurismo 1909-2009. Velocità +
Arte + Azione.
Palazzo Reale, piazza Duomo 12
– orario: 9.30/19.30, lunedì
14.30/19.30, giovedì 9.30/22.30.
Fino al 12 luglio.
I temi sono tutti indiscutibilmente
ponderosi e decisamente universali: Potere, Quotidiano, Vita,
Morte, Mente, Corpo, Odio, Amore. Ognuno di questi rinvia a una
delle 8 sezioni in cui si articola la
mostra bergamasca il cui titolo,
“Esposizione Universale”, sembra
ironizzare su uno degli argomenti
più frequentati e ineludibili del
momento. Qui però l‟Expo è rigorosamente artistico, con una carrellata di un centinaio di opere dal
„400 ai giorni nostri, forte innanzitutto
del
patrimonio
dell‟Accademia Carrara di Bergamo, ma non solo. Si va da Giovanni Bellini, Bergognone, Botticelli, Carpaccio, Foppa, Pisanello,
Tiziano a Casorati, Duchamp, De
Chirico, Christo, De Dominicis,
Ontani, Clemente, Kabakov, Gilbert & George, Maria Lai, Spalletti, Arienti, Cuoghi e molti altri, tra
cui Ben Vautier le cui opere-testo
ricorrono in tutte le sale. A cura di
Giacinto Di Pietrantonio, non è la
prima volta che il direttore della
Galleria d‟Arte moderna e contemporanea di Bergamo mette a
confronto l‟arte antica con quella
moderna. Lo ha fatto ragionando
sulle
Dinamiche
della
vita
dell’arte, una rassegna di qualche
anno fa e continua a riproporre
anche in questo caso la sua visione unitaria dell‟arte, tutta contemporanea, perché è con gli occhi di oggi che si rilegge l‟arte di
ieri.
Esposizione Universale – L’arte
alla prova del tempo.
Bergamo, Galleria d‟arte moderna
e contemporanea, via San Tomaso 53 – orario: martedì-domenica
10/19, giovedì 11/22. Fino al 26
luglio.
L‟opera incisa di James Ensor è
al centro di una mostra, a cura di
Flavio Arensi, allestita nelle sale
di Palazzo Leone da Perego a
Legnano. Sono esposte 188
stampe del maestro belga vissuto
a cavallo tra „800 e „900, provenienti dalla collezione Kreditbank;
tra queste 134 acqueforti, a delineare un percorso influenzato inizialmente dall‟esperienza impressionista che lascia ben presto il
passo a un deciso espressionismo, tramite per una dissacrante
e spietata critica della società del
tempo. Occupa una posizione rilevante, la stampa, nella produzione di Ensor, un medium che si
addice alla sua vena di solitario
fustigatore del compassato mondo borghese, ma anche alle sue
sfrenate escursioni nei territori del
fantastico e del grottesco. Non
mancano, peraltro, anche i paesaggi, le marine, le nature morte, i
ritratti e gli autoritratti, con
un‟attenzione particolare riservata
alla figura di Cristo che ricorre in
almeno una dozzina di incisioni e
a cui è dedicato l‟album litografico
dal titolo Scènes de la vie du
Christ.
Parallelamente, al Castello di Legnano
si
possono
visitare
un‟antologica di Tino Vaglieri a
nove anni dalla morte dell‟artista
triestino, milanese d‟adozione, di
cui si segue il percorso dapprima
legato al Realismo esistenziale e
approdato quindi all‟informale e
una personale della giovane artista di Merate, Marta Sesana.
James Ensor. L’opera incisa.
Legnano, Palazzo Leone da Perego - orario: martedì-venerdì
16/19.30; sabato 15.30/19.30;
domenica e festivi 10/13 e
15.30/19.30; mercoledì 21/23. Fino al 28 giugno.
Gli spazi della Fondazione Pomodoro sono letteralmente occupati
dalle grandiose installazioni della
settantanovenne artista polacca,
protagonista della nuova mostra,
a cura di Angela Vettese. È davvero una rifondazione del linguaggio della scultura quella che
si avverte nell‟opera di Magdalena
Abakanowicz. Monumentale non
solo per le dimensioni degli 11
lavori esposti, ma anche per il respiro, per la vastità della concezione, per il modo in cui le sue
creazioni interagiscono con lo
spazio, occupandolo, appunto e
trasformandolo. Lo si vede per
esempio in Embriology, installazione acquistata nel 2008 dalla
Tade Modern di Londra e ora a
Milano. Un lavoro imponente ideato nel „78, fatto di centinaia di
sacchi di iuta imbottiti, di varie dimensioni e a forma di patata, già
intrinsecamente destinati a trasformarsi nelle sue folle di figure
umane e animali, arricchendosi a
un tempo con l‟uso di altri materiali: ceramica, acciaio, alluminio,
bronzo. Nata in una famiglia aristocratica, Magdalena Abakanowicz ha sempre vissuto e lavorato
a Varsavia e si è vista poco in Italia a parte le Biennali di Venezia e
una mostra al Mart di Rovereto.
