Diapositiva 1 - Ucipem Pescara
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XXIII Congresso Nazionale UCIPEM “Dove vanno a finire i palloncini? Il mondo del bambino” Prof. Mario Fulcheri Ordinario di Psicologia Clinica Presidente Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute Dipartimento di Scienze Psicologiche, Umanistiche e del Territorio Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara 1 L’incoraggiamento • L’incoraggiamento è l’aspetto più importante nella pratica di educazione del bambino; è tanto importante, che la mancanza di esso si può considerare quale causa fondamentale di certe anomalie del comportamento: un bambino che si comporta male è un bambino scoraggiato. • Quando un bambino compie un errore o non riesce a raggiungere un certo traguardo, dobbiamo evitare qualunque parola o azione che implichi un giudizio di fallimento nei suoi confronti; • È necessario distinguere l’azione da colui che la compie e bisogna avere ben chiaro in mente che ogni “insuccesso” indica soltanto una mancata acquisizione di abilità e, in nessun caso, influenza il valore di una persona; • Si può parlare di coraggio quando chi compie un errore e ha un insuccesso, non sente diminuire la fiducia in se stesso; • Bambini e adulti hanno altrettanto bisogno di questo “coraggio di essere imperfetti”, perché senza di esso è inevitabile lo scoraggiamento. 2 • L’incoraggiamento è un processo continuo, tendente a dare al bambino un senso di rispetto per se stesso e di completezza; fin dalla prima infanzia egli ha bisogno di aiuto per trovare il proprio posto, mediante l’acquisizione di sicurezza. • L’affetto dei genitori trova la massima espressione nell’incoraggiamento continuo all’indipendenza, che dobbiamo comunicare al bambino fin dalla nascita e mantenere durante l’infanzia; è un atteggiamento reso evidente dalla fiducia accordata al bambino, quale è in ogni momento; è una condizione mentale che ci guida in tutte le situazioni e i problemi quotidiani presentati dall’infanzia. 3 • I bambini hanno una volontà disperata di inserirsi; il bambino sufficientemente sicuro presenta pochi problemi: fa quel che la situazione richiede e, mediante la capacità di rendersi utile e di partecipare, acquista la sensazione di essere inserito. • Il bambino scoraggiato, al contrario, sposta il suo interesse dalla integrazione nel gruppo a un disperato tentativo di realizzare se stesso attraverso gli altri: tutta la sua attenzione, cioè, è volta a questa finalità, mediante un comportamento o piacevole o esasperante, perché, in un modo o nell’altro, deve trovare una propria collocazione. 4 • Senza renderci conto di quel che facciamo, scoraggiamo i nostri figli: li rifiutiamo, come esseri deboli e inferiori, con un intervento che, in se stesso, determina un’atmosfera di scoraggiamento; ci manca la fiducia nella capacità del bambino di funzionare al presente. • Partiamo dal presupposto che il bambino sarà in grado di fare delle cose quando sarà “più grande”, ma che, dal momento che al presente è tanto piccolo, è anche imperfetto e incapace. • Ogni volta, invece, che tendiamo a sostenere il bambino in un’opinione di sé che implichi intraprendenza e fiducia, gli offriamo incoraggiamento. • Non c’è nessuna risposta prestabilita al problema, che richiede studio e applicazione da parte dei genitori; dobbiamo osservare il risultato del nostro programma educativo e chiederci di continuo: “Che influenza ha questo metodo sull’opinione che mio figlio ha di sé?” 5 I falsi scopi del bambino • Sono stati individuati quattro “falsi scopi” che un bambino può perseguire , ed è necessario capirli, se desideriamo indirizzarlo di nuovo a un approccio costruttivo verso l’integrazione sociale. • La domanda di attenzione indebita è il primo falso scopo utilizzato dai bambini scoraggiati quale mezzo per considerarsi inseriti. Influenzato dalla supposizione erronea di avere un significato solo in quanto al centro dell’interesse, il bambino rivela una grande abilità ad attirare l’attenzione, scoprendo tutti i sistemi per tenere gli altri occupati con lui: può essere incantevole e spiritoso, dolce e riservato. Ma, per quanto riesca gradevole, egli mira più a attrarre l’attenzione che a partecipare. 6 • La lotta per il potere costituisce il secondo falso scopo e in genere sopravviene dopo che il genitore ha tentato di bloccare decisamente, per un certo periodo, la domanda di attenzione da parte del bambino; quest’ultimo decide allora di impiegare la forza per sconfiggere il genitore, provando un gran senso di soddisfazione dal rifiuto a obbedire. • Un bambino del genere sente che, qualora soddisfacesse alle richieste, si sottometterebbe a un potere più forte, perdendo così il senso del valore personale. • La lotta per il potere esiste quando genitore e figlio tentano di dimostrare uno all’altro, reciprocamente, chi dei due sia il capo; è un grave errore cercare di sopraffare un bambino ebbro di potere ed è anche inutile. Nella battaglia che ne deriva e che diventa cronica, il bambino non fa che rivelare una maggiore capacità di usare la forza e si ritiene inadeguato se non può dimostrarla. 