Continua - Mediafriends

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Il CONFINE dell’ItaliA
A Dicembre riparte Storie di
Quando all’Alcoa inizia il conto alla rovescia, gli operai che devono spegnere l’impianto vengono battezzati , scherzosamente, “gli assassini”.
Confine, lo storico programma
Davanti alla rete metallica che circonda l’impianto vedo due piccoli piedi che si
trasmesso da Rete 4 e realizzato da
toccano per nascondere l’imbarazzo e forse la tensione. Due bambini, fratello e
Videonews, con la collaborazione di
sorella, ora sanno che quella rete sta per diventare una barriera invalicabile fra il
Mediafriends.
Quest’anno, per la prima volta, Storie
di Confine parla anche dell’Italia,
papà e il suo lavoro, fra la loro vita di oggi e gli anni a venire.
“Ho lavorato qui dentro per tre anni” racconta il padre, un interinale che perderà
il posto pochi giorni dopo “per noi non ci sono ammortizzatori sociali. Ho portato qui i bambini per fargli vedere cosa sta succedendo e per dirgli che qui lavorava
dei suoi problemi e dei progetti che
papa’ e che qui non ci lavorerà più. Andremo a vivere sotto i ponti , perché non
Mediafriends ha finanziato. Mimmo
posso più pagare l’affitto”
Lobezzi, curatore del programma ha
Sulla torre, a pochi metri da loro , tre operai passano la giornata a farsi affumicare
realizzato un servizio sulla Sardegna e
ci regala un’anticipazione quanto mai
attuale…
dai gas, sotto la frusta del sole o della pioggia. “Tante volte ho pensato di farla
finita... Se una mia amica non mi avesse fatto la spesa oggi non avrei più niente:
né frutta, né pane, né verdura… Tutti i miei compagni sono di umore bassissimo.
Tutti. Sono disperato io che son da solo, si figuri chi ha figli … Devo pagare l’affitto, la luce, il gas”…
Costantino, 54 anni, lavorava per l’indotto della Vinyls di Porto Torres. Da tre anni
è in cassa integrazione, ma i ritardi nei versamenti dell’Inps gli vuotano il frigo e
gli tolgono il sonno.
“Ho sempre lavorato - dice - perché devo andare alla mensa dei poveri?”
I compagni, di Costantino, diventati celeberrimi quando occuparono l’Asinara
con il primo reality reale - “L’isola dei cassintegrati” – dopo un anno e mezzo di
attesa, si sono arroccati su due torri : quella aragonese di Porto Torres e quella
della Vinyls, la ditta che produceva il miglior pvc d’Europa, ma che appare condannata dalle spartizioni globali del mercato.
La Sardegna del 2012 è un paesaggio di fabbriche assediate , con i lavoratori che
sottoterra o in cima a torri di 70 o di 100 metri di altezza, difendono il lavoro
contro i mulini a vento del mercato, della politica e delle multinazionali.
“Le conseguenze ? Disastrose – dice Luigi - da quando ha chiuso Eurallumina ho
dato fondo a tutto. Non si può andare avanti con 800 euro al mese. Ne pago 400
solo di mutuo” Luigi è uno dei pochi cassintegrati che accetta di mostrarci la sua
famiglia . Assediati dalle tv gli operai sardi dicono che ne hanno piene le tasche di
essere usati per piangere audience.
Chiedo: “Quando siete andati a mangiare l’ultima pizza?”
“Due anni fa – risponde la moglie - ma solo perché mia mamma ci ha invitati al
ristorante”.
Chiedo: “Si litiga di più con la crisi?”
“Sì, lui è più insofferente – risponde – reagisce più facilmente”
“Prima se le bambine lasciavano una luce lasciata accesa non dicevo nulla” - aggiunge Luigi - “adesso le sgrido. Sopravviviamo grazie alla pensione di mia
suocera”.
Se nel continente la crisi è stata scandita da una lunga serie di suicidi in Sardegna
ha preso un’altra strada : è diventata battaglia, sequestro, scontro fisico e autolesionismo. Una lotta che ha risvegliato, come non accadeva da anni, la caparbietà
dei sardi, sviluppandosi in due direzioni: una verticale fatta di torri occupate e di
operai-stiliti, pronti e a soffrire per settimane il caldo e il freddo e una orizzontale,
fatta di migrazioni sul continente , blocchi marittimi e marittimi.