Magdalena
Abakanowicz.
Space to experience. Fondazione Arnaldo Pomodoro, via
Andrea Solari 35 – orario: mercoledì-domenica 11/18 (ultimo
ingresso alle17); giovedì 11/22
(ultimo ingresso alle 21). Fino al
26 giugno.
Il soggiorno di Leonardo da Vinci a Vigevano, testimoniato dallo
stesso maestro nei suoi appunti,
è il pretesto per una serie di iniziative in zona che ruotano attorno a questo genio poliedrico,
tra cui una mostra decisamente
insolita. Anzi “impossibile” perché riunisce l‟intera opera pitto-
16
rica di Leonardo, operazione in
sé inimmaginabile se non attraverso il ricorso alle tecnologie di
riproduzione digitale. È così che
17 opere leonardesche, ricostruite in dimensioni reali e retroillluminate (al punto da essere apprezzabili analiticamente
talvolta meglio degli originali),
sono esposte tutte assieme negli spazi del castello vigevanese. Dalla Gioconda alla Vergine
delle Rocce, alla Dama con
l’ermellino e persino l‟Ultima
Cena, quest‟ultima presentata
nella vicina chiesa sconsacrata
di San Dionigi, da poco restaurata come anche l‟imponente
pala del Cerano, qui custodita,
raffigurante il martirio del santo.
Questa rassegna non è la prima
del genere. L‟ideatore del progetto, Renato Parascandolo, ha
cominciato a pensarci nel 2000,
quando, allora direttore di Rai
Educational, strinse un accordo
col Ministero per i Beni e le Attività culturali per fotografare e
riprendere in video i maggiori
capolavori dei musei italiani.
Cominciò da lì la sua avventura
nei territori della riproduzione
delle opere d‟arte e nacque così
l‟idea di utilizzare quei materiali
per realizzare una sorta di grande trailer dei capolavori italiani
da esportare nel mondo per richiamare turisti a vedere gli originali. Ecco allora le mostre di
Leonardo, Raffaello e Caravaggio, curate da studiosi qualificati, cui seguiranno a breve, quelle
non meno impossibili sulla Cappella degli Scrovegni di Giotto e
su Piero della Francesca.
Leonardo: una mostra impossibile. L’opera pittorica di Leonardo da Vinci nell’epoca
della sua riproducibilità digitale.
Castello di Vigevano - orario:
martedì-domenica 10/19. Fino al
30 giugno
A sei anni dalla morte di Enrico
Baj, la sua produzione artistica
non cessa di riservare sorprese e
nuovi filoni d‟indagine. Non solo le
donne fiume, i monumenti idraulici, le dame, i generali, a molti già
familiari, ma anche i mobili animati, in linea con l‟ineludibile tendenza
all‟antropomorfizzazione
dell‟artista milanese. Un libro, a
cura di Germano Celant, edito da
Skira, e una mostra alla Fondazione Marconi propongono questo
versante della feconda produzione artistica del padre del Movimento Nucleare e della Patafisica
Mediolanense. Sono una cinquantina le opere eseguite agli inizi
degli anni ‟60, presentate in collaborazione con l‟Archivio Baj. Alla
base, l‟idea tipicamente surrealista e venata d‟ironia che qualsiasi
cosa possa trasformarsi in altro.
Ecco, dunque, come già è stato
per i personaggi, una serie di mobili bizzarri ma anche eleganti,
confezionati con ovatta pressata e
applicata a collage sul fondo di
stoffa da tappezzeria, su cui Baj
sistemava cornici, pomelli, passamanerie e fregi di serrature a
evocarne i tratti somatici; via via il
mobile si precisa, si fa di legno
grazie a fogli d‟impiallacciature
opportunamente impreziositi e si
avvia a esibire la sua natura
Kitsch.
Enrico Baj. Mobili animati.
Fondazione Marconi, via Tadino
15 - orario: martedì-sabato
10.30/12.30 e 15.30/19. Fino al
24 luglio.
I suoi celebri Bleu hanno addirittura richiesto una tonalità di blu
creata ad hoc, che porta a
tutt‟oggi il suo nome (International
Klein Blue). L‟aspirazione alla purezza e all‟assoluto hanno contraddistinto l‟intera e brevissima
vicenda creativa di Yves Klein,
suggerendo più di un‟affinità con
Piero Manzoni, e non soltanto
perché sono morti, quasi coetanei, a un anno di distanza l‟uno
dall‟altro: nel ‟62, a Parigi, il
trentaquattrenne Klein; nel ‟63, a
Milano, Manzoni appena ventinovenne. A Yves Klein, capofila del
Nouveau Réalisme, sebbene ne
sia uscito un anno dopo la fondazione e antesignano della pittura
monocroma, è dedicata un‟ampia
retrospettiva che oltre a presentare un centinaio di opere del maestro
francese,
provenienti
dall‟Archivio Yves Klein di Parigi e
da collezioni internazionali, affian-
ca loro, nelle piazze e nei giardini
della città, una selezione di sculture metalliche della moglie
Rotraut Uecker che con Klein
condivise anche la vocazione
artistica e immaginifica. Sui tre
piani del museo, le opere di Klein
sono presentate per nuclei tematici: i Monochrome realizzati con
pigmenti puri fino ad arrivare al
solo blu, alternato con l‟oro in foglia; i quadri realizzati con il fuoco
a contatto diretto con la tela; le
Anthropométrie, tele su cui sono
impressi i corpi delle modelle cosparse di colore dall‟artista durante veri e propri happening; e ancora i Relief planétaire, le Sculpture éponge, insieme a filmati e
fotografie a documentarne le azioni, mentre un ricco apparato
documentario permetterà di seguire le tappe del percorso artistico e personale di Klein.
Yves Klein & Rotraut
Lugano, Museo d‟Arte, Riva Caccia 5 – orario: martedì-domenica
10/18, lunedì chiuso (tranne il 1° e
29 giugno). Fino al 13 settembre.
TEATRO
Questa rubrica è curata da Maria Laura Bianchi
Three Solos and A Duet
Così lontani, così vicini tra di loro,
Mikhail Baryshnikov e Ana
Laguna sono la più stupefacente
strana coppia della danza di oggi.
Lui è, per dirla in breve, “the
greatest living dancer”, il più
grande
danzatore
vivente,
secondo “Time Magazine”. Dalle
vette del balletto russo, l‟ex
transfuga Misha non ha fatto altro
che cambiare tutto (paese: dalla
nativa Lettonia agli States,
linguaggio:
dal
classico
al
contemporaneo)
per
non
cambiare niente: è rimasto se
stesso, una superstar curiosa,
perfezionista,
inguaribilmente
snob. Dopo essere stato il più
musicale dei Principi del balletto
zarista, ha frequentato a lungo il
neo-modern e post-modern Usa
di Twyla Tharp e Mark Morris per
poi concedersi qualche ardita
“escursione”: ha calzato tacchi
vertiginosi come Achille per il
provocatorio Richard Move, si è
calato nei panni del fascinoso
Aleksandr Petrovsky nel cult tv
“Sex & the City”. Di lei, la
spagnola Ana, si sa molto meno.
Da sempre musa del marito
coreografo, lo svedese Mats Ek, è
un‟antidiva
defilata
dalla
mondanità, immune da qualsiasi
vanità femminile. Interprete di
viscerale espressività, ha saputo
scolpire a piedi nudi creature
borderline
per
le
poetiche
coreografie contemporanee di Ek.
Insieme, Misha & Ana formano
una miscela esplosiva. Con
grande smacco di chi vorrebbe la
danza perennemente congelata in
una smagliante gioventù, ecco la
lezione
di
due
sublimi
sessantenni. Non salgono in
cattedra, ma scivolano nelle
angustie
del
quotidiano,
tratteggiato da un tavolo e un
tappeto, simulacri di una vita
qualunque
in
cui
cullarsi,
specchiarsi,
accapigliarsi,
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ritrovarsi. È “Place”, una tessitura
di gesti minuti modellata sui corpi
intelligenti di Baryshnikov e
Laguna da uno dei maestri più
sensibili
della
scena
contemporanea, Mats Ek, che per
i due ha adattato anche il suo
“Solo for Two”, originariamente
concepito per Sylvie Guillem e
Niklas Ek (fratello di Mats), su
musica di Arvo Pärt, in cui si
intrecciano solitudine, distanza e
desiderio tra una donna e un
uomo
a
lungo
sospirato.
Riservano sorprese il nuovissimo
assolo per Baryshnikov sul la
“Valse Fantasie” di Mikhail Glinka
- ideato dall‟ex direttore del
Balletto
del
Bolshoi
Alerei
Ratmanski (il debutto, il 2 maggio
alla Latvian National Opera di
Riga, città natale del divo russo) -,
e un secondo solo per Misha dal
titolo “Years Later”, firmato nel
2007 dal
francese Benjamin
Millepied, principal dancer del
New York City Ballet, su musiche
di Philip Glass, Erik Satie e Akira
Rabelais.
Teatro Strehler, largo Greppi
Stasera alle 19.30; domani e dopo alle 20.30
Info e prenotazioni: 848.800.304
Superwoobinda
Definito una delle più lucide analisi dello stato della nostra televisione, Superwoobinda – l‟album
di cinquantadue racconti brevissimi dello scrittore varesino Aldo
Nove pubblicato nel 1998 – arriva
a Milano nella riduzione scenica
firmata da Monica Nappo. Una
lingua elementare, quasi bambinesca, restituisce il sorprendente
paesaggio di storie e di situazioni
quotidiane, dove il gusto compiaciuto per la violenza, la presenza
ossessiva della pubblicità, del
marchio, del mondo della televisione, e una morbosa ossessione
per il sesso, convivono, e i cui
protagonisti uccidono, squartano
e dilaniano corpi con la stessa
naturalezza con cui potrebbero
andare a fare la spesa. “Teen agers brufolosi – dichiara Monica
Nappo, l‟attrice di teatro e di cinema diretta, tra gli altri, da registi
come Mario Martone, Toni Servillo, Arturo Cirillo, Matteo Garrone,
Silvio Soldini, Paolo Sorrentino,
Leonardo Pieraccioni – che ambiscono a una relazione con dive
porno, casalinghe cinquantenni
che sognano una love story con
Magalli, donne che si eccitano più
per un cellulare che per un uomo,
operai frustrati, studenti folli e pericolosi, oche giulive che diventano serenamente puttane, padri di
famiglia con doppia vita, disadattati di periferie e di quartiere, delusi e disillusi dalla politica. Ritratti
da foto tessera, con tutti i dialetti e
le miserie del nostro stivale”. A
proposito della sua antologia, Aldo Nove ebbe poi ha dichiarare:
“Quando scrissi Superwoobinda,
alcuni anni fa, volevo delineare
una generazione priva di futuro. Il
futuro, purtroppo, è arrivato”.
Solo venerdì 19 giugno, alle 21.45
Ex O.P. “Paolo Pini”, via Ippocrate
45
Info
e
02.66.20.06.46
prenotazioni:
L’ultima astronave
Cosa mettere su un‟astronave
che partirà per gli spazi siderali,
una volta che la razza umana sarà estinta? Codici e invenzioni
non bastano. Ci vuole la prova
della capacità artistica dell‟uomo,
il suo sogno e il concreto desiderio di comunicare agli altri. Il meglio, forse, della sua storia. Una
storia del mondo con in mezzo
due scienziati pazzi, un dicitore e
un pianoforte, e uno schermo dove appaiono quadri famosi, e inattese
sorprese.
Dai graffiti paleolitici a Leonardo,
dai mostri di Bosch a Velasquez,
dalla sfida di Van Gogh a
Twombly attraversando Walt Disney, le ninfee, la restauration art,
Klee e Bacon. Le parole degli artisti e altre parole scritte e reinventate. Il sorriso e il grido in letteratura, in musica e in pittura. Un
viaggi ironico e crudele, in ciò che
di meglio e peggio l‟uomo ha da
mostrare all‟universo, nel caso
vicino o lontano che debba scomparire.
La voce di Stefano Benni, la musica
di
Umberto
Petrin,
l‟invenzione scenica di Fabio Vignaroli, elefanti rosa, girasoli in
fiamme e un mammuth parlante
nello spettacolo che segue il
grande, sorprendente successo di
"Misterioso", lo spettacolo dedicato a Thelonious Monk, e ora disponibile in un dvd più libro edito
da Feltrinelli.