7 • Il terzo falso scopo nasce dall’intensificazione della lotta per il potere: il bambino, nel suo scoraggiamento, può ricorrere alla vendetta quale unico sistema per accertarsi del proprio significato e della propria importanza. • Ormai è convinto di non poter essere amato e di non avere nessuna possibilità di affermarsi; sente di contare qualcosa, solo in quanto fa agli altri il male che sente di subire. • Il bambino vendicativo è quello così scoraggiato da sentire che soltanto offendendo e danneggiando gli altri, allo stesso modo di come si sente da loro ferito e offeso egli stesso, può trovare la propria collocazione; per lui la vita e il suo prossimo sono profondamente ingiusti e, convinto com’è di suscitare un’irrimediabile antipatia, vuole ripagare l’offesa con l’offesa. 8 • Il quarto falso scopo è utilizzato dal bambino insicuro e scoraggiato, che cerca di dimostrare la sua totale inadeguatezza. • Con la scarsa stima che ha di sé, il bambino inadeguato sente di dover difendere strenuamente quel poco che ha; così si serve della sua incapacità come di uno schermo protettivo per apparire disarmato, incapace, o per evitare qualunque situazione in cui rischi di perdere. • I suoi atti sembrano ottusi; egli partecipa di rado e, con la sua estrema inettitudine, fa in modo che non gli si chieda niente, né che ci si aspetti niente da lui. 9 IL CONSIGLIO DI FAMIGLIA • Il “consiglio di famiglia” è uno degli strumenti fondamentali di cui si dispone per trattare problemi difficili in modo democratico. • Costituisce esattamente quel che dice il nome: una riunione di tutti i membri della famiglia in cui vengono discussi i vari problemi e si prospettano delle soluzioni. Sarebbe necessario tener libera a questo scopo un’ora alla settimana, stabilita in precedenza; dovrebbe entrare a far parte della routine familiare. • L’ora e il giorno della riunione non dovrebbero essere cambiati se non con il consenso di tutta la famiglia. Si presume, infatti, che siano presenti tutti i familiari, ma, se anche uno dei membri non volesse partecipare, dovrebbe comunque conformarsi alla decisione del gruppo. 10 • Ogni famiglia può analizzare quei particolari del consiglio di famiglia che rispondano alle proprie necessità, ma i principi di base rimangono sempre gli stessi: 1. Ogni membro ha il diritto di sollevare un problema; 2. Ognuno ha il diritto di essere udito; 3. Insieme, si cerca una soluzione al problema, e si adotta l’opinione della maggioranza. • 1. 2. 3. Nel consiglio di famiglia le voci dei genitori non sono più importanti o più forti di quelle di ognuno dei figli: Anche i bambini più piccoli possono partecipare al consiglio di famiglia; Vi dovrebbero essere dei turni alla presidenza in modo che, nella riunione, nessuno spadroneggi; Bisogna che il presidente si assicuri che ogni membro della famiglia abbia la possibilità di farsi ascoltare. 11 I disturbi alimentari in età evolutiva • La recente letteratura sottolinea che circa il 25% dei bambini con un normale sviluppo psicofisico può presentare un problema alimentare, mentre tale percentuale sale al 35% in bambini con una difficoltà di sviluppo (prematurità, immaturità, handicap specifici). • In particolare, i dati epidemiologici che riguardano disturbi gravi, quali il rifiuto persistente del cibo o il vomito ricorrente, che sono causa di ricovero e si associano a difficoltà di accrescimento, indicano una prevalenza al 5-10% nei primi 15 mesi di età (American Psychiatric Association, 1994), mentre il difetto di crescita non organico ha un’incidenza del 50-58% sul totale dei casi di difficoltà di accrescimento. 12 • Lucarelli (2001) ben evidenzia che i disturbi alimentari dell’infanzia, comprendono una varietà di problemi specifici con eziologie ed esiti diversi: alcuni sintomi si riferiscono ad esempio alle abilità e ai comportamenti alimentari (come disabilità di sviluppo oromotorie o rifiuto selettivo o totale del cibo), altri invece rimangono non specifici (come le coliche del primo trimestre di vita); inoltre, spesso vengono riferite allo specialista difficoltà alimentari transitorie, comuni durante l’infanzia, specialmente in momenti critici dello sviluppo, che non costituiscono necessariamente un disturbo. • Per esempio tra i 7 e i 9 mesi (epoca dello svezzamento e della comparsa dell’angoscia dell’estraneo) o tra il secondo e terzo anno di vita (nel passaggio verso l’alimentazione autonoma), possono presentarsi comportamenti di rifiuto del cibo che vanno inquadrati dentro a un processo maturativo durante il quale le capacità biologiche, cognitive e affettive del bambino si riorganizzano a un livello di sviluppo più complesso; tale sviluppo richiede, fondamentalmente, una regolazione interattiva di adulto e bambino, che consenta di giungere a un nuovo reciproco adattamento, rispettoso del maggiore senso di autonomia del piccolo. 