La terra dei pugili che continua a forgiare gladiatori a Cagliari, l’isola dei soldati,
che spedì la brigata Sassari a Sarajevo e a Nassirja, è riuscita a colpire in pieno la
pancia dei media, ma fatica a trovare un avversario nel buio della crisi più tragica
del dopoguerra.
Tagliandosi le vene a 300 metri sotto terra – il minatore Stefano Meletti ha aperto
un’emorragia televisiva che ha trascinato nelle gallerie della Carbosulcis le tv di
tutto il mondo ma i dati del problema non cambiano.
Il carbone del sulcis carico di zolfo, scalda poco e inquina molto ed era già
fuori mercato prima che Mussolini lo riscoprisse con l’autarchia.
Rilanciare la produzione costerà una fortuna: 200 milioni all’anno per 8 anni, cioè
più di un miliardo e mezzo di euro ma gli operai del Sulcis oggi si aggrappano alla
loro miniera perché negli ultimi anni tutte le alternative che gli sono state proposte
sono fallite .
“I minatori del Sulcis- ha scritto Nicola Porro sul Giornale - oggi pagano l’inganno
di vent’anni di vigliaccheria della politica, che non ha avuto il coraggio di dire che
quell’attività non reggeva più”. L’unico che propose di chiudere la miniera infatti,
Antonello Soru, venne trattato come un menagramo.
“La regione sarda” urla un delegato all’assemblea dei minatori ”a noi come agli altri
di Alcoa , Rockwool o Eeurallumina ha detto solo bugie!”
Nel frattempo la miniera del Sulcis ha polarizzato l’attezione dei media offuscando
le storie di altre fabbriche che un mercato ce l’avrebbero ancora ma sono state
delocalizzate dove il lavoro non costa nulla. È il tragedia degli operai della Rockwoll.
Anni fa gli proposero di lasciare le miniere per lavorare in una fabbrica, che nel
2009 li ha lasciati a piedi.
“Le televisioni vogliono il sangue!“ dice amaro uno dei più giovani “se non ti tagli
le vene nessuno ti caga! E allora, quasi quasi ci speriamo! Pensiamo tra noi: non ci
sarà qualcuno che esce di testa e ha il coraggio di gettarsi dal ponte?”
“Io ci ho una famiglia – risponde un altro sui 45 anni – “non mi taglio le vene. Se
mai taglierò la testa a qualcuno!”.
A pochi centinaia di metri l’eredità del passato, il paesaggio spettrale delle miniere
abbandonate di Iglesias allunga le sue ombre anche sul futuro di un territorio che
sta perdendo tutte le sue fabbriche.
“Oggi questo territorio morto” dice Tore Corriga della Rsu Rockwool “Non solo
il paesaggio ma la gente è morta… La Grecia è qui. Questo territorio va avanti
grazie alle pensioni di silicosi dei nostri padri e dei nostri nonni… La silicosi è un
diventato un ammortizzatore sociale”.
Ispirata al video “Lettera dalla Sardegna” de filmaker Pietro Mereu, questa puntata
di ‘Storie di confine’ è un viaggio scritto insieme a lui, nella crisi dell’isola , ma è
anche un tentativo di raccontare le realtà che resistono, dalle confezioni di Paolo
Modolo l’ex-minatore diventato un sarto di fama europea, alle maschere di Franco
Maritato ex-operaio diventato scultore, alla “Locanda dei buoni e dei cattivi” un
ristorante aperto dalla fondazione “Domus de luna” che, con il sostegno di Mediafriends cerca di offrire l’opportunità di imparare un mestiere a ragazzi provenienti
dai servizi sociali.
Dopo 4 anni di reportages girati all’estero, “Storie di confine”, dedica la sua ultima
edizione, anche a storie italiane perché, come dice Tore Corriga “la Grecia è qui” e
i drammi sociali che sino a 3 anni fa erano associati ai paesi più poveri del mondo,
cominciano a diventare sempre più Europei e Italiani. Basti pensare allo sciopero
della fame dei malati di Sla.
| Mimmo Lombezzi |
giornalista