Solo sabato 20 giugno, alle 21.45
Ex O.P. “Paolo Pini”, via Ippocrate
45
Info
e
prenotazioni:
02.66.20.06.46
Oblivion Show
Oblivion Show è uno spettacolo
che mette in scena il meglio del
repertorio originale degli Oblivion
(Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo
Scuda e Fabio Vagnarelli). Un circo volante in cui si alternano blob
di canzoni, cantautori italiani rivisti
e corretti, uffici postali musicali,
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un reality show dove i personaggi
sono ostaggio dei terroristi, le avventure di Rato l‟Immigrato e
l‟immancabile riduzione musicale
dei Promessi Sposi in 10 minuti,
vero e proprio filmato cult della
rete. Un‟ora e un quarto di pura
follia, acrobazie musicali, risate...
Non adatto ai deboli di cuore.
Teatro Franco Parenti, via Pier
Lombardo 14
Fino al 27 giugno
Orario: 21.15
Info
e
prenotazioni:
02.59.99.52.06
Il fabbricone
L‟ultimo spettacolo della stagione
di
Tieffe
Teatro
Stabile
d‟Innovazione porta in scena,
dall‟11 al 27 giugno, all‟interno del
Cortile
della
Magnolia
dell‟Accademia di Brera, Il Fabbricone di Giovanni Testori.
La ringhiera e il cortile sono i protagonisti di questo affresco di storie che rimandano a quella Milano
di periferia, fotografata tra l‟eco non ancora troppo lontana - di
una guerra che ha lasciato sul terreno e sulle coscienze cumuli di
macerie e un futuro ancora incerto. Insomma sono gli anni del boom e dello “sboom” tra le inquietudini e i sogni di gloria di una
gioventù in cerca di nuovi riferimenti e la nostalgia carogna di
vite invecchiate troppo presto. Il
tutto a portata di mano e di cuore,
grazie alla penna straordinaria di
uno dei più grandi autori del Novecento. La versione teatrale proposta da Emilio Russo prova a
ricostruire sentimenti e atmosfere,
attraverso i personaggi principali
e secondari, abitanti di questo decadente “Fabbricone” (un caseggiato di Novate, luogo natio
dell'autore) brulicante di vita, pianeta ostile e materno, da dove si
scappa, ma non si riesce a uscire.
Fino al 27 giugno
Cortile
della
Magnolia
dell‟Accademia di Brera, via Fiori
Oscuri, 4
Orario: 21.30 (domenica riposo)
Info:
02.
36.50.37.40
/
02.36.59.25.44
CINEMA & TV
Questa rubrica è curata da Simone Mancuso
I love Radio Rock di Richard
Curtis
Se fossi un produttore di una
major
hollywoodiana
avrei
acquistato i diritti prima dell‟uscita
del film e l‟avrei pompato nel
circuito
commerciale
con
pubblicità
all‟altezza.
Perché
questo
prodotto
puramente
inglese, è uno straordinario lavoro
dello sceneggiatore di “Quattro
matrimoni e un funerale” e
“Notting Hill”, il quale tiene alta la
sua reputazione da soggettista e
sceneggiatore, e migliora il
pensiero generale verso di lui,
firmando anche la regia.
Certo è, che quando un autore
firma queste tre fasi della
produzione, si può certamente
dire non solo che sia una sua
opera, ma quasi che sia
un‟estensione del suo pensiero. E
quello che ne viene fuori è un
dolcissimo ricordo verso una
musica che ha fissato i criteri di
quella contemporanea, ma al
contempo, un fermo punto di vista
sulle aspirazioni e i sogni di una
società che pare smarrita. Radio
Rock è il nome di una nave pirata
che trasmette a tutta la Gran
Bretagna dal Mare del Nord
Rock‟n roll tutto il tempo, da dei dj
che vivono lassù isolati dal
mondo, in un‟epoca in cui vi era il
monopolio della BBC controllata
dal
Ministero
delle
Telecomunicazioni
che
trasmetteva solo musica classica.
Questo
rende
la
pellicola
impregnata di musica anni‟60, con
una scelta delle musiche che
merita da sola il prezzo del
biglietto, e una costruzione dei
personaggi perfettamente tipica di
quegli anni, come “The Count”, il
conte, interpretato egregiamente
dal premio Oscar Philip Seymour
Hoffman. Dunque un inno al
sesso, droga e rock‟n roll fino alla
fine, che non è stato messo in
rilievo come avrebbe meritato,
visto i molti elementi commerciali,
come il montaggio, e con
interessanti motivi per andarlo a
vedere per i nostalgici, ma anche
per chi ama la musica e le
commedie scritte per il cinema.
Terminator Salvation di Mcg
Se si potesse, descrivere il film
soltanto con le musiche di Danny
Elfman, mettendo sotto il titolo un
file mp3 con l‟incalzante tema lo
farei. Questo a mio avviso
basterebbe a descrivere la
potenza di questo film, che arriva
allo spettatore come l‟onda d‟urto
di
una
bomba
atomica,
supportando con la musica scene
come il ritorno di un T-600 (il
primo Terminator, per intenderci,
il governatore della California)
completamente fatto al computer,
primo stile (vedi Conan il
barbaro), come “mostro” finale.
Terminators
che,
forse
giustamente, rubano la scena al
protagonista Connor, interpretato
magnificamente da Bale, come il
T-800, l‟ultima invenzione delle
macchine
con
una
parte
sostanziale umana, e lo scheletro
robotico, con lo scopo d‟infiltrarsi
nella resistenza. Questi elementi
denotano l‟attenzione da parte dei
soggettisti, tra cui l‟onnipresente
James Cameron, per lo sviluppo
di una storia mai che versi sul
banale, ma che anzi, cerchi
un‟evoluzione proprio come i suoi
personaggi. Elemento, questo,
ricorrente in tutti i film della saga,
che a mio avviso è una delle
poche a mantenere lo stesso
livello qualitativo in quasi tutti i
suoi cloni. Il motivo, forse, è
dovuto all‟attenzione verso la
crew che collabora con i vari
registi, mantenendo nei ruoli più
determinanti, gli stessi operatori.
Come già detto per le musiche,
ma anche nel montaggio, il
montatore di James Cameron,
Conrad Buff, o lo stesso
Cameron, messosi da parte come
regista per dedicarsi al soggetto
(forse era meglio che lo dirigesse
lui questo episodio). Insomma,
stessa troupe stesso successo,
un film che decisamente non
delude le aspettative, né dei fans
della saga, né degli altri spettatori
e che anzi crea già l‟attesa per il
prossimo episodio, Terminator 5,
attualmente in sviluppo e che
dovrebbe esser pronto per il
2011.
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Se dovessi trovare una pecca, se
così si può dire, di questo film è
sicuramente la regia, improntata
più sugli spot e i music videos che
sul cinema. Ma questo, si sa, è un
altro discorso …(mp3)
Antichrist di Lars Von Trier
Fischiato
a
Cannes
evidentemente
per
i
suoi
contenuti e le singole immagini di
sesso esplicito e sado-maso,
questo film nel complesso non è
uno dei migliori lavori del regista,
ma ha sicuramente dei punti di
forza.
Iniziamo con l‟interpretazione, e la
capacità del regista di dirigerla, di
Charlotte
Gainsbourg.
Una
recitazione
completamente
dedicata
alla
sofferenza
e
all‟ansia,
incentrata
sull‟elaborazione del lutto nella
sua più completa accezione,
portata
fino
all‟estremo,
annullando il dolore con lo stesso.
Traspare il lavoro psicologico del
regista sull‟attrice, quasi come fa
su di lei nel film, il protagonista
maschile, anche lui non da meno
nell‟interpretazione.
La sceneggiatura ci catapulta con
minuzia nell‟intimo di questi due
individui, con la capacità di
renderceli conosciuti nei minimi
dettagli della loro anima e della
loro psiche. Tutto questo senza
mai svelarci una cosa, che
risulterebbe superficiale sapere di
due persone di cui si ha già una
conoscenza così profonda, che si
spinge fine alle loro paure, ossia, i
loro nomi.
Terzo punto di forza la fotografia.
Girato con la migliore macchina
da presa in circolazione per il
digitale, la Red One Camera, è
stata diretta dal premio oscar
Antony Dod Mantle, che trasforma
il bosco in un luogo tra la realtà e
l‟anima di chi lo vive e lo racconta,
sviluppando una luce nel buio e
un‟oscurità nella luce tale, che se
un film horror dov‟esse essere
giudicato dalla fotografia, questo li
batterebbe tutti. Quarto elemento,
il lavoro di ricerca cui si è
sottoposto il regista che si evince
dai titoli di coda, in cui vi sono
consulenti psicologici, consulenti
sull‟ansia, consulenti sulle manie
depressive e così via.
A mio avviso questo film è molto
personale per il regista, nel senso
che è una sua elaborazione del
lutto. Non voglio sapere quale.
Gallery
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http://www.youtube.com/watch?v=r2oxOjIZIhA
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