13 • Emerge pertanto, da questo quadro, quanto, in questo contesto, l’atteggiamento del genitore (più o meno capace di gestire le ansie legate al processo di separazione e di incoraggiare le esperienze di autonomia del bambino) diventa fondamentale nella formazione, spesso reattiva, di un disagio espresso dal bambino tramite una protesta psicosomatica in campo alimentare. • Data l’incidenza e la varietà sintomatologica dei disturbi alimentari in età evolutiva, gli effetti nocivi sulla vita familiare e l’associazione con successivi disturbi comportamentali e di personalità, diviene sempre più importante, pur nella consapevolezza dei limiti di qualsiasi approccio nomotetico rispetto ad una dimensione conoscitiva idiografica, possedere classificazioni diagnostiche che fungano da punti di riferimento indicativi e che consentano di osservare e riconoscere sia i disagi transitori sia le forme subcliniche, prima che si conclamino in veri e propri quadri psicopatologici. 14 La protesta psicosomatica in campo alimentare • In condizioni normali l’instaurarsi delle abitudini relative all’alimentazione e, successivamente, alla pulizia, che conducono a condotte così gradite e attese dall’adulto, non va considerato il risultato di un apprendimento imposto; è, invece, da ritenersi in intima connessione con la motivazione a fare da solo, quando questa si associa al sentimento del bambino di essere bene inserito nell’armonia della vita familiare: quando cioè è stato acquisito nel secondo anno il senso dell’ordine (Trombini G., 1973). • Sulla base di uno specifico processo motivazionale, il bambino può giungere a un comportamento autonomo e ordinato, se favorito da un adeguato atteggiamento dell’adulto. Una condotta dell’adulto tesa a impedire un’attività spontanea e indipendente, induce nel bambino il tentativo di liberarsi della sua influenza attraverso comportamenti di protesta; manifestazioni quali il non voler mangiare, il non voler defecare, il bagnare il letto sono in connessione dinamica con la motivazione del bambino a fare da solo. 15 • Una condotta materna nel campo alimentare che non tenga conto, in questo periodo, della reale necessità del bambino di stabilire un contatto diretto con il cibo o che non tolleri le sue manifestazioni maldestre e che imponga un’alimentazione fissata secondo rigidi moduli personali, determina un innaturale centramento sulla madre le cui qualità espressive si colorano di una tinta autoritaria. • Il sentimento di libertà disturbata nel bambino induce per reazione uno stato affettivo che lo spinge a sottrarsi a queste costrizioni . • Il cibo non viene più visto come l’entità con cui realizzare spontaneamente una relazione dinamica e la sua assunzione, anziché essere desiderata, viene vissuta come la meta finale dei propositi materni ai quali bisogna sfuggire per salvaguardare la propria libertà. • Queste dinamiche trovano espressione in comportamenti di protesta, quali chiudere la bocca, sputare, farsi inseguire per tutta la casa dall’adulto con la forchetta, e costituiscono un vero e proprio “braccio di ferro” per la riconquista della propria autonomia. 16 • Nel secondo anno di vita il bambino comincia ad avere il senso dell’ordine per gli oggetti e gli eventi familiari, cui partecipa attivamente; quando egli siede a tavola con i familiari, il cibo si presenta accanto a quello degli altri, ha un posto preciso nell’insieme ordinato e deve mantenerlo al fine di non modificare la propria fisionomia. • Se la madre prepara i pasti secondo i propri gusti e non considerando quelli del figlio oppure se compaiono irregolarità nello svolgimento, alterazioni nella disposizione abituale o squilibrio delle porzioni (troppo grandi o troppo piccole) possono insorgere delle contrarietà. In tali condizioni il bambino può rifiutare di stare a tavola e di mangiare. • L’adulto che insiste perché il piccolo si adatti, si configura come una figura che si inserisce arbitrariamente nel rapporto diretto tra il bambino e il cibo, mettendo in crisi il suo sentimento di libertà. • Per ricostruire tale sentimento perduto, il piccolo può mantenere il rifiuto di alimentarsi quale mezzo di lotta contro l’adulto. 17 • Emerge così che l’abnorme centramento sull’adulto, che si verifica in condizioni di invadenza, viene dal bambino stesso secondariamente mantenuto attraverso il comportamento di protesta, che esprime il tentativo di liberarsi dalle coercizioni per riportarsi all’autonomia iniziale. • Quindi, si può riassumere che un sano sviluppo psichico necessita dell’inserimento del bambino nel gruppo familiare, base per i suoi successivi e futuri inserimenti in altri gruppi sociali. • Perché la persona possa considerarsi effettivamente un membro della famiglia, è indispensabile che sia mantenuta una continua reciproca comunicazione, che goda della stessa stima degli altri e che svolga determinate funzioni legate a un ruolo da tutti riconosciuto e accettato